IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel procedimento penale nei
 confronti di Farnedi Luciano +  19,  imputati  come  in  atti,  sulla
 questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6  legge  n.
 267/1997 sollevata dal p.m.;
   Sentite tutte le parti;
   Premesso:
     che   il   presente  processo  riguarda  molteplici  imputazioni,
 variamente ascritte ai numerosi imputati, e che tra  queste,  secondo
 l'impostazione  dell'accusa, il nucleo essenziale e' rappresentato da
 alcuni reati contro la  pubblica  amministrazione  -  in  particolare
 fatti  rubricati  come  corruzioni  proprie - connessi con una truffa
 pluriaggravata, ai quali si collegano poi vari reati fiscali e  falsi
 in bilancio;
     che  nei confronti di alcuni soggetti, originariamente coimputati
 degli odierni prevenuti, i  relativi  procedimenti  sono  stati  gia'
 definiti ex art. 444 c.p.p. e che tra questi, per quanto interessa in
 questa  sede,  assume  particolare  rilievo  la  posizione  di Parodi
 Giovanni e Ghirardelli Eleazar, accusati il primo di esser  stato  il
 corruttore, nonche' il protagonista della maggior parte delle vicende
 societarie  e  commerciali che interessano il processo, ed il secondo
 il tramite tra il Parodi ed i pubblici ufficiali corrotti;
     che l'esame di due dei precedenti coimputati  (Belli  Giovanni  e
 Carminati  Cesare),  ritualmente    richiesto  ed  ammesso  ai  sensi
 dell'art.   210 c.p.p., era gia' stato  fissato  per  un'udienza  (11
 giugno  1997) precedente l'entrata in vigore della legge n. 267/1997.
 Essi si erano pero' avvalsi della facolta' di non  rispondere  ed  in
 conseguenza  erano  state  -  su  rituale  richiesta  del p.m., nulla
 eccependo tutte  le  altre  parti  -  acquisite  al    fascicolo  del
 dibattimento (ma non materialmente lette) le dichiarazioni da loro in
 precedenza rese nel corso  delle indagini preliminari;
     che,  entrata  in  vigore  la legge sopra indicata, alcune difese
 hanno chiesto  ed  ovviamente  ottenuto,  ai  sensi  della  normativa
 transitoria  posta  da  tale  legge  (art.  6,  comma  2),  una nuova
 citazione di Belli Giovanni, il quale si e' di  nuovo  avvalso  della
 facolta' di non rispondere (ud. 11 novembre 1997);
     che, dopo l'entrata in vigore delle norme gia' piu' volte citate,
 tutti  gli  altri  soggetti  chiamati  a deporre ex art. 210 c.p.p. -
 Parodi Giovanni, Ghirardelli Eleazar e  Bratti  Giuseppe  -  si  sono
 avvalsi  della  facolta'  di  non  rispondere  alle  domande  (ud. 11
 novembre 1997 il primo; 6 novembre il secondo; 7 novembre il  terzo),
 cosicche'  il p.m. ha chiesto la lettura ed acquisizione al fascicolo
 del dibattimento dei verbali delle dichiarazioni da loro rese durante
 le indagini preliminari;
     che  i  difensori  degli  imputati  si  sono   opposti   a   tale
 acquisizione  ed  alcuni  di  essi  hanno  anzi chiesto che venissero
 "stralciati" dal fascicolo e  restituiti  al  p.m.  i  verbali  delle
 dichiarazioni  del  Belli,  gia' acquisiti, ma, come sopra precisato,
 non materialmente letti, sostenendo che solo la lettura in precedenza
 effettivamente avvenuta di tali verbali consentirebbe  l'applicazione
 del  regime transitorio previsto dalla normativa in questione, mentre
 nel caso di specie anche alle dichiarazioni  del  Belli  si  dovrebbe
 applicare l'acquisizione e l'utilizzabilita' condizionate al consenso
 delle  parti,  come previsto dal nuovo art. 513 c.p.p., e non il solo
 particolare criterio di valutazione probatoria "rafforzata" stabilito
 dalle disposizioni transitorie per le dichiarazioni gia' lette  prima
 dell'entrata in vigore delle modifiche;
   Ritenuto  che  la questione di costituzionatita' sollevata dal p.m.
