IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza. Vista la richiesta di proroga dei termini delle indagini preliminari avanzata da p.m. dott. D'Ippolito, nell'ambito del procedimento n. 1013/97R nei confronti di Mulazzi Lino, nato a Roma il 23 settembre 1960, indagato "per i reati di cui agli artt. 81, 476, 482 e 491 c.p.", e nei confronti di Pelliccia Mauro, nato ad Orvieto l'11 novembre 1960 e Satarossa Agostino Fabio, indagati "per i reati di cui agli artt. 368, 476, 482 e 491 c.p.". Vista la memoria depositata, ai sensi e nei termini di cui all'art. 406 comma 3 c.p.p., dal difensore di Satarossa nella quale si fa rilevare che; 1) l'indagato non e' a conoscenza dei fatti non avendo mai ricevuto alcuna comunicazione, prima d'ora; 2) avendo chiesto notizie presso la cancelleria di questo G.i.p., l'addetto alla segreteria non ha ritenuto di poter fornire alcuna delucidazione in merito; 3) allo stato il Satarossa non puo' che ribadire di non conoscere i coindagati Mulazzi e Pelliccia e di non essere in grado di comprendere neppure quale sia l'ipotesi di reato non potendosi considerare adeguata la elencazione degli articoli del codice penale imputati al Satarossa; 4) conseguentemente, il difensore si trova "nell'impossibilita' materiale di presentare memorie". O s s e r v a La doglianza formulata dal difensore nel presente caso, pone l'accento su di un particolare aspetto della disciplina relativa all'istituto della proroga delle indagini che, ad avviso di questo scrivente, presenta profili di dubbia conformita' al dettato costituzionale. In estrema sintesi, infatti, l'attuale normativa prevede, (art. 406 comma 1 e 3 c.p.p): a) che il p.m. possa richiedere al giudice per giusta causa la proroga del termine previsto dall'art. 405; b) che la richiesta contenga l'indicazione della notizia di reato e, l'esposizione dei motivi che la giustificano; c) che la richiesta sia notificata al difensore con l'avviso della facolta' di presentare memorie entro cinque giorni. Il rispetto del principio del contraddittorio, che il sistema appena delineato sembra garantire, e', pero', solo apparente una volta che si consideri che, per giurisprudenza consolidata (con riferimento alla interpretazione di tale locuzione) si ritiene che il requisito della "indicazione della notizia di reato" di cui al comma 1 dellart. 406 e' assolto con l'indicazione delle ipotesi di reato per le quali vengono svolte le indagini, senza che siano indispensabili altre indicazioni temporali e spaziali del fatto (le quali ultime sono, invece, da ritenersi previste per l'informazione di garanzia). La ragione di tale differente regime andrebbe ricercata nel fatto che, mentre l'informazione di garanzia mira a porre l'indagato in condizione di approntare difese di merito, la notizia di reato nella richiesta di proroga serve solo come punto di riferimento del vero oggetto del contraddittorio che riguarda essenzialmente i motivi addotti dal p.m. per giustificare la sua richiesta (in tal senso Cass. 6 agosto 1992, Ferlin). Cio' comporta che, per un verso, i p.m. ritengano di aver assolto, all'onere loro imposto dalla legge, limitandosi a fornire una mera elencazione di articoli e, per altro verso, che l'indagato, che riceve una informazione cosi' concepita, possa trovarsi in serie difficolta' per comprendere quale sia l'ipotesi accusatoria attorno alla quale l'organo competente sta lavorando nei suoi confronti e, conseguentemente, non abbia (come proprio il caso specifico in esame sembra mostrare in maniera lampante) realistiche possibilita' di interloquire con cognizione di causa sulla "giustezza" della "causa" per la quale il p.m. chiede la proroga del termine. Di fatto, percio', la facolta' difensiva, riservata alla difesa nel comma 3 dell'articolo in esame si risolve in un mero feticcio E cio' e' tanto piu' vero laddove si consideri che, ex art. 335 c.p.p., non esiste un obbligo di comunicazione della notizia di reato e che, se e' vero che le comunicazioni sulle iscrizioni, alla persona alla quale il reato e' attribuito ed ai rispettivi difensori, possono essere rilasciate "ove ne facciano richiesta" non e' seriamente ipotizzabile, vista la stringatezza dei termini, che entro i cinque giorni previsti ex art. 406, comma 3, un indagato - che ignori completamente tale sua condizione - abbia la capacita', di individuare con sollecitudine l'ufficio di procura competente a fornire le necessarie informazioni sul procedimento che lo riguarda e, possa, poi, esercitare, a ragion veduta, la prevista facolta' di presentare memorie. E, se tutto cio' e' gia' poco realistico mediante l'ausilio di un difensore, e' agevole immaginare quanto meno lo sia nell'eventualita' in cui il soggetto debba ancora cercare e nominare un difensore Le obiettive difficolta' difensive nelle quali va ad imbattersi il soggetto che riceva notizia della richiesta di proroga delle indagini, nei termini qui in discussione, non sono, superabili neppure grazie ad informazioni fornibili da parte dell'ufficio del g.i.p. Tale facolta', infatti, non solo non e' prevista da alcuna norma ma non e' neppure desumibile in via di interpretazione. Ed infatti, l'esame della disciplina relativa al rilascio di copie (art. 116 c.p.p.), e della consolidata giurisprudenza sul punto, convince del fatto che, tanto e' chiaro il principio secondo cui nella fase delle indagini preliminari la disponibilita' degli atti e delle relative notizie e' da ritenersi di esclusiva pertinenza del p.m. (sez. I, 7 luglio 1994, Ascione) che si sono resi necessari espressi interventi normativi per affermare il diverso principio secondo cui - in determinate fasi delle indagini preliminari - le parti hanno diritto di accesso agli atti ed al conseguente rilascio di copie (es. artt. 309, comma 8, e 398, comma 3 e 3-bis c.p.p.) senza la preventiva autorizzazione del p.m. Giova, peraltro, evidenziare che la problematica (che ha dato luogo alle innovazioni normative dette) e' sorta in presenza di disposizione che, comunque, prevedeva il deposito degli atti. Nella specie, invece, per la procedura della proroga delle indagini, non esiste neppure alcun deposito di atti (dal quale argomentare anche solo un ipotetico diritto alla conoscenza) e, di conseguenza, al g.i.p. deve ritenersi preclusa qualsiasi facolta' di rilascio di informazioni circa la natura e le ragioni del procedimento per il quale e' stata richiesta la proroga. Di certo, tali problemi non sussisteranno nella ipotesi in cui il p.m. non essendovi obbligato, abbia ritenuto di inviare all'indagato una informazione di garanzia che, contenendo riferimenti normativi, temporali e spaziali, avra' posto l'interessato in grado di conoscere di cosa tratti il procedimento che lo riguarda e per il quale riceva, poi, avviso di una avvenuta richiesta di proroga. Tutto cio', pero', accentua i profili di irragionevolezza e disparita' di trattamento insiti nell'attuale disciplina prevista per la richiesta di proroga delle indagini. Non vi e' chi non veda, infatti, come tale sistema finisca per confliggere con il principio di uguaglianza posto che ogni persona indagata ha diritto agli stessi spazi difensivi laddove, invece, l'indagato nei cui confronti proceda un p.m. che ritenga di inviare l'informazione di garanzia e' certamente piu' avvantaggiato di quello che venga a sapere della pendenza di un procedimento a suo carico solo nel momento in cui il g.i.p. gli faccia pervenire l'avviso che il p.m. ha chiesto la proroga del termine delle indagini. Inutile sottolineare, infine, che, per tutto quanto considerato in precedenza, e' evidente che lo spazio per il contraddittorio previsto dall'art. 403, comma 3, e' un mero simulacro molto spesso non esplicabile in concreto. Tale argomentare induce questo giudice a sollevare di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 406, comma 1, c.p.p. con riferimento agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione nella parte in cui prevede che la richiesta del p.m. contiene solo "l'indicazione della notizia di reato" (tenuto conto della restrittiva interpretazione comunemente data a tale accezione da intendersi alla stregua di "diritto vivente") e non anche le comunicazioni sulle iscrizioni di cui all'art. 335 c.p.p. Logica vorrebbe, infatti, che, ferma restando la facoltativita' di invio della informazione di garanzia, nei primi sei mesi di indagine, una volta che decida di chiedere la proroga, il p.m. sia tenuto a dare comunicazione delle iscrizioni effettuate ex art. 335 c.p.p. in maniera compiuta affinche' il