IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 2591/1996,
 proposto dal dott. Pumo Alessandro, rappresentato e difeso  dall'avv.
 Giuseppina  Leda  Adamo  e  dall'avv. Aldo Panfili - congiuntamente e
 disgiuntamente - ed elettivamente domiciliato presso  lo  studio  dei
 medesimi,  in Catania, via Umberto n. 187; contro l'Ordine dei medici
 chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Catania, in  persona
 del   presidente   pro-tempore,   rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Salvatore Buscemi ed elettivamente domiciliato presso lo studio dello
 stesso,  in  Catania,  via  Federico   De   Roberto,   n.   31;   per
 l'annullamento  del  provvedimento dell'Ordine dei medici di Catania,
 prot. n. 1005/1996, ricevuto dal ricorrente in data 26 marzo 1996;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Constatata  la  costituzione   in   giudizio   dell'Amministrazione
 intimata;
   Visti gli atti tutti del giudizio;
   Designato  relatore,  alla  pubblica udienza del 28 aprile 1997, il
 primo referendario dott.ssa Concetta Anastasi;
   Uditi l'avv. Giuseppina Leda  Adamo  per  il  ricorrente  e  l'avv.
 Salvatore Buscemi per l'Ordine dei Medici;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con  ricorso  notificato  in  data  24  maggio  1996, il ricorrente
 impugnava l'epigrafato provvedimento,  premettendo  di  svolgere,  da
 oltre  quindici  anni, l'attivita' privata di "medico omeopata", dopo
 essersi formato presso la Libera Universita' di  Medicina  Omeopatica
 di  Roma  (LUIMO)  nonche'  presso  il  Centro  Italiano  di  Studi e
 Documentazione in Omeopatia (CISDO).
   Dopo aver precisato di essere altresi' socio fondatore e presidente
 del "Centro Studi Thomas Pablo Paschero"  (un'associazione  culturale
 che promuove lo studio e la ricerca sulla medicina omeopatica nonche'
 membro   direttivo   della   "Accademia  Omeopatica  Siciliana"),  il
 ricorrente esponeva che, a seguito della  presentazione  di  apposita
 istanza del 5 marzo 1996 presso l'Ordine dei medici e chirurghi della
 provincia  di  Catania  -  nell'ambito  del  procedimento  inteso  ad
 ottenere l'autorizzazione ad effettuare  pubblicita'  sanitaria,  nel
 quale  il  parere  dell'Ordine  dei  medici  e  chirurghi  ha  natura
 obbligatoria  e  forza  vincolante,  ai  fini   dell'emanazione   del
 provvedimento   finale,   di  competenza  del  sindaco  -  si  vedeva
 recapitare l'atto impugnato (pervenuto con lettera a.r. del 26  marzo
 1996),  di contenuto negativo, fondato sulla motivazione secondo cui:
 "non essendo l'omeopatia un titolo di specializzazione,  la  relativa
 dizione   non   puo'  essere  menzionata  nei  testi  di  pubblicita'
 sanitaria".
   Conseguentemente, il dott. Pumo lamentava  che,  da  tale  divieto,
 riceverebbe   un   notevole   nocumento   nonche'   un'ingiustificata
 disparita' di  trattamento  nell'esercizio  della  propria  attivita'
 professionale,  rispetto alle altre categorie di sanitari, derivante,
 pero', dalla stessa formulazione restrittiva della legge, nella parte
 in  cui  non  consente il "riconoscimento" della cosiddetta "medicina
 naturale", che fonda la propria metodologia su una terapia  priva  di
 effetti   tossici  e,  di  fatto,  ormai  ampiamente  e  diffusamente
 praticata accanto alla medicina "tradizionale".