 e' certamente rilevante, poiche':
     1)  appare gia' in astratto evidente che le dichiarazioni rese da
 chi sia stato imputato di aver  concorso  in  un  reato  a  struttura
 necessariamente  plurisoggettiva (come indiscutibilmente e' quello di
 corruzione) rappresentino in ogni caso  -  sia  nella  prospettazione
 dell'accusa,  sia per la valutazione delle argomentazioni difensive -
 un essenziale elemento di giudizio quando  si  debba  decidere  della
 responsabilita' dei presunti concorrenti;
     2)  nel  caso  concreto,  inoltre,  il tribunale ha appreso dalle
 relazioni introduttive di tutte le parti e da  quanto  dichiarato  da
 vari  testi  nel corso dell'istruttoria dibattimentale che il Parodi,
 come gia' accennato nella premessa, comunque si siano  effettivamente
 svolti  i  fatti  per  cui  e'  processo, rappresenta in ogni caso il
 personaggio  centrale  attorno  al   quale   ruota   ogni   possibile
 ricostruzione  della  vicenda  che  ci  occupa, mentre il Ghirardelli
 risulta comunque esser stato il tramite nei contatti tra  vari  degli
 imputati  in  alcuni  degli  snodi essenziali della storia; il Bratti
 d'altra parte, secondo  l'accusa,  sarebbe  stato  (tra  l'altro)  il
 successore  del  Parodi  nel  debito  delittuoso  nei  confronti  dei
 pubblici ufficiali corrotti ed  infine  il  Belli  sarebbe  stato  il
 tramite  per  il  versamento da parte del Parodi ad altro imputato di
 una "regalia" di L  1.400.000.000  (nel  presente  processo  peraltro
 interessante   "solo"   per   la  corrispondente  evasione  fiscale),
 cosicche' sembra al tribunale indiscutibile la rilevanza che in  ogni
 caso  le  dichiarazioni  rese  da  tali  soggetti possono avere nella
 decisione da prendere.
   Val la pena a quest'ultimo riguardo sottolineare  che,  trattandosi
 nella    specie    di    applicazione    di    norme   che   incidono
 sull'acquisibilita' ed utilizzabilita' di elementi probatori, non  si
 deve evidentemente, ai fini della rilevanza della questione, fare una
 prognosi  riguardo  alla  decisione  finale  che  il  Collegio dovra'
 assumere  (che  sarebbe  anzi  scorretta,  oltre   che   allo   stato
 impossibile),  ma  solo  riguardo all'incidenza che su tale decisione
 finale avra' la presenza o meno degli elementi probatori in questione
 tra quelli da esaminare per giungere alla pronuncia: il tribunale  al
 riguardo  ritiene  palese che la possibilita' di conoscere e valutare
 le dichiarazioni indicate, per i motivi appena  rappresentati,  avra'
 in  ogni  caso  grandissima rilevanza, tanto che la sentenza potrebbe
 con ogni probabilita' mutare a seconda della loro  utilizzabilita'  o
 meno.  Per  questo  e'  corretto  affermare  che il processo non puo'
 essere deciso senza  la  previa  soluzione  della  questione  che  ci
 occupa;
     3)  Va  infine  precisato che in riferimento al presente processo
 non risulta immediatamente rilevante -  benche'  ovviamente  connessa
 alla problematica da esaminare - la nuova formulazione dell'art.  513
 c.p.p.,  ma  solo quella della normativa transitoria conseguente alle
 modifiche.  Il  Collegio  ritiene,  infatti,  che  per   un'eventuale
 questione  riguardante  le recenti modifiche alle norme del codice di
 rito riguardanti le dichiarazioni rese da imputati di reati  connessi
 si  dovrebbe  valutare con attenzione il nuovo regime dei casi in cui
 si puo' esperire l'incidente probatorio e verificare se  tale  regime
 risponde  o  meno  alle  esigenze  di carattere costituzionale che la
 Corte ha posto alla base delle sue pronunce in materia. Nel  presente
 processo,  gia'  in fase dibattimentale, non v'e' stata - ne' avrebbe
 potuto esservi, secondo la piu' immediata  interpretazione  dell'art.
 6,  commi  1  e  2, legge n. 267/1997 - alcuna richiesta di incidente
 probatorio, cosicche' diviene rilevante valutare la costituzionalita'
 della  normativa  transitoria  che  applica  immediatamente  il nuovo
 regime di acquisizione della prova ai giudizi di primo  grado,  anche
 quando  non  sia  possibile  ricorrere  al rimedio previsto nel nuovo
 regime ordinario  per  evitare  la  dispersione  delle  "prove"  gia'
 raccolte.
