IL PRETORE
   Ha emesso la seguente ordinanza, visti gli  atti  del  procedimento
 penale  contro  Latini  Carlo  imputato del reato di cui: a) art. 20,
 lett. C), legge n. 47/1985 in relazione all'art. 1 e 1-sexies,  legge
 n.  431/1985;  b)  art. 734 c.p.; c) artt. 1, 3, 17, 18 e 20 legge n.
 64/1974.
   Il giudice remittente e' chiamato ad applicare, tra l'altro  l'art.
 1-sexies,   legge   n.  431/1985  in  merito  al  quale  si  sospetta
 l'incostituzionalita' come da motivazione che di seguito si esprime.
   Tanto  premesso  in  punto  di  rilevanza   sulla   non   manifesta
 infondatezza, si osserva.
   La  previsione  di  cui  all'art.  82, quinto comma, lett. h), come
 modificato dall'art.  1,  legge  n.  413/1985,  nel  momento  in  cui
 sottopone a "vincolo paesaggistico" ai sensi della legge n. 1497/1939
 tutte  e indiscriminatamente "le zone gravate da usi civici e le aree
 assegnate alle universita' agrarie", contrasta con gli artt. 3,  9  e
 97  della  Costituzione e con il principio del "giusto procedimento",
 anch'esso  di  rilevanza  costituzionale   in   quanto   strettamente
 collegato  alla  tutela  delle situazioni dei cittadini nei confronti
 dei pubblici poteri (Corte cost. n. 18/1962).
   E' noto che la Corte costituzionale (con sentenza n.  151/1986)  ha
 affrontato - in sede di conflitto di attribuzione - alcuni profili di
 dedotta incostituzionalita' della legge n. 431/1985.
   In  tale  sede  la Corte nell'attribuire alle norme il carattere di
 grande riforma economica e sociale  ha  affermato  che  dalle  stesse
 emerge  "una  nuova  concezione  della  tutela paesaggistica" "che si
 sostanzia in  una  riconsiderazione  assidua  dell'intero  territorio
 nazionale alla luce della primarieta' del valore estetico-culturale".
 Mentre  infatti,  la normativa di cui alla legge n. 1497/1939 prevede
 una "tutela diretta ... di localita' di particolare  pregio  estetico
 isolatamente  considerate",  quella  di  cui  alla legge n. 431/1985,
 introduce  una  tutela  improntata  a  integralita'   e   globalita',
 attraverso  "la  imposizione  del  vincolo  paesaggistico  (e  quindi
 preclusioni di sostanziali alterazioni della forma del territorio) in
 ordine a vaste porzioni e a numerosi elementi del  territorio  stesso
 individuati secondo tipologie paesistiche ubicazionali o morfologiche
 rispondenti  a  criteri  largamente  diffusi  e consolidati nel lungo
 tempo".
   Se tale e' la nuova "concezione" della tutela (alla luce di  valori
 estetico-culturali)   basata,  peraltro,  su  "tipologie  paesistiche
 ubicazionali o morfologiche rispondenti a criteri largamente  diffusi
 e  consolidati",  non  c'e'  chi  non veda che l'applicazione di tali
 "principi e criteri" alle "zone gravate di usi  civici  e  alle  aree
 assegnate  alle  universita' agrarie" - indiscriminatamente - sia del
 tutto irragionevole ed incoerente,  privo  di  giustificazione  anche
 solo  teorica  e  fonte  di  evidente  ingiustizia  e  disparita'  di
 trattamento, essendo riferibile solo ad una caratteristica  giuridica
 delle  aree  in questione, che del tutto prescinde per la sua natura,
 da  caratteristiche  fisiche o morfologiche o ubicazionali delle aree
 stesse e non e' affatto riferibile a  criteri  largamente  diffusi  e
 consolidati.
   Attraverso  tale  vincolo  indiscriminato,  che  viene a gravare su
 amplissimi territori di proprieta' pubblica e privata  (e'  noto  che
 l'uso  civico puo' essere esercitato soprattutto su terreni privati),
 che possono essere, come spessissimo sono, privi di qualsiasi valenza
 paesistico-ambientale, si viene, infatti:
     1) a vulnerare, in modo del tutto irragionevole, il  precetto  di
 cui  all'art.  9  della  Costituzione,  che    se  assume  il  valore
 estetico-culturale come  primario,  sempre  comporta,  peraltro,  che
 nelle  forme concrete di  tutela il valore stesso sia ragionevolmente
 individuato e preventivamente riconosciuto ed in effetti sussista, in
 relazione  a  caratteristiche  ad  esso  proprie  e  non   attraverso
 l'utilizzazione   di   caratteri   e/o   qualificazioni     meramente
 giuridiche.
   Nel caso di specie, poi, il vincolo cosi' imposto viene palesemente
 a  interferire  proprio  con  l'esercizio  di  quei  diritti  la  cui
 esistenza e' assunta quale presupposto della imposizione, nonche' con
 l'esercizio  di  facolta'  private e pubbliche di utilizzo delle aree
 che vengono del tutto ingiustificatamente compresse;
     2) ne puo' dimenticarsi che per consolidata giurisprudenza (Cons.