   L'esponente produceva altresi' copia della direttiva C.E.E. 92/1973
 del 22 settembre 1992,  che,  in  ampliamento  alle  direttive  65/65
 C.E.E.    e  75/319/C.E.E.,  fissa  disposizioni  complementari per i
 medicinali omeopatici, e ricordava altresi' che la legge n.  185  del
 17  marzo  1995,  emanata  in  attuazione  della  predetta direttiva,
 include  il  farmaco  omeopatico  a  pieno  titolo  nella  farmacopea
 ufficiale  e  stabilisce  i requisiti e le procedure legittime per la
 sua  immissione  in  commercio,   secondo,   appunto,   un   criterio
 informatore  inteso  a  tutelare  ed  a  garantire  l'affidamento del
 cittadino.
   Pertanto, ad avviso  dell'esponente,  il  provvedimento  impugnato,
 applicativo  della legge n. 175/1992, che all'art. 1, punti, 3, 4, 5,
 non consente l'inclusione della dizione "Medicina  Omeopatica"  nella
 pubblicita'  sanitaria,  sarebbe  inficiato  da  illegittimita',  per
 contrasto con le norme di cui agli artt. 2, 3, 4,  primo  comma,  32,
 primo comma e 35, primo e secondo comma, della Costituzione, perche',
 fra   l'altro,   avrebbe   creato   un'ingiustificata  disparita'  di
 trattamento all'interno degli  esercenti  la  professione  sanitaria,
 penalizzando  discipline  ormai  recepite  dalla  coscienza  sociale,
 praticate ed insegnate anche all'interno delle istituzioni pubbliche,
 ledendo, inoltre, la  stessa  tutela  del  diritto  alla  salute  del
 cittadino  (art.    32  Cost.)  perche' penalizzerebbe proprio quelle
 terapie mediche naturali, che oggi,  fra  l'altro,  riscuotono  ampio
 consenso sociale.
   Concludeva  per l'accoglimento del ricorso, con ogni conseguenziale
 statuizione anche in ordine alle spese.
   Si costituiva l'intimata amministrazione, per resistere al presente
 ricorso  e  contestava  puntualmente  le  argomentazioni  svolte   ex
 adverso, rilevando, in particolare, la inconferenza del richiamo alla
 direttiva   C.E.E.   n.   92/1973  del  22  settembre  1992,  che  si
 limiterebbe, semplicemente, ad ammettere il  commercio  e  l'uso  dei
 medicinali  omeopatici  come  libera  scelta dei pazienti degli Stati
 membri.
   Concludeva per la reiezione del ricorso, con vittoria di spese.
   Alla pubblica udienza del 28 aprile 1997,  il  ricorso  passava  in
 decisione.
                             D i r i t t o
   1.  -  Va  preliminarmente  affermata l'ammissibilita' del presente
 gravame,  ancorche'  rivolto  avverso  un  parere  emanato  in   fase
 endoprocedimentale.
   Invero, il parere impugnato, avendo un rilievo obbligatorio nonche'
 vincolante  per  l'autorita'  decidente, costituisce indubbiamente un
 atto  idoneo  a  produrre  un  definitivo   arresto   procedimentale,
 nell'iter  preordinato  all'emanazione  di  un  atto ampliativo della
 sfera giuridica del ricorrente,  sicche'  esso  risulta  essere  gia'
 immediatamente   e   direttamente  lesivo  di  situazioni  giuridiche
 esterne.  Conseguentemente,  secondo  principi  gia'   condivisi   da
 consolidata  giurisprudenza  (ex  multis: Cons. Stato, Ap., dec. n. 8
 del 24 luglio 1988), l'atto de quo correttamente e'  stato  impugnato
 in  sede  giurisdizionale,  in  quanto  gli  interessi pretensivi del
 ricorrente  non avrebbero potuto essere tutelati diversamente, se non
 azionando   l'interesse   strumentale   all'eliminazione    dell'atto
 preclusivo del successivo sviluppo procedimentale.
   2. - Come gia' detto, viene impugnato un parere emanato dall'Ordine
 dei  medici  di  Catania,  che  impone  al  ricorrente  il divieto di
 inserire, nei testi di pubblicita' sanitaria,  la  dizione  "Medicina
 Omeopatica",  in coerente applicazione delle disposizioni di cui alla
 legge 5 febbraio 1992 n. 175.