   Correttamente, pertanto, il p.m. nel sollevare la questione e tutte
 le altre parti nello svolgere le loro argomentazioni si sono riferiti
 alle  disposizioni  dell'art. 6, commi 2 e 5, legge n. 267/1997 ed il
 Collegio ritiene di dover limitare  solo  a  tali  norme  la  propria
 valutazione,   perche'  solo  quelle  sono  immediatamente  rilevanti
 rispetto alla sentenza da pronunciare.
   Ritenuto che la questione, alla luce delle seguenti  considerazioni
 non appare manifestamente infondata.
   1.  -  E'  ormai  punto  fermo  nell'interpretazione  della  nostra
 Costituzione che nell'ambito dei fini  e  principi  fondamentali  del
 processo  penale  vi  sia  quello  della ricerca della verita' con la
 conseguente necessita', costituzionalmente tutelata, di conservazione
 della prova, senza timore che tali principi non  possano  trovare  un
 equo  contemperamento  con  le  necessita'  originate  da  quello  di
 oralita' del dibattimento, poiche' quest'ultimo non  viene  giudicato
 regola   assoluta,   ma   solo   criterio-guida  del  nuovo  sistema,
 considerato che "l'oralita', assunta a principio ispiratore del nuovo
 sistema, non rappresenta, nella disciplina  del  codice,  il  veicolo
 esclusivo  di formazione della prova nel dibattimento; cio' perche' -
 e' appena il caso di ricordarlo - fine primario  ed  ineludibile  del
 processo  penale  non  puo'  che  rimanere quello della ricerca della
 verita' (in armonia con i  principi  della  Costituzione:  come  reso
 esplicito  nell'art.  2,  prima  parte  e nella direttiva n. 73 della
 legge di delega, tradottasi nella formulazione degli artt. 506 e 507;
 cfr. anche la sentenza n. 258 del 1991 di questa Corte) di guisa che,
 in taluni casi in cui la prova non possa prodursi oralmente  e'  dato
 rilievo, nei limiti ed alle condizioni di volta in volta indicate, ad
 atti  formatisi  prima  ed  al  di  fuori  del  dibattimento"  (Corte
 costituzionale n. 255/1992).
   E' opportuno  sottolineare  che  si  tratta  di  affermazioni  gia'
 chiaramente  individuabili,  pur  se  ancora  non  sviluppate,  nelle
 decisioni nn.  24 e 254/1992 della Corte (oltre che in quella cui  fa
 espresso   riferimento   il   brano   di   motivazione  riportato)  e
 successivamente utilizzate come evidente presupposto  della  sentenza
 179/1994  con  la  quale  la  Corte  ha  indicato  quale debba essere
 l'interpretazione costituzionalmente corretta degli  articoli  199  e
 512  c.p.p.  per  evitare  la  "perdita"  ai fini della decisione, di
 quanto  dichiarato  in  precedenza  da   un   prossimo      congiunto
 dell'imputato  che  al  dibattimento  si  avvalga  della  facolta' di
 astenersi dal deporre: la Corte precisa in questa  occasione  che  la
 precedente   "testimonianza  cosi'  acquisita  e'  legittimamente,  e
 soprattutto, stabilmente acquisita".
   2. - In  tutta  la  giurisprudenza  costituzionale  in  materia  di
 processo  penale  un  altro principio ispiratore appare d'altra parte
 altrettanto chiaro ed essenziale: quello della non disponibilita' per
 le parti - oltre certi limiti - della  ricerca  ed  assunzione  della
 prova.  La  Corte ha infatti piu' volte precisato che la Costituzione
 nel prevedere la tutela giurisdizionale di ogni diritto (art. 24), la
 soggezione   del   giudice   soltanto   alla   legge   (art.  101)  e
 l'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale  (art.  112)  non
 consente  il  superamento  di  ben  precisi  limiti in questo ambito,
 tenuto  conto  innanzi  tutto,  "sul  piano  metodologico,   che   la
 considerazione   dell'ordinamento   processuale-penale   italiano  va
 condotta, a prescindere da astratte  modellistiche,  sulla  base  del
 tessuto normativo positivo, la cui interpretazione e comprensione non
 puo'  che  derivare  da  un'attenta  lettura  del  principi e criteri
 direttivi enunciati nella legge delega e dei principi  costituzionali
 di  cui  questa  ...  richiede l'attuazione" (Corte costituzionale n.
