IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale nei confronti di Farnedi Luciano + 19, imputati come in atti, sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 legge n. 267/1997 sollevata dal p.m.; Sentite tutte le parti; Premesso: che il presente processo riguarda molteplici imputazioni, variamente ascritte ai numerosi imputati, e che tra queste, secondo l'impostazione dell'accusa, il nucleo essenziale e' rappresentato da alcuni reati contro la pubblica amministrazione - in particolare fatti rubricati come corruzioni proprie - connessi con una truffa pluriaggravata, ai quali si collegano poi vari reati fiscali e falsi in bilancio; che nei confronti di alcuni soggetti, originariamente coimputati degli odierni prevenuti, i relativi procedimenti sono stati gia' definiti ex art. 444 c.p.p. e che tra questi, per quanto interessa in questa sede, assume particolare rilievo la posizione di Parodi Giovanni e Ghirardelli Eleazar, accusati il primo di esser stato il corruttore, nonche' il protagonista della maggior parte delle vicende societarie e commerciali che interessano il processo, ed il secondo il tramite tra il Parodi ed i pubblici ufficiali corrotti; che l'esame di due dei precedenti coimputati (Belli Giovanni e Carminati Cesare), ritualmente richiesto ed ammesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p., era gia' stato fissato per un'udienza (11 giugno 1997) precedente l'entrata in vigore della legge n. 267/1997. Essi si erano pero' avvalsi della facolta' di non rispondere ed in conseguenza erano state - su rituale richiesta del p.m., nulla eccependo tutte le altre parti - acquisite al fascicolo del dibattimento (ma non materialmente lette) le dichiarazioni da loro in precedenza rese nel corso delle indagini preliminari; che, entrata in vigore la legge sopra indicata, alcune difese hanno chiesto ed ovviamente ottenuto, ai sensi della normativa transitoria posta da tale legge (art. 6, comma 2), una nuova citazione di Belli Giovanni, il quale si e' di nuovo avvalso della facolta' di non rispondere (ud. 11 novembre 1997); che, dopo l'entrata in vigore delle norme gia' piu' volte citate, tutti gli altri soggetti chiamati a deporre ex art. 210 c.p.p. - Parodi Giovanni, Ghirardelli Eleazar e Bratti Giuseppe - si sono avvalsi della facolta' di non rispondere alle domande (ud. 11 novembre 1997 il primo; 6 novembre il secondo; 7 novembre il terzo), cosicche' il p.m. ha chiesto la lettura ed acquisizione al fascicolo del dibattimento dei verbali delle dichiarazioni da loro rese durante le indagini preliminari; che i difensori degli imputati si sono opposti a tale acquisizione ed alcuni di essi hanno anzi chiesto che venissero "stralciati" dal fascicolo e restituiti al p.m. i verbali delle dichiarazioni del Belli, gia' acquisiti, ma, come sopra precisato, non materialmente letti, sostenendo che solo la lettura in precedenza effettivamente avvenuta di tali verbali consentirebbe l'applicazione del regime transitorio previsto dalla normativa in questione, mentre nel caso di specie anche alle dichiarazioni del Belli si dovrebbe applicare l'acquisizione e l'utilizzabilita' condizionate al consenso delle parti, come previsto dal nuovo art. 513 c.p.p., e non il solo particolare criterio di valutazione probatoria "rafforzata" stabilito dalle disposizioni transitorie per le dichiarazioni gia' lette prima dell'entrata in vigore delle modifiche; Ritenuto che la questione di costituzionatita' sollevata dal p.m. e' certamente rilevante, poiche': 1) appare gia' in astratto evidente che le dichiarazioni rese da chi sia stato imputato di aver concorso in un reato a struttura necessariamente plurisoggettiva (come indiscutibilmente e' quello di corruzione) rappresentino in ogni caso - sia nella prospettazione dell'accusa, sia per la valutazione delle argomentazioni difensive - un essenziale elemento di giudizio quando si debba decidere della responsabilita' dei presunti concorrenti; 2) nel caso concreto, inoltre, il tribunale ha appreso dalle relazioni introduttive di tutte le parti e da quanto dichiarato da vari testi nel corso dell'istruttoria dibattimentale che il Parodi, come gia' accennato nella premessa, comunque si siano effettivamente svolti i fatti per cui e' processo, rappresenta in ogni caso il personaggio centrale attorno al quale ruota ogni possibile ricostruzione della vicenda che ci occupa, mentre il Ghirardelli risulta