ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 15, comma 1, e
 46,  comma  3,  del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
 processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
 nell'art.  30  della  legge  30  dicembre 1991, n. 413), promossi con
 ordinanze emesse il 29  ottobre  1996  dalla  Commissione  tributaria
 provinciale   di  Crotone,  il  24  gennaio  1997  dalla  Commissione
 tributaria  provinciale  di  Caserta  e  l'11   aprile   1997   dalla
 Commissione   tributaria  provinciale  di  Macerata,  rispettivamente
 iscritte ai  nn.  28,  248  e  482  del  registro  ordinanze  1997  e
 pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6, 20 e 30,
 prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  14  gennaio  1998  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   1.1. - Nel corso di un procedimento promosso da un contribuente per
 la  declaratoria  di illegittimita' dell'iscrizione a ruolo, da parte
 del competente Ufficio distrettuale imposte dirette, di un debito  di
 imposta,  la  Commissione  tributaria  provinciale  di  Crotone,  con
 ordinanza emessa il  29  ottobre  1996,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  15,  comma  1, del d.lgs. 31
 dicembre 1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo  tributario  in
 attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
 30  dicembre  1991,  n. 413), che subordina la condanna alle spese di
 lite alla soccombenza  della  parte  che  ne  viene  gravata,  e  del
 successivo  art.    46,  comma  3,  dove si prevede, per l'ipotesi di
 declaratoria di cessazione della materia del contendere, che le spese
 di lite restino a carico della parte che le ha anticipate.
   La rimettente - preso atto della concorde richiesta delle parti  di
 dichiarare   la   cessazione   della   materia  del  contendere,  per
 l'intervenuto riconoscimento da parte  dell'amministrazione'nonveonta
 della  fondatezza  dell'esperita  opposizione - sospetta che le norme
 censurate si pongano in contrasto con l'art. 3 Cost., nella parte  in
 cui  "non  prevedono la possibilita' di condannare una delle parti in
 lite,  ritenuta  aver  dato  ingiustamente   luogo   al   contenzioso
 tributario,  poi  venuto  meno  per riconoscimento spontaneo da parte
 della stessa della fondatezza delle ragioni della  controparte,  alla
 rifusione a quest'ultima delle spese e competenze".
   Osserva  il  giudice  a quo che nel nuovo rito tributario - essendo
 imposto alla parte ricorrente, per le liti  di  valore  superiore  ai
 cinque milioni di lire, l'assistenza tecnica - e' stato introdotto il
 generale  obbligo,  per  chi  dia luogo ingiustamente ad una lite, di
 rifondere delle relative spese la controparte costretta ad  attivarsi
 per  resistere alle sue infondate pretese. Peraltro, nella specie, il
 riconoscimento da parte dell'Amministrazione finanziaria,  nel  primo
 atto   difensivo,   della   fondatezza  dei  rilievi  dell'opponente,
 determinando una obbligata  pronunzia  di  cessazione  della  materia
 della  lite,  beneficia  l'Amministrazione stessa di una posizione di
 privilegio,  che  la  pone  ingiustamente  al  riparo  dall'onere  di
 sopportare  le  spese  di  lite  anticipate  dalla  controparte,  con
 conseguente irragionevolezza delle denunciate norme, confliggenti con
 il principio di uguaglianza.
   1.2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che  ha  concluso  per  l'inammissibilita'  della   sollevata
 questione   ovvero   per  la  sua  infondatezza,  ricordando  che  la
 giurisprudenza   costituzionale,   sul   prevalente   rilievo   della
 specificita'  del  processo  tributario,  ha escluso - nel precedente
 regime di contenzioso - ogni violazione del principio di  uguaglianza
 e   del   diritto  di  difesa  riguardo  alle  disposizioni  che  non
 prevedevano la  condanna  alle  spese  processuali  per  il  caso  di
 soccombenza.
   Osserva   inoltre  l'Avvocatura  che,  se  l'art.  15  del  decreto
 legislativo n. 546 del 1992 - considerato l'adeguamento del  processo
 tributario  a quello civile, richiesto dalla legge delega 31 dicembre
 1991, n.   413 -  e'  perfettamente  aderente  alle  regole  generali
 fissate  dagli  artt.  92  e  96  del  codice  di  procedura  civile,
 altrettanto va detto per la  previsione  relativa  alla  ripartizione
 delle  spese in caso di estinzione del giudizio. Mentre la previsione
 normativa della cessazione della materia del contendere  quale  causa
 di  estinzione del processo tributario si ricollega alla peculiarita'
 di tale  processo  ed  alla  specificita'  del  rapporto  sostanziale
 controverso, che puo' venir meno per varie circostanze.
