IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2591/1996, proposto dal dott. Pumo Alessandro, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppina Leda Adamo e dall'avv. Aldo Panfili - congiuntamente e disgiuntamente - ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei medesimi, in Catania, via Umberto n. 187; contro l'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Catania, in persona del presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Buscemi ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso, in Catania, via Federico De Roberto, n. 31; per l'annullamento del provvedimento dell'Ordine dei medici di Catania, prot. n. 1005/1996, ricevuto dal ricorrente in data 26 marzo 1996; Visto il ricorso con i relativi allegati; Constatata la costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata; Visti gli atti tutti del giudizio; Designato relatore, alla pubblica udienza del 28 aprile 1997, il primo referendario dott.ssa Concetta Anastasi; Uditi l'avv. Giuseppina Leda Adamo per il ricorrente e l'avv. Salvatore Buscemi per l'Ordine dei Medici; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Con ricorso notificato in data 24 maggio 1996, il ricorrente impugnava l'epigrafato provvedimento, premettendo di svolgere, da oltre quindici anni, l'attivita' privata di "medico omeopata", dopo essersi formato presso la Libera Universita' di Medicina Omeopatica di Roma (LUIMO) nonche' presso il Centro Italiano di Studi e Documentazione in Omeopatia (CISDO). Dopo aver precisato di essere altresi' socio fondatore e presidente del "Centro Studi Thomas Pablo Paschero" (un'associazione culturale che promuove lo studio e la ricerca sulla medicina omeopatica nonche' membro direttivo della "Accademia Omeopatica Siciliana"), il ricorrente esponeva che, a seguito della presentazione di apposita istanza del 5 marzo 1996 presso l'Ordine dei medici e chirurghi della provincia di Catania - nell'ambito del procedimento inteso ad ottenere l'autorizzazione ad effettuare pubblicita' sanitaria, nel quale il parere dell'Ordine dei medici e chirurghi ha natura obbligatoria e forza vincolante, ai fini dell'emanazione del provvedimento finale, di competenza del sindaco - si vedeva recapitare l'atto impugnato (pervenuto con lettera a.r. del 26 marzo 1996), di contenuto negativo, fondato sulla motivazione secondo cui: "non essendo l'omeopatia un titolo di specializzazione, la relativa dizione non puo' essere menzionata nei testi di pubblicita' sanitaria". Conseguentemente, il dott. Pumo lamentava che, da tale divieto, riceverebbe un notevole nocumento nonche' un'ingiustificata disparita' di trattamento nell'esercizio della propria attivita' professionale, rispetto alle altre categorie di sanitari, derivante, pero', dalla stessa formulazione restrittiva della legge, nella parte in cui non consente il "riconoscimento" della cosiddetta "medicina naturale", che fonda la propria metodologia su una terapia priva di effetti tossici e, di fatto, ormai ampiamente e diffusamente praticata accanto alla medicina "tradizionale". L'esponente produceva altresi' copia della direttiva C.E.E. 92/1973 del 22 settembre 1992, che, in ampliamento alle direttive 65/65 C.E.E. e 75/319/C.E.E., fissa disposizioni complementari per i medicinali omeopatici, e ricordava altresi' che la legge n. 185 del 17 marzo 1995, emanata in attuazione della predetta direttiva, include il farmaco omeopatico a pieno titolo nella farmacopea ufficiale e stabilisce i requisiti e le procedure legittime per la sua immissione in commercio, secondo, appunto, un criterio informatore inteso a tutelare ed a garantire l'affidamento del cittadino. Pertanto, ad avviso dell'esponente, il provvedimento impugnato, applicativo della legge n. 175/1992, che all'art. 1, punti, 3, 4, 5, non consente l'inclusione della dizione "Medicina Omeopatica" nella pubblicita' sanitaria, sarebbe inficiato da illegittimita', per contrasto con le norme di cui agli artt. 2, 3, 4, primo comma, 32, primo comma e 35, primo e secondo comma, della Costituzione, perche', fra l'altro, avrebbe creato un'ingiustificata disparita' di trattamento all'interno degli esercenti la professione sanitaria, penalizzando discipline ormai recepite dalla coscienza sociale, praticate ed insegnate anche all'interno delle istituzioni