 111/1993). Molteplici decisioni  della  Corte  poi  affermano,  sotto
 varie   prospettive,   l'inesistenza   di   un  principio  di  totale
 disponibilita' della prova in capo alle  parti  poiche'  "e'  per  la
 verita'    incontroverso    che   sarebbe   contrario   ai   principi
 costituzionali  di  legalita'  e   di   obbligatorieta'   dell'azione
 concepire  come  disponibile la tutela giurisdizionale assicurata dal
 processo penale. Cio', invero, significherebbe da un lato recidere il
 legame  tra  lo  strumento  processuale  e  l'interesse   sostanziale
 pubblico  alla  repressione  dei  fatti  criminosi  che quei principi
 intendono garantire; dall'altro, contraddire  all'esigenza,  ad  essi
 correlata,  che  la  responsabilita' penale sia riconosciuta solo per
 fatti realmente commessi, nonche' al  carattere  indisponibile  della
 liberta'  personale"  (sempre  sentenza n. 111/1993; ma arg. anche ex
 sentenze  nn.  88/1991  e  56/1992).  Come  immediata  e   necessaria
 conseguenza  la  Corte ha poi affermato che "un principio dispositivo
 non puo' dirsi esistente neanche sul piano probatorio,  perche'  cio'
 significherebbe  rendere  disponibile,  indirettamente, la stessa res
 judicanda (ancora sentenza n. 111/1993) e finirebbe tra  l'altro  per
 confliggere  con  l'art.  3" (come si puo' argomentare dalla sentenza
 appena citata).  Anche qui la riprova si ha nell'altro rito  speciale
 in cui maggior spazio e' riservato alla volonta' delle parti, e cioe'
 nel  giudizio  abbreviato, dato che in esso l'accordo di queste sulle
 prove utilizzabili non vincola il giudizio sulla loro concludenza  ed
 anzi  non  puo'  neppure  essere inteso, come ripetutamente segnalato
 dalla Corte (sentenze  nn.  92/1992  e  56/1993)  come  assolutamente
 preclusivo  delle  integrazioni  probatorie eventualmente necessarie,
 pena la sua incompatibilita' con i principii costituzionali.
   3. - Alla luce dei suesposti principii non puo' che dubitarsi della
 legittimita' costituzionale del disposto del citato art. 6, commi 2 e
 5,  legge  n.  267/1997,  anche  in  riferimento  all'art.  3   della
 Costituzione,  nella  parte  in cui non estende il regime transitorio
 previsto per i soggetti che siano stati gia' sentiti ex art. 210  nei
 processi in corso anche a quelli che si trovino in identica posizione
 processuale,  ma  vengano sottoposti ad esame solo dopo  l'entrata in
 vigore della nuova legge: per questi  ultimi,  qualora  si  avvalgano
 della  facolta'  di non rispondere si applica immediatamente la nuova
 normativa, senza pero' che vi sia stata neppure  la  possibilita'  di
 esperire   tempestivamente  un  eventuale  incidente  probatorio.  La
 conseguenza - tra l'altro possibile solamente in un processo di primo
 grado - e' che, qualora, come nel caso presente, non vi sia l'accordo
 delle parti nel consentire la lettura  delle  dichiarazioni  da  quei
 soggetti  rese  prima  del dibattimento, si finisce per provocare non
 solo la "perdita" di elementi probatori in precedenza  legittimamente
 acquisiti  (con i profili di incostituzionalita' gia' sopra indicati)
 ma  anche un'irragionevole differenza rispetto alle dichiarazioni del
 tutto analoghe rese da chi sia stato  sentito  solo  poche  settimane
 prima.
   Non  va  trascurato,  tra  l'altro, che, data la formulazione della
 norma puo' succedere che  anche  il  semplice  dissenso  della  parte
 civile    possa    paralizzare    l'acquisizione   di   dichiarazioni
 eventualmente favorevoli all'imputato. Non  e'  pertanto  vero,  come
 dedotto  da  alcune  difese,  che  la  normativa  introdotta  sia  da
 considerare  comunque  piu'  favorevole  all'imputato  cosicche'  non
 sarebbe possibile chiedere alla Corte di stabilire l'ultrattivita' di
 quella  precedente,  meno  favorevole.    In  ogni caso non sembra al
 tribunale che si possa utilmente inquadrare  la  questione  in  esame
 utilizzando  la  categoria  del  favor  rei. Si deve qui discutere di
 principi fondamentali del processo penale che  precedono  quello  del
 favor  rei il quale non puo' essere premesso alle regole basilari che
 giustificano  l'esistenza  stessa  del  processo  penale  ed  il  suo
 funzionamento  essenziale. Altrimenti ragionando si rischierebbe, per
 assurdo, di ritenere miglior processo quello in cui l'imputato  possa
 liberamente  scegliere  ad esempio l'imputazione o il giudice e cosi'
 via, mentre la logica e gli esempi fatti dimostrano che si tratta  in
 realta' di principii che agiscono su piani diversi.