   2.1.  -  Nel  corso di analogo procedimento - in cui, a se'guito di
 domanda  d'annullamento  d'un  accertamento  fiscale  ed  avviso   di
 irrogazione  della  sanzione  relativi  all'anno  di imposta 1991, il
 competente Ufficio IVA aveva comunicato la regolarita' della  domanda
 di condono presentata dal ricorrente e la sua idoneita' a far cessare
 la  materia del contendere - la Commissione tributaria provinciale di
 Caserta, con ordinanza  emessa  il  24  gennaio  1997,  ha  sollevato
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma 3, del
 citato decreto legislativo n. 546 del 1992.
   Secondo la rimettente, che  svolge  considerazioni  sostanzialmente
 analoghe a quelle sviluppate dalla Commissione tributaria provinciale
 di  Crotone,  la  norma  censurata  si  porrebbe in contrasto: a) con
 l'art.  3 Cost., attesa la disparita' di  trattamento  rispetto  alla
 regola  generale  della  "soccombenza  virtuale" vigente nel processo
 civile e  l'ingiustificato  privilegio  concesso  all'Amministrazione
 finanziaria   rendendola   irresponsabile  per  i  danni  subiti  dal
 contribuente a seguito d'un comportamento di essa qualificabile  come
 negligente;  b)  con  l'art. 24, primo comma, Cost., in ragione della
 conseguente limitazione della tutela  giurisdizionale  nonche'  della
 menomazione   del   diritto   di   difesa  dei  contribuenti  stessi,
 scoraggiati ad accedere a qualunque forma di  giustizia;  c)  con  il
 primo comma dell'art. 97 Cost., legittimando anche per il futuro ed a
 tempo  indeterminato  la  violazione  dei diritti dei contribuenti da
 parte dell'Amministrazione finanziaria.
   2.2. - E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura  generale dello Stato, concludendo per
 la manifesta infondatezza della questione. Alle argomentazioni svolte
 nel   precedente   giudizio,   l'Avvocatura   aggiunge    l'ulteriore
 considerazione  relativa  alla  ragionevolezza della classificazione,
 operata  dal  legislatore,  della  cessazione   della   materia   del
 contendere nel processo tributario quale fattispecie legale tipica di
 giusti  motivi  di  compensazione delle spese, che non rappresenta un
 ingiustificato privilegio  dell'amministrazione  finanziaria,  quanto
 piuttosto  un  ragionevole  punto  di  equilibrio  tra le esigenze di
 giustizia e quelle di pronta definizione del relativo contenzioso.
   3.1. - In un analogo procedimento - nel corso del quale, a se'guito
 della richiesta di annullamento d'un avviso d'accertamento  da  parte
 di  un  contribuente,  il  competente  Ufficio  distrettuale  imposte
 dirette aveva successivamente provveduto al  suo  annullamento  -  la
 Commissione  tributaria provinciale di Macerata, con ordinanza emessa
 l'11 aprile  1997,  ha  sollevato,  con  motivazioni  sostanzialmente
 analoghe  a  quelle  svolte  dagli  altri  rimettenti,  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma 3, del citato decreto
 legislativo n. 546 del 1992, prospettando la violazione  degli  artt.
 3, primo e secondo comma, e 24 Cost.
   3.2.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 concludendo,  sulla  base di considerazioni identiche a quelle svolte
 negli altri giudizi, per la manifesta  infondatezza  della  sollevata
 questione.
                         Considerato in diritto
   1.   -   Le   Commissioni   tributarie  rimettenti  dubitano  della
 legittimita' costituzionale dell'art. 46,  comma  3,  del  d.lgs.  31
 dicembre  1992,  n.  546,  in  quanto  non prevede la possibilita' di
 condannare la parte in lite che abbia  dato  ingiustamente  luogo  al
 contenzioso  tributario,  poi  venuto  meno  per  suo  riconoscimento
 spontaneo della fondatezza  delle  ragioni  della  controparte,  alla
 rifusione delle spese processuali.
   In  particolare,  secondo  la Commissione tributaria provinciale di
 Crotone - la quale e' la sola a censurare, sulla  base  di  identiche
 considerazioni,  anche  l'art.  15, comma 1, del citato provvedimento
 legislativo -, le denunciate norme si  porrebbero  in  contrasto  con
 l'art.  3  Cost., stante l'irrazionale posizione di privilegio di cui
 verrebbe a godere l'Amministrazione finanziaria, posta  ingiustamente
 al  riparo dall'onere di sopportare le spese di lite anticipate dalla
 controparte.
