ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 29, comma 9, e
 del comma 19, della legge della Regione Piemonte 8 settembre 1986, n.
 42 (Norme sull'organizzazione degli uffici della  Regione  Piemonte),
 nel  testo  sostituito  dall'art. 2 della legge regionale 11 dicembre
 1987, n.  60,  e  dell'art.  95  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica
  10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo
 statuto  degli  impiegati civili dello Stato), promosso con ordinanza
 del Consiglio di Stato,  del  7  novembre  1995-12  marzo  1996,  sui
 ricorsi,  riuniti,  proposti  dalla  Regione  Piemonte e altri contro
 Ferreri Maria Grazia e  altri,  iscritta  al  n.  1322  del  registro
 ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visti  gli atti di costituzione di Ferreri Maria Grazia, Cravanzola
 Mirella e altri, e della Regione Piemonte;
   Udito nell'udienza pubblica del 27 gennaio 1998 il giudice relatore
 Francesco Guizzi;
   Uditi gli avvocati Giuseppe Gallenca per Ferreri Maria Grazia,  Pia
 Negri per Cravanzola Mirella e altri e Giulio Correale per la Regione
 Piemonte.
                           Ritenuto in fatto
   1.1.  -  Il  Consiglio  di Stato, IV sezione, giudicando su ricorsi
 avverso la sentenza del Tribunale  amministrativo  regionale  per  il
 Piemonte  18  febbraio 1992, n. 46, concernenti la legittimita' di un
 concorso interno per la seconda qualifica dirigenziale, ha sollevato,
 in riferimento agli artt. 3 e 97  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  29, comma 9, e del comma 19,
 della legge della Regione Piemonte 8 settembre  1986,  n.  42  (Norme
 sull'organizzazione   degli  uffici  della  Regione  Piemonte),  come
 modificata dalla legge regionale 11 dicembre 1987, n. 60, e  altresi'
 dell'art.   95 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio
 1957, n.  3 (Testo unico delle disposizioni  concernenti  lo  statuto
 degli impiegati civili dello Stato).
   La  prima  questione  attiene  alla  composizione della commissione
 giudicatrice del concorso, che ai sensi del citato comma 9 e' formata
 dai componenti della Giunta e dal Presidente del Consiglio regionale.
 Gia'  in  primo  grado  taluni  ricorrenti  avevano   contestato   la
 legittimita'  costituzionale  della norma, ma ad avviso del Tribunale
 amministrativo la richiesta  di  annullamento  degli  atti,  da  loro
 avanzata,  poteva essere soddisfatta per altre vie; mentre l'indagine
 sulla  composizione  dell'organo  -   prosegue   l'ordinanza   -   e'
 prioritaria  rispetto  alla  verifica del suo operato, si' che appare
 rilevante,  e  non  manifestamente   infondata,   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.    29, comma 9, quale risulta
 dalla novella del 1987,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  la
 maggioranza dei componenti della commissione giudicatrice sia formata
 da esperti dotati di specifiche competenze.
   1.2.  -  Il  giudice  a quo solleva, poi, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 29, comma 19,  nel  testo  sostituito  dalla
 citata  legge  regionale  n.  60  del  1987,  nella  parte in cui non
 consente la graduazione del punteggio: vi sarebbe infatti  violazione
 dei principi di ragionevolezza e di imparzialita' (artt. 3 e 97 della
 Costituzione) e degli stessi canoni di logica, trattandosi di giudizi
 di  valore  sulla qualita'. Il legislatore regionale ha forse cercato
 di  limitare  gli  spazi  discrezionali  della  commissione,  e  cio'
 potrebbe anche risultare comprensibile - soggiunge l'ordinanza - se a
 tale  norma  non  si  accompagnasse contraddittoriamente l'altra, che
 affida la  funzione  valutativa  a  un  collegio  formato  nella  sua
 interezza da esponenti politici.
   1.3. - Il rimettente solleva infine, in riferimento agli artt.  3 e
 97  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 95 del testo unico n. 3/1957: secondo tale disposizione, il
 pubblico dipendente sospeso  cautelarmente  dal  servizio  in  quanto
 sottoposto  a  procedimento  disciplinare,  e  quindi  escluso  dallo
 scrutinio per la promozione, ha diritto  a  essere  valutato  ove  il
 procedimento  si  concluda con il proscioglimento o con l'irrogazione
 della sola censura.