   L'esponente  deduce  che   il   predetto   provvedimento,   sarebbe
 illegittimo non gia' perche' inficiato da uno o piu' dei tradizionali
 vizi   dell'atto   amministrativo,  ma,  esclusivamente,  perche'  la
 pedissequa applicazione, in esso contenuta, delle disposizioni di cui
 all'art. 1, punti, 3, 4 e 5 della legge  5  febbraio  1992,  n.  175,
 comporterebbe   una   palese  violazione  dei  fondamentali  principi
 costituzionali garantiti dagli artt. 2, 3 e 4, primo comma, 32, primo
 comma e 35, primo e secondo comma, della Costituzione.
   3. - Appare quindi evidente, ictu  oculi,    che  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  sollevata  e' rilevante in quanto dalla
 soluzione della  medesima  discendera'  ovviamente,  direttamente  ed
 immediatamente,  l'esito  del  presente  giudizio,  che  puo'  essere
 definito nel merito soltanto a seguito della  pronuncia  della  Corte
 costituzionale.
   4.  -  Ad  avviso  del  Collegio,  inoltre,  la  questione  non  e'
 manifestamente infondata.
   La legge 5  febbraio  1992  n.  175,  detta  norme  in  materia  di
 pubblicita'  sanitaria  e di repressione dell'esercizio abusivo delle
 professioni  sanitarie,  con  riferimento  a  coloro  che  esercitano
 professioni  sanitarie (art. 1), alle case di cura private, gabinetti
 e  ambulatori  mono  o  polispecialistici  (art.  4),  a  coloro  che
 esercitano  un'arte  ausiliaria delle professioni sanitarie (art. 5),
 prevedendo, altresi', sanzioni  disciplinari  per  gli  esercenti  le
 professioni   sanitarie,  che  effettuino  pubblicita'  in  modi  non
 disciplinati dalla legge,  ovvero  attraverso  targhe  o  inserzioni,
 sprovvisti  dell'autorizzazione  del sindaco, che la rilascia, previo
 nulla-osta del competente ordine o collegio professionale (art. 1,  2
 e 3).
   In  particolare,  l'art.  1  della  legge  5  febbraio 1992 n. 175,
 stabilisce  che  la   pubblicita'   concernente   l'esercizio   delle
 professioni  sanitarie  e  delle  professioni  sanitarie  ausiliarie,
 previste e regolamentate dalle leggi vigenti, e' consentita  soltanto
 mediante  targhe  apposte  sull'edificio in cui si svolge l'attivita'
 professionale, nonche' mediante inserzioni sugli elenchi  telefonici,
 contenenti  indicazioni  inerenti  nome,  cognome,  indirizzo, numero
 telefonico ed eventuale recapito  del  professionista,  orario  delle
 visite  o  di  apertura  al  pubblico  (lettera a), titoli di studio,
 titoli accademici, titoli di specializzazione e di carriera  -  senza
 abbreviazioni   che   possano   indurre   in  equivoco  (lettera  b),
 onorificenze concesse o riconosciute dallo Stato (lettera c).
   Invero, la legge n. 175/1992 non ha abrogato, per incompatibilita',
 l'art. 201 del  r.d.  27  luglio  1934  n.  1265  (t.u.  delle  leggi
 sanitarie),  relativo  alla  pubblicita'  in  materia  sanitaria,  in
 quanto,  mentre  quest'ultima  disposizione  legislativa  prevede  un
 controllo  sanitario  di  rispondenza  tra  l'attivita' o il presidio
 medico e la pubblicita' che  viene  fatta,  la  normativa  del  1992,
 inerente  la  disciplina  della  licenza  di  pubblicita',  e' volta,
 invece, a garantire un controllo meramente estrinseco e relativo alle
 caratteristiche estetiche delle targhe e iscrizioni, alla veridicita'
 delle qualifiche professionali ed alla loro non equivocita', per  cui
 le  relative  violazioni  non  costituiscono  reato, ma danno luogo a
 responsabilita' disciplinari.
