LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  dal
 procuratore  generale  presso  la  Corte  d'appello di Campobasso nei
 confronti di Palazzo Berardino, nato a Barasello il 10 novembre  1923
 avverso  la  sentenza  n. 7/97 della Corte d'appello di Campobasso in
 data 1-9 aprile 1997;
   Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
   Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere  dott.
 R. Acquarone;
   Udito il Pubblico Ministero in persona  del  sost.  p.g.  dott.  R.
 Calderone che ha concluso il rigetto del ricorso;
   Con  la  sentenza  specificata  in  epigrafe  la Corte d'appello di
 Campobasso confermava quella appellata  dal  p.g.,  emessa  in  primo
 grado  il  28 maggio 1996 dal g.u.p. del tribunale di Campobasso (non
 luogo a procedere nei confronti di Palazzo Berardino perche' il fatto
 non e' previsto dalla legge come reato, costituendo  invece  illecito
 amministrativo, in ordine al delitto di cui all'art. 2 della legge n.
 898/1986,   cosi'   modificata  l'originaria  imputazione  di  truffa
 aggravata per il  conseguimento  di  erogazioni  pubbliche  ai  sensi
 dell'art.  640-bis  c.p.:  all'imputato,  quale  proprietario  di  un
 appezzamento di terreno nel comune di Busso, viene  mosso  l'addebito
 di  avere  mediante  la falsa dichiarazione del 4 marzo 1992 che tale
 appezzamento - particella catastale n. 238  foglio  21  -  era  stato
 messo  a riposo nell'annata agraria 1991-92 ed in tal modo "inducendo
 in errore la  CEE  e  per  essa  l'AIMA  e  l'ERSAM  di  Campobasso",
 conseguito  indebitamente  la  relativa  indennita'  di  L.  335.550.
 Accertato nell'ottobre 1995).
   Invero  l'art.  2  della  legge  23  dicembre  1986  n.   898   (di
 conversione,  con  modificazioni,  del  d.-l.  27 ottobre 1986 n. 701
 recante misure urgenti in materia di controlli degli aiuti comunitari
 alla produzione dell'olio di oliva. Sanzioni amministrative e penali,
 in materia di aiuti comunitari al  settore  agricolo)  al  comma    1
 disponeva:  "chiunque mediante l'esposizione di dati o notizie falsi,
 consegue indebitamente,  per  se  o  per  gli  altri,  aiuti,  premi,
 indennita',  restituzioni,  contributi  o  altre  erogazioni a carico
 totale o parziale  del  Fondo  europeo  agricolo  di  orientamento  e
 garanzia  e'  punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Quando
 la  somma  indebitamente  percepita  e'  inferiore  ad  un decimo del
 beneficio legittimamente spettante, e comunque non superiore  a  lire
 venti  milioni, si applica soltanto la sanzione amministrativa di cui
 agli articoli seguenti" (a norma dell'art. 3 n. 1  "indipendentemente
 dalla   sanzione  penale  e  qualunque  sia  l'importo  indebitamente
 percepito ...  il  percettore  e'  tenuto,  oltre  alla  restituzione
 dell'indebito, al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria
 pari all'importo indebitamente percepito").
   Com'e' noto, con la legge 19 marzo 1990 n. 55 e' stato inserito nel
 c.p.  l'art.  640-bis  (truffa  aggravata  per  il  conseguimento  di
 erogazioni pubbliche), il quale prevede la pena della  reclusione  da
 uno  a  sei  anni  e la perseguibilita' d'ufficio "se il fatto di cui
 all'art. 640  riguarda  contributi,  finanziamenti,  mutui  agevolati
 ovvero  altre  erogazioni  dello  stesso  tipo,  comunque denominati,
 concessi o erogati da parte dello Stato, di  altri  enti  pubblici  o
 delle Comunita' europee, (art. 224 cit.).
   Successivamente,  con  l'art.  73  della  legge 19 febbraio 1992 n.