   L'art. 95, che per la giurisprudenza prevalente non e' suscettibile
 di interpretazione estensiva, non  contempla,  pero',  l'ipotesi  del
 dipendente   soggetto   a   procedimento   penale  e  successivamente
 prosciolto, per cui l'illegittimita' costituzionale deriverebbe dalla
 omessa previsione  di  un  meccanismo  riparatore  analogo  a  quello
 codificato  per le vicende disciplinari. Qualora la questione venisse
 dichiarata fondata - conclude il giudice a  quo  -  l'amministrazione
 regionale, nel prendere atto del proscioglimento, dovrebbe rivalutare
 i  dipendenti  per  quanto  attiene  alla  voce  "stima e prestigio",
 promuovendoli anche in soprannumero, ove sussistano i presupposti.
   2. -  Si  e'  costituita  la  Regione  Piemonte,  nel  senso  della
 inammissibilita' per irrilevanza, e comunque della infondatezza della
 prima  questione,  osservando  in  particolare  come  l'interesse dei
 ricorrenti fosse quello di ottenere la revisione del  giudizio  della
 commissione, e non di far caducare l'intero procedimento concorsuale,
 e  aggiungendo  che il giudice amministrativo deve pronunciarsi sulla
 domanda  cosi'  come  fissata  dal  ricorrente.  Anche  la  questione
 dell'art.  29, comma 19, sarebbe inammissibile (o infondata), essendo
 riconosciuta al legislatore la "sovranita' della  scelta  normativa",
 nel rispetto del principio di ragionevolezza.
   Inammissibile  e'  altresi',  ad avviso della Regione, la questione
 dell'art.  95  del  testo  unico  n.   3/1957,   perche'   basterebbe
 un'interpretazione  adeguatrice; e a tal fine si ricorda la decisione
 della IV sezione del Consiglio di Stato (n. 276/1983), secondo cui le
 disposizioni contenute negli artt. 93  e  95  del  testo  unico  sono
 espressione  di un principio generale. In ogni caso, sarebbe precluso
 a questa Corte di  integrare  le  regole  vigenti,  sostituendosi  al
 legislatore.
   3.  -  Si sono costituiti in giudizio i signori Cravanzola, Miele e
 altri, parti nel processo a  quo  richiamando  gli  argomenti  svolti
 davanti  al  Consiglio di Stato a sostegno del dubbio di legittimita'
 costituzionale  della  normativa  regionale,  nella  parte   in   cui
 stabilisce,  in  contrasto  con  il  principio di imparzialita' della
 pubblica  amministrazione,  che  la  commissione   esaminatrice   del
 concorso sia formata esclusivamente da esponenti politici.
   4.  -  Si  e'  costituita  pure  l'altra  parte  privata,  Ferreri,
 sostenendo l'equivalenza fra le  due  situazioni  messe  a  raffronto
 (sottoposizione  a procedimento disciplinare e penale), al fine della
 reintegrazione di cui agli artt. 88 e 89 del testo unico.
                         Considerato in diritto
   1. - Il Consiglio di Stato, IV sezione, dubita  della  legittimita'
 costituzionale  di  tre disposizioni: l'art. 29, comma 9, della legge
 della Regione Piemonte n. 42 del 1986, come  modificata  dalla  legge
 regionale  n.  60  del  1987  (Norme sull'organizzazione degli uffici
 della Regione Piemonte); l'art. 29,  comma  19,  della  stessa  legge
 regionale;  e  l'art. 95 del testo unico degli impiegati civili dello
 Stato, d.P.R. n. 3 del 1957.
   Vanno  disattese,  innanzitutto,  le eccezioni di irrilevanza mosse
 dalla Regione Piemonte con riguardo alle  questioni  di  legittimita'
 dell'art.  29,  commi  9 e 19, perche' la premessa interpretativa del
 rimettente e' del tutto plausibile (fra le tante, v. in tal senso  la
 sentenza   n.  416  del  1993),  e  non  vi  e'  dubbio  che  l'ampia
 argomentazione   contenuta   nell'ordinanza   risponde   all'esigenza
 primaria  di  assicurare  l'effettivo  svolgimento  del  controllo di
 legittimita' costituzionale.