pubbliche, ledendo, inoltre, la stessa tutela del diritto alla salute del cittadino (art. 32 Cost.) perche' penalizzerebbe proprio quelle terapie mediche naturali, che oggi, fra l'altro, riscuotono ampio consenso sociale. Concludeva per l'accoglimento del ricorso, con ogni conseguenziale statuizione anche in ordine alle spese. Si costituiva l'intimata amministrazione, per resistere al presente ricorso e contestava puntualmente le argomentazioni svolte ex adverso, rilevando, in particolare, la inconferenza del richiamo alla direttiva C.E.E. n. 92/1973 del 22 settembre 1992, che si limiterebbe, semplicemente, ad ammettere il commercio e l'uso dei medicinali omeopatici come libera scelta dei pazienti degli Stati membri. Concludeva per la reiezione del ricorso, con vittoria di spese. Alla pubblica udienza del 28 aprile 1997, il ricorso passava in decisione. D i r i t t o 1. - Va preliminarmente affermata l'ammissibilita' del presente gravame, ancorche' rivolto avverso un parere emanato in fase endoprocedimentale. Invero, il parere impugnato, avendo un rilievo obbligatorio nonche' vincolante per l'autorita' decidente, costituisce indubbiamente un atto idoneo a produrre un definitivo arresto procedimentale, nell'iter preordinato all'emanazione di un atto ampliativo della sfera giuridica del ricorrente, sicche' esso risulta essere gia' immediatamente e direttamente lesivo di situazioni giuridiche esterne. Conseguentemente, secondo principi gia' condivisi da consolidata giurisprudenza (ex multis: Cons. Stato, Ap., dec. n. 8 del 24 luglio 1988), l'atto de quo correttamente e' stato impugnato in sede giurisdizionale, in quanto gli interessi pretensivi del ricorrente non avrebbero potuto essere tutelati diversamente, se non azionando l'interesse strumentale all'eliminazione dell'atto preclusivo del successivo sviluppo procedimentale. 2. - Come gia' detto, viene impugnato un parere emanato dall'Ordine dei medici di Catania, che impone al ricorrente il divieto di inserire, nei testi di pubblicita' sanitaria, la dizione "Medicina Omeopatica", in coerente applicazione delle disposizioni di cui alla legge 5 febbraio 1992 n. 175. L'esponente deduce che il predetto provvedimento, sarebbe illegittimo non gia' perche' inficiato da uno o piu' dei tradizionali vizi dell'atto amministrativo, ma, esclusivamente, perche' la pedissequa applicazione, in esso contenuta, delle disposizioni di cui all'art. 1, punti, 3, 4 e 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 175, comporterebbe una palese violazione dei fondamentali principi costituzionali garantiti dagli artt. 2, 3 e 4, primo comma, 32, primo comma e 35, primo e secondo comma, della Costituzione. 3. - Appare quindi evidente, ictu oculi, che la questione di legittimita' costituzionale sollevata e' rilevante in quanto dalla soluzione della medesima discendera' ovviamente, direttamente ed immediatamente, l'esito del presente giudizio, che puo' essere definito nel merito soltanto a seguito della pronuncia della Corte costituzionale. 4. - Ad avviso del Collegio, inoltre, la questione non e' manifestamente infondata. La legge 5 febbraio 1992 n. 175, detta norme in materia di pubblicita' sanitaria e di repressione dell'esercizio abusivo delle professioni sanitarie, con riferimento a coloro che esercitano professioni sanitarie (art. 1), alle case di cura private, gabinetti e ambulatori mono o polispecialistici (art. 4), a coloro che esercitano un'arte ausiliaria delle professioni sanitarie (art. 5), prevedendo, altresi', sanzioni disciplinari per gli esercenti le professioni sanitarie, che effettuino pubblicita' in modi non disciplinati dalla legge, ovvero attraverso targhe o inserzioni, sprovvisti dell'autorizzazione del sindaco, che la rilascia, previo nulla-osta del competente ordine o collegio professionale (art. 1, 2 e 3). In particolare, l'art. 1 della legge 5 febbraio 1992 n. 175, stabilisce che la pubblicita' concernente l'esercizio delle professioni sanitarie e delle professioni sanitarie ausiliarie, previste e regolamentate dalle leggi vigenti, e' consentita soltanto mediante targhe apposte sull'edificio in cui si svolge l'attivita' professionale, nonche' mediante inserzioni sugli elenchi telefonici, contenenti indicazioni inerenti nome, cognome, indirizzo, numero telefonico ed eventuale recapito