IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza (art. 23, legge 11 marzo 1953,
 n. 87).
   1. - Nel procedimento n. 236/1997 r.g.n.r. e n. 68/1997 r.g. g.i.p.
 nei  confronti  del militare di leva Pfitscher Stefan per il reato di
 cui agli artt. 47, n. 4 e 189,  comma  2,  c.p.m.p.  commessi  il  30
 gennaio  1997  in  Vipiteno  (Bolzano), in data 4 giugno 1997 il p.m.
 formulava richiesta di rinvio a giudizio.
   All'udienza preliminare del 14  luglio  1997  la  difesa  produceva
 certificazione  relativa  all'appartenenza  dell'imputato  al  gruppo
 linguistico tedesco della provincia autonoma dei Bolzano.
   2. - Ritiene  il  giudice  sussistente  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  rilevante  per  la  definizione  del  giudizio e non
 manifestamente infondata.
   3. - L'esigenza di assicurare il  concreto  esercizio  dei  diritti
 della  difesa  nel  processo  in  corso,  infatti,  si  traduce nella
 preliminare necessita' che l'imputato  possa  partecipare  agli  atti
 processuali personali avvalendosi della propria lingua madre ed avere
 comunque conoscenza ed informazione nella medesima lingua dell'accusa
 e degli atti fondamentali del giudizio (art. 24 della Costituzione).
   Ne  consegue che, risultando in atti l'appartenenza dell'imputato a
 minoranza  riconosciuta  dall'ordinamento  giuridico   italiano,   la
 definizione  del  giudizio  e,  prima  ancora,  la celebrazione della
 stessa udienza preliminare sia pregiudicata dalla questione circa  la
 possibilita'  di  svolgere  il  processo  penale  militare  in lingua
 diversa da quella italiana.
   Non appare, infatti, applicabile al caso di  specie  la  disciplina
 relativa  alla  traduzione degli atti nella lingua dell'imputato ed a
 mezzo di interprete (artt. 143 ss. c.p.p.), attesa la  specialita'  e
 la  tutela accordata espressamente al cittadino italiano appartenente
 a minoranza linguistica riconosciuta (art. 109 c.p.p. e art. 6  della
 Costituzione).
   4.  - Al riguardo, si osserva che il vigente codice penale militare
 - approvato con   r.d. 20 febbraio  1941,  n.  303  -  disciplina  il
 processo  penale  militare  con rinvio (art. 261 c.p.m.p.) alla fonte
 della normativa processuale comune.
   Il codice di procedura penale del 1989, peraltro,  con  riferimento
 alla lingua degli atti del procedimento penale, accoglie il principio
 di   territorialita',   specificandolo  in  attuazione  della  tutela
 costituzionale dei diritti  delle  minoranze  linguistiche  nazionali
 (art. l09, commi 1 e 2, c.p.p.).
   Le  predette  disposizioni  sulla  lingua  degli  atti nel processo
 penale, prescritte a pena di nullita' (art. 109,  comma  3,  c.p.p.),
 appaiono  direttamente  riconducibili  alla  piu'  ampia  e  generale
 normativa di cui al d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, contenente (per la
 parte di interesse)  le  disposizioni  di  attuazione  dello  statuto
 speciale  per  la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso delle
 lingue tedesca e ladina nei procedimenti giudiziari.
   Il quadro normativo ha fondamento nel disposto  dell'art.  6  della
 Costituzione  ("La  Repubblica tutela con apposite norme le minoranze
 linguistiche") e nel derivato testo unico delle leggi  costituzionali
 concernenti  lo  statuto  speciale della regione Trentino-Alto Adige,
 approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, il cui art. 100  prevede
 che  "I  cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano hanno
 facolta' di usare la loro lingua nei rapporti cogli uffici giudiziari
 ... aventi competenza regionale".
   A tale norma, di  rango  costituzionale,  il  legislatore  ha  dato
 attuazione  dapprima  con  il    d.P.R.  3  gennaio  1960,  n. 103, e
 successivamente, con  il  richiamato  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica n. 574/1988.