   2. - Si deve dunque passare al merito.
   La prima questione  attiene  alla  composizione  della  commissione
 giudicatrice  del  concorso: il comma 9 dell'art. 29, citato, prevede
 che essa sia formata dai componenti della Giunta e dal Presidente del
 Consiglio regionale; e in proposito  il  giudice  a  quo  ricorda,  a
 ragione,   la   giurisprudenza   di  questa  Corte,  secondo  cui  le
 commissioni concorsuali debbono avere prevalente carattere tecnico, a
 tutela dell'imparzialita' e del buon  andamento  dell'amministrazione
 (sentenze  nn. 333/1993 e 453/1990). Ne' vale obiettare che si tratta
 di una procedura, del tutto  peculiare,  per  il  conferimento  della
 seconda qualifica dirigenziale, limitata alla "prima attuazione della
 legge":    cio' non giustifica una norma in cosi' grave contrasto con
 l'art.  97 della Costituzione.
   Cosi'  come  risulta  dal  testo  vigente,  la  composizione  della
 commissione  non  offre alcuna garanzia di imparzialita', perche' nel
 procedimento potrebbero  inserirsi  interessi  estranei  al  corretto
 espletamento   del   concorso.  E'  compromesso,  altresi',  il  buon
 andamento dell'attivita' amministrativa,  per  gli  effetti  negativi
 sulla  selezione  della  dirigenza  e  sull'assetto complessivo degli
 apparati regionali (distorsione  gia'  segnalata  nella  sentenza  n.
 333/1993,  Considerato  in diritto n. 5); ed e' motivo di allarme che
 la novella del 1987 (legge n.  60, menzionata), sostituendo l'art. 29
 della legge n. 42/1986, peggiori nettamente il testo originario,  che
 includeva  nella  commissione  due  esperti  designati  dalla Giunta,
 insieme con il suo presidente e due consiglieri regionali.
   Coerentemente, deve riaffermarsi il principio, che trova  riscontro
 anche  nell'art.  8,  lettera  d),  del decreto legislativo n. 29 del
 1993, secondo cui  nelle  commissioni  giudicatrici  la  presenza  di
 tecnici ed esperti, estranei agli organi di governo, debba essere, se
 non  esclusiva,  quanto meno prevalente, in modo da assicurare scelte
 fondate sull'applicazione  di  parametri  neutrali  e  sull'obiettiva
 valutazione   delle   attitudini,   della  preparazione,  dei  titoli
 professionali (sentenze nn. 416/1993 e 453/1990).
   Va dunque dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.  29,
 comma 9, nella parte in cui prevede che la  commissione  giudicatrice
 sia formata esclusivamente da componenti della Giunta regionale e dal
 Presidente del Consiglio regionale.
   3.  - Il Consiglio di Stato solleva, poi, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.  29,  comma  19,  nella  parte  in  cui  non
 consente   alla   commissione   giudicatrice  di  poter  graduare  il
 punteggio, con cio'  violando  i  principi  di  ragionevolezza  e  di
 imparzialita'  (artt.    3  e  97  della  Costituzione),  perche'  si
 impedirebbe alla commissione di adempiere  la  funzione  assegnatale,
 si'  da  garantire  la  par  condicio  dei  partecipanti  ed  evitare
 l'appiattimento delle posizioni individuali.
   E'  bene  ricordare, per chiarezza, che si tratta di attribuire sei
 punti a ciascuno dei quattro  elementi  da  ponderare  per  accertare
 l'attitudine del candidato all'espletamento delle funzioni superiori:
 preparazione, autonomia di giudizio, collaborazione e partecipazione,
 stima  e  prestigio  (cio'  fino  a un massimo di ventiquattro punti:
 lettera d) della tabella). E'  corretta  la  lettura  di  tale  norma
 compiuta  dal  Consiglio  di  Stato,  che  esclude la possibilita' di
 graduazione  sulla  base  dell'interpretazione  letterale  ("per  gli
 elementi  valutati negativamente non e' attribuito alcun punto": art.