   Cio' in quanto, mentre la legge n. 175 del  1992  regolamenta,  con
 riferimento  ai  soli  esercenti  le  professioni  sanitarie,  alcuni
 aspetti della pubblicita' sanitaria, senza  disciplinare  il  settore
 della   pubblicita'   su   giornali  e  periodici  a  diffusione  non
 strettamente professionale, l'art. 201 del regio decreto n. 1265  del
 1934,  al  contrario,  protegge il rapporto, piu' ampio, tra la fonte
 dell'informazione e la generalita' dei  cittadini  (Cass.  Sez.  III,
 sentenza n. 1168 del 30 giugno 1993, e Sez. III, sentenza n. 5361 del
 27 maggio 1993).
   Nel  procedimento  di  cui  alla legge n. 175/1992 l'intervento del
 parere degli ordini o dei collegi professionali  ha  la  funzione  di
 consentire   l'acquisizione  delle  necessarie  valutazioni  tecniche
 tipizzate  dalla  stessa  legge:  cioe'   l'accertamento   circa   la
 conformita'  della  targa,  insegna o inserzione alle caratteristiche
 stabilite dal regolamento emanato dal Ministro della Sanita' (sentiti
 il Consiglio Superiore di Sanita' nonche'  gli  Ordini  o  i  Collegi
 professionali,  ai sensi dell'art. 2, terzo comma, della legge n. 175
 del 1992), il quale pone norme tecniche, dirette agli  ordini  ed  ai
 collegi   professionali,   per   l'esercizio  delle  competenze  loro
 riconosciute,  nell'ambito   del   procedimento   amministrativo   di
 autorizzazione.
   Nel  caso  di  specie,  le  norme  di  legge  che  si assume essere
 illegittime per  contrasto  con  la  normativa  costituzionale,  sono
 quelle  di  cui  all'art.  1, punti 3, 4 e 5, della predetta legge n.
 175/1992, che cosi' recitano:
   "3. L'uso della qualifica di specialista e' consentito  soltanto  a
 coloro  che  abbiano  conseguito  il  relativo diploma ai sensi della
 normativa vigente. E' vietato l'uso di  titoli,  compresi  quelli  di
 specializzazione  conseguiti  all'estero,  se  non riconosciuti dallo
 Stato.
   4. Il medico non specialista puo' fare menzione  della  particolare
 disciplina  specialistica  che esercita, con espressioni che ripetano
 la denominazione ufficiale della specialita' e che  non  inducano  in
 errore o equivoco sul possesso del titolo di specializzazione, quando
 abbia svolto attivita' professionale nella disciplina medesima per un
 periodo   almeno   pari   alla   durata  legale  del  relativo  corso
 universitario  di  specializzazione  presso  strutture  sanitarie   o
 istituzioni  private  a  cui  si  applicano  le  norme,  in  tema  di
 autorizzazione e  vigilanza,  di  cui  all'art.  43  della  legge  23
 dicembre 1978, n. 833.
   L'attivita'  svolta  e  la  sua  durata  devono  essere  comprovate
 mediante  attestato  rilasciato  dal  responsabile  sanitario   della
 struttura o istituzione. Copia di tale attestato va depositata presso
 l'ordine   provinciale   dei  medici-chirurghi  e  odontoiatri.  Tale
 attestato non puo costituire titolo alcuno ai fini concorsuali  e  di
 graduatoria.
   5.  Le  disposizioni  del presente articolo si applicano anche alle
 associazioni fra sanitari e alle iscrizioni sui fogli  di  ricettario
 dei medici-chirurghi, dei laureati in odontoiatria e protesi dentaria
 e dei veterinari e sulle carte professionali usate dagli esercenti le
 altre professioni di cui al comma 1".
