IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE Ha pronunciato la seguente ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale (art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87), nel processo n. 10/1997 rg gip nei confronti di: Clementi Luciana, nata a Teglio (Sondrio), il 24 gennaio 1945, ivi residente, via Roma, 62/A, difesa di fiducia dall'avv. Gabriele Bolognini di Sondrio, domiciliatario; imputata "del delitto p. e p. dall'art. 323, comma 1 e 2, c.p., per avere, quale sindaco del comune di Teglio, rilasciato in data 10 giugno 1993 a Pusterla Maria Gina concessione edilizia per la costruzione di un complesso produttivo agricolo, mentre in effetti trattavasi di una villa residenziale, come poteva desumersi dagli stessi progetti presentati e per di piu' senza verificare se la Pusterla fosse iscritta nell'albo degli imprenditori agricoli e senza esigere l'atto di impegno al mantenimento della destinazione agricola e la sua trascrizione sui registri della proprieta' immobiliare e per avere rilasciato la medesima concessione edilizia sulla base di una variazione di progetto (spostamento del sedime del fabbricato di circa m 25) presentato il giorno precedente (9 giugno 1993) a quello del rilascio (10 giugno 1993) e non sottoposto all'esame della commissione edilizia, ne' al parere del tecnico comunale, ed in violazione della distanza di rispetto (metri 200) dell'area di espansione residenziale prescritta dalle norme tecniche di attuazione del P.R.G., adottato il 24 dicembre 1993 e cioe' successivamente alla data del parere della commissione edilizia sul progetto originario, ma prima della presentazione della variazione di progetto e del rilascio della concessione edilizia stessa e nonostante l'espresso riferimento alla efficacia immediata delle norme in salvaguardia e in particolare senza osservanza della predetta distanza di rispetto dall'area di espansione residenziale, il tutto al fine di procurare alla Pusterla un ingiusto vantaggio patrimoniale. In Teglio il 10 giugno 1993". Decidendo sulla eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 323 c.p. in relazione all'art. 25, comma secondo, e 24, comma secondo, della Costituzione sollevata dalla difesa dell'imputato nel corso della udienza preliminare del 5 febbraio 1998; Sentito il p.m.; O s s e r v a 1. - Premessa. In sede di udienza preliminare il giudice ha il potere/dovere di pronunciare sentenza di non doversi procedere o di non luogo a procedere nel caso in cui "il fatto non e' previsto dalla legge come reato" (vedi artt. 129 e 425 c.p.p.). Primo compito del giudice e' pertanto quello di verificare se, in seguito alla modifica normativa dell'art. 323 c.p. apportata con legge 16 luglio 1997, n. 234, ricorrano i presupposti per pronunciare sentenza di proscioglimento (n.d.p. o n.l.p.) perche' il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato. Ove tale riscontro dia esito positivo (ossia si ritenga la non riconducibilita' della condotta contestata nel precetto dell'attuale art. 323 c.p.), il giudice deve prosciogliere l'imputato in base all'art. 2, comma secondo, c.p., trattandosi di fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato. In tale ipotesi una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323, vecchio testo, c.p. sarebbe, di tutta evidenza, non rilevante ai sensi dell'art. 23, comma secondo, legge n. 87/1953. Qualora invece la condotta ascritta all'imputato sia astrattamente sussumibile nella nuova fattispecie incriminatrice, la norma di cui all'art. 323 antevigente troverebbe necessaria applicazione in virtu' dei principi di cui all'art. 2, commi 1 e 3, c.p., dovendo il giudice verificare se la condotta de qua rientri anche nella precedente fattispecie incriminatrice, in vigore al momento della commissione del fatto. In tal caso la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 antevigente si pone come presupposto indispensabile per la definizione del giudizio, dal momento che, se quella fattispecie normativa dovesse essere dichiarata costituzionalmente illegittima (con conseguente espunzione dall'ordinamento giuridico), il giudice altro non potrebbe fare che rendere sentenza di proscioglimento, perche' il fatto non e' (rectius: non era) previsto dalla legge come reato, in ossequio al principio di irretroattivita' della legge prenale. In sostanza, qualora il fatto contestato, commesso nella vigenza dell'art. 323, vecchio testo, c.p., sia astrattamente sussumibile anche nella fattispecie dell'art. 323, nuovo testo, c.p., la questione della legittimita' costituzionale delal prima norma e' certamente rilevante, laddove, in caso contrario, il giudizio puo' essere definito senza ricorrere all'intervento della Corte costituzionale. 2. - Quanto alla rilevanza. Fatta questa premessa si deve quindi procedere alla verifica in astratto della riconducibilita' del fatto contestato all'imputata Clementi Luciana nella fattispecie normativa del nuovo art. 323 c.p., al fine di accertare se tutti gli elementi costitutivi dell'illecito penale come individuato nella vigente norma "siano stati ritualmente descritti nell'imputazione o altrimenti contestati all'imputato" (cosi' Cass. 25 gennaio 1993, n. 553), o comunque se gia' dalla stessa formulazione del capo d'imputazione si evinca l'insussistenza di almeno un elemento costitutivo del nuovo reato in oggetto. Si ritiene che, nel caso di specie, non sussistano i presupposti per l'emanazione di una sentenza di n.d.p. o di n.l.p., poiche' dall'esame del capo d'imputazione risulta che nello stesso sono state contestate all'imputata condotte di abuso astrattamente sussumibili nel nuovo testo dell'art. 323 c.p., essendo, la condotta descritta, avvenuta nell'esercizio delle funzioni di sindaco e non potendosi escludere che l'abuso come contestato sia consistito anche in violazione di legge o di regolamento. Essendosi, poi, il reato contestato, consumato il 10 giugno 1993, non sussistono neppure i presupposti per dichiarare la sopravvenuta prescrizione del reato. Risulta pertanto rilevante la questione di legittimita' costituzionale in oggetto. 3. - Quanto alla non manifesta infondatezza. Si ritiene al riguardo che il principio di tassativita' cui, a norma dell'art. 25, comma secondo, della Costituzione, devono conformarsi le norme incriminatrici penale, esprima l'esigenza di evitare la genericita' e l'indeterminatezza della fattispecie astratta, in modo che non soltanto sia assicurata al giudice la possibilita' di individuare, a mezzo degli usuali metodi ermeneutici, la condotta penalmente rilevante, ma anche per consentire ai consociati di conoscere preventivamente cio' che e' reato da cio' che non lo e'. Cio' posto, l'interpretazione corrente della norma di cui all'art. 323 testo previgente ricomprende nella condotta dell'abuso "ogni violazione del parametro di doverosita' come risulta dalle regole normative improntate ai principi di legalita', imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione" (cosi' Cass. n. 9730/1992), e "qualsivoglia comportamento del pubblico ufficiale esplicantesi in una illecita deviazione dai fini istituzionali della pubblica amministrazione" (cosi' Cass. n. 5340/1993), nonche' gli atti viziati da eccesso di potere. La suddetta interpretazione, che costituisce diritto vivente, non consente di escludere dubbi sull'indeterminatezza della fattispecie penale di cui trattasi, stante la aleatorieta' di figure quali "parametro di doverosita'" ai "fini istituzionali" e l'assenza di una definizione normativa della figura dell'eccesso di potere, i cui contenuti sono stati individuati soltanto ex post dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa ed e' figura il cui contenuto e' in costante evoluzione e cambiamento. Si ritiene inoltre che la incertezza della norma di cui all'art. 323 non permetta un efficace esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Pertanto non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale come sopra sollevata.