 142, il primo comma del citato art. 2  della  legge  n.  898/1986  e'
 stato modificato premettendo le parole "Ove il fatto non configuri il
 piu'  grave  reato  previsto dall'art. 640-bis del codice penale" e -
 nella  seconda  parte  -  prevedendo  quale  illecito  amministrativo
 soltanto  l'ipotesi in cui la somma indebitamente percepita sia "pari
 od inferiore a lire venti milioni".
    Il p.g. ricorrente premette di avere gia' proposto la questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  legge  n.   898/1986   in
 riferimento  all'art.  3  della  Costituzione  e  che questa s.c., su
 difformi conclusioni del p.g., l'aveva ritenuta infondata  (sent.  28
 marzo  1996  n.  224,  Prassi  della  2  sezione)  in quanto la Corte
 costituzionale si era gia' pronunziata negativamente con sentenza  n.
 25  del  26  gennaio  1994 (in Foro it. 1994, I/1627) e sottolinea la
 rilevanza pratica  della  questione  medesima,  ricordando  che  essa
 attiene al vasto campo degli aiuti comunitari al settore agricolo (ad
 esempio  nel  piccolo  comune  molisano di Cerro al Volturno "si sono
 accertati oltre 320 casi per il solo grano duro").
   Con la sentenza citata la Corte costituzionale ha attribuito natura
 interpretativa alla modifica apportata  all'art.  2  della  legge  n.
 142/1992 (inserimento dell'inciso "ove il fatto non configuri il piu'
 grave  reato previsto dall'art. 640-bis c.p.") ed ha ritenuto che fra
 tali norme incriminatrici esista un rapporto di sussidiarieta' e  che
 non  sia  irragionevole  il trattamento sanzionatorio piu' favorevole
 stabilito dall'art. 2 per chi si limiti ad  esporre  dati  o  notizie
 falsi,  poiche' in questo caso ricorre "un ipotesi speciale di truffa
 di  gravita'  minore"  costituita  dal  "meno   ingannevole   tra   i
 comportamenti presumibili ... nella nozione di artifici e raggiri, e'
 cioe' il semplice mendacio".
   Senonche'  in  tal  modo - osserva il ricorrente - si stabilisce in
 effetti per il fondamentale settore agricolo - e solo per esso  -  un
 trattamento   sanzionatorio   ingiustificatamente   piu'  favorevole,
 poiche' secondo la dominante giurisprudenza il semplice  mendacio  e,
 in  determinate  circostanze,  addirittura il silenzio maliziosamente
 serbato integrano il delitto  di  truffa  (e  quindi,  nella  specie,
 quella  di  cui  all'art.  640-bis  c.p.):  cioe'  in  contrasto  con
 l'asserita sussidiarieta',  che  dovrebbe  estendere  l'ambito  della
 tutela  penale,  ossia  fornire  una  tutela  aggiuntiva, e viceversa
 finisce  per  "perdersi  e  ... mutarsi nel suo contrario", in quanto
 funziona come norma speciale di favore e l'art.  640-bis,  introdotto
 per  reprimere  in  maniera piu' severa anche le frodi alla Comunita'
 europea, resta applicabile soltanto quando "gli artifici assurgano ad
 un quid pluris rispetto al mendacio", mentre quest'ultimo integra  la
 base  piu' grave figura criminosa del citato art. 640-bis se commesso
 in danno di uso degli enti  pubblici  ivi  indicati  o  della  stessa
 comunita'  in  materia  non  agricola.  Ma vi e' di piu': solo per il
 mendacio cosi' perpetrato in pregiudizio del FEOGA la  legge  prevede
 la depenalizzazione quando l'erogazione ottenuta sia inferiore o pari
 a  venti  milioni  di  lire  (sicche'  - paradossalmente - potrebbero
 essere percepiti contributi di venti milioni ogni anno per vari  anni
 senza che i fatti assumano rilevanza penale), mentre erogazioni anche
 minime conseguite con lo stesso comportamento al di fuori del settore
 agricolo  ricadano  sotto le severe sanzioni penali dell'art. 640-bis
 c.p.  Cio'  fa  si'  che  l'art.      2,   lungi   dalla   conclamata
 sussidiarieta',  operi  in  realta'  come  norma  speciale  e  che si
 realizzi un evidente ed  ingiustificata  disparita'  di  trattamento,
 poiche'  lo  stesso  tipo  di  condotta  (mendacio)  in certi casi e'
 previsto con sanzioni penali meno gravi ed in  altri  e'  addirittura
 sottratto a qualsiasi sanzione penale.