   Da  questo  punto  di vista non puo' infine sfuggire la distorsione
 che  rischia  l'intero  meccanismo  processuale   quando,   dovendosi
 applicare la nuova normativa, in presenza di molteplici imputati solo
 alcuni  si  dichiarino d'accordo per l'utilizzazione delle precedenti
 dichiarazioni di coimputati di reati connessi ed altri no, poiche' il
 giudice dovrebbe disporre  (subendo  senza  alcun  possibile  rimedio
 l'iniziativa   meramente   potestativa   di   ciascuna  delle  parti)
 l'acquisizione ed utilizzazione delle dichiarazioni nei confronti dei
 primi, ma dovrebbe, nello stesso momento  decisorio  e  nella  stessa
 pronuncia, far finta di ignorarle nei confronti di altri.
   Sembra   questa  una  conclusione  che  esporrebbe  un  processo  -
 soprattutto con  venti  imputati  come  il  presente  -  a  metodiche
 decisionali veramente poco comprensibili e praticabili, contrarie non
 solo ai principi di legalita', soggezione del giudice solo alla legge
 ed  obbligatorieta'  dell'azione penale finora ricordati, ma anche ad
 ogni ragionevolezza.
   4.  -  Un'ultima  considerazione  riguarda  d'altra   parte   anche
 l'irragionevolezza   della   normativa  transitoria  nel  suo  stesso
 funzionamento interno, poiche':
     gia' in  generale  non  sembra  rispondere  ad  alcun  canone  di
 ragionevolezza il consentire, al fine di evitare la dispersione degli
 elementi probatori, l'acquisizione di tutte le dichiarazioni divenute
 irripetibili   -   da  quelle  testimoniali  a  quelle  dei  prossimi
 congiunti, a quelle stesse degli imputati e dei coimputati per  reati
 connessi   o   collegati   -   eccettuando   solo   il  caso  in  cui
 l'irripetibilita' dipenda dalla scelta di un imputato o coimputato di
 non sottoporsi all'esame dibattimentale (mentre  correttamente  nella
 relazione  di  accompagnamento del codice si comprendeva questo tra i
 casi  di   imprevedibile   e   comunque   non   altrimenti   sanabile
 irripetibilita');  ricordando poi che tale scelta, tra l'altro, oltre
 a poter risultare del tutto casuale od arbitraria, non  puo'  neppure
 facilmente   giustificarsi  con  ragioni  difensive  dell'interessato
 quando si tratti di ex-coimputato nei cui confronti sia gia' divenuta
 irrevocabile,  come  nella specie, una sentenza di applicazione della
 pena ex art. 444  c.p.p.;  mentre,  va  ribadito,  che  per  tutti  i
 dibattimenti  in  corso, cui si applica la normativa transitoria, non
 si e' potuto neppure  ricorrere  al  previsto  rimedio  del  previsto
 incidente probatorio per prevenire la perdita delle dichiarazioni;
     inoltre la scelta fatta appare irragionevole anche per il diverso
 trattamento  riservato  a situazioni solo casualmente diverse poiche'
 la semplice circostanza che l'esame di un imputato di reati connessi,
 per motivi del tutto accidentali, proprio come avvenuto nel  presente
 processo,  sia  stato  fissato qualche mese prima di un altro analogo
 incombente comporta, nonostante le situazioni  siano  nella  sostanza
 identiche,  conseguenze processuali del tutto diverse (nel primo caso
 possibilita' di lettura, acquisizione e valutazione -  sia  pure  con
 criteri particolari - delle precedenti dichiarazioni nei confronti di
 tutti,  nell'altro  perdita  a  fini  probatori  del  contenuto delle
 precedenti dichiarazioni nei confronti di chi non sia d'accordo sulla
 loro utilizzazione).