 29, comma 19 citato), confortata dai lavori preparatori (v. Consiglio
 Regione Piemonte, seduta 10 novembre 1987,  intervento  del  relatore
 sulla  novella  del  1987:  "sono  assegnati  sei  punti  in  caso di
 valutazione  positiva,  zero  in  caso  contrario";   nel   dibattito
 consiliare emerge l'esigenza di prevenire il contenzioso).
   Il  rimettente dubita della legittimita' costituzionale di siffatto
 meccanismo, che peccherebbe di rigidita': ma va  considerato  che  il
 legislatore "gode di ampia discrezionalita' nello stabilire i criteri
 di  ammissione ai concorsi, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza
 e di salvaguardia del buon andamento  dell'amministrazione"  (fra  le
 varie,  v.  le sentenze nn. 234 e 51 del 1994, 964 e 331 del 1988, 81
 del 1983). Qui non si realizza, pero', alcuna lesione di tali canoni,
 perche' la norma  in  esame  introduce  un  sistema  sufficientemente
 articolato  di valutazione, che si basa su quattro profili: titoli di
 servizio, di studio, funzioni espletate e, infine, l'attitudine  alle
 funzioni  della  seconda  qualifica dirigenziale. Voce, quest'ultima,
 che a sua volta si scompone negli ulteriori  "elementi  di  giudizio"
 ricordati  (v. l'art. 28, comma 18), fra cui la stima e il prestigio,
 all'interno e all'esterno dell'amministrazione.
   Tale previsione, considerata nel suo complesso, consente adeguato e
 razionale  apprezzamento  delle  singole  posizioni;  e  la   mancata
 graduazione  non  compromette la qualita' della selezione concorsuale
 (v. ancora la sentenza n. 234/1994). Onde, la  non  fondatezza  della
 questione.
   4. - L'art. 95 del testo unico degli impiegati civili disciplina lo
 svolgimento  del  "procedimento riparatorio" quando vi sia esclusione
 dallo scrutinio per l'instaurazione di un procedimento  disciplinare.
 Esso  e'  censurato  dal  giudice  a  quo  perche'  non  considera la
 situazione del dipendente, sottoposto a procedimento penale, che  sia
 prosciolto successivamente all'espletamento dello scrutinio.
   L'ordinanza  invoca  una  sentenza  additiva  che  dovrebbe operare
 un'integrazione  dell'art.  95,  includendovi   la   situazione   del
 dipendente sottoposto a procedimento penale, prosciolto in un momento
 successivo  allo  scrutinio  per  la  promozione; per cui si dovrebbe
 consentirne uno "di recupero" in  tutti  i  casi  di  esclusione  per
 l'avvenuta  instaurazione  di un procedimento, disciplinare o penale,
 conclusosi in termini favorevoli al dipendente. Ma lo stesso  giudice
 rimettente  ammette  che  nella  vicenda al suo esame non vi e' stata
 esclusione: la lesione denunciata nel giudizio a quo  dai  ricorrenti
 e'  diversa,  e puo' essere descritta come una sorta di "ricaduta" (e
 comunque di pregiudizio) che la pendenza del procedimento  penale  ha
 determinato  a loro danno. L'apertura di tale procedimento, e i fatti
 addebitati,  sono   entrati   nella   ponderazione   compiuta   dalla
 commissione  giudicatrice  senza che il proscioglimento, sopraggiunto
 dopo la conclusione del concorso, potesse valere come presupposto per
 una nuova valutazione. E' quindi evidente che l'intervento  additivo,
 come  prospettato,  non  rileverebbe  nel processo   a quo:   di qui,
 l'inammissibilita' della questione; ed e' appena il  caso  di  notare
 che  un'eventuale  e piu' ampia integrazione della norma, volta a far
 valere  un  generale  "principio  di  riparazione"  (secondo   quanto
 affermato  da  una parte della giurisprudenza), dovrebbe disciplinare
 gli aspetti procedimentali e le  modalita'  dell'eventuale  passaggio
 alla  qualifica superiore, anche in soprannumero, ove ne sussistano i
 presupposti. Il che comporterebbe una vera e  propria  rielaborazione
 della  normativa posta dal testo unico che esula dai poteri di questa
 Corte.