del professionista, orario delle visite o di apertura al pubblico (lettera a), titoli di studio, titoli accademici, titoli di specializzazione e di carriera - senza abbreviazioni che possano indurre in equivoco (lettera b), onorificenze concesse o riconosciute dallo Stato (lettera c). Invero, la legge n. 175/1992 non ha abrogato, per incompatibilita', l'art. 201 del r.d. 27 luglio 1934 n. 1265 (t.u. delle leggi sanitarie), relativo alla pubblicita' in materia sanitaria, in quanto, mentre quest'ultima disposizione legislativa prevede un controllo sanitario di rispondenza tra l'attivita' o il presidio medico e la pubblicita' che viene fatta, la normativa del 1992, inerente la disciplina della licenza di pubblicita', e' volta, invece, a garantire un controllo meramente estrinseco e relativo alle caratteristiche estetiche delle targhe e iscrizioni, alla veridicita' delle qualifiche professionali ed alla loro non equivocita', per cui le relative violazioni non costituiscono reato, ma danno luogo a responsabilita' disciplinari. Cio' in quanto, mentre la legge n. 175 del 1992 regolamenta, con riferimento ai soli esercenti le professioni sanitarie, alcuni aspetti della pubblicita' sanitaria, senza disciplinare il settore della pubblicita' su giornali e periodici a diffusione non strettamente professionale, l'art. 201 del regio decreto n. 1265 del 1934, al contrario, protegge il rapporto, piu' ampio, tra la fonte dell'informazione e la generalita' dei cittadini (Cass. Sez. III, sentenza n. 1168 del 30 giugno 1993, e Sez. III, sentenza n. 5361 del 27 maggio 1993). Nel procedimento di cui alla legge n. 175/1992 l'intervento del parere degli ordini o dei collegi professionali ha la funzione di consentire l'acquisizione delle necessarie valutazioni tecniche tipizzate dalla stessa legge: cioe' l'accertamento circa la conformita' della targa, insegna o inserzione alle caratteristiche stabilite dal regolamento emanato dal Ministro della Sanita' (sentiti il Consiglio Superiore di Sanita' nonche' gli Ordini o i Collegi professionali, ai sensi dell'art. 2, terzo comma, della legge n. 175 del 1992), il quale pone norme tecniche, dirette agli ordini ed ai collegi professionali, per l'esercizio delle competenze loro riconosciute, nell'ambito del procedimento amministrativo di autorizzazione. Nel caso di specie, le norme di legge che si assume essere illegittime per contrasto con la normativa costituzionale, sono quelle di cui all'art. 1, punti 3, 4 e 5, della predetta legge n. 175/1992, che cosi' recitano: "3. L'uso della qualifica di specialista e' consentito soltanto a coloro che abbiano conseguito il relativo diploma ai sensi della normativa vigente. E' vietato l'uso di titoli, compresi quelli di specializzazione conseguiti all'estero, se non riconosciuti dallo Stato. 4. Il medico non specialista puo' fare menzione della particolare disciplina specialistica che esercita, con espressioni che ripetano la denominazione ufficiale della specialita' e che non inducano in errore o equivoco sul possesso del titolo di specializzazione, quando abbia svolto attivita' professionale nella disciplina medesima per un periodo almeno pari alla durata legale del relativo corso universitario di specializzazione presso strutture sanitarie o istituzioni private a cui si applicano le norme, in tema di autorizzazione e vigilanza, di cui all'art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833. L'attivita' svolta e la sua durata devono essere comprovate mediante attestato rilasciato dal responsabile sanitario della struttura o istituzione. Copia di tale attestato va depositata presso l'ordine provinciale dei medici-chirurghi e odontoiatri. Tale attestato non puo costituire titolo alcuno ai fini concorsuali e di graduatoria. 