soggetto sottoposto alle indagini possa soppesare effettivamente (sapendo di quale accusa - sia pure per grandi linee - si tratta) e non solo astrattamente (in base ad una generica elencazione di articoli di legge sfornita di qualsiasi riferimento temporale o spaziale) quella giustezza della causa - della richiesta di proroga delle indagini - che certamente non puo' ritenersi circoscritta solo alla verifica del rispetto dei termini (anche perche', diversamente, non avrebbe ragione d'essere l'obbligo, imposto al p.m. di "esposizione dei motivi" che giustificano la richiesta). La soluzione auspicata, tra l'altro, non sarebbe neppure in contrasto con il principio di riservatezza posto che, lungi dal tendere ad una discovery anticipata (con accesso ad atti o rilascio di copie), ancorandosi alla disciplina della informazione di garanzia, si risolverebbe in un equo contemperamento tra le esigenze di riservatezza delle indagini e quelle di effettivita' del diritto di difesa. In punto di rilevanza, si osserva che la questione qui proposta non risulta ancora portata alla attenzione della Consulta e la sua presente proposizione appare rilevante perche' la pronuncia invocata si pone come pregiudiziale alla decisione sulla richiesta di proroga avanzata dal p.m. stante la obiettiva e constatabile - quanto al caso concreto - impossibilita' per l'indagato di svolgere le proprie ragioni cosi' come (solo apparentemente) consentitogli dalla norma. A riguardo, deve, infatti, condividersi in pieno l'argomentare del difensore nel caso di specie il quale, giustamente, fa rilevare che la mera elencazione di articoli di legge, sfornita di qualsiasi altro riferimento temporale o spaziale, impedisce all'indagato anche solo di immaginare quale sia la contestazione che gli si vuole muovere (posto che neanche la identita' degli altri coindagati - sconosciuti - fornisce idoneo punto di riferimento per risalire al fatto da cui trarrebbe origine la notizia di reato). Tale constatazione pone il presente giudicante in una situazione di stallo rimuovibile solo con la pronuncia della Consulta che qui si invoca. In caso di accoglimento, infatti, sarebbe possibile restituire la richiesta al p.m. con invito ad integrare l'indicazione della notizia di reato nei termini indicati dalla Corte e, all'esito di nuove notifiche alle persone sottoposte alle indagini, pronunciarsi sulla richiesta avendo instaurato un contraddittorio certamente caratterizzato da maggiore effettivita'. Ne' sembra obiettabile che la questione sia inammissibile perche' si risolve in una sostanziale prospettazione di dubbi interpretativi. Nella specie, infatti, non vi sono dubbi interpretativi ma, al contrario, vi e' solo una interpretazione giurisprudenziale costante che attribuisce al precetto legislativo un determinato significato che qui si assume incostituzionale. A tale riguardo, si osserva che, per affermazione della stessa Corte (Corte costituzionale 12 maggio 1977 n. 79 e 23 giugno 1956 n. 3), non si puo' prescindere dalla esistenza di un consolidato orientamento interpretativo e che, anzi, nell'esaminare i profili di legittimita' costituzionale di una norma "questa deve essere assunta nella interpretazione adottata dalla Corte di cassazione cui spetta assicurare l'uniforme interpretazione della legge" (Corte costituzionale 24 marzo 1988 n. 333). A tale stregua, risulta, percio' anche, che la Corte ha ritenuto gia' la propria competenza quando ha affermato che "e' indispensabile che il giudice a quo prospetti alla Corte o l'impossibilita' di una lettura adeguata ai principi costituzionali oppure che lamenti l'esistenza di una costante lettura delle disposizioni denunciate (c.d. "diritto vivente") in senso contrario alla costituzione" (Corte costituzionale 27 luglio 1989, n. 456). Tale sembra, appunto, essere il caso che qui occupa. Apparendo, quindi, la questione, rilevante e non manifestamente infondata non resta che portarla all'attenzione della Consulta disponendo, per conseguenza, la sospensione del giudizio in corso e la trmissione degli atti alla Corte costituzionale. La presente ordinanza, ex art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, va notificata alle parti interessate, al p.m., al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.