 Stato n. 1351/1988 e Corte cost. n. 56/1968)  i  beni  aventi  valore
 paesistico  "costituiscono una categoria originariamente di interesse
 pubblico", da cui la natura non ablatoria dei vincoli. Peraltro,  ove
 tale  "originario interesse pubblico" non possa ritenersi sussistente
 (perche' i beni vengono individuati senza alcun riferimento alla loro
 struttura fisica, ubicazionale e/o morfologica), il vincolo assume un
 contenuto  ablatorio  in  palese  contrasto  con  l'art.   42   della
 Costituzione;
     3)  tale  indiscriminato  e  irragionevole  vincolo viene anche a
 porsi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ponendo in essere
 una  irragionevole,  arbitraria  e  non  giustificata  disparita'  di
 trattamento, tra i cittadini proprietari, possessori e utenti di aree
 gravate  da usi civici, che vedono gravemente limitate e/o escluse le
 facolta'  di  godimento  ed  utilizzo  loro  spettanti  e  gli  altri
 cittadini,  senza  che  le  aree  soggette  a vincolo siano mai state
 oggetto  di  valutazione  e/o  accertamento  del  carattere  (assunto
 apoditticamente    ed   in   via   generale)   della   loro   valenza
 paesistico-ambientale,  ne'  in  concreto  ne'   in   riferimento   a
 caratteristiche  morfologico-ubicazionali  obiettivamente  comuni tra
 loro;
     4) e', infine, vulnerato il principio del giusto  procedimento  e
 l'art. 97 della Costituzione, entrambi posti a tutela delle posizioni
 soggettive dei cittadini nei confronti dei pubblici poteri.
   Attraverso   tale   vincolo   indiscriminato,   ed  in  assenza  di
 qualsivoglia norma di coordinamento e procedimentale, da un  lato  si
 viene  ad  interferire  nella  attivita'  di  gestione  delle aree e,
 dall'altro,  nell'esercizio  delle  facolta'   e   dei   diritti   di
 proprietari e degli utenti. Ne' puo' soccorrere, al riguardo, il gia'
 ricordato  principio  della  "nuova  forma  di  tutela  improntata ad
 integralita' e globalita'" poiche', in ogni caso, manca a  sostenerla
 -  in  riferimento  alla  categoria di beni in oggetto - un qualsiasi
 dato  e/o  parametro  comune  riferibile  (anche   in   astratto)   a
 "caratteri" propri di beni aventi pregio paesistico-ambientale.
   Ulteriore  negativo  riflesso  di tale situazione e' la sostanziale
 perdita di concretezza  della  stessa  ratio  punitiva  sottesa  alle
 speciali  norme  incriminatrici  introdotte  proprio  per  assicurare
 protezione accentuata a beni e valori di particolare  considerazione.
 Conseguentemente  le  stesse norme incriminatrici solo apparentemente
 risultano rispettose del principio  di  tipicita'  inteso  nella  sua
 stretta  correlazione con l'interesse o bene da salvaguardare che, in
 tali eventualita', giova ribadirlo, solo  in  termini  assiomatici  e
 senza alcun riscontro di concretezza, se non in via di vera e propria
 astrazione, risulta sussistente.
   In  questa  ottica,  in  cui  la  tutela  del  valore ambientale e'
 affidata piuttosto a illusioni repressive che  non  a  concreti  atti
 della  pubblica  autorita'  di  individuazione  del bene da tutelare,
 viene ad essere inciso lo stesso principio di ragionevolezza,  atteso
 che  si  introduce  un regime particolarmente afflittivo senza alcuna
 certezza che lo stesso sia in  rapporto  di  sintonia  con  interessi
 effettivamente  sussistenti.    Di  tale  disarmonia  del  sistema e'
 espressione la norma richiamata nella rubrica del presente  processo,
 o  come  puo'  evincersi  dalla  irragionevole  e  non giustificabile
 maggiore  afflittivita'  della  predetta  norma  incriminatrice,  che
 presenta   un   carattere  prevalentemente  formale,  quale  risposta
 punitiva per la mancata acquisizione  del  titolo  autorizzatorio  da
 parte  degli  enti  preposti  alla  tutela del vincolo, rispetto alla
 previsione di cui all'art. 734 c.p., che considera la deturpazione di
 fatto ed in  concreto  del  bene  ambientale,  con  evidente  maggior
 spregio del valore paesaggistico ed ambientale.
   Ne'  puo'  permettersi  la  sospetta  incostituzionalita' dell'art.
 1-sexies, legge n. 431/1985, in se'  considerato,  in  raffronto  con
 l'art.  25,  secondo  comma  della  Costituzione  per  violazione del
 principio di legalita' essendo indeterminata la pena da applicare. Al
 riguardo non appaiono persuasive  le  precisazioni  giurisprudenziali
 che  individuano in quella riportata dall'art. 20, lett. c), legge n.
 47/1985, fondando sull'argomento che soltanto  l'art.  20,  lett.  C)
 richiamato si riferisce a zone vincolate.
   Tale  argomentazione non incide affatto sulla problematica di fondo
 concernente la mancanza, nel testo della norma incriminatrice, di una
 specifica sanzione tra quelle gradatamente riportate  nell'art.    20
 richiamato  e,  da  qui,  la palese indeterminatezza della previsione
 sanzionatoria. A tacere del rinvio, qualora volesse  condividersi  la
 richiamata   impostazione   giurisprudenziale,   alla   gia'  cennata
 problematica  insistente  sulla   irragionevole   concentrazione   di
 previsioni   sanzionatorie   distinte  per  un  medesimo  fatto  e  a
 salvaguardia dello stesso interesse.