ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi promossi con ricorsi delle  regioni  Puglia  e  Lombardia
 notificati   l'11  aprile  1997,  depositati  in  cancelleria  il  29
 successivo, per conflitti  di  attribuzione  sorti  a  seguito  delle
 decisioni  della  Corte  costituzionale  nn.  17, 18, 19, 20 e 24 del
 1997,  con  le  quali   sono   stati,   rispettivamente,   dichiarati
 inammissibili   i   referendum   in  materia:  a)  di  istituzione  e
 riordinamento del Ministero della sanita'; b) di funzioni statali  di
 indirizzo  e  coordinamento; c) di limiti alle attivita' promozionali
 delle regioni all'estero nelle  materie  di  loro  spettanza;  d)  di
 partecipazione  delle  regioni alle attivita' dell'Unione europea; e)
 di poteri di direttiva  dello  Stato  sulle  funzioni  amministrative
 statali delegate alle regioni, ed iscritti ai nn. 15, 16, 17, 18, 19,
 20, 21, 22, 23 e 24 del registro conflitti 1997;
   Visti  gli  atti  di  costituzione del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  25  novembre  1997  il  giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
   Uditi  gli  avvocati  Beniamino  Caravita di Toritto per le regioni
 Puglia e  Lombardia,  Giovanni  Motzo  per  la  regione  Lombardia  e
 l'avvocato  dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio
 dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.1.  -  Con  due  ricorsi  di  identico contenuto, notificati l'11
 aprile 1997, le regioni Puglia e Lombardia hanno  proposto  conflitto
 di  attribuzione  nei  confronti  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri (reg. confl., rispettivamente n. 15 e 16 del 1997) chiedendo
 l'annullamento, in tutto o nella sola parte  motiva,  della  sentenza
 della Corte costituzionale n. 17, depositata il 10 febbraio 1997, con
 la quale e' stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum
 popolare,  proposto  dalle  ricorrenti,  per  l'abrogazione  di  atti
 legislativi  concernenti  l'istituzione  ed  il   riordinamento   del
 Ministero  della sanita'. Le regioni chiedono che si dichiari che non
 spetta allo Stato, e per esso alla Corte  costituzionale,  accertare,
 nell'ambito del giudizio di ammissibilita' del referendum abrogativo,
 l'esistenza  di  principi costituzionali fondamentali, ovvero di loro
 corollari impliciti, che determinano l'effetto dell'immodificabilita'
 di  leggi  ordinarie  o  di  disposizioni  di  rango   costituzionale
 attualmente  vigenti,  in  quanto recanti l'unico possibile contenuto
 attuativo di detti principi costituzionali.
   Le ricorrenti premettono che i Consigli regionali  della  Calabria,
 della  Lombardia,  del  Piemonte,  della Puglia, della Toscana, della
 Valle d'Aosta e del Veneto hanno presentato richiesta  di  referendum
 popolare  abrogativo  della legge 13 marzo 1958, n. 296 (Costituzione
 del Ministero della sanita') e del d.lgs.  30  giugno  1993,  n.  266
 (Riordinamento  del  Ministero  della  sanita',  a norma dell'art. 1,
 comma 1, lettera h),  della  legge  23  ottobre  1992,  n.  421);  la
 richiesta,   dichiarata   legittima   dall'Ufficio  centrale  per  il
 referendum costituito presso la Corte di  cassazione,  e'  stata  poi
 dichiarata  inammissibile  dalla Corte costituzionale con la sentenza
 che da' origine al conflitto.
   L'atto denunciato come lesivo della sfera di attribuzioni garantita
 alle regioni sarebbe stato posto in essere dalla Corte costituzionale
 nell'esercizio  della  sua   funzione   statale   di   controllo   di
 ammissibilita'  della richiesta referendaria. Secondo il principio di
 legittimita' costituzionale, che regge il nostro ordinamento,  contro
 questa  decisione  della  Corte, come contro ogni altro atto posto in
 essere da un organo che fa riferimento all'ordinamento statale e leda
 la sfera di attribuzione regionale, dovrebbe  essere  ammissibile  il
 rimedio del conflitto di attribuzione. La legittimazione processuale,
 trattandosi  di  conflitto  proposto  nei  confronti di un atto della
 Corte  quale  organo  dello  Stato,  spetterebbe  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  secondo una regola stabilita espressamente
 per la legittimazione attiva, quando i conflitti di attribuzione sono
 proposti dallo Stato (art.   39, primo comma, della  legge  11  marzo
 1953,  n.  87), ma che varrebbe anche quando il conflitto e' proposto
 dalle regioni nei confronti dello Stato.