comunque esser stato il tramite nei contatti tra vari degli imputati in alcuni degli snodi essenziali della storia; il Bratti d'altra parte, secondo l'accusa, sarebbe stato (tra l'altro) il successore del Parodi nel debito delittuoso nei confronti dei pubblici ufficiali corrotti ed infine il Belli sarebbe stato il tramite per il versamento da parte del Parodi ad altro imputato di una "regalia" di L 1.400.000.000 (nel presente processo peraltro interessante "solo" per la corrispondente evasione fiscale), cosicche' sembra al tribunale indiscutibile la rilevanza che in ogni caso le dichiarazioni rese da tali soggetti possono avere nella decisione da prendere. Val la pena a quest'ultimo riguardo sottolineare che, trattandosi nella specie di applicazione di norme che incidono sull'acquisibilita' ed utilizzabilita' di elementi probatori, non si deve evidentemente, ai fini della rilevanza della questione, fare una prognosi riguardo alla decisione finale che il Collegio dovra' assumere (che sarebbe anzi scorretta, oltre che allo stato impossibile), ma solo riguardo all'incidenza che su tale decisione finale avra' la presenza o meno degli elementi probatori in questione tra quelli da esaminare per giungere alla pronuncia: il tribunale al riguardo ritiene palese che la possibilita' di conoscere e valutare le dichiarazioni indicate, per i motivi appena rappresentati, avra' in ogni caso grandissima rilevanza, tanto che la sentenza potrebbe con ogni probabilita' mutare a seconda della loro utilizzabilita' o meno. Per questo e' corretto affermare che il processo non puo' essere deciso senza la previa soluzione della questione che ci occupa; 3) Va infine precisato che in riferimento al presente processo non risulta immediatamente rilevante - benche' ovviamente connessa alla problematica da esaminare - la nuova formulazione dell'art. 513 c.p.p., ma solo quella della normativa transitoria conseguente alle modifiche. Il Collegio ritiene, infatti, che per un'eventuale questione riguardante le recenti modifiche alle norme del codice di rito riguardanti le dichiarazioni rese da imputati di reati connessi si dovrebbe valutare con attenzione il nuovo regime dei casi in cui si puo' esperire l'incidente probatorio e verificare se tale regime risponde o meno alle esigenze di carattere costituzionale che la Corte ha posto alla base delle sue pronunce in materia. Nel presente processo, gia' in fase dibattimentale, non v'e' stata - ne' avrebbe potuto esservi, secondo la piu' immediata interpretazione dell'art. 6, commi 1 e 2, legge n. 267/1997 - alcuna richiesta di incidente probatorio, cosicche' diviene rilevante valutare la costituzionalita' della normativa transitoria che applica immediatamente il nuovo regime di acquisizione della prova ai giudizi di primo grado, anche quando non sia possibile ricorrere al rimedio previsto nel nuovo regime ordinario per evitare la dispersione delle "prove" gia' raccolte. Correttamente, pertanto, il p.m. nel sollevare la questione e tutte le altre parti nello svolgere le loro argomentazioni si sono riferiti alle disposizioni dell'art. 6, commi 2 e 5, legge n. 267/1997 ed il Collegio ritiene di dover limitare solo a tali norme la propria valutazione, perche' solo quelle sono immediatamente rilevanti rispetto alla sentenza da pronunciare. Ritenuto che la questione, alla luce delle seguenti considerazioni non appare manifestamente infondata. 1. - E' ormai punto fermo nell'interpretazione della nostra Costituzione che nell'ambito dei fini e principi fondamentali del processo penale vi sia quello della ricerca della verita' con la conseguente necessita', costituzionalmente tutelata, di conservazione della prova, senza timore che tali principi non possano trovare un equo contemperamento con le necessita' originate da quello di oralita' del dibattimento, poiche' quest'ultimo non viene giudicato regola assoluta, ma solo criterio-guida del nuovo sistema, considerato che "l'oralita', assunta a principio ispiratore del nuovo sistema, non rappresenta, nella disciplina del codice, il veicolo esclusivo di formazione della prova nel dibattimento; cio' perche' - e' appena il caso di ricordarlo - fine primario ed ineludibile del processo penale non puo' che rimanere quello della ricerca della verita' (in armonia con i principi della Costituzione: come reso esplicito nell'art. 2, prima parte e nella direttiva n. 73 della legge di