ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  promosso  con ricorso del Presidente del Consiglio dei
 Ministri notificato il 23 dicembre 1997, depositato in Cancelleria il
 2 gennaio 1998  per  conflitto  di  attribuzione  nei  confronti  del
 Procuratore  della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, sorto a
 seguito dell'attivita' di indagine svolta nei confronti di funzionari
 del SISDE e di polizia, volta ad acquisire elementi di conoscenza  su
 circostanze  incise  dal  segreto  di  Stato opposto e confermato dal
 Presidente del Consiglio dei Ministri  ex  art.  12  della  legge  24
 ottobre 1977, n. 801.
   Il ricorso e' stato iscritto al n. 1 del registro conflitti 1998.
   Visto  l'atto  di  costituzione  del  procuratore  della Repubblica
 presso il Tribunale di Bologna;
   Udito  nell'udienza  del  24  febbraio  1998  il  giudice  relatore
 Fernanda Contri;
   Uditi   l'Avvocato   dello   Stato  Ignazio  F.  Caramazza  per  il
 ricorrente, e i dott.ri Ennio Fortuna e Paolo Giovagnoli, procuratore
 e sostituto procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di
 Bologna.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso del 25 novembre 1997, depositato il 26 novembre
 1997,  il  Presidente  del  Consiglio  dei      Ministri   -   previa
 deliberazione  del  Consiglio dei Ministri in data 14 novembre 1997 -
 ha sollevato conflitto di attribuzione tra  poteri  dello  Stato  nei
 confronti  del  procuratore  della  Repubblica presso il Tribunale di
 Bologna, in relazione ad attivita' di indagine svolta  nei  confronti
 di  funzionari  del  Servizio  per  la  informazione  e  la sicurezza
 democratica (SISDE) e di polizia, e diretta ad acquisire elementi  di
 conoscenza  su  circostanze  incise  dal  segreto  di Stato opposto e
 confermato dal Presidente del Consiglio  dei  Ministri,  ex  art.  12
 della  legge  24  ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei
 servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina  del  segreto
 di Stato).
   I  fatti, quali risultano dagli atti di causa, possono essere cosi'
 riassunti.
   Nel  gennaio  1997,  la  Procura della Repubblica di Roma inizia un
 procedimento penale nei confronti di tre  funzionari,  per  attivita'
 svolte   in  sede  di  azione  informativa  effettuata  dal  Servizio
 antiterrorismo della Direzione centrale della polizia di  prevenzione
 e dal SISDE nel settembre 1991.  Nel corso delle indagini preliminari
 svolte  dalla  Procura  di  Roma e' opposto il segreto sia in sede di
 interrogatorio  che  in  relazione  ad  un   ordine   di   esibizione
 documentale  dell'autorita' giudiziaria.  La Procura della Repubblica
 di Roma formula, pertanto, ai sensi dell'art.  202 cod.  proc.  pen.,
 il  rituale interpello al Presidente del Consiglio dei Ministri, che,
 in data 12 giugno 1997, conferma le opposizioni, ai sensi degli artt.
 202 e 256  cod.  proc.  pen.,  in  quanto  nella  specie  l'eventuale
 divulgazione delle modalita' operative utilizzate dai Servizi avrebbe
 pregiudicato  la  loro  opera  e  provocato  effetti negativi per gli
 interessi indicati e protetti nell'art. 12 della legge n.    801  del
 1977.
   Successivamente,   il   Comitato  parlamentare  per  i  servizi  di
 informazione e sicurezza, investito ex art. 16 della legge n. 801 del
 1977, con deliberazione assunta all'unanimita'  il  22  luglio  1997,
 ritiene  fondata  la conferma del segreto di Stato, che il Presidente
 del Consiglio aveva opposto.
   La Procura di Roma, ritenuta la propria incompetenza  territoriale,
 trasmette   gli  atti  al  procuratore  della  Repubblica  presso  il
 Tribunale di Bologna, che avvia  l'investigazione,  notificando  alla
 Divisione  investigazioni  generali operazioni speciali (DIGOS) della
 locale  Questura,  nel  luglio  1997,   ordine   di   esibizione   di
 documentazione  riguardante  le  indagini svolte nel settembre 1991 e
 relative a un cittadino straniero.
   La Questura di Bologna, nel trasmettere alcuni  atti,  precisa  che
 essi sono coperti dal segreto di Stato.