   Le ricorrenti sostengono che la motivazione della sentenza  che  ha
 dichiarato  inammissibile  la richiesta di referendum, affermando che
 l'abrogazione delle  disposizioni  concernenti  l'istituzione  ed  il
 riordinamento  del  Ministero  della  sanita'  avrebbe  comportato la
 totale e non consentita  estromissione  dell'amministrazione  statale
 dalla  materia  sanitaria, abbia determinato il disconoscimento della
 sfera di attribuzioni,  riservata  dalla  Costituzione  alle  regioni
 (artt. 5, 71, 75, 121, 134 e 138), di partecipare alla determinazione
 della  volonta' normativa statale, non solo nella forma referendaria,
 ma anche in quella legislativa, ordinaria e costituzionale, ed  abbia
 cosi'  determinato una contrazione ed una menomazione della posizione
 che la Costituzione  garantisce  alle  regioni  nei  confronti  dello
 Stato.
   Ad  avviso  delle  ricorrenti, la Corte costituzionale, esorbitando
 dall'ambito  dell'esercizio  del  potere  ad   essa   attribuito   di
 controllare  l'ammissibilita'  della  richiesta referendaria, avrebbe
 manifestato, in nome dell'ordinamento statale, un'intenzione  lesiva,
 attuale  e  non  meramente  congetturale, volta al disconoscimento ed
 alla   conseguente   compressione   delle   attribuzioni    regionali
 costituzionalmente   garantite  circa  il  potere  di  partecipazione
 regionale  alla  determinazione  della   volonta'   statale;   potere
 costituzionalmente   garantito   entro   i   limiti  di  legittimita'
 costituzionalmente previsti e  che  si  fonda  sulla  piena  liberta'
 regionale  di  determinare,  nella  propria  autonomia  politica,  il
 contenuto  della  proposta  normativa  che   si   voglia   introdurre
 nell'ordinamento giuridico statale.
   La  dichiarazione  di  inammissibilita' del quesito referendario in
 base alla considerazione che  la  proposta  regionale  coinvolgerebbe
 funzioni   amministrative   costituzionalmente   necessarie,  la  cui
 indefettibile persistenza nell'ordinamento e' stata dedotta dall'art.
 32,  primo  comma,  della  Costituzione,   avrebbe   configurato   un
 inammissibile  irrigidimento  dell'assetto costituzionale italiano, a
 causa   della   individuazione   di   limiti   che   impediscono   la
 partecipazione regionale alle attivita' statali mediante l'iniziativa
 referendaria,  e  che  non  potrebbero  essere oltrepassati, non solo
 dall'iniziativa referendaria o legislativa regionale, ma anche  dallo
 stesso legislatore statale ordinario e costituzionale.
   Le  regioni  ricorrenti riconoscono che rientra tra i compiti della
 Corte individuare i principi costituzionali immodificabili  (sentenza
 n. 1146 del 1988); ma ritengono che la loro enunciazione nel giudizio
 di  ammissibilita'  del  referendum  rischierebbe  di  trasformare il
 controllo  interno  al  procedimento  referendario  in  un   autonomo
 procedimento    dichiarativo,    in   via   generale   ed   astratta,
 dell'esistenza di principi costituzionali  impliciti,  che  la  Corte
 ricercherebbe senza alcuna preventiva delimitazione dei parametri del
 giudizio,  con  il  rischio  di  sconfinamenti  non  bilanciati da un
 sistema di contropoteri politici ed istituzionali.