delega, tradottasi nella formulazione degli artt. 506 e 507; cfr. anche la sentenza n. 258 del 1991 di questa Corte) di guisa che, in taluni casi in cui la prova non possa prodursi oralmente e' dato rilievo, nei limiti ed alle condizioni di volta in volta indicate, ad atti formatisi prima ed al di fuori del dibattimento" (Corte costituzionale n. 255/1992). E' opportuno sottolineare che si tratta di affermazioni gia' chiaramente individuabili, pur se ancora non sviluppate, nelle decisioni nn. 24 e 254/1992 della Corte (oltre che in quella cui fa espresso riferimento il brano di motivazione riportato) e successivamente utilizzate come evidente presupposto della sentenza 179/1994 con la quale la Corte ha indicato quale debba essere l'interpretazione costituzionalmente corretta degli articoli 199 e 512 c.p.p. per evitare la "perdita" ai fini della decisione, di quanto dichiarato in precedenza da un prossimo congiunto dell'imputato che al dibattimento si avvalga della facolta' di astenersi dal deporre: la Corte precisa in questa occasione che la precedente "testimonianza cosi' acquisita e' legittimamente, e soprattutto, stabilmente acquisita". 2. - In tutta la giurisprudenza costituzionale in materia di processo penale un altro principio ispiratore appare d'altra parte altrettanto chiaro ed essenziale: quello della non disponibilita' per le parti - oltre certi limiti - della ricerca ed assunzione della prova. La Corte ha infatti piu' volte precisato che la Costituzione nel prevedere la tutela giurisdizionale di ogni diritto (art. 24), la soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101) e l'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale (art. 112) non consente il superamento di ben precisi limiti in questo ambito, tenuto conto innanzi tutto, "sul piano metodologico, che la considerazione dell'ordinamento processuale-penale italiano va condotta, a prescindere da astratte modellistiche, sulla base del tessuto normativo positivo, la cui interpretazione e comprensione non puo' che derivare da un'attenta lettura del principi e criteri direttivi enunciati nella legge delega e dei principi costituzionali di cui questa ... richiede l'attuazione" (Corte costituzionale n. 111/1993). Molteplici decisioni della Corte poi affermano, sotto varie prospettive, l'inesistenza di un principio di totale disponibilita' della prova in capo alle parti poiche' "e' per la verita' incontroverso che sarebbe contrario ai principi costituzionali di legalita' e di obbligatorieta' dell'azione concepire come disponibile la tutela giurisdizionale assicurata dal processo penale. Cio', invero, significherebbe da un lato recidere il legame tra lo strumento processuale e l'interesse sostanziale pubblico alla repressione dei fatti criminosi che quei principi intendono garantire; dall'altro, contraddire all'esigenza, ad essi correlata, che la responsabilita' penale sia riconosciuta solo per fatti realmente commessi, nonche' al carattere indisponibile della liberta' personale" (sempre sentenza n. 111/1993; ma arg. anche ex sentenze nn. 88/1991 e 56/1992). Come immediata e necessaria conseguenza la Corte ha poi affermato che "un principio dispositivo non puo' dirsi esistente neanche sul piano probatorio, perche' cio' significherebbe rendere disponibile, indirettamente, la stessa res judicanda (ancora sentenza n. 111/1993) e finirebbe tra l'altro per confliggere con l'art. 3" (come si puo' argomentare dalla sentenza appena citata). Anche qui la riprova si ha nell'altro rito speciale in cui maggior spazio e' riservato alla volonta' delle parti, e cioe' nel giudizio abbreviato, dato che in esso l'accordo di queste sulle prove utilizzabili non vincola il giudizio sulla loro concludenza ed anzi non puo' neppure essere inteso, come ripetutamente segnalato dalla Corte (sentenze nn. 92/1992 e 56/1993) come assolutamente preclusivo delle integrazioni probatorie eventualmente necessarie, pena la sua incompatibilita' con i principii costituzionali. 