   A giudizio delle Commissioni  tributarie  di  Caserta  e  Macerata,
 invece,  alla lesione del principio di uguaglianza - conseguente alla
 disparita'  di  trattamento  rispetto  alla  regola  generale   della
 "soccombenza    virtuale",   valevole   nel   processo   civile,   ed
 all'ingiustificato    privilegio     concesso     all'Amministrazione
 finanziaria,  irresponsabile  per  i  danni subiti dal contribuente a
 seguito di un comportamento di essa qualificabile come  negligente  -
 si   accompagnerebbe   la  violazione  dell'art.  24  Cost.,  per  la
 limitazione della tutela giurisdizionale e la menomazione del diritto
 di difesa che ne deriverebbero al contribuente, il quale, pur  avendo
 ragione,   potrebbe   essere   indotto   a   non   ricorrere   contro
 l'Amministrazione stessa.
   Per la sola Commissione tributaria di Caserta, infine, il censurato
 comma 3 dell'art. 46 violerebbe  altresi'  l'art.  97,  primo  comma,
 Cost.,  legittimando  di  fatto,  anche  per  il  futuro  ed  a tempo
 indeterminato, la violazione dei diritti dei  contribuenti  da  parte
 dell'Amministrazione finanziaria.
   2.  -  I  giudizi, riguardanti questioni sostanzialmente identiche,
 possono essere riuniti e congiuntamente decisi.
   3. - Le questioni non sono fondate.
   3.1.1.  -  Quanto  alla  prospettata  lesione  del   principio   di
 uguaglianza, va anzitutto rilevata l'incomprensibilita' della censura
 rivolta dalla Commissione tributaria di Crotone all'art. 15, comma 1,
 col  quale  il legislatore delegato non ha fatto altro che conformare
 la disciplina delle spese nel  nuovo  processo  tributario  a  quella
 prevista dal codice di procedura civile, in evidente correlazione con
 la  obbligatorieta'  dell'assistenza  tecnica della parte privata nel
 giudizio  (disposta  dall'art.  12,  con  eccezione   per   le   sole
 controversie di valore inferiore a 5 milioni di lire).
   3.1.2.  -  Dal  paradigma  processuale  del giudizio civile (al cui
 specifico ambito appartiene la  costruzione  giurisprudenziale  della
 "soccombenza  virtuale") si diparte invece il successivo art. 46, che
 nel comma 1 ricomprende tra le ipotesi di estinzione del giudizio  la
 cessazione  della  materia del contendere, stabilendo poi nel comma 3
 che "le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano sempre
 a carico della parte che le ha anticipate".
   Va pero' notato che  il  processo  tributario,  rispetto  a  quello
 civile  ed  amministrativo,  conserva  una sua spiccata specificita',
 correlata  sia  alla  configurazione  dell'organo  decidente  sia  al
 rapporto  sostanziale oggetto del giudizio. Rapporto che attiene alla
 fondamentale ed imprescindibile esigenza dello Stato  di  reperire  i
 mezzi  per  l'esercizio  delle  sue  funzioni  attraverso l'attivita'
 dell'Amministrazione finanziaria, la quale  ha  il  potere-dovere  di
 provvedere,  con  atti  autoritativi, all'accertamento ed alla pronta
 riscossione dei tributi.
   Stante  la  piena  autonomia  dei  sistemi  processuali   messi   a
 confronto,  che  si  presentano  in se' compiuti e riguardano liti in
 materie non omogenee, la non simmetrica  costruzione  delle  relative
 singole  norme  non e' dunque idonea a produrre il prospettato vulnus
 al principio di uguaglianza (v. sentenza n. 79 del  1997).  Basti  in
 proposito  ricordare  il  costante  orientamento giurisprudenziale di
 questa Corte, secondo cui un  modello  processuale  non  puo'  essere
 assunto a parametro per un rito diverso.
   3.1.3.  -  D'altronde, la obbligatorieta' della compensazione delle
 spese e' prevista in  ogni  caso  di  cessazione  della  materia  del
 contendere,  venendo  sotto  questo  profilo  le  parti  del processo
 tributario poste sullo stesso piano.  Donde  l'assenza  dell'asserito
 privilegio a favore della pubblica amministrazione.