   1.2. - In entrambi i giudizi si e'  costituito  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello  Stato,  chiedendo  che  i  ricorsi  siano  dichiarati
 inammissibili o, in subordine, rigettati, giacche' spetta alla Corte,
 nell'ambito del giudizio di ammissibilita' del referendum abrogativo,
 accertare  se  la normativa conseguente all'abrogazione contrasti con
 le norme ed i principi sanciti dalla Costituzione.
   L'Avvocatura sottolinea che i conflitti di  attribuzione  sarebbero
 stati  proposti  per  censurare il modo nel quale si e' concretamente
 esplicata la giurisdizione propria della Corte  e  si  risolverebbero
 chiaramente  ed  inequivocabilmente  in  un  inammissibile  mezzo  di
 gravame della sentenza, esplicitamente escluso dall'art.  137,  terzo
 comma,  della  Costituzione.  Le regioni, difatti, non contestano che
 alla Corte spetti il potere  di  controllare  l'ammissibilita'  delle
 richieste   di   referendum   abrogativo   sotto   il  profilo  della
 compatibilita'  con  le  norme  costituzionali, ne' che tale giudizio
 abbia per parametro non solo i limiti  generali  posti  dall'art.  75
 della  Costituzione  ai  referendum  abrogativi, ma che possa e debba
 estendersi anche  alle  altre  norme  costituzionali.  Le  ricorrenti
 contestano,  invece,  che quelli enunciati dalla Corte siano principi
 costituzionali  e  non,  piuttosto,  mere  scelte  discrezionali  del
 legislatore ordinario.
   Nel  merito  i  conflitti sarebbero comunque infondati, giacche' la
 deliberazione popolare abrogativa per definizione produce  diritto  e
 da'  luogo  ad  un  atto  avente  forza  di legge ordinaria. Sarebbe,
 quindi, coerente  con  i  principi  del  nostro  ordinamento  che  il
 controllo   di   costituzionalita'   demandato  alla  Corte,  in  via
 preventiva, sulla richiesta di referendum  sia  in  tutto  analogo  a
 quello  che  alla stessa compete, in via successiva, sugli altri atti
 aventi forza di legge ordinaria, e tenda non solo a verificare che la
 richiesta  non  contrasti  con  i  divieti  espliciti   posti   dalla
 Costituzione  al  procedimento  referendario,  ma sia anche diretto a
 valutare  se  l'effetto  abrogativo  produca  discipline  viziate  da
 contrasto con i principi sanciti dalle altre norme costituzionali.
   La  verifica  di  costituzionalita',  che  compete  alla Corte, non
 produrrebbe,  inoltre,  le  conseguenze  aberranti  delineate   dalle
 regioni,  giacche' da essa non nasce la immodificabilita' delle leggi
 ordinarie ne' un limite al legislatore costituzionale.
   2.1. - Con due  ricorsi  di  identico  contenuto,  notificati  l'11
 aprile  1997, le regioni Puglia e Lombardia hanno sollevato conflitti
 di attribuzione  nei  confronti  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri (reg. confl., rispettivamente n. 17 e 18 del 1997), ed hanno
 chiesto - con argomentazioni e conclusioni analoghe a quelle proposte
 con i ricorsi sopra indicati al punto 1.1. - l'annullamento, in tutto
 o  nella sola parte motiva, della sentenza della Corte costituzionale
 n. 18, depositata  il  10  febbraio  1997,  con  la  quale  e'  stata
 dichiarata  inammissibile  la  richiesta  di  referendum popolare per
 l'abrogazione di disposizioni  legislative  in  materia  di  funzioni
 statali  di  indirizzo  e  coordinamento,  proposto  dalle ricorrenti
 unitamente alle regioni Calabria, Piemonte, Toscana, Valle d'Aosta  e
 Veneto  e concernente alcune disposizioni della legge 22 luglio 1975,
 n. 382, del d.P.R.  24 luglio 1977, n. 616,  della  legge  23  agosto
 1988, n. 400 e della legge 12 gennaio 1991, n. 13.
   2.2.  -  In  entrambi  i giudizi si e' costituito il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  chiedendo,  con argomentazioni e conclusioni
 analoghe a quelle gia' enunciate al punto 1.2., che i  ricorsi  siano
 dichiarati inammissibili o, in subordine, rigettati.