3. - Alla luce dei suesposti principii non puo' che dubitarsi della legittimita' costituzionale del disposto del citato art. 6, commi 2 e 5, legge n. 267/1997, anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non estende il regime transitorio previsto per i soggetti che siano stati gia' sentiti ex art. 210 nei processi in corso anche a quelli che si trovino in identica posizione processuale, ma vengano sottoposti ad esame solo dopo l'entrata in vigore della nuova legge: per questi ultimi, qualora si avvalgano della facolta' di non rispondere si applica immediatamente la nuova normativa, senza pero' che vi sia stata neppure la possibilita' di esperire tempestivamente un eventuale incidente probatorio. La conseguenza - tra l'altro possibile solamente in un processo di primo grado - e' che, qualora, come nel caso presente, non vi sia l'accordo delle parti nel consentire la lettura delle dichiarazioni da quei soggetti rese prima del dibattimento, si finisce per provocare non solo la "perdita" di elementi probatori in precedenza legittimamente acquisiti (con i profili di incostituzionalita' gia' sopra indicati) ma anche un'irragionevole differenza rispetto alle dichiarazioni del tutto analoghe rese da chi sia stato sentito solo poche settimane prima. Non va trascurato, tra l'altro, che, data la formulazione della norma puo' succedere che anche il semplice dissenso della parte civile possa paralizzare l'acquisizione di dichiarazioni eventualmente favorevoli all'imputato. Non e' pertanto vero, come dedotto da alcune difese, che la normativa introdotta sia da considerare comunque piu' favorevole all'imputato cosicche' non sarebbe possibile chiedere alla Corte di stabilire l'ultrattivita' di quella precedente, meno favorevole. In ogni caso non sembra al tribunale che si possa utilmente inquadrare la questione in esame utilizzando la categoria del favor rei. Si deve qui discutere di principi fondamentali del processo penale che precedono quello del favor rei il quale non puo' essere premesso alle regole basilari che giustificano l'esistenza stessa del processo penale ed il suo funzionamento essenziale. Altrimenti ragionando si rischierebbe, per assurdo, di ritenere miglior processo quello in cui l'imputato possa liberamente scegliere ad esempio l'imputazione o il giudice e cosi' via, mentre la logica e gli esempi fatti dimostrano che si tratta in realta' di principii che agiscono su piani diversi. Da questo punto di vista non puo' infine sfuggire la distorsione che rischia l'intero meccanismo processuale quando, dovendosi applicare la nuova normativa, in presenza di molteplici imputati solo alcuni si dichiarino d'accordo per l'utilizzazione delle precedenti dichiarazioni di coimputati di reati connessi ed altri no, poiche' il giudice dovrebbe disporre (subendo senza alcun possibile rimedio l'iniziativa meramente potestativa di ciascuna delle parti) l'acquisizione ed utilizzazione delle dichiarazioni nei confronti dei primi, ma dovrebbe, nello stesso momento decisorio e nella stessa pronuncia, far finta di ignorarle nei confronti di altri. Sembra questa una conclusione che esporrebbe un processo - soprattutto con venti imputati come il presente - a metodiche decisionali veramente poco comprensibili e praticabili, contrarie non solo ai principi di legalita', soggezione del giudice solo alla legge ed obbligatorieta' dell'azione penale finora ricordati, ma anche ad ogni ragionevolezza. 4. - Un'ultima considerazione riguarda d'altra parte anche l'irragionevolezza della normativa transitoria nel suo stesso funzionamento interno, poiche': gia' in generale non sembra rispondere ad alcun canone di ragionevolezza il consentire, al fine di evitare la dispersione degli elementi probatori, l'acquisizione di tutte le dichiarazioni divenute irripetibili - da quelle testimoniali a quelle dei prossimi congiunti, a quelle stesse degli imputati e dei coimputati per reati connessi o collegati - eccettuando solo il caso in cui l'irripetibilita' dipenda dalla scelta di un imputato o coimputato di non sottoporsi all'esame dibattimentale (mentre correttamente nella relazione di accompagnamento del codice si comprendeva questo tra i casi di imprevedibile e comunque non altrimenti sanabile irripetibilita'); ricordando poi che tale scelta, tra l'altro, oltre a poter risultare del tutto casuale od arbitraria, non puo' neppure facilmente giustificarsi con ragioni difensive dell'interessato quando si tratti di ex-coimputato nei cui confronti sia gia' divenuta irrevocabile, come nella specie, una sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.; mentre, va ribadito, che per tutti i dibattimenti in corso, cui si applica la normativa transitoria, non si e' potuto neppure ricorrere al previsto rimedio del previsto incidente probatorio per prevenire la perdita delle dichiarazioni; inoltre