   Il  procuratore  della  Repubblica, nonostante il segreto opposto e
 confermato, prosegue nelle indagini.
   Nel corso dell'interrogatorio di un quarto funzionario, che si  era
 riportato  al  segreto  di  Stato,  il difensore di fiducia, avvocato
 dello Stato, richiama il segreto opposto, con preciso riferimento  al
 modus operandi del servizio.
   Nel novembre 1997, il pubblico ministero effettua gli interrogatori
 degli   altri  indagati,  preannunciando  all'avvocato  dello  Stato,
 incaricato della difesa, un  prossimo  deposito  della  richiesta  di
 rinvio a giudizio.
   Il  ricorrente  Presidente  del  Consiglio  si  duole del fatto che
 l'attivita' svolta dalla Procura di  Bologna  ha  eluso  gli  effetti
 della  conferma  del segreto di Stato opposto e piu' volte richiamato
 dai diversi  interrogati,  ricercando  e  ottenendo  "proprio  quelle
 notizie  che  si  erano  volute segretare" (nomi e modus operandi). E
 ancora   che   la   divulgazione   dei   dettagli   tecnico-operativi
 dell'operazione antiterrorismo de qua puo' esporre i servizi italiani
 al  rischio  di  "ostracismo  informativo"  da  parte  degli omologhi
 servizi stranieri interessati a problematiche  comuni,  con  evidenti
 conseguenze fortemente negative.
   Ritenendo  che  l'attivita'  istruttoria svolta dalla Procura della
 Repubblica di Bologna e gli atti istruttori adottati  esorbitino  dal
 potere  di indagine in presenza dell'opposizione del segreto di Stato
 - previa la necessaria  deliberazione  del  Consiglio  dei  Ministri,
 assunta  in  data  14  novembre  1997  -  il Presidente del Consiglio
 solleva conflitto ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n.
 87,  lamentando  la lesione della propria sfera di attribuzioni, come
 delimitata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95 e 126 della Costituzione,
 e con riguardo agli artt. 12 e 16 della legge  24  ottobre  1977,  n.
 801,  nonche'  agli  artt.  202,  256  e  362 del codice di procedura
 penale.
   2. - Con provvedimento in data  26  novembre  1997,  il  Presidente
 della   Corte  costituzionale  ha  accolto  la  formale  istanza  del
 ricorrente volta ad ottenere la segretazione  dei  documenti  che  si
 riservava di allegare.
   3.  -  Con  l'ordinanza  n.  426 del 1997 depositata il 18 dicembre
 1997, la Corte  costituzionale  ha  dichiarato  l'ammissibilita'  del
 conflitto  sollevato  dal  Presidente  del Consiglio dei Ministri nei
 confronti del Procuratore della Repubblica  presso  il  Tribunale  di
 Bologna.
   4.  -  Quest'ultimo si e' costituito nel presente giudizio con atto
 depositato il 10 gennaio 1998, nel  quale  chiede  che  questa  Corte
 dichiari  il  ricorso  presentato  dal  Presidente  del Consiglio dei
 Ministri inammissibile - in quanto gli  atti  contestati,  rientrando
 nelle  attribuzioni dell'autorita' giudiziaria, non sarebbero "idonei
 a ledere in alcun modo la sfera  di  attribuzioni  costituzionalmente
 determinata per il Governo dello Stato" - ovvero infondato, avendo la
 Procura di Bologna agito "nell'ambito delle attribuzioni appartenenti
 all'Autorita' giudiziaria".
   A sostegno di tali richieste il procuratore della Repubblica presso
 il  Tribunale  di  Bologna  osserva,  innanzi  tutto,  che  le  norme
 riguardanti il segreto di Stato contenute negli artt. 202 e 256  cod.