   3.1.  -  Con  due  ricorsi  di  identico contenuto, notificati l'11
 aprile 1997, le regioni Puglia e Lombardia hanno sollevato  conflitti
 di  attribuzione  nei  confronti  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri  (reg.  confl.,  rispettivamente  n.  19  e  20  del  1997),
 chiedendo  anche in questo caso l'annullamento, in tutto o nella sola
 parte motiva,  della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  19,
 depositata  il  10  febbraio  1997,  con la quale e' stata dichiarata
 inammissibile la richiesta di referendum popolare in tema  di  limiti
 alle attivita' promozionali delle regioni all'estero nelle materie di
 loro  spettanza,  proposto  dalle  ricorrenti unitamente alle regioni
 Calabria, Piemonte, Toscana, Valle d'Aosta  e  Veneto  e  concernente
 l'abrogazione  di una parte dell'art. 4 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.
 616.
   La sentenza che da' origine al conflitto ha ritenuto che  la  ratio
 ispiratrice  del  quesito  referendario non sia la sostituzione di un
 modello di coordinamento con altro diverso ed equivalente  dal  punto
 di  vista della concretizzazione del principio di leale cooperazione,
 bensi' l'eliminazione in radice di ogni forma  di  coordinamento  fra
 Stato  e  regioni  in  materia  di attivita' promozionali all'estero,
 sicche' il  referendum  tenderebbe  a  colpire  inammissibilmente  il
 principio  di leale cooperazione, che trova il suo diretto fondamento
 nell'art.  5 della Costituzione.
   A sostegno dei ricorsi le regioni propongono argomenti  analoghi  a
 quelli sopra esposti al punto 1.1.
   3.2.  -  In  entrambi  i giudizi si e' costituito il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato, chiedendo che la Corte dichiari inammissibili
 o, in subordine, rigetti i ricorsi.
   A sostegno di tali conclusioni,  l'Avvocatura  enuncia  i  medesimi
 argomenti sopra esposti al punto 1.2.
   4.1.  -  Con  due  ricorsi  di  identico contenuto, notificati l'11
 aprile 1997, le regioni Puglia e Lombardia hanno  proposto  conflitto
 di  attribuzione  nei  confronti  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri  (reg.  confl.,  rispettivamente  n.  21  e  22  del  1997),
 chiedendo  anche in questo caso l'annullamento, in tutto o nella sola
 parte  motiva,  della  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  20
 depositata  il  10  febbraio  1997,  con la quale e' stata dichiarata
 inammissibile la richiesta  di  referendum  popolare  in  materia  di
 partecipazione  delle  regioni  alle  attivita'  dell'Unione europea,
 proposto dalle ricorrenti unitamente alle regioni Calabria, Piemonte,
 Valle d'Aosta e Veneto per abrogare alcune disposizioni (o  parti  di
 disposizioni) del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e della legge 9 marzo
 1989, n. 86.
   La  sentenza  che da' origine al conflitto ha ritenuto che la ratio
 della richiesta di abrogazione consisterebbe nella completa rimozione
 di funzioni che lo Stato e' chiamato ad esercitare nei  rapporti  con
 la  comunita'  europea;  funzioni  che  possono  essere  diversamente
 disciplinate in direzione di una piu' consistente valorizzazione  del
 principio   autonomistico,   ma   che   non   possono   essere  fatte
 definitivamente  tacere,  ostandovi  il  principio   di   unita'   ed
 indivisibilita'   della   Repubblica,   sancito   dall'art.  5  della
 Costituzione.
   A sostegno dei ricorsi le regioni propongono argomenti  analoghi  a
 quelli sopra esposti al punto 1.1.
   4.2.  -  In  entrambi  i giudizi si e' costituito il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato, chiedendo che la Corte dichiari inammissibili
 o, in subordine, respinga i ricorsi.
   A sostegno di tali conclusioni,  l'Avvocatura  enuncia  i  medesimi
 argomenti sopra esposti al punto 1.2.
