ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 55, ultimo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni), promosso con ordinanza emessa il 16 dicembre 1996 dal pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra INPDAP e la Reale Mutua Assicurazioni s.p.a., iscritta al n. 62 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1997; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1997 il giudice relatore Francesco Guizzi. Ritenuto in fatto 1. - In un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, il pretore di Torino ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55, quarto comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni), in base al quale "non si possono perseguire le indennita' premio di servizio conferite ai propri iscritti dall'Istituto nazionale per l'assistenza dei dipendenti degli enti locali". La rubrica dell'art. 55, con la sua collocazione nel titolo III del d.P.R. n. 180, concernente la cessione dello stipendio, dimostra che l'espressione usata dal legislatore "non perseguibilita'" non riguarda il sequestro e pignoramento di cui al titolo I, ma gli effetti della cessione dello stipendio sulla corresponsione dell'indennita' al termine del servizio attivo: di qui, la rilevanza della questione. La norma denunciata, osserva il giudice a quo fa eccezione alla regola fissata dall'art. 43, terzo comma del citato d.P.R. n. 180, secondo cui - quando vi sia cessione dello stipendio - l'indennita' maturata al termine del servizio "e' ritenuta fino alla concorrenza dell'intero debito residuo", per cui gli effetti della cessione dello stipendio non si estendono alla "indennita' premio di servizio", in origine corrisposta dall'INADEL e, ora, dall'INPDAP. Essa ha perso, invero, la sua caratteristica di premio alla fedelta' del dipendente, e va qualificata come trattamento di fine rapporto. In via piu' generale, prosegue l'ordinanza, la legge 8 agosto 1995, n. 335, mira a omogeneizzare i vari tipi di trattamento di fine servizio, richiamando per il pubblico impiego l'art. 2120 del codice civile. Anche nella recente giurisprudenza costituzionale si e' affermata la comparabilita' di tali trattamenti, superando la netta separazione fra sfera pubblica e privata (sentenze nn. 243 e 99 del 1993), si' che sarebbe irragionevole la disciplina che l'art. 55, ultimo comma, riserva al dipendente pubblico beneficiario dell'indennita' premio di servizio rispetto agli altri per i quali vale il meccanismo di cui agli artt. 43, terzo comma, e 55, primo e secondo comma, del d.P.R. n. 180. Ma vi sarebbe, soprattutto, disparita' con i lavoratori del settore privato, per i quali non esiste alcun limite alla cessione del trattamento di fine rapporto (art. 1260 del codice civile). Il pretore aggiunge che per l'indennita' di buona uscita corrisposta dall'ENPAS va applicato l'art. 45, ultimo comma, del d.P.R. citato. 2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, eccependo l'inammissibilita' per scarsa chiarezza dell'ordinanza e sostenendo, comunque, l'infondatezza della questione. E se non vi e' dubbio che l'indennita' in esame debba ormai considerarsi alla stregua di un trattamento di fine rapporto, va tuttavia considerato che pure l'indennita' di buona uscita conferita dall'ENPAS non puo' essere perseguita (art. 45, ultimo comma). Non vi e' quindi disparita' fra dipendenti pubblici; ne' va accolta la censura che si fonda sulla comparazione con l'impiego privato, perche' valgono esigenze di garanzia connesse alla funzione svolta dai dipendenti pubblici, discrezionalmente apprezzate dal legislatore. Si tende, certo, al graduale avvicinamento delle normative, ma - conclude l'Avvocatura - sussistono ancora ragguardevoli differenze fra il trattamento di fine rapporto regolato da norme privatistiche e quello dei dipendenti pubblici, tanto da giustificare una disciplina distinta in tema di "perseguibilita'" da parte di terzi. Considerato in diritto 1. - Il pretore di Torino ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55, quarto comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni), in base al "quale non si possono perseguire le indennita' premio di servizio conferite ai propri iscritti dall'Istituto nazionale per l'assistenza dei dipendenti degli enti locali". Vi sarebbe lesione del principio di eguaglianza, perche' la norma denunciata introdurrebbe una deroga all'interno della disciplina riservata ai dipendenti pubblici; ed emergerebbe altresi' un'ingiustificata disparita' rispetto ai lavoratori del settore privato, per i quali vale la previsione dell'art. 1260 del codice civile senza alcun limite alla cessione del trattamento di fine rapporto. 2. - Si deve convenire con il giudice a quo che l'espressione usata dal legislatore "non perseguibilita'" non riguarda le fattispecie di sequestro e pignoramento, di cui al titolo primo del d.P.R. n. 180, ma concerne gli effetti della cessione dello stipendio sulla corresponsione dell'indennita' quando abbia termine il servizio attivo. La norma denunciata fa eccezione alla regola fissata dall'art. 43, terzo comma, del citato d.P.R. n. 180, in base al quale - ove la cessazione dal servizio dia titolo a una indennita' - si fa luogo a ritenuta fino alla concorrenza dell'intero debito residuo, per cui la "non perseguibilita'" disposta dall'art. 55, ultimo comma, esclude l'applicabilita' di siffatta procedura. Bisogna pero' soggiungere che analoga - e piu' vistosa - eccezione e' introdotta dall'art. 45, ultimo comma, del d.P.R. n. 180 per l'"indennita' di buona uscita" corrisposta dall'ENPAS ai dipendenti statali; anche in questo caso e' prevista la "non perseguibilita'", e non si palesa esatta la ricostruzione suggerita dal giudice a quo allorche' insiste sul carattere eccezionale dell'art. 55, quarto comma, nell'ambito della disciplina vigente per gli stessi dipendenti pubblici. 3. - Vi e' certo una differenza di trattamento fra i dipendenti pubblici in esame e gli statali, da una parte, e i lavoratori del settore privato, dall'altra, per i quali vale la previsione dell'art. 1260 del codice civile, su cui fa leva l'ordinanza per denunciare la lesione dell'art. 3 della Costituzione, alla luce dell'evoluzione legislativa che ha trasformato l'indennita' premio di servizio in un vero e proprio trattamento di fine rapporto. Il giudice a quo dimentica, pero', che la norma sulla "non perseguibilita'" - che pure risulta per tanti aspetti anacronistica - si inserisce in un meccanismo normativo tipico del pubblico impiego, quello della cessione dello stipendio, pari a un quinto; e che i due sistemi, pubblico e privato, non sono allo stato comparabili, nonostante il processo di graduale assimilazione rilevato dal Pretore, che trova eloquente riconoscimento nella giurisprudenza costituzionale (fra le varie, v. le sentenze nn. 243 e 99 del 1993) e nella recente legislazione. Ed e' appena il caso di ricordare che per i dipendenti pubblici assunti dal 1 gennaio 1996 i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono regolati dall'art. 2120 del codice civile (legge 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 5). La normativa vigente nel settore privato non puo' essere assunta, su questo punto particolare, come valido tertium comparationis: la pronuncia della Corte, sollecitata dal giudice a quo dovrebbe inevitabilmente rimodellare il sistema delineato dal d.P.R. n. 180, intervenendo - senza limitarsi all'indennita' premio di servizio - anche su quella di buona uscita, al fine di evitare sperequazioni all'interno dello stesso comparto pubblico, con evidente lesione della discrezionalita' del legislatore. Spetta percio' al Parlamento valutare l'opportunita' di una revisione complessiva di tale meccanismo.