   Ad  avviso  dell'esponente,  le  norme  di  rango primario indicate
 (cioe' quelle di cui ai precitati punti 3, 4 e 5  dell'art.  1  della
 legge  n.  175/1992) sarebbero inficiate da profili di illegittimita'
 costituzionale, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 4, primo comma,
 32, primo comma, e 35, primo e  secondo  comma,  della  Costituzione,
 nella  parte in cui non consentono di pubblicizzare la terapia medica
 di che  trattasi,  cioe'  la  "omeopatia",  che,  normalmente,  viene
 applicata  da  medici che hanno conseguito la specializzazione presso
 serie strutture di  insegnamento  post-universitario,  che,  pur  non
 essendo  "pubbliche", ma "private", tuttavia organizzano dei corsi di
 insegnamento  piuttosto  rigorosi  nonche',  talora,   sottoposti   a
 controllo   da   parte  di  istituzioni  pubbliche  (ad  esempio,  la
 "Accademia Omeopatica Siciliana", di cui il ricorrente e' membro,  e'
 collegata all'Ordine dei medici di Palermo).
   Percio',   ingiustamente,  le  ristrette  previsioni  di  cui  alle
 precitate disposizioni legislative, non consentono l'inclusione,  nel
 testo  di pubblicita' sanitaria, della dizione "medicina omeopatica",
 con conseguente creazione, fra l'altro, di disparita' di  trattamento
 fra  le varie categorie di esercenti la professione sanitaria nonche'
 di un contrasto con il principio fondamentale, sancito dall'art.   32
 della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  limita  ai  cittadini la
 possibilita' di tutela del proprio diritto alla salute,  mediante  il
 ricorso ad una terapia "naturale" e non basata sulla somministrazione
 di un farmaco di provenienza chimica.
    Del  resto,  lo  stesso  ordinamento comunitario con la  direttiva
 C.E.E. 92/1973 del 22 settembre 1992,  emanata  in  ampliamento  alle
 direttive  65/65  C.E.E. e 75/319/C.E.E., n. 92/1973 del 22 settembre
 1992, include il farmaco omeopatico a pieno titolo  nella  farmacopea
 ufficiale  e  stabilisce  i requisiti e le procedure legittime per la
 sua immissione in commercio.
   5. - Invero, il diritto dei cittadini alla libera scelta del genere
 di "terapia" cui  sottoporsi  per  la  guarigione  dei  propri  stati
 patologici  non  deve  essere  ritenuto garantito in modo assoluto ed
 indiscriminato, ma nei limiti oggettivi in  cui  risultino  accertati
 dagli organi sanitari ufficiali, all'uopo competenti, la efficienza e
 la validita' del genere di terapia seguita nonche' la sua contestuale
 non nocivita' all'organismo sotto altri profili.
   Cio'  proprio  in attuazione del preminente interesse pubblico alla
 garanzia del diritto alla salute del cittadino  di  cui  all'art.  32
 Cost.,  che,  ad  avviso  del Collegio, presenta altresi' una duplice
 valenza, in quanto, da un lato si pone  come  diritto  inerente  alla
 sfera soggettiva del singolo individuo e, dall'altro, si pone come un
 obbligo nei confronti dello Stato di controllare e disciplinare tutto
 l'assetto  del settore sanitario, in modo da prevenire il verificarsi
 di nocumenti  alla  salute  del  cittadino  ignaro,  ma,  anche  piu'
 semplicemente,  l'applicazione  di  pratiche  mediche,  che,  pur non
 essendo nocive,  sono  prive  di  efficacia:  senza  che  cio'  possa
 tradursi  in una limitazione del diritto alla liberta' del cittadino,
 poiche', in tali casi, nella ponderazione dei contrapposti  interessi
 fra   la   liberta'   di   scelta   del   cittadino   e   l'interesse
 superindividuale  alla  salvaguardia della salute collettiva (art. 32
 Cost.),  appare  indubbiamente  corretto   assegnare   prevalenza   a
 quest'ultimo.