   5.1.  -  Con  due  ricorsi  di  identico contenuto, notificati l'11
 aprile 1997, le regioni Puglia e Lombardia hanno  proposto  conflitto
 di  attribuzione  nei  confronti  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri  (reg.  confl.,  rispettivamente  n.  23  e  24  del  1997),
 chiedendo  -  con  argomentazioni  e  conclusioni  analoghe  a quelle
 proposte con i ricorsi sopra indicati al punto 1.1. - l'annullamento,
 in  tutto  o  nella  sola  parte  motiva,  della sentenza della Corte
 costituzionale n. 24, depositata il 10 febbraio 1997, con la quale e'
 stata dichiarata inammissibile la richiesta di referendum popolare in
 materia  di  poteri  di  direttiva   dello   Stato   sulle   funzioni
 amministrative   statali   delegate   alle  regioni,  promosso  dalle
 ricorrenti unitamente alle regioni Calabria, Piemonte, Valle  d'Aosta
 e  Veneto,  per  l'abrogazione parziale dell'art. 4, terzo comma, del
 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
   La sentenza che ha dato luogo al conflitto  considera  a  contenuto
 costituzionalmente  vincolato  la  disposizione  che  prevede  che il
 Governo impartisca direttive per l'esercizio delle funzioni  delegate
 alle regioni, che sono tenute ad osservarle.
   Ad   avviso  delle  ricorrenti,  anche  in  questo  caso  la  Corte
 costituzionale  avrebbe  promosso  una   scelta   discrezionale   del
 legislatore   al  rango  di  principio  costituzionale  fondamentale,
 sconfinando dal suo ruolo di giudice costituzionale ed impedendo alla
 regione  di  esercitare  una  sua   attribuzione   costituzionalmente
 garantita.  Se  esistesse  una  norma  o  un principio, implicito nel
 sistema costituzionale, in base al quale lo Stato-delegante ha sempre
 la  possibilita'   di   indirizzare   l'esercizio   delle   attivita'
 amministrative  delegate  alle  regioni,  sarebbe  impedito lo stesso
 ricorso ad  una  delega  di  tipo  devolutivo,  e  lo  Stato  sarebbe
 costretto a fare uso di una delegazione amministrativa nel senso piu'
 restrittivo  secondo  una  nozione  ormai superata e inapplicabile ai
 rapporti tra Stato e regioni.
   5.2. - In entrambi i giudizi si e'  costituito  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello Stato, chiedendo che la Corte  dichiari  inammissibili
 o, in subordine, respinga i ricorsi.
   A  sostegno  di  tali  conclusioni, l'Avvocatura enuncia i medesimi
 argomenti gia' esposti al punto 1.2.
   6. - In prossimita' dell'udienza  le  regioni  Puglia  e  Lombardia
 hanno  presentato,  in  ciascuno  dei  giudizi,  separate  memorie di
 analogo contenuto.
   Le ricorrenti affermano che le iniziative referendarie, inserite in
 un  contesto  di  profonde  spinte  all'innovazione,  hanno  comunque
 portato  all'abrogazione delle norme sottoposte a referendum o ad una
 loro modifica ad opera del Parlamento.  Le  regioni  avrebbero  cosi'
 anticipato  iniziative che lo stesso Parlamento ha poi materializzato
 in disposizioni di legge e, attraverso  la  Commissione  parlamentare
 per   le   riforme   costituzionali,   in   potenziali   norme  della
 Costituzione.
   Nel sollevare i conflitti,  le  regioni  non  avrebbero  mirato  ad
 ottenere  un  ripensamento  della Corte al fine di sottoporre al voto
 popolare i quesiti referendari, come sarebbe dimostrato dal fatto che
 non  e'  stata  presentata  istanza   di   sospensiva.   Le   regioni
 intenderebbero,  piuttosto,  evitare il rischio che le considerazioni
 svolte dalla Corte  in  ordine  ai  principi  costituzionali  possano
 frenare  il  processo di attuazione di forme piu' avanzate di assetto
 dei rapporti Stato-regioni.