5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle associazioni fra sanitari e alle iscrizioni sui fogli di ricettario dei medici-chirurghi, dei laureati in odontoiatria e protesi dentaria e dei veterinari e sulle carte professionali usate dagli esercenti le altre professioni di cui al comma 1". Ad avviso dell'esponente, le norme di rango primario indicate (cioe' quelle di cui ai precitati punti 3, 4 e 5 dell'art. 1 della legge n. 175/1992) sarebbero inficiate da profili di illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 4, primo comma, 32, primo comma, e 35, primo e secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consentono di pubblicizzare la terapia medica di che trattasi, cioe' la "omeopatia", che, normalmente, viene applicata da medici che hanno conseguito la specializzazione presso serie strutture di insegnamento post-universitario, che, pur non essendo "pubbliche", ma "private", tuttavia organizzano dei corsi di insegnamento piuttosto rigorosi nonche', talora, sottoposti a controllo da parte di istituzioni pubbliche (ad esempio, la "Accademia Omeopatica Siciliana", di cui il ricorrente e' membro, e' collegata all'Ordine dei medici di Palermo). Percio', ingiustamente, le ristrette previsioni di cui alle precitate disposizioni legislative, non consentono l'inclusione, nel testo di pubblicita' sanitaria, della dizione "medicina omeopatica", con conseguente creazione, fra l'altro, di disparita' di trattamento fra le varie categorie di esercenti la professione sanitaria nonche' di un contrasto con il principio fondamentale, sancito dall'art. 32 della Costituzione, nella parte in cui limita ai cittadini la possibilita' di tutela del proprio diritto alla salute, mediante il ricorso ad una terapia "naturale" e non basata sulla somministrazione di un farmaco di provenienza chimica. Del resto, lo stesso ordinamento comunitario con la direttiva C.E.E. 92/1973 del 22 settembre 1992, emanata in ampliamento alle direttive 65/65 C.E.E. e 75/319/C.E.E., n. 92/1973 del 22 settembre 1992, include il farmaco omeopatico a pieno titolo nella farmacopea ufficiale e stabilisce i requisiti e le procedure legittime per la sua immissione in commercio. 5. - Invero, il diritto dei cittadini alla libera scelta del genere di "terapia" cui sottoporsi per la guarigione dei propri stati patologici non deve essere ritenuto garantito in modo assoluto ed indiscriminato, ma nei limiti oggettivi in cui risultino accertati dagli organi sanitari ufficiali, all'uopo competenti, la efficienza e la validita' del genere di terapia seguita nonche' la sua contestuale non nocivita' all'organismo sotto altri profili. Cio' proprio in attuazione del preminente interesse pubblico alla garanzia del diritto alla salute del cittadino di cui all'art. 32 Cost., che, ad avviso del Collegio, presenta altresi' una duplice valenza, in quanto, da un lato si pone come diritto inerente alla sfera soggettiva del singolo individuo e, dall'altro, si pone come un obbligo nei confronti dello Stato di controllare e disciplinare tutto l'assetto del settore sanitario, in modo da prevenire il verificarsi di nocumenti alla salute del cittadino ignaro, ma, anche piu' semplicemente, l'applicazione di pratiche mediche, che, pur non essendo nocive, sono prive di efficacia: senza che cio' possa tradursi in una limitazione del diritto alla liberta' del cittadino, poiche', in tali casi, nella ponderazione dei contrapposti interessi fra la liberta' di scelta del cittadino e l'interesse superindividuale alla salvaguardia della salute collettiva (art. 32 Cost.), appare indubbiamente corretto assegnare prevalenza a quest'ultimo. La scelta del cittadino trova, quindi, un razionale ed obiettivo limite nel fatto che il legislatore, nel perseguire una preminente funzione di pubblico interesse, e' istituzionalmente chiamato a conciliare l'interesse alla libera scelta del singolo utente con quello generale alla efficienza e validita' del settore sanitario. Risulta, quindi, evidente che, in linea di principio, la delimitazione delle scelte, da parte del legislatore, di per se' non puo' costituire violazione del precetto di cui al menzionato art. 32 Cost., perche' non mira ad imporre alcun "trattamento sanitario" ai cittadini, ma a razionalizzare il settore sanitario, proprio al fine di assicurare la realizzazione dell'interesse oggettivo alla tutela della salute, che e' obbligo primario dello Stato. In altri termini, cio' non necessariamente si puo' tradurre in una diversita' di trattamento (ex art. 3 Cost.) tra paziente optante per terapie tradizionali, e quello non optante, poiche' - in linea di principio - le norme dirette ad una programmata selezione ottimale delle possibilita' di scelta, per il paziente, fra le varie terapie mediche, non incidono sul concetto di uguaglianza e non danno luogo a situazioni giuridiche diverse. Delle