   Proprio in riferimento a quest'ultima  problematica  il  tribunale,
 considerata  l'eccezione  proposta  da alcune difese deve tra l'altro
 sottolineare che l'utilizzabilita'  -  sia  pure  ovviamente  con  il
 diverso,   recente   criterio   di  valutazione  probatoria  -  delle
 precedenti dichiarazioni rese da chi si sia al  dibattimento  avvalso
 della  facolta'  di  non  rispondere  deve  essere  estesa anche alle
 dichiarazioni che, ancora vigente il precedente testo  dell'art.  513
 c.p.p.,   siano  state  legittimamente  acquisite  al  fascicolo  del
 dibattimento, ancorche' senza previa lettura.  A tale conclusione  si
 giunge innanzi tutto in base ad un argomento sistematico: il disposto
 dell'art.  515 c.p.p., infatti, chiarisce che la previa lettura e' in
 ogni caso lo strumento indispensabile per l'acquisizione  di  verbali
 al   fascicolo  del  dibattimento.  Se  pertanto  l'acquisizione  sia
 avvenuta senza lettura si potra' magari correttamente discutere della
 validita' di tale acquisizione, ma non del fatto che la fase prevista
 per la lettura sia gia' stata superata. La dizione letterale sia  del
 vecchio   che   del  nuovo  art.  513  non  fa  che  ribadire  -  con
 indiscutibile chiarezza - questo criterio.  Data  questa  premessa  e
 tenuto  conto  che  nella  specie  nessuna parte ha fatto a suo tempo
 eccezione alcuna all'acquisizione delle dichiarazioni del Belli senza
 previa lettura, non puo' certo parlarsi di  eventuale  nullita',  sia
 perche'  non  e'  comunque prevista una tale sanzione ed in regime di
 tassativita' delle nullita' non e' consentito dedurne di  nuove,  sia
 perche'  tutte  le  parti  avrebbero  contribuito a darvi causa e non
 potrebbero percio' eccepirla, ne' si  puo'  credibilmente  ipotizzare
 un'eventuale  inutilizzabilita' poiche' mancherebbe il presupposto di
 illegittimita' nell'acquisizione, certamente del tutto  legittima  al
 momento  in  cui e' stata disposta; in ogni caso la giurisprudenza si
 e' gia' pronunciata nel senso di ritenere la  mancata  lettura  prima
 dell'acquisizione   una   mera   irregolarita'   che   non  impedisce
 l'utilizzabilita' dell'atto (Cass. sez. 1 n. 7456/1994, Manitta).
   Si deve quindi concludere che la possibilita' di successiva lettura
 o di indicazione dell'atto come "dato per letto" ai  sensi  dell'art.
 511 c.p.p., al termine dell'istruttoria dibattimentale sia solo volta
 a  sanare  eventuali  precedenti irregolarita' per la chiarezza delle
 parti,  ma  non  abbia  affatto  la  caratteristica  di  condizionare
 l'utilizzabilita' dell'atto.
   Per  quanto  qui  interessa  percio'  risulta  rimanere  intera nel
 presente  processo  l'irragionevolezza,  per  le   ragioni   esposte,
 dell'utilizzabilita'  delle  precedenti  dichiarazioni  del  Belli ed
 invece la non acquisibilita' delle dichiarazioni rese dal Parodi, dal
 Ghirardelli e dal Bratti.
   5. - Va da ultimo evidenziato che il  tribunale  non  ritiene  allo
 stato  rilevante,  rispetto  all'attuale  situazione  processuale, la
 eventuale  questione  di  costituzionalita'  relativa  allo  speciale
 criterio "rafforzato" di valutazione delle dichiarazioni acquisite in
 seguito  al silenzio tenuto dall'imputato di reato connesso (modifica
 astrattamente legittima, alla luce dei principii costituzionali  come
 enunciati  nella  giurisprudenza  della  Corte  -  cfr. sentenza   n.
 241/1994, ma da verificare in concreto in riferimento alla  normativa
 specifica).    A prescindere, infatti, dalla ragionevolezza o meno di
 tale criterio, il tribunale non puo' ancora sapere in questa fase del
 processo  non  solo  se  le  singole  dichiarazioni  saranno  o  meno
 utilizzabili,  ma  neppure  -  qualora  lo  siano  -  se risulteranno
 confermate da riscontri oggettivi o meno e non puo'  quindi  valutare
 se  la  norma  in questione risulti o meno determinante rispetto alla
 decisione da prendere.