   Pertanto,  secondo il ricorrente, l'impasse puo' essere superata in
 uno di questi tre modi:
     a) o si restituisce all'art. 2  piu'  volte  citato  un'autentica
 funzione  sussidiaria,  giusta  la tesi, prospettata da quell'ufficio
 nei motivi d'appello e riportata in questa sede, della natura colposa
 di tale ipotesi di delitto, nel senso che detta norma discriminatrice
 e'  applicabile  a  chi  consegua  indebitamente   aiuti   ecc.   con
 esposizione  di  dati  falsi  dipendente  da errore colpevole (non si
 tratterebbe di una truffa "colposa"  ma  di  un'autonoma  ipotesi  di
 reato;   siffatta   interpretazione,   d'altronde,   potrebbe  essere
 avvalorata dal fatto che la norma medesima,  a  differenza  di  altre
 similari,  non  esige che l'esposizione dei dati oggettivamente falsi
 avvenga "dolosamente" o "consapevolmente" ovvero "scientemente" e del
 resto ai fini dell'art.  42 secondo comma c.p.  non  occorre  che  la
 legge contenga l'espressa qualifica di "colposo");
     b)  oppure  si ammette che l'art. 2, cosi' come e' formulato, non
 puo' trovare applicazione nell'ordinamento vigente;
     c) se invece si ritiene, come ha ritenuto la Corte  territoriale,
 che  esso configuri "una truffa minore con trattamento privilegiato",
 la norma  in  questione  non  si  sottrae  al  dubbio  illegittimita'
 costituzionale  perche'  se  il mendacio integra il delitto di truffa
 "deve ricevere in tutti i casi lo stesso trattamento sanzionatorio" e
 la regola della par condicio dovrebbe essere applicata anche nel caso
 opposto, e cioe' ove si ritenga che "il mendacio idoneo ad indurre in
 errore" non sia truffa (ossia il  mendacio  -  cosi'  opinato  -  non
 dovrebbe costituire neppure unatruffa minore; e a ben vedere, osserva
 ancora  il ricorrente, il dubbio di illegittimita' costituzionale non
 verrebbe meno neppure accogliendo l'interpretazione sub  a),  poiche'
 in  tal caso la tutela penale in materia di contributi comunitari nel
 settore agricolo diverrebbe piu' ampia di quella accertata a tutte le
 altre sovvenzioni pubbliche).
   In  realta', sempre secondo il ricorrente, che deduce in osservanza
 dell'art. 640-bis c.p. ed  erronea  applicazione  dell'art.  2  della
 legge  n. 898/1986, nonche' illegittimita' costituzionale degli artt.
 2 cit. e 73 legge 19 febbraio 1992 n. 142, queste ultime  norme  sono
 espressione  della  malcelata  volonta' del legislatore di rendere in
 concreto piu' blando  il  trattamento  penale  riservato  alle  frodi
 comunitarie,  nel  settore  agricolo:  invero l'art. 90/1051 del 1967
 convertito nella legge n. 10 del 1968 in  tema  di  aiuti  comunitari
 alla  produzione  dell'olio  di  oliva puniva con la reclusione da un
 mese a quattro anni  e con la multa da L. 50.000 a L. 3.000.000,  ove
 il  fatto  non  costituisce  piu'  grave  reato, la mera espressione,
 scientemente effettuata nella domanda, di dati o notizie inesatti,  e
 con  la  reclusione  da  uno  a  quattro  anni  il conseguimento, con
 siffatta condotta, dell'aiuto comunitario, mentre per le altre  frodi
 trovava  applicazione  l'art.    640  c.p. n. 1 c.p.; con la legge n.