   Tuttavia, le norme di attuazione attualmente in vigore non appaiono
 in  linea  con i precetti costituzionali, non risultando direttamente
 applicabili anche ai rapporti dei  cittadini  altoatesini  di  lingua
 tedesca con la giustizia militare.
   5.  -  Il  decreto  del  Presidente  della  Repubblica n. 574/1988,
 infatti, prevede la  parificazione  della  lingua  tedesca  a  quella
 italiana  nei  rapporti  con  gli "uffici giudiziari e con gli organi
 giurisdizionali ordinari amministrativi  e  tributari  situati  nella
 provincia  di Bolzano" nonche' con ogni "ufficio giudiziario e organo
 giurisdizionale ordinario, amministrativo o tributario, con  sede  in
 provincia  di Trento ma con competenza anche in provincia di Bolzano"
 (art. 1, comma 1, lett.  b) e c)).
   I predeti uffici ed organi, nei  rapporti  con  i  cittadini  della
 provincia  di  Bolzano  e  negli atti relativi, devono servirsi della
 lingua usata dal  richiedente  (art.  13):  la  lingua  presunta  per
 l'indiziato  o  l'imputato e' quella individuata in base alla notoria
 appartenenza  ad  un  gruppo  linguisco  e  ad  altri  elementi  gia'
 acquisiti al processo (art. 15, comma 1).
   Nei  procedimenti  innanzi  agli  organi  giurisdizionali ordinari,
 amministrativi e tributari non compresi tra quelli sopra precisati, i
 cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco, residenti nella
 provincia di Bolzano, hanno facolta' di rendere le loro dichiarazioni
 o deposizioni in lingua tedesca (art. 24).
   6.  -  La  tutela  accordata  dalle  norme di legge indicate appare
 quindi escludere i soli rapporti tra cittadini altoatesini di  lingua
 tedesca e gli organi giurisdizionali militari.
   Giova,  al  riguardo,  richiamare  la equiparazione tra il giudizio
 penale militare e quello comune, risultante  sia  dalla  composizione
 degli  organi  giurisdizionali e dal sistema delle impugnazioni (come
 modificati con legge 7 maggio 1981,  n.  180)  che  dal  rinvio  alla
 disciplina processuale ordinaria (art. 261 c.p.m.p.).
   Ne consegue che, anche nella logica del tendenziale principio della
 unita'  della  giurisdizione,  la  specialita'  del  giudice militare
 (parificato anche nello stato giuridico a quello ordinario,  art.  1,
 legge  n.    180/1981) sia oggi limitata alla sola natura delle norme
 sostanziali applicate.
   Sotto tale profilo, la scelta  del  legislatore  di  non  accordare
 tutela  agli  indagati  od imputati altoatesini di lingua tedesca nel
 processo penale militare, si traduce in una irragionevole  esclusione
 degli  organi  giurisdizionali  militari da una disciplina altrimenti
 unitaria (art. 3, secondo comma, della Costituzione).
   Al tempo stesso, il  difforme  trattamento  ricevuto  dai  predetti
 soggetti  davanti  alla giurisdizione penale ordinaria e militare non
 risulta per alcun verso riconducibile ad una diversita' di situazioni
 sostanziali.
   Sola differenza tra un indagato  od  imputato  in  un  procedimento
 penale  ordinario  o  militare e', infatti, la qualificazione formale
 della norma incriminatrice della condotta contestata, quale norma  di
 diritto penale sostanziale comune o militare.
   Attesi  l'identico  valore  e  la' medesima forza dei provvedimenti
 giurisdizionali penali ordinari e  militari  nonche'  la  sostanziale
 identita'  delle  pene  e  degli  effetti  penali,  unica  differenza
 ontologica potrebbe  essere  ravvisata  nella  natura  dell'interesse
 tutelato dalle norme penali in esame.
