IL PRETORE Ha pronunziato la seguente ordinanza nel giudizio promosso da Maietta Roberto, rappresentato dall'avv. Arturo Iaione contro l'Ispettorato provinciale del lavoro di Avellino, rappresentato dal funzionario delegato dott.ssa Chiara Orrei. 1. - Con ricorso depositato il 28 novembre 1996 Maietta Roberto proponeva opposizione avverso l'ordinanza dell'Ispettorato provinciale del lavoro con la quale gli veniva ingiunto il pagamento di L. 154.100, per violazione dell'art. 1, del regio decreto-legge n. 692 del 15 marzo 1923. L'Ispettorato si costituiva in giudizio, per mezzo del predetto funzionario delegato, ai sensi dell'art. 23, della legge n. 689 del 1981 e chiedeva il rigetto del ricorso. Questo pretore, dovendo decidere la causa, rileva che, in base all'interpretazione data dell'art. 91, del c.p.c. dai giudici di merito e dalla stessa S.C. di Cassazione, non e' possibile condannare il ricorrente, se soccombente, al pagamento delle spese di lite (seguendo un orientamento formatosi gia' con riferimento al regio decreto n. 1611 del 1933, s'esclude il diritto della pubblica amministrazione di ripetere le spese processuali perche' l'art. 91, del c.p.c., applicabile anche ai giudizi disciplinati dalla legge n. 689, si riferisce ai soli avvocati e non e' applicabile quando la rappresentanza deriva da un rapporto interno tra ente e funzionario), e ritenendo che cio' contrasti con la Costituzione e con i suoi principi, sottopone al vaglio di legittimita' la normativa stessa. 2. - Il diritto di difesa, riconosciuto e garantito dalla Costituzione (art. 24) incontra, nella sua disciplina ed attuazione, limitazioni derivanti da norme e principi costituzionali, tra cui quelli di responsabilita' processuale, di ragionevolezza e di uguaglianza. E' principio fondamentale della retta amministrazione della giustizia che chi promuove un giudizio, o intende provocare un provvedimento atto a modificare la situazione degli interessi coinvolti, deve affrontare una responsabilita'. Sarebbe in contrasto con la funzione del processo una struttura di questo che fosse regolata in modo da consentire l'eventuale abuso delle misure giudiziarie ai fini dell'utile di una sola delle parti, mossa da intenti defatigatori o addirittura di lucro, e pertanto non meritevoli di tutela giuridica. La Corte costituzionale nella sentenza n. 56 del 1963, richiamata nelle sentenze n. 83 dello stesso anno e n. 69 del 1964, ha affermato che: "... e' di interesse pubblico il richiamare la parte ad una sua responsabilita' nell'apprezzamento delle proprie ragioni, in modo che del diritto d'azione non abusi e, abusandone, rechi intralcio all'amministrazione della giustizia. Ne' alla protezione di questo interesse pubblico ostano precetti costituzionali, non essendo possibile dare al diritto alla tutela giurisdizionale un'estensione tale da farne sviare la funzione, dirigendola ad uno scopo sterile e dilatorio". In base all'enunciato principio si deve ritenere che contrasti con l'interesse pubblico e con il corretto andamento della giurisdizione la mancata previsione nella legge n. 689, e nell'art. 91 c.p., di una sanzione processuale e della possibilita' di condannare il ricorrente alle spese di lite in caso di soccombenza. Il nostro ordinamento, al fine di assicurare il corretto andamento della giurisdizione e di evitare l'abuso degli strumenti di garanzia del diritto di difesa, prevede delle sanzioni processuali (ad es. art. 54 comma secondo c.p.c.) . L'esigenza di richiamare la parte ad una sua responsabilita' appare di particolare evidenza nel codice di procedura penale dove, nonostante gli interessi coinvolti siano molto importanti, ricevendo una tutela privilegiata dalla stessa Costituzione, pur sono previste delle norme tendenti ad evitare l'abuso dei mezzi di difesa (ad es. 616 c.p.p.). Del principio di responsabilita' processuale e' espressione il principio di soccombenza, che e' sancito dal citato art. 91 c.p.c. Il legislatore, talvolta, per esigenze di protezione di soggetti socialmente deboli, ha escluso l'applicazione del principio, cosi' come per i giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali, ma anche in tali casi ha introdotto delle norme di salvaguardia, prevedendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese nel caso di lite temeraria (art. 152 disp. att. c.p.c). Nessuna sanzione invece e' prevista dalla legge n. 689 per evitare gli abusi, che si possono verificare e che di fatto accadono. Il ricorrente dal rigetto dell'opposizione non puo' subire alcuna conseguenza pregiudizievole, anzi puo' ricevere solo vantaggi. Infatti egli non puo' essere condannato alle