   La  scelta  del  cittadino trova, quindi, un razionale ed obiettivo
 limite nel fatto che il legislatore, nel  perseguire  una  preminente
 funzione  di  pubblico  interesse,  e'  istituzionalmente  chiamato a
 conciliare l'interesse alla libera  scelta  del  singolo  utente  con
 quello generale alla efficienza e validita' del settore sanitario.
   Risulta,   quindi,   evidente   che,  in  linea  di  principio,  la
 delimitazione delle scelte, da parte del legislatore, di per se'  non
 puo'  costituire violazione del precetto di cui al menzionato art. 32
 Cost., perche' non mira ad imporre alcun "trattamento  sanitario"  ai
 cittadini,  ma a razionalizzare il settore sanitario, proprio al fine
 di assicurare la realizzazione dell'interesse oggettivo  alla  tutela
 della salute, che e' obbligo primario dello Stato.
   In  altri termini, cio' non necessariamente si puo' tradurre in una
 diversita' di trattamento (ex art. 3 Cost.) tra paziente optante  per
 terapie  tradizionali,  e  quello  non optante, poiche' - in linea di
 principio - le norme dirette ad una  programmata  selezione  ottimale
 delle  possibilita'  di scelta, per il paziente, fra le varie terapie
 mediche, non incidono sul concetto di uguaglianza e non danno luogo a
 situazioni giuridiche diverse.
   Delle superiori esigenze di realizzare la piu'  ampia  tutela  alla
 salute  dei  cittadini  discende  come  corollario  l'intervento  del
 legislatore volto a disciplinare in  modo  razionale  e  corretto  il
 settore  della pubblicita' sanitaria, che e' fondamentale "veicolo di
 informazione e di comunicazione" delle possibilita' di scelta fra  le
 varie terapie, che offre il settore sanitario, e l'utenza.
   I  limiti  posti, quindi, dal legislatore in materia di pubblicita'
 sanitaria di per se' non possono, essere ritenuti, in linea  generale
 ed  astratta,  in  contrasto  ne' con i principi sanciti dall'art. 41
 della Costituzione (di cui, fra  l'altro,  nel  caso  di  specie,  il
 ricorrente  non  assume  alcuna  violazione),  ne' con altri principi
 costituzionali, in quanto volti a stabilire soltanto, nel  preminente
 interesse  della  collettivita',  le  razionali  condizioni, alla cui
 osservanza e' tenuto il professionista, che volontariamente  richieda
 di  svolgere  la  propria  libera attivita' professionale nel settore
 sanitario.
   Le  finalita'  perseguite  da  un'idonea  disciplina  del   sistema
 giustificano,  pertanto,  la  prefissione  dei requisiti, soggetti ad
 idoneo controllo, per la pubblicita' sanitaria,  sempre  in  funzione
 della  tutela  del  bene  fondamentale  della  salute  umana (art. 32
 Cost.), che rappresenta quel diritto  primario  e  fondamentale,  che
 impone  piena  ed esaustiva tutela (Corte costituzionale, sentenze n.
 184 del 1986 e n. 559 del 1987).
   6. - Ma, cio' posto,  occorre  peraltro  rilevare  che  il  termine
 "specializzazione"  di  cui e' menzione nella legge n. 175/1992, puo'
 intendersi riferito non soltanto al titolo scientifico  eventualmente
 conseguito,   ma   anche   al   particolare   settore   di  attivita'
 professionale cui il medico  abbia  inteso  dedicarsi,  poiche',  nel
 contesto  generale  della  disciplina  normativa,  appare  chiara  la
 distinzione fra l'accezione del  termine  "specializzazione",  intesa
 come  titolo  scientifico,  e quella intesa come, appunto, settore di
 attivita' in cui il sanitario opera, per cui al medico sprovvisto  di
 diploma  di specializzazione, se "cultore speciale" di un particolare
 settore medico chirurgico, e' consentito fare menzione  della  branca
 trattata  in  modo  esclusivo,  senza  fare uso, pero', del titolo di
 "specialista".