   Il  legislatore  con  la denunciata disposizione non ha fatto altro
 che ricondurre ad una regola sistematica (peraltro residuale)  quanto
 in  precedenza  era  stato  disposto  da  provvedimenti  normativi  a
 contenuto  particolare,  specie  in  occasione  dei  ciclici  condoni
 tributari, costruendo - come la dottrina non ha mancato di rilevare -
 una  categoria  astratta di situazioni comportanti sempre il medesimo
 effetto, "salvo diverse disposizioni di legge".  Ed  appare  evidente
 come  tale  regola  sia frutto di un bilanciamento tra le istanze dei
 singoli  e  la  conservazione  delle  peculiari  caratteristiche   di
 snellezza   del  processo  tributario,  la  cui  articolazione  assai
 semplice, funzionale all'esigenza della  massima  celerita',  avrebbe
 mal  tollerato la indubbia complicazione costituita dall'accertamento
 di  merito  necessario  onde  stabilire  la  "soccombenza  virtuale",
 comportante una pronunzia soggetta ad impugnazione.
   Tanto  basta per ritenere che il legislatore non abbia nella specie
 superato il limite della  razionalita'  nell'opera  di  conformazione
 degli  istituti  processuali  che  e'  del  tutto  affidata  alla sua
 discrezionalita'; e dunque per escludere anche sotto  questo  profilo
 la prospettata violazione dell'art. 3 Cost.
   3.2.  -  Privi  di  consistenza sono altresi' i dubbi sollevati con
 riferimento all'art. 24 Cost.
   Questa   Corte   -   ripetutamente   investita   del   vaglio    di
 costituzionalita'  dell'art.  39  del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636,
 che sanciva l'inapplicabilita' al processo  tributario  (come  allora
 regolato)  delle  disposizioni  del  giudizio  civile  riguardanti la
 ripartizione tra le  parti  delle  spese  processuali  -  aveva  gia'
 ritenuto  non incostituzionale detta norma, osservando che l'istituto
 della condanna del soccombente al pagamento delle spese stesse ha si'
 carattere   generale  ma  non  anche  portata  assoluta,  potendosene
 profilare la derogabilita',  oltre  che  ad  opera  del  giudice  del
 singolo  processo quando ricorrano giusti motivi ai sensi del secondo
 comma dell'art. 92 cod. proc. civ., anche per previsione normativa in
 presenza di elementi  che  giustifichino  la  diversificazione  della
 regola generale sancita nel codice di rito civile (v. sentenza n. 196
 del  1982  e successive ordinanze n. 41 del 1984, n. 335 del 1987, n.
 244 del 1989, n. 29 del 1991).
   In tali occasioni la Corte aveva altresi' affermato  e  ribadito  -
 facendo   riferimento   alla  diversita'  e  maggiore  snellezza  del
 procedimento tributario rispetto a quello  civile  ordinario  -  come
 l'effettiva  predisposizione  delle  difese  in giudizio prescindesse
 dalla possibilita' di conseguire  la  (eventuale)  ripetizione  delle
 spese  processuali;  con  cio'  escludendo  la  paventata  violazione
 dell'art. 24 Cost.
   Da codeste conclusioni non v'e'  ragione  di  discostarsi,  pur  in
 presenza  delle  innovazioni  apportate  al  sistema  processuale del
 contenzioso tributario dal decreto legislativo n. 546 del  1992  onde
 adeguarlo  a  quello  civile,   in attuazione dei princi'pi e criteri
 contenuti nell'art. 30, lettera g), della legge  delega  30  dicembre
 1991,  n.    413. Ed a fortiori, allora, deve ritenersi che l'obbligo
 per il giudice di dichiarare  compensate  le  spese  processuali  non
 comporta la lamentata menomazione del diritto di difesa.
   Principio  insuperabile  e'  esclusivamente  quello  che  la  parte
 vittoriosa non venga gravata, in tutto o in  parte,  delle  spese  di
 lite  (v.  sentenza  n.  46  del  1975). La compensazione e', invece,
 istituto di regola lasciato  al  potere  discrezionale  del  giudice,
 sulla  base  d'un  apprezzamento  dell'esistenza di giusti motivi, la
 quale,  appunto,  nella  normativa  de  qua   viene   sostanzialmente
 affermata dal legislatore con la previsione di una fattispecie legale
 tipica.
   3.3.  -  Palesemente priva di fondamento, infine, e' la prospettata
 violazione  dell'art.  97  Cost.,  poiche'  tale  parametro   attiene
 esclusivamente  alle  leggi  concernenti  l'ordinamento  degli uffici
 giudiziari   nonche'   al   loro   funzionamento   sotto    l'aspetto
 amministrativo,  e  non  e'  invece  riferibile a norme, quali quella
 sottoposta al presente  scrutinio,  che  regolano  l'esercizio  della
 funzione giurisdizionale (v., da ultimo, sentenze n. 182 e n. 225 del
 1996).