ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della  legge
 della  regione  Liguria  22  dicembre 1983, n. 50 (Determinazione del
 canone sociale per l'edilizia  residenziale  pubblica),  e  dell'art.
 46, comma 4 della legge della regione Liguria 28 febbraio 1983, n.  6
 (Procedure, organi e competenze in materia di edilizia residenziale e
 norme per il controllo degli Istituti autonomi per le case popolari),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il 29 ottobre 1996 dal tribunale di
 Genova, nel procedimento civile vertente tra  Domenico  Caneva  e  lo
 I.A.C.P.  della  provincia di Genova, iscritta al n. 343 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto l'atto di intervento della regione Liguria;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 febbraio 1998 il giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti.
   Ritenuto che, con ordinanza del 29 ottobre 1996, nel  corso  di  un
 giudizio  civile,  il  tribunale  di Genova ha sollevato questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  11,  (recte,  primo   comma,
 lettera  b))  della  legge  regione  Liguria  22 dicembre 1983, n. 50
 (Determinazione  del  canone  sociale  per  l'edilizia   residenziale
 pubblica), nonche' dell' art. 46, quarto (recte, quinto) comma, della
 legge  regione  Liguria  28  febbraio 1983, n. 6 (Procedure, organi e
 competenze in  materia  di  edilizia  residenziale  e  norme  per  il
 controllo   degli   Istituti  autonomi  per  le  case  popolari),  in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione;
     che, ad avviso dei giudici  a  quibus  l'art.  11,  primo  comma,
 lettera  b), della legge regionale n. 50 del 1983, nella parte in cui
 fissa il canone di locazione a  carico  degli  assegnatari  che  sono
 titolari  di  pensione  di importo non superiore alla pensione minima
 INPS aumentato dell'importo di una pensione sociale, ovvero che  sono
 minorenni o handicappati, in misura piu' bassa di quella prevista per
 gli  assegnatari  i  quali non godono di alcun reddito, realizzerebbe
 una ingiustificata disparita'  di  trattamento  in  danno  di  questi
 ultimi;
     che,  secondo  il tribunale, l'art. 46, quinto comma, della legge
 regionale n. 6 del 1983, prevedendo che l'ente gestore degli  alloggi
 di  edilizia  residenziale  pubblica puo' richiedere agli assegnatari
 morosi nel pagamento del canone la corresponsione di una  somma  pari
 ai  canoni non riscossi, aumentata del 20 per cento annuo a titolo di
 interessi e  danni,  determinerebbe  un'irragionevole  disparita'  di
 trattamento  rispetto  ai  conduttori  di  alloggi privati, in quanto
 questi ultimi, qualora si rendano morosi, sono obbligati a  risarcire
 soltanto i danni che il locatore provi d'avere effettivamente subito;
     che  la regione Liguria, intervenuta nel giudizio, ha chiesto che
 la questione sia dichiarata infondata, in quanto  entrambe  le  norme
 denunziate  sono  state  abrogate  e,  nel  merito,  ne  ha  eccepito
 l'infondatezza, sia  perche'  le  disposizioni  erano  conformi  alle
 direttive stabilite nella delibera del Comitato interministeriale per
 la programmazione economica del 19 novembre 1981, adottata ex art. 2,
 secondo comma, della legge 5 agosto 1978, n. 457, e che reca principi
 direttivi  i quali vincolano il legislatore regionale, sia perche' la
 diversita' tra le  situazioni  poste  in  comparazione  fa  escludere
 l'eccepita violazione del canone di uguaglianza.
   Considerato  che  la  prima  delle  due  norme  denunziate e' stata
 espressamente abrogata dalla legge regionale  21 giugno 1996, n. 27 e
 cosi' pure la seconda e' stata  espressamente  abrogata  dalla  legge
 regionale  3  marzo  1994,  n.  10,  senza  che il relativo contenuto
 normativo  sia  stato  riprodotto  nelle   disposizioni   che   hanno
 diversamente disciplinato la materia;
     che  l'ordinanza  di rimessione, nonostante l'art. 11 della legge
 regionale n. 50 del 1983, prima di essere abrogato, fosse stato  gia'
 innovato  dall'art. 57 della legge regionale 3 maggio 1985, n. 33, fa
 riferimento al testo della norma nella sua formulazione originaria  e
 non contiene alcun accenno, esplicito o implicito, alle modificazioni
 introdotte da quest'ultima legge;
     che,  secondo  la  giurisprudenza  della  Corte, qualora le norme
 oggetto di censura siano abrogate o comunque modificate, i giudici  a
 quibus   devono  indicare  puntualmente  i  concreti  elementi  della
 fattispecie sottoposta al loro esame ed esporre le argomentazioni che
 fondano il giudizio  di  perdurante  rilevanza  della  questione  (ex
 plurimis ordinanza n. 419 del 1997);
     che, invece, l'ordinanza di rimessione non esplicita affatto tali
 circostanze  e  peraltro,  relativamente  alla  norma contenuta nella
 legge regionale n.  50  del  1983,  neppure  chiarisce,  come  invece
 sarebbe  stato  necessario in considerazione del riferimento al testo
 anteriore alle modificazioni introdotte dalla legge regionale  n.  33
 del  1985,  quale  delle  due  formulazioni  ritiene applicabile alla
 fattispecie, sicche' risulta del tutto carente la  motivazione  sulla
 rilevanza della questione.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.