   Le  scuole  "private",   che   abbiano   ottenuto   il   cosiddetto
 "riconoscimento  legale",  conseguono  l'attribuzione di una funzione
 propria dello Stato, il cui esercizio comporta  anche  il  potere  di
 rilasciare  titoli  di  studio con valore legale, poiche' il predetto
 riconoscimento si atteggia, strutturalmente  e  funzionalmente,  come
 una  vera e propria concessione amministrativa, mentre, l'altra forma
 di consenso, data dall'Amministrazione a scuole  private  e  limitata
 alla  loro sola apertura - secondo lo schema della cosiddetta "figura
 autorizzatoria",  nel  consueto  senso  inteso   dalla   tradizionale
 dottrina  e  giurisprudenza  -  non muta il carattere "privato" degli
 attestati di studio rilasciati.
   7. -  Occorre  ancora  rilevare  in  proposito  che  la  disciplina
 "omeopatica",   ormai   di   amplissima   diffusione  nel  territorio
 nazionale, costituisce un'esperienza terapeutica molto nota, idonea a
 conseguire ottimi risultati, mediante l'uso di un "metodo terapeutico
 naturale", collegato alla dimensione  "olistica"  dell'essere  umano,
 cioe'   volto  al  recupero  di  quella  dimensione  di  "unitarieta'
 fisico-psichica" dell'individuo, in qualche  modo  posta  in  secondo
 piano  dalla  medicina  tradizionale, di stampo "cartesiano", in cui,
 cioe', il corpo umano viene, talora, sotto alcuni  aspetti,  studiato
 in modo oggettivo e svincolato rispetto alla psiche del paziente.
   Cio'   consente   di   ritenere   la   medicina  "omeopatica"  come
 "complementare"   (ma   non   "alternativa")   rispetto   a    quella
 tradizionale,  proprio perche' richiede al paziente l'autosservazione
 di se' stesso e, quindi, in un certo  senso,  "la  riscoperta"  della
 propria  dimensione  di  unitarieta'  mente-corpo,  sotto  il profilo
 "energetico"  consentendo,  cosi',  un'ottimale  stimolazione   delle
 difese  naturali  dell'organismo umano da svariate forme patologiche,
 in un campo di applicazione piuttosto esteso.
   In altri termini, e' ormai un dato acquisito alla communis  opinio,
 a  seguito di esperienze positivamente svolte da molti cittadini, che
 l'omeopatia sia una terapia sempre piu' moderna ed  attuale,  cui  si
 stanno  applicando  avanzate  ricerche  scientifiche nonche' rigorosi
 controlli  di  qualita'  sui  prodotti  farmacologici  impiegati,   a
 garanzia  del  miglior  risultato  terapeutico, soprattutto nei campi
 dell'immunologia e dell'allergologia.
   Nella  specie,  il  ricorrente  si  e'  formato  presso  la  Libera
 Universita'  di  Medicina di Roma (LUIMO) e presso il Centro Italiano
 di Studi e  Documentazione  in  Omeopatia  (CISDO),  e,  attualmente,
 risulta   essere  incluso  fra  i  docenti  del  "Corso  biennale  di
 perfezionamento in medicina nell'ambito C.E.E.", istituito presso  la
 Facolta'  di  medicina  e  chirurgia  dell'Universita' degli studi di
 Catania, allo scopo di  formare  il  medico  e  lo  specialista  alla
 pratica omeopatica.
   Risulta  altresi'  che  il  ricorrente e' stato docente presso vari
 corsi di medicina omeopatica, fra cui il corso biennale di  omeopatia
 istituito negli anni '87/88 dalla U.S.L. n. 56 di Palermo.