 898/1986, estesa dalla legge n. 640/1987 alle materie del grano  duro
 e del riso, fu invece introdotto "il privilegio per gli agricoltori",
 prevedendo  la piu' mite pena della reclusione da sei mesi a tre anni
 cosi' rendendo applicabile al  delitto  de  quo  l'amnistia  elargita
 pochi  giorni prima con d.P.R.  16 dicembre 1986 n. 865) e degradando
 ad illecito amministrativo l'indebito  conseguimento  di  aiuti  alla
 soglia di venti milioni di lire.
   Le prime due prospettazioni del p.g. non possono essere condivise.
   E'  ben  vero  che  ai  fini  dell'espressa  previsione dei delitti
 colposi richiesta dall'art.  42  secondo  comma  c.p.  non  occorrono
 formule sacramentali, ma e' altrettanto vero che dalla genesi e dalla
 formulazione  dell'art.   2 della legge n. 898 del 1986 non si evince
 in alcun modo la volonta' del legislatore di punire il fatto a titolo
 di colpa.
   D'altro canto la  circostanza  che  dopo  l'introduzione  dell'art.
 640-bis  c.p.  con  la legge n. 55 del 1990, la legge n. 142 del 1992
 abbia ribadito, con  qualche  modifica,  il  contenuto  precettivo  e
 sanzionatorio  del citato art. 2 esclude che si sia inteso respingere
 dall'ordinamento quest'ultima norma.
   Cio'  premesso,  va  esaminata  la  questione   di   illegittimita'
 costituzionale prospettata dal p.g. ricorrente sub c).
   Il  Collegio osserva che essa e' rilevante, attenendo all'ambito di
 applicazione ed ai rapporti intercorrenti tra le norme incriminatrici
 in gioco nel presente processo, ossia all'originaria contestazione di
 truffa ex art. 640-bis c.p. ed all'ipotesi - ritenuta nelle  sentenze
 di  1  e di 2 grado - di violazione dell'art. 2 cit. (violazione che,
 per l'importo conseguito, e'  stata  ricondotta  alla  previsione  di
 illecito  amministrativo  di  cui  all'ultima parte del primo comma),
 nonche' alla conformita' alla Costituzione della seconda di esse.
   In  tale  questione,  cosi'  come  progettata  ex  novo,  non  puo'
 ritenersi manifestamente infondata.
   La  sentenza  n.  25/1994  della Corte costituzionale sopra citata,
 quella 28 marzo 1996 n. 224 della 2 sezione di questa S.C. (v. sopra)
 e quella delle Sezioni Unite 24 gennaio 1996, Panigani ed  altri  (in
 Foro  it.  1996,  II,  273)  richiamata dal p.g. presso questa Corte,
 nell'affermare (tutte) che tra le due norme  esiste  un  rapporto  di
 sussidiarieta'  e  non di specialita' e nell'escludere (le prime due)
 che  la  disciplina  differenziata  stabilita  dal  legislatore   sia
 irragionevole  perche'  l'art. 2 configura una sorta di truffa minore
 costituita dal mero mendacio non sembra risolvere  tutti  i  problemi
 sollevati   dal  ricorrente,  ne'  comunque  esaurire  i  profili  di
 possibile incostituzionalita' della disciplina medesima per contrasto
 con l'art. 3 della Costituzione.
   Invero:
     I)  non  e'  scarso  peso  l'obiezione  secondo  la  quale  detta
 sussidiarieta',  anziche'  estendere  la  sfera di applicazione della
 tutela penale, la  rende  assai  meno  efficace,  posto  che  secondo
 autorevole giurisprudenza (Cass. 17 gennaio 1978, Bellisai; 20 giugno
 1985, Scibilia; 17 marzo 1993, Mareaccio) anche la semplice menzogna,
 quando  abbia  raggiunto  lo  scopo  di indurre in errore il soggetto
 passivo e di far conseguire l'ingiusto profitto, integra  il  delitto
 di  truffa  (e  quindi,  nella  specie  integrerebbe quello dall'art.
 640-bis c.p. e - prima  dell'entrata  in  vigore  di  quest'ultimo  -
 avrebbe  integrato la previsione dell'art.  640 c.p.p. n. 1 in quanto
 realizzata ai danni dell'AIMA o della stessa  Comunita'  europea:  V.