superiori esigenze di realizzare la piu' ampia tutela alla salute dei cittadini discende come corollario l'intervento del legislatore volto a disciplinare in modo razionale e corretto il settore della pubblicita' sanitaria, che e' fondamentale "veicolo di informazione e di comunicazione" delle possibilita' di scelta fra le varie terapie, che offre il settore sanitario, e l'utenza. I limiti posti, quindi, dal legislatore in materia di pubblicita' sanitaria di per se' non possono, essere ritenuti, in linea generale ed astratta, in contrasto ne' con i principi sanciti dall'art. 41 della Costituzione (di cui, fra l'altro, nel caso di specie, il ricorrente non assume alcuna violazione), ne' con altri principi costituzionali, in quanto volti a stabilire soltanto, nel preminente interesse della collettivita', le razionali condizioni, alla cui osservanza e' tenuto il professionista, che volontariamente richieda di svolgere la propria libera attivita' professionale nel settore sanitario. Le finalita' perseguite da un'idonea disciplina del sistema giustificano, pertanto, la prefissione dei requisiti, soggetti ad idoneo controllo, per la pubblicita' sanitaria, sempre in funzione della tutela del bene fondamentale della salute umana (art. 32 Cost.), che rappresenta quel diritto primario e fondamentale, che impone piena ed esaustiva tutela (Corte costituzionale, sentenze n. 184 del 1986 e n. 559 del 1987). 6. - Ma, cio' posto, occorre peraltro rilevare che il termine "specializzazione" di cui e' menzione nella legge n. 175/1992, puo' intendersi riferito non soltanto al titolo scientifico eventualmente conseguito, ma anche al particolare settore di attivita' professionale cui il medico abbia inteso dedicarsi, poiche', nel contesto generale della disciplina normativa, appare chiara la distinzione fra l'accezione del termine "specializzazione", intesa come titolo scientifico, e quella intesa come, appunto, settore di attivita' in cui il sanitario opera, per cui al medico sprovvisto di diploma di specializzazione, se "cultore speciale" di un particolare settore medico chirurgico, e' consentito fare menzione della branca trattata in modo esclusivo, senza fare uso, pero', del titolo di "specialista". Le scuole "private", che abbiano ottenuto il cosiddetto "riconoscimento legale", conseguono l'attribuzione di una funzione propria dello Stato, il cui esercizio comporta anche il potere di rilasciare titoli di studio con valore legale, poiche' il predetto riconoscimento si atteggia, strutturalmente e funzionalmente, come una vera e propria concessione amministrativa, mentre, l'altra forma di consenso, data dall'Amministrazione a scuole private e limitata alla loro sola apertura - secondo lo schema della cosiddetta "figura autorizzatoria", nel consueto senso inteso dalla tradizionale dottrina e giurisprudenza - non muta il carattere "privato" degli attestati di studio rilasciati. 7. - Occorre ancora rilevare in proposito che la disciplina "omeopatica", ormai di amplissima diffusione nel territorio nazionale, costituisce un'esperienza terapeutica molto nota, idonea a conseguire ottimi risultati, mediante l'uso di un "metodo terapeutico naturale", collegato alla dimensione "olistica" dell'essere umano, cioe' volto al recupero di quella dimensione di "unitarieta' fisico-psichica" dell'individuo, in qualche modo posta in secondo piano dalla medicina tradizionale, di stampo "cartesiano", in cui, cioe', il corpo umano viene, talora, sotto alcuni aspetti, studiato in modo oggettivo e svincolato rispetto alla psiche del paziente. Cio' consente di ritenere la medicina "omeopatica" come "complementare" (ma non "alternativa") rispetto a quella tradizionale, proprio perche' richiede al paziente l'autosservazione di se' stesso e, quindi, in un certo senso, "la riscoperta" della propria dimensione di unitarieta' mente-corpo, sotto il profilo "energetico" consentendo, cosi', un'ottimale stimolazione delle difese naturali dell'organismo umano da svariate forme patologiche, in un campo di applicazione piuttosto esteso. In altri termini, e' ormai un dato acquisito alla communis opinio, a seguito di esperienze positivamente svolte da molti cittadini, che l'omeopatia sia una terapia sempre piu' moderna ed attuale, cui si stanno applicando avanzate ricerche scientifiche