IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile n. 10890/1990 promossa da dr. Guido Salvini, con gli avv.ti Giuseppe Bernardi di Roma e Marcello Giucastro di Milano, attore, nei confronti di on. Marco Boato, con gli avv.ti Umberto De Luca di Verona e Alberto Maresca di Milano, convenuto, e di Edit - Editoriale Italiana s.r.l., con gli avv.ti Gian Domenico Caizza di Roma e Franco Rosso di Milano, convenuta. Rilevato che il presente giudizio civile e' stato promosso dal dr. Guido Salvini, magistrato in Milano, per il risarcimento dei danni asseritamente subiti a causa delle dichiarazioni rese dall'on. Boato il 23 febbraio 1990 come testimone dinanzi alla Corte d'assise di Milano nel corso del processo a carico di Adriano Sofri e altri, imputati dell'omicidio Calabresi, e poi reiterate nel corso di un dibattito e interviste rese alla stampa, dichiarazioni con le quali l'on. Boato attribuiva al dr. Salvini di aver interrogato un detenuto informalmente, cercando di fargli dichiarare che lo stesso Boato era il mandante dell'omicidio Calabresi; Rilevato che la Camera dei deputati, nella seduta del 20 marzo 1997, ha deliberato nel senso che i fatti per i quali e' in corso il procedimento civile concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost.; Ritenuto che alla deliberazione della Camera che riconosce l'applicabilita' dell'art. 68 Cost. e' coessenziale l'effetto inibitorio della prosecuzione del giudizio o dell'emissione di una pronuncia giudiziale difforme, salvo il controllo che il giudice puo' promuovere con il mezzo del conflitto di attribuzione (Corte cost., sentenze nn. 129/1996, 1150/1988); Ritenuto che nella fattispecie - da annoverare tra i casi in cui l'identificazione della linea di confine tra i comportamenti dei parlamentari garantiti ex art. 68 Cost. e quelli che non possono sfuggire al diritto comune e' piu' problematica per il contrasto che si viene a porre tra alcuni beni morali della persona (onore, reputazione, pari dignita') che e' la stessa Costituzione nei suoi principi fondamentali a qualificare inviolabili e l'insindacabilita' dell'opinione espressa dal parlamentare come momento insopprimibile della liberta' della funzione (cosi' Corte cost., sentenza n. 379/1996) - non sembra al tribunale che il potere valutativo sia stato dalla Camera legittimamente esercitato a motivo dell'estraneita', in tutto o in parte, della condotta del parlamentare ai concetti di "opinione" e di "esercizio delle funzioni" e quindi a motivo dell'insussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68, primo comma, Cost. Al riguardo si osserva che: 1) l'iter argomentativo della relazione della Giunta approvata dall'Assemblea parlamentare muove in sostanza dal fatto notorio della battaglia politica che l'on. Boato conduce da moltissimi anni su temi della giustizia (e in particolare delle garanzie difensive nel processo penale) e sulla ricostruzione delle vicende realtive alle numerose stragi verificatesi nel nostro paese, per poi qualificare i fatti addebitati all'on. Boato dal dr. Salvini come "denuncia di chiara ed evidente natura politica", in quanto "intesa a denunciare un preteso uso distorto delle regole processuali sull'uso dei collaboratori di giustizia" e in quanto inserita "nell'ambito di un processo, quello Calabresi, che ha assunto in questi anni una straordinaria rilevanza politica, sia perche' collegato a vicende propriamente politiche, sia perche' incentrato, per quanto riguarda le regole del processo, sul ruolo dei collaboratori di giustizia e sull'utilizzo che di tale strumento ha fatto la magistratura nel corso di questi anni"; 2) con cio', peraltro, si da' per scontato il superamento del problema dell'estensione dell'area di insindacabilita' dall'esercizio delle funzioni tipicamente parlamentari o para-parlamentari allo svolgimento di attivita' politica anche genericamente intesa e non funzionale, ne' collegata, allo svolgimento del mandato parlamentare, superamento che, nella dottrina costituzionalistica, non costituisce certo un dato acquisito e che neppure sembra agevolmente ravvisabile nella giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 443/1993, che in tutt'altra fattispecie ha confermato la correttezza della insindacabilita' ex art. 68, primo comma, Cost., deliberata dal Senato: si trattava infatti di un parlamentare che aveva riferito in un convegno pubblico fatti e circostanze apprese nell'esercizio delle sue funzioni di vicepresidente della commissione di inchiesta sulla loggia massonica P2, manifestando le opinioni e le convinzioni che avevano ispirato o cui in seguito avrebbe ispirato sull'argomento il proprio comportamento parlamentare); 3) in ogni caso, non sembra possibile ricondurre all'ambito delle attivita' parlamentari o politiche le dichiarazioni circa i pretesi illeciti del dr. Salvini rese dall'on. Boato come testimone dinanzi alla Corte d'assise di Milano il 23 febbraio 1990 e cio' anche tenendo conto della natura della notizia (che riguardava personalmente il dr. Boato), della fonte (un colloquio con un professionista, l'avv. Ceola; colloquio che in nessun modo risulta collegato allo svolgimento di attivita' parlamentari), del lasso di tempo trascorso tra la sua acquisizione (risalente almeno al 1986, data della lettera al Salvini) e l'inizio della sua divulgazione (23 aprile 1990), della sede prescelta per la divulgazione stessa (testimonianza resa in processo penale avanti la Corte d'assise, in cui viene in considerazione l'obbligo del teste di dire la verita' e non di esprimere opinioni: altre e diverse erano le sedi deputate all'accertamento e alla repressione di eventuali illecite condotte del magistrato); 4) infine e soprattutto, non sembra possibile ricondurre le dichiarazioni dell'on. Boato alla categoria delle "opinioni espresse", ossia delle valutazioni soggettive manifestate circa eventi riconosciuti nella loro oggettivita', trattandosi invece della concreta (e dall'attore contestata) attribuzione di un fatto determinato, astrattamente idoneo, nella sua specificita' e gravita', ad integrare un illecito, la cui cognizione, anche in forza di precetti costituzionali (artt. 24, 101 e 102), dovrebbe essere riservata all'autorita' giudiziaria ordinaria; Ritenuto, pertanto, che sembra necessario a questo collegio sollevare conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato, conflitto ammissibile sia sotto il profilo soggettivo - il tribunale essendo organo competente a decidere definitivamente, nell'ambito delle funzioni giurisdizionali attribuite, sull'asserita illiceita' delle condotte oggetto delle doglianze dell'attore -, sia sotto quello oggettivo - trattandosi qui, per un verso, della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 68, primo comma, Cost. e, per altro verso, della lesione di attribuzioni giurisdizionali costituzionalmente garantite (cfr. Corte cost., ordinanze nn. 269 e 6 del 1996).