spese, ne' gli puo' essere applicata una qualche sanzione, ed intanto non paga la somma dovuta e quando dovra' esborsarla, dopo molti anni, considerata l'ordinaria durata del processo, la paghera' nell'ammontare iniziale, non essendo previsti interessi o pene pecuniarie per il mancato pagamento. Se poi il giudizio ha un esito favorevole ad esso ricorrente, magari per vizi procedurali, la convenienza diventa maggiore perche' l'amministrazione pubblica dovra' sopportare anche le spese. Non sono individuabili ragioni per le quali non sia conveniente impugnare un'ordinanza-ingiunzione, poiche' anche nell'ipotesi piu' sfavorevole, del rigetto, si consegue il vantaggio di pagare la sanzione dopo molti anni. Per le esposte ragioni il giudizio, peraltro gratuito e con adempimenti a carico degli uffici giudiziari, viene sempre intentato, anche per sanzioni modestissime, come quella in esame (ma si possono anche richiamare tutte le infrazioni piu' lievi del codice della strada ed altre che, non prevedendo un ammontare minimo, consentono di irrogare sanzioni di circa L. 10.000). La gratuita', la previsione di tutti gli adempimenti a carico degli uffici giudiziari, l'assenza di sanzioni, l'inoperativita' dell'onere delle spese processuali da un lato e la complessita' del giudizio dall'altro (talvolta viene richiesta, come nel caso in esame, una complessa attivita' istruttoria, inclusa la prova testimoniale), comportano per l'amministrazione della giustizia un aggravio sia quantitativo sia qualitativo, spesso sproporzionato rispetto all'entita' degli interessi economici coinvolti. In tale situazione, ed in assenza di qualsiasi richiamo della parte ad una sua responsabilita', appare evidente che il diritto alla tutela giurisdizionale e' disciplinato in modo tale da consentire lo sviamento della funzione e l'intralcio all'amministrazione della giustizia. Per tutto quanto esposto questo pretore ritiene non conforme ai principi di soccombenza, responsabilita' processuale, corretto e buon andamento dell'amministrazione della giustizia (art. 3, 24 e 97 della Costituzione) la legge n. 689 del 1981 e l'art. 91 del c.p.c., nella parte in cui non prevedono la condanna del ricorrente, in caso di soccombenza, o almeno di lite temeraria, al pagamento delle spese di lite o di una sanzione processuale. 3. - L'illegittimita' della richiamata norma va prospettata anche sotto un diverso profilo, con riferimento all'art. 3 della Costituzione. Il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, disciplinante il processo tributario, prevede che il Ministero delle finanze, se sta in giudizio per mezzo di propri funzionari, ha diritto al rimborso delle spese processuali in base alle tariffe degli avvocati, per diritti ed onorari, con riduzione del 20% (artt. 12 e 15), mentre la legge n. 689, e l'art. 91 c.p.c., non consentono di condannare il soccombente al pagamento delle spese di lite. Si determina, ad avviso di questo pretore, un'ingiustificata disparita' di trattamento, non potendosi individuare alcuna differenza, di carattere sostanziale o formale, tra l'amministrazione finanziaria e le altre che ugualmente stanno in giudizio per mezzo di propri funzionari. Anche avuto riguardo alla ratio della citata normativa del decreto legislativo n. 546, individuabile nell'esigenza di evitare giudizi defatigatori e strumentali, si deve ritenere che essa sia comune anche al giudizio disciplinato dalla legge n. 689 del 1981, e pertanto non appare giustificabile la diversa disciplina. Ne', infine, puo' valere la considerazione che nel giudizio innanzi al pretore non e' richiesta la rappresentanza di un procuratore perche' cio' e' possibile, seppur entro limiti determinati, anche nel giudizio tributario (art. 15 decreto legislativo n. 546 del 1992). Per tutte le esposte ragioni questo pretore ritiene che la legge n. 689 del 1981 e l'art. 91 del codice di procedura civile siano in contrasto con gli artt. 24, 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non consentono al pretore di condannare il ricorrente, nel caso di soccombenza, e salva l'applicazione dell'art. 92 c.p.c., al pagamento delle spese di lite in favore dell'amministrazione resistente costituitasi in giudizio per mezzo di propri funzionari. Ritenuta l'ammissibilita' e la non manifesta infondatezza della questione, trattandosi di legge dello Stato da applicare nella decisione del giudizio; ritenuta altresi' la rilevanza della questione, poiche' dalla pronunzia della Corte costituzionale discende la possibilita' di condannare o meno il ricorrente al pagamento delle spese di lite; Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;