   Tuttavia,  la  ragione  che  le fattispecie astratte previste dalla
 legge penale militare  tutelino  (anche)  beni  interessi  di  natura
 militare,   non  appare  sufficiente  a  fondare  una  disparita'  di
 trattamento tra  soggetti  sottoposti  all'applicazione  della  legge
 penale (art. 3, primo comma, della Costituzione).
   Nessun  rilievo  puo',  inoltre,  assumere  la  circostanza  che il
 Regolamento di disciplina militare (d.P.R. 18 luglio  1986,  n.  545)
 preveda  l'uso obbligatorio, in servizio, della lingua italiana (art.
 43):  tale  norma,  dettata  per  esigenze  di  natura   strettamente
 militare, non puo' operare al di fuori dell'ambito amministrativo per
 il quale e' dettata.
   Poiche' la sede giurisdizionale di esercizio della giustizia penale
 militare  nazionale non puo' per alcun verso ricondursi, nell'attuale
 sistema, a principi di amministrazione  militare,  l'obbligo  di  uso
 della  lingua  italiana  derivante dalla norma di disciplina non puo'
 trovare   applicazione   in   rapporti   nei   quali   altra    norma
 (sopraordinata)  garantisca  l'uso  della  lingua madre del cittadino
 appartenente a minoranza linguistica.
   Neppure puo', dalla circostanza che nel militare sia presumibile la
 conoscenza della lingua italiana (proprio per effetto della norma  di
 disciplina  ovvero anche per circostanze di fatto aliunde derivabili)
 privarsi lo stesso  della  facolta',  oggetto  di  espressa  garanzia
 indipendente  dalla  conoscenza  della  lingua italiana, di avvalersi
 della lingua del suo gruppo linguistico.
   7.  -  Un  ulteriore  profilo  di  rilievo  appare  ravvisabile nel
 contrasto tra le stesse denunciate norme del decreto  del  Presidente
 della  Repubblica  n.  574/1988  e  la  fonte  costituzionale  di cui
 all'art. 100 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670/1972,
 laddove questa garantisce l'uso della  lingua  tedesca  davanti  agli
 uffici giudiziari aventi "competenza regionale".
   Dalla   tabella  allegata  al  d.P.R.  14  febbraio  1964,  n.  199
 ("Revisione delle circoscrizioni dei Tribunali militari") risulta che
 la competenza  territoriale  del  tribunale  militare  di  Verona  si
 estende  al territorio delle province di Trento e Bolzano e, cioe', a
 tutta la regione Trentino-Alto Adige.
   Ne consegue  che  la  tutela  di  cui  all'art.  100,  decreto  del
 Presidente  della  Repubblica  n.  670/1972 dovrebbe applicarsi anche
 davanti  al  tribunale  militare  per   territorio   competente   sul
 Trentino-Alto   Adige   (quale  ufficio  giudiziario  con  competenza
 regionale), ancorche' dalla legge ordinaria collocato al di fuori dei
 confini geografici regionali.
   Il contrasto con la norma  in  esame  importa,  conseguenzialmente,
 anche  la  violazione  del  principio di autonomia regionale speciale
 (art. 116 della Costituzione), di cui  il    decreto  del  Presidente
 della Repubblica n. 670/1972 e' manifestazione.
   8.  -  Deve, infine, segnalarsi che le norme denunciate appaiono in
 contrasto anche con la "Convenzione per la salvaguardia  dei  diritti
 dell'uomo   e  delle  liberta'  fondamentali"  del  4  novembre  1950
 (ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848).
   La norma pattizia, infatti, prevede  il  diritto  dell'accusato  di
 "essere  informato...  in una lingua a lui comprensibile e in un modo
 dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa"  (art.  6,  comma
 3).
   Ne  consegue  che  la  disciplina recata dal decreto del Presidente
 della Repubblica n. 574/1988 risulterebbe violativa  anche  dell'art.
 10,  primo comma, della Costituzione.