   Le ricorrenti affermano di voler difendere il principio secondo cui
 l'ambito  del  giudizio  di  ammissibilita'  dei  referendum  sarebbe
 diverso  da quello di costituzionalita' e contestano che il controllo
 di costituzionalita' demandato alla Corte  in  via  preventiva  sulla
 richiesta  di  referendum  abrogativo  sia  analogo a quello che alla
 stessa compete, in via successiva, sugli atti aventi forza  di  legge
 ordinaria,   giacche'   non  spetterebbe  alla  Corte  verificare  se
 l'eventuale effetto abrogativo, totale o parziale, di  norme  produca
 discipline viziate da contrasto con i principi sanciti da altre norme
 costituzionali.
   7.   -  All'udienza  pubblica  del  25  novembre  1997  le  regioni
 ricorrenti,  pur  ribadendo  le  argomentazioni  gia'  svolte,  hanno
 chiesto di rinviare la decisione dei conflitti di attribuzione ad una
 data  successiva  a quella di approvazione ed entrata in vigore della
 parte II della Costituzione, all'esito della procedura  di  revisione
 prevista  dalla  legge  costituzionale  24  gennaio  1997,  n.  1, in
 considerazione delle profonde modifiche gia' introdotte nel testo del
 progetto di riforma licenziato dalla Commissione parlamentare per  le
 riforme costituzionali.
   In  via subordinata, le ricorrenti hanno chiesto che sia dichiarata
 la cessazione della materia del contendere per i conflitti in tema di
 indirizzo  e  coordinamento,  direttive  sulle   funzioni   delegate,
 attivita' promozionali delle regioni all'estero, partecipazioni delle
 regioni  alle  decisioni  ed  attivita'  di attuazione comunitaria, a
 seguito delle modifiche introdotte dall'art. 8 della legge  15  marzo
 1997,  n.  59  e,  in  subordine  alla  richiesta  di  rinvio,  hanno
 dichiarato  di   rinunziare   al   conflitto   sulla   decisione   di
 inammissibilita' in materia di sanita'.
   8.  -  L'Avvocatura  dello  Stato, ribadendo le argomentazioni gia'
 svolte, ha insistito per l'inammissibilita' di tutti i ricorsi ed  in
 subordine  per il rigetto, opponendosi alla richiesta di rinvio della
 decisione.
                         Considerato in diritto
   1. - I conflitti di attribuzione  sollevati  dalle  regioni  Puglia
 (reg.  confl.  nn.  15,  17,  19, 21 e 23 del 1997) e Lombardia (reg.
 confl. nn. 16, 18, 20, 22 e 24 del 1997)  investono  cinque  sentenze
 della  Corte  costituzionale  con  le  quali  sono  state  dichiarate
 inammissibili altrettante richieste di referendum popolare,  proposti
 dalle ricorrenti unitamente alle regioni Calabria, Piemonte, Toscana,
 Valle  d'Aosta  e  Veneto.  Le  lesioni  della  sfera  di  competenze
 regionali, costituzionalmente garantite,  sarebbero  state  arrecate:
 dalla  sentenza  n.  17  del  1997,  con la quale e' stata dichiarata
 inammissibile la richiesta di referendum per  l'abrogazione  di  atti
 legislativi  concernenti il riordinamento del Ministero della sanita'
 (legge 13 marzo 1958, n. 296 e d.lgs.  30 giugno 1993, n. 266); dalla
 sentenza  n.  18  del  1997,  con  la  quale  e'   stata   dichiarata
 inammissibile   la  richiesta  di  referendum  per  l'abrogazione  di
 disposizioni legislative in materia di funzioni statali di  indirizzo
 e  coordinamento  (alcune disposizioni della legge 22 luglio 1975, n.
 382, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, della legge 23  agosto  1988,
 n.  400  e  della legge 12 gennaio 1991, n. 13); dalla sentenza n. 19
 del 1997, con la quale e' stata dichiarata inammissibile la richiesta
 di  referendum  in  tema  di  limiti  alle   attivita'   promozionali
 all'estero delle regioni nelle materie di loro spettanza (abrogazione
 di  una  parte  dell'art. 4 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616); dalla
 sentenza  n.  20  del  1997,  con  la  quale  e'   stata   dichiarata
 inammissibile la richiesta di referendum in materia di partecipazione
 delle  regioni  alle  attivita'  dell'Unione  europea (abrogazione di
 alcune disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e della  legge
 9 marzo 1989, n.  86); dalla sentenza n. 24 del 1997, con la quale e'
 stata  dichiarata inammissibile la richiesta di referendum in materia
 di poteri di direttiva  dello  Stato  sulle  funzioni  amministrative
 statali  delegate  alle  regioni  (abrogazione  parziale dell'art. 4,
 terzo comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616).