nonche' rigorosi controlli di qualita' sui prodotti farmacologici impiegati, a garanzia del miglior risultato terapeutico, soprattutto nei campi dell'immunologia e dell'allergologia. Nella specie, il ricorrente si e' formato presso la Libera Universita' di Medicina di Roma (LUIMO) e presso il Centro Italiano di Studi e Documentazione in Omeopatia (CISDO), e, attualmente, risulta essere incluso fra i docenti del "Corso biennale di perfezionamento in medicina nell'ambito C.E.E.", istituito presso la Facolta' di medicina e chirurgia dell'Universita' degli studi di Catania, allo scopo di formare il medico e lo specialista alla pratica omeopatica. Risulta altresi' che il ricorrente e' stato docente presso vari corsi di medicina omeopatica, fra cui il corso biennale di omeopatia istituito negli anni '87/88 dalla U.S.L. n. 56 di Palermo. Alla luce dei suddetti comprovati elementi di fatto, risulta evidente la serieta' e l'impegno del ricorrente nel dedicarsi, con competenza, al settore della medicina omeopatica e, conseguentemente, risulta altresi' gravemente lesiva della sua posizione, per disparita' di trattamento (art. 3 Cost.) con altre categorie di esercenti la professione sanitaria, l'esclusione dalla possibilita' di pubblicizzare la propria attivita', se non come "specialista" (nell'accezione di possessore di un titolo di studio, avente valore legale), almeno come "cultore" di una branca di notoria serieta' ed efficacia della medicina. Osserva, altresi' il Collegio, come l'attuale formulazione restrittiva delle disposizioni legislative de quibus potrebbe anche comportare una disparita' di trattamento paradossale fra la vasta fascia di professionisti medici che si trovano nelle medesime condizioni del ricorrente ed i loro eventuali discenti, i quali, formatisi anche sotto la guida e gli insegnamenti dei primi, ma nell'ambito di un corso di perfezionamento istituito presso una Universita' statale (che, magari, entro tempi brevi potrebbe essere trasformato in una vera e propria scuola di specializzazione medica, alla stregua di quelle vigenti presso Universita' dei paesi europei), a seguito del rilascio di un titolo di studio avente valore legale, potrebbero ottenere, in base alla normativa attuale, la possibilita' di pubblicizzare la propria attivita'; mentre la predetta possibilita' rimarrebbe preclusa ai predetti professionisti che (come il ricorrente si sono formati presso strutture private. Pertanto, le norme legislative "incriminate" potrebbero comportare, nella sfera giuridica di tali professionisti (e quindi anche del ricorrente), disparita' di trattamento (art. 3 Cost.), oltre che con riferimento alla esclusione della possibilita' di pubblicizzare la propria attivita' almeno come "cultore" (se non "specialista") della disciplina omeopatica, anche in relazione alla parte in cui, a fronte del fiorire di corsi di perfezionamento post-universitari, regolarmente istituiti presso Universita' statali (che entro poco tempo potrebbero essere trasformati in vere e proprie scuole di specilizzazioni mediche), nulla dispongono, in via transitoria, con riferimento alla posizione dei cennati professionisti, che, dopo essersi formati presso istituti post-universitari privati (cioe' non abilitati a rilasciare un titolo di studio avente valore legale), attualmente svolgono seriamente e rigorosamente l'attivita' di insegnamento della medicina omeopatica anche presso Universita' statali. Infatti, poiche' le strutture private, che organizzano corsi di studio in omeopatia, non possono procedere al rilascio di titoli di studio aventi valore legale (difettando l'elemento soggettivo, cioe' il soggetto investito dell'esercizio della relativa pubblica funzione), la normativa de qua si rivela carente nella parte in cui nulla stabilisce con riferimento al valore da dare ai corsi in omeopatia svolti da scuole private (individuandone in modo rigoroso i requisiti di validita'), non essendo logicamente ammissibile che i predetti corsi siano considerati tamquam non essent, almeno con riferimento al periodo storico "transitorio". Per tutte le suesposte ragioni, la questione sollevata dal ricorrente e' rilevante e non manifestamente infondata. Si impone, pertanto, la sospensione del giudizio in corso con remissione della indicata questione alla Corte costituzionale.