 Cass. 28 settembre 1988 Corleone in Rep. giur.  it. 1991, 3957, 20);
     II)  anche a prescindere dal rilievo che precede, la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  2  e  succ.  modificazioni  e'
 stata  esaminata  sinora  soltanto  sotto  il profilo dell'ipotizzata
 disparita' di trattamento tra i casi di semplice mendacio e quelli di
 artifici o raggiri di maggior spessore posti in essere ai  danni  del
 FEOGA (e/o dei corrispondenti organismi nazionali).
   Peraltro  la  piu' volte citata sentenza della Corte costituzionale
 osservava che di per se' la circostanza che il fatto sia "diretto  ad
 ottenere  erogazioni a carico del FEOGA ... non sarebbe sufficiente a
 giustificare  l'attenzione"  del  trattamento  sanzionatorio.  Ed  e'
 proprio  sotto  questo  ulteriore  profilo  che  la  questione  viene
 sollevata, in linea principale, dal p.g. di Campobasso.
   La  disciplina  dell'art.  2  concerne  esclusivamente  il  settore
 agricolo  ed  e'  in  totale ed in giustificata dissonanza rispetto a
 quella di carattere generale dettata dal  legislatore  del  1990  con
 l'art. 640-bis c.p., palesemente volto a punire in maniera uniforme e
 con  particolare  rigore  i  comportamenti truffaldini realizzati per
 conseguire indebitamente attribuzioni patrimoniali a fondo perduto  o
 ad  onerosita'  attenuta  accordate dallo Stato, da esiti pubblici, e
 dalle Comunita' europee per finalita'  di  pubblico  interesse  (cfr.
 Cass. sez. II 9 luglio 1996, p.m. Lanza, ed altri in giust. per 1997,
 II,  576), e cio' anche in adempimento degli impegni dell'Italia, nei
 confronti di tali comunita', si aggiunga  che  il  sistema  e'  stato
 completato dall'art. 316-bis c.p. (introdotto con la pressoche' colva
 legge  26 aprile 1990 n.  56), il quale sanziona che la reclusione da
 sei mesi a quattro anni la condotta di chiunque, estraneo alla  p.a.,
 non  destini  le erogazioni legittimamente ottenute alle finalita' di
 pubblico interesse cui erano preordinate.
   Non   sembrano   quindi   infondati   i   dubbi   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 2 in quanto stabilisce, sia pure per i casi
 di semplice  mendacio,  una  disciplina  differenziata  per  il  solo
 settore  agricolo  e  per  le  sole erogazioni a carico del FEOGA (ed
 equiparate), disciplina che si risolve in untrattamento sanzionatorio
 di gran lunga piu' tenue  (reclusione  da  sei  mesi  a  tre  anni  e
 addirittura  degradazione ad illecito amministrativo fino al cospicuo
 importo di venti milioni di lire) per fattispecie che in  ogni  altro
 settore  (industriale,  dei servizi ecc.) ricadrebbero nella sfera di
 applicazione dell'art.  640-bis c.p. (e - in  mancanza  -  in  quella
 dell'art. 640 primo capoverso n. 1) di tale disparita' di trattamento
 non  si  rinviene  alcuna  apparente  giustificazione, tanto piu' che
 proprio nel settore  dell'agricoltura  in  processo  di  integrazione
 europea  e'  particolarmente evoluto e gli interessi, i diritti e gli
 obblighi dei Paesi comunitari  hanno  assunto,  nei  confronti  della
 Comunita', primaria importanza negli ordinamenti giuridici nazionali.
   La   questione   va   percio'  sottoposta  al  vaglio  della  Corte
 costituzionale, sebbene la sua soluzione possa implicare  una  scelta
 tra  due  divergenti  sistemi  sanzionatori  adottati dal legislatore
 nell'esercizio della sua discrezionalita':  la  disciplina  contenuta
 nell'art.  640-bis  c.p.    appare  pero' non soltanto quella di piu'
 generale portata, ma anche la piu' razionale e coerente,  nel  quadro
 del  vigente  ordinamento  giuridico  dello  Stato italiano e la piu'
 consona agli impegni internazionali di quest'ultimo  ed  alle  regole
 della normativa comunitaria.