IL TRIBUNALE
   Riunito  in camera di consiglio nel procedimento penale n. 813/1997
 r.g. nei confronti di Cane' Gabriele, nato a Bologna il  17  novembre
 1951,  e  Mascambruno Giuseppe, nato a Firenze il 18 ottobre 1955, il
 primo essendo contumace, entrambi difesi dall'avv.  Antonio  D'Avirro
 del  foro  di Firenze, procedimento in cui e' costituita parte civile
 D'Ignazio Monica, nata a Cagliari il 26  ottobre  1970,  residente  a
 Perugia,  Strada  Olmo Valle n. 2/h011, difesa dall'avv. Eduardo Izzo
 del foro di Perugia; essendo il Cane' e il Mascambruno  imputati  del
 reato di concorso nella diffamazione a mezzo stampa della D'Ignazio;
   Rilevato che il p.m. nel corso del dibattimento, avendo il Collegio
 rilevato  che  in atti non vi era la querela, ha chiesto di integrare
 il contenuto del fascicolo per il  dibattimento  mediante  produzione
 della querela proposta dalla D'Ignazio;
   Considerato  che  l'art.  491,  comma 1 e 2, c.p.p., prevede che le
 questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il  dibattimento
 sono  precluse,  se  non  proposte subito dopo compiuto, per la prima
 volta, l'accertamento della costituzione delle parti;
     che pertanto, in relazione all'art.  431  c.p.p.,  sono  precluse
 anche le questioni inerenti all'inserimento nel fascicolo del giudice
 dell'atto  di querela, non distinguendo il citato art. 491 fra i vari
 atti che  debbono,  originariamente,  formare  il  fascicolo  per  il
 dibattimento;
     che  d'altra  parte non e' consentito al giudice del dibattimento
 surrogare d'ufficio l'inerzia delle parti in ordine al contenuto  del
 proprio  fascicolo, una volta superato il termine di preclusione, non
 essendovi norma analoga a quella di cui all'art.  507  c.p.p.  quanto
 agli atti inerenti alla procedibilita' della azione penale;
     che  la  conseguenza  di  cio'  consisterebbe nella emanazione di
 provvedimento di reiezione della richiesta del  p.m.  con  successiva
 declaratoria di improcedibilita' della azione penale;
     che  la disciplina che dovrebbe applicarsi, in quanto equiparante
 gli atti relativi alle  condizioni  di  procedibilita'  agli  atti  a
 contenuto probatorio, quali gli atti non ripetibili compiuti dal p.m.
 e dalla p.g., sembra a questo tribunale violare il disposto dell'art.
 3  Cost.,  in  quanto  risultano  sottoposti  al medesimo regime atti
 aventi diversa valenza e funzione processuale;
     che infatti, il legislatore ha voluto che il giudice iniziasse il
 dibattimento  con ambito di cognizione limitato a tipologie di atti a
 contenuto  irripetibile  ed  in  condizioni  di  massima  asetticita'
 rispetto  agli  atti espletati durante le indagini preliminari, e che
 la prova si formasse nel contraddittorio delle  parti  nella  vera  e
 propria fase dibattimentale;
     che  pertanto  non  sembra  ragionevole  l'equiparazione  operata
 dall'art.  491/2, in relazione agli artt. 491/1  e  431  c.p.p.,  fra
 atti a contenuto probatorio - quali gli atti non ripetibili espletati
 dalla  p.g. e dal p.m. - e atti non aventi un significato probatorio,
 quali gli atti relativi alle condizioni  di  procedibilita',  la  cui
 lettura   deve   essere  disposta  soltanto  per  la  verifica  della
 sussistenza delle suddette condizioni;
     che la disciplina che dovrebbe applicarsi, mediante rigetto della
 richiesta del p.m., sembra anche violare il precetto di cui  all'art.
 112  Cost.,  in  quanto  la  preclusione  ex  art.  491 comporterebbe
 l'emanazione di sentenza dichiarante che l'azione penale  non  doveva
 essere esercitata per difetto di querela, pur essendo stata la stessa
 regolarmente proposta;