   Le ricorrenti chiedono l'annullamento, in tutto o nella sola  parte
 motiva,  delle  sentenze  denunciate, giacche' esse, quali atti di un
 organo appartenente all'ordinamento statale, avrebbero  prodotto  una
 lesione della sfera di competenza che la Costituzione garantisce alle
 regioni  nei  confronti  dello  Stato.  Ad  avviso  delle ricorrenti,
 difatti, le decisioni della Corte costituzionale, sviando dall'ambito
 del controllo di ammissibilita' dei referendum, avrebbero individuato
 in una sede impropria principi costituzionali fondamentali,  tali  da
 porre  un limite alla partecipazione regionale alle attivita' statali
 mediante   l'iniziativa   referendaria   o    legislativa.    Inoltre
 l'individuazione    di    principi    costituzionali   immodificabili
 determinerebbe un irrigidimento  del  sistema,  che  rischierebbe  di
 vincolare la stessa revisione costituzionale.
   2. - Tutti i ricorsi propongono analoghe conclusioni e si basano su
 argomentazioni   pressoche'   identiche.   I  relativi  giudizi  sono
 evidentemente connessi e possono essere riuniti per essere decisi con
 unica pronuncia.
   3. - Preliminare rispetto ad ogni valutazione di merito, come  pure
 rispetto  al  rinvio  della  decisione  richiesto  in  udienza  dalle
 ricorrenti, e' l'esame dell'eccezione, proposta dall'Avvocatura dello
 Stato,   di   inammissibilita'   dei   ricorsi,   perche'   essi   si
 risolverebbero   in   un  mezzo  di  gravame  esplicitamente  escluso
 dall'art. 137, terzo comma, della Costituzione delle sentenze,  della
 Corte  costituzionale  in  ordine  alle  quali  sono stati proposti i
 conflitti di attribuzione.
   L'eccezione e' fondata.
   La Costituzione, nello stabilire  che  contro  le  decisioni  della
 Corte  costituzionale  non  e' ammessa alcuna impugnazione (art. 137,
 terzo comma), preclude in modo assoluto ogni tipo di gravame  diretto
 a  contrastare,  annullare  o  riformare,  in  tutto  o  in parte, le
 decisioni della Corte.
   L'espressa esclusione di qualsiasi impugnazione, in coerenza con la
 natura della Corte  costituzionale  e  con  il  carattere  delle  sue
 pronunce,  pone  una  regola generale, priva di eccezioni, che non si
 limita ad interdire gravami devoluti ad altri giudici,  giacche'  non
 e'  configurabile  un giudizio superiore rispetto a quello dell'unico
 organo di giurisdizione costituzionale, ma impedisce anche il ricorso
 alla stessa Corte contro le decisioni che essa ha emesso.
   L'esclusione riguarda qualsiasi tipo di impugnazione, qualunque sia
 lo strumento con il quale e' richiesto il sindacato  sulle  decisioni
 della Corte costituzionale. Rimane cosi' inibita ogni domanda diretta
 ad incidere su di una sentenza pronunciata dalla Corte e proposta per
 ottenerne  l'annullamento o la riforma, anche solo nella motivazione,
 ovvero ad eliderne gli effetti.
   I  ricorsi  delle  regioni  Puglia  e   Lombardia,   che   chiedono
 l'annullamento,  in  tutto  o  in  parte,  delle  sentenze  che hanno
 dichiarato inammissibili le loro richieste di referendum popolare, si
 dimostrano diretti a censurare il modo in  cui  si  e'  concretamente
 esplicata  la  giurisdizione  della  Corte  (cfr. ordinanza n. 77 del
 1981), e sostanzialmente propongono, nelle  forme  del  conflitto  di
 attribuzione,  una  impugnazione  delle sentenze della Corte, esclusa
 dalla Costituzione. I ricorsi sono, pertanto, inammissibili.