   Alla  luce  dei  suddetti  comprovati  elementi  di  fatto, risulta
 evidente la serieta' e l'impegno del ricorrente  nel  dedicarsi,  con
 competenza, al settore della medicina omeopatica e, conseguentemente,
 risulta   altresi'   gravemente   lesiva  della  sua  posizione,  per
 disparita'  di  trattamento  (art.  3  Cost.)  con altre categorie di
 esercenti la professione sanitaria, l'esclusione  dalla  possibilita'
 di  pubblicizzare  la  propria  attivita',  se non come "specialista"
 (nell'accezione di possessore di un titolo di studio,  avente  valore
 legale),  almeno  come "cultore" di una branca di notoria serieta' ed
 efficacia della medicina.
   Osserva,  altresi'  il  Collegio,   come   l'attuale   formulazione
 restrittiva  delle  disposizioni legislative de quibus potrebbe anche
 comportare una disparita' di trattamento  paradossale  fra  la  vasta
 fascia  di  professionisti  medici  che  si  trovano  nelle  medesime
 condizioni del ricorrente ed i  loro  eventuali  discenti,  i  quali,
 formatisi  anche  sotto  la  guida  e  gli insegnamenti dei primi, ma
 nell'ambito di un  corso  di  perfezionamento  istituito  presso  una
 Universita'  statale  (che, magari, entro tempi brevi potrebbe essere
 trasformato in una vera e propria scuola di specializzazione  medica,
 alla stregua di quelle vigenti presso Universita' dei paesi europei),
 a  seguito  del rilascio di un titolo di studio avente valore legale,
 potrebbero ottenere, in base alla normativa attuale, la  possibilita'
 di   pubblicizzare   la   propria   attivita';   mentre  la  predetta
 possibilita' rimarrebbe preclusa ai predetti professionisti che (come
 il ricorrente si sono formati presso strutture private.
   Pertanto, le norme legislative "incriminate" potrebbero comportare,
 nella sfera giuridica di tali  professionisti  (e  quindi  anche  del
 ricorrente),  disparita' di trattamento (art. 3 Cost.), oltre che con
 riferimento alla esclusione della possibilita'  di  pubblicizzare  la
 propria  attivita' almeno come "cultore" (se non "specialista") della
 disciplina omeopatica, anche in relazione alla parte in cui, a fronte
 del  fiorire   di   corsi   di   perfezionamento   post-universitari,
 regolarmente  istituiti  presso  Universita'  statali (che entro poco
 tempo potrebbero essere trasformati  in  vere  e  proprie  scuole  di
 specilizzazioni  mediche),  nulla dispongono, in via transitoria, con
 riferimento alla posizione  dei  cennati  professionisti,  che,  dopo
 essersi  formati presso istituti post-universitari privati (cioe' non
 abilitati a rilasciare un titolo di  studio  avente  valore  legale),
 attualmente   svolgono  seriamente  e  rigorosamente  l'attivita'  di
 insegnamento  della  medicina  omeopatica  anche  presso  Universita'
 statali. Infatti, poiche' le strutture private, che organizzano corsi
 di  studio  in omeopatia, non possono procedere al rilascio di titoli
 di studio aventi valore  legale  (difettando  l'elemento  soggettivo,
 cioe'  il  soggetto  investito dell'esercizio della relativa pubblica
 funzione), la normativa de qua si rivela carente nella parte  in  cui
 nulla  stabilisce  con  riferimento  al  valore  da  dare ai corsi in
 omeopatia svolti da scuole private (individuandone in modo rigoroso i
 requisiti di validita'), non essendo logicamente
  ammissibile che i  predetti  corsi  siano  considerati  tamquam  non
 essent, almeno con riferimento al periodo storico "transitorio".
   Per   tutte  le  suesposte  ragioni,  la  questione  sollevata  dal
 ricorrente e' rilevante e non manifestamente infondata.
   Si impone, pertanto, la  sospensione  del  giudizio  in  corso  con
 remissione della indicata questione alla Corte costituzionale.