la scelta fatta appare irragionevole anche per il diverso trattamento riservato a situazioni solo casualmente diverse poiche' la semplice circostanza che l'esame di un imputato di reati connessi, per motivi del tutto accidentali, proprio come avvenuto nel presente processo, sia stato fissato qualche mese prima di un altro analogo incombente comporta, nonostante le situazioni siano nella sostanza identiche, conseguenze processuali del tutto diverse (nel primo caso possibilita' di lettura, acquisizione e valutazione - sia pure con criteri particolari - delle precedenti dichiarazioni nei confronti di tutti, nell'altro perdita a fini probatori del contenuto delle precedenti dichiarazioni nei confronti di chi non sia d'accordo sulla loro utilizzazione). Proprio in riferimento a quest'ultima problematica il tribunale, considerata l'eccezione proposta da alcune difese deve tra l'altro sottolineare che l'utilizzabilita' - sia pure ovviamente con il diverso, recente criterio di valutazione probatoria - delle precedenti dichiarazioni rese da chi si sia al dibattimento avvalso della facolta' di non rispondere deve essere estesa anche alle dichiarazioni che, ancora vigente il precedente testo dell'art. 513 c.p.p., siano state legittimamente acquisite al fascicolo del dibattimento, ancorche' senza previa lettura. A tale conclusione si giunge innanzi tutto in base ad un argomento sistematico: il disposto dell'art. 515 c.p.p., infatti, chiarisce che la previa lettura e' in ogni caso lo strumento indispensabile per l'acquisizione di verbali al fascicolo del dibattimento. Se pertanto l'acquisizione sia avvenuta senza lettura si potra' magari correttamente discutere della validita' di tale acquisizione, ma non del fatto che la fase prevista per la lettura sia gia' stata superata. La dizione letterale sia del vecchio che del nuovo art. 513 non fa che ribadire - con indiscutibile chiarezza - questo criterio. Data questa premessa e tenuto conto che nella specie nessuna parte ha fatto a suo tempo eccezione alcuna all'acquisizione delle dichiarazioni del Belli senza previa lettura, non puo' certo parlarsi di eventuale nullita', sia perche' non e' comunque prevista una tale sanzione ed in regime di tassativita' delle nullita' non e' consentito dedurne di nuove, sia perche' tutte le parti avrebbero contribuito a darvi causa e non potrebbero percio' eccepirla, ne' si puo' credibilmente ipotizzare un'eventuale inutilizzabilita' poiche' mancherebbe il presupposto di illegittimita' nell'acquisizione, certamente del tutto legittima al momento in cui e' stata disposta; in ogni caso la giurisprudenza si e' gia' pronunciata nel senso di ritenere la mancata lettura prima dell'acquisizione una mera irregolarita' che non impedisce l'utilizzabilita' dell'atto (Cass. sez. 1 n. 7456/1994, Manitta). Si deve quindi concludere che la possibilita' di successiva lettura o di indicazione dell'atto come "dato per letto" ai sensi dell'art. 511 c.p.p., al termine dell'istruttoria dibattimentale sia solo volta a sanare eventuali precedenti irregolarita' per la chiarezza delle parti, ma non abbia affatto la caratteristica di condizionare l'utilizzabilita' dell'atto. Per quanto qui interessa percio' risulta rimanere intera nel presente processo l'irragionevolezza, per le ragioni esposte, dell'utilizzabilita' delle precedenti dichiarazioni del Belli ed invece la non acquisibilita' delle dichiarazioni rese dal Parodi, dal Ghirardelli e dal Bratti. 5. - Va da ultimo evidenziato che il tribunale non ritiene allo stato rilevante, rispetto all'attuale situazione processuale, la eventuale questione di costituzionalita' relativa allo speciale criterio "rafforzato" di valutazione delle dichiarazioni acquisite in seguito al silenzio tenuto dall'imputato di reato connesso (modifica astrattamente legittima, alla luce dei principii costituzionali come enunciati nella giurisprudenza della Corte - cfr. sentenza n. 241/1994, ma da verificare in concreto in riferimento alla normativa specifica). A prescindere, infatti, dalla ragionevolezza o meno di tale criterio, il tribunale non puo' ancora sapere in questa fase del processo non solo se le singole dichiarazioni saranno o meno utilizzabili, ma neppure - qualora lo siano - se risulteranno confermate da riscontri oggettivi o meno e non puo' quindi valutare se la norma in questione risulti o meno determinante rispetto alla decisione da prendere.