 proc.  pen.    non  avrebbero  l'effetto  di  impedire l'accertamento
 aliunde dei fatti coperti dal segreto, limitandosi  ad  escludere  il
 dovere  di  testimoniare  dei  pubblici  ufficiali.  Le  disposizioni
 menzionate, subordinando la dichiarazione di  non  doversi  procedere
 per  l'esistenza  del segreto di Stato alla essenzialita' della prova
 per la definizione del processo, implicherebbero la possibilita' "che
 la  esistenza  di  prove  diverse  da  quelle   non   acquisite   per
 l'opposizione  del  segreto  di  Stato,  consenta la prosecuzione del
 processo con la richiesta di rinvio  a  giudizio".    Ad  avviso  del
 resistente,  l'interpretazione  prospettata  dal  ricorrente, volta a
 configurare un divieto assoluto di indagine sui fatti e le notizie in
 relazione alle quali il pubblico ufficiale ha opposto il  segreto  di
 Stato,  non  puo'  essere  condivisa  in  considerazione  del  tenore
 letterale e della collocazione sistematica degli artt.    202  e  256
 cod.  proc.  pen., che si limitano a stabilire un'eccezione al dovere
 di testimoniare e di esibire atti  e  documenti.  Inoltre,  si  legge
 nell'atto  di  costituzione,  le  disposizioni  generali  sulle prove
 (artt. 187 ss. cod. proc. pen.) prevedono un diritto alla prova delle
 parti, e quindi  anche  del  pubblico  ministero,  limitato  soltanto
 dall'irrilevanza  della  prova  (art.  190  cod.  proc. pen.) o da un
 esplicito  divieto   legislativo,   non   ricavabile   dalle   citate
 disposizioni  sul  segreto  di  Stato,  "che non prevedono affatto un
 divieto  di  acquisire  altrimenti  notizie  sui  fatti  coperti  dal
 segreto".  Solo  se  formulato in modo esplicito, un siffatto divieto
 potrebbe superare una serie di norme che  stabiliscono  espressamente
 l'obbligo del pubblico ministero di esercitare l'azione penale.
   Secondo  l'interpretazione  fornita  dalla  Procura  costituita nel
 presente giudizio, la ratio delle norme sul segreto non e' quella  di
 impedire che si indaghi su un argomento coperto dal segreto di Stato,
 bensi' quella "di evitare che i pubblici ufficiali e le altre persone
 previste  dagli  artt.  202  e  256  cod.  proc.  pen. possano essere
 obbligate a rendere testimonianza e a consegnare  atti  e  documenti,
 riguardanti  fatti  coperti  da  segreto  di  Stato,  ovvero che essi
 possano essere puniti per il  loro  rifiuto  di  compiere  tali  atti
 altrimenti obbligatori".
   Il pubblico ministero, nell'atto di costituzione e nella successiva
 discussione  in  udienza,  ha  concluso chiedendo la dichiarazione di
 inammissibilita'  del   ricorso   -   perche'   gli   atti   compiuti
 nell'esercizio delle attribuzioni dell'autorita' giudiziaria non sono
 idonei  a  ledere,  in  alcun  modo,  la sfera delle attribuzioni del
 Governo -, o comunque la dichiarazione di infondatezza.
   5. - In prossimita' dell'udienza, il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri  ha  depositato  una  memoria  illustrativa  insistendo  per
 l'accoglimento del ricorso.   La difesa del Governo  afferma  che  la
 tesi  della  Procura  di Bologna appare contraria alla lettera e alla
 ratio della legge. L'astenersi  dal  deporre  su  fatti  coperti  dal
 segreto  di Stato non sarebbe, infatti, una facolta' ma un "obbligo";
 la segretazione atterrebbe non gia' alla forma della notizia  o  alle
 sue  modalita'  di  acquisizione,  ma  alla notizia in se', in quanto
 oggetto di conoscenza  veicolato  da  qualunque  supporto  mnemonico,
 cartaceo,  simbolico  o  fattuale, cosi' come reso palese anche dalla
 ridondante locuzione adottata  dal  legislatore  nell'art.  12  della
 legge  n.  801  del  1977.    L'errore  in  cui e' incorsa la procura
 bolognese - continua l'Avvocatura - e' stato quello di  arrestare  il
 proprio  esame  al  "sottosistema  processuale probatorio" in cui gli
 artt. 202 e 256 cod. proc. pen.   sono  inseriti,  presupponendo  una
 nozione  unitaria  di  "segreto"  comune  a tutte le disposizioni del
 codice che  impiegano  tale  termine.    In  ordine  all'acquisizione
 aliunde  delle notizie segretate, l'Avvocatura sostiene che, nel caso
 del segreto   di Stato, il valore tutelato  e'  la  integrita'  e  la
 sicurezza  dello  Stato  democratico, che sarebbero messe in pericolo
 dalla "diffusione" di determinate notizie, e  il  processo  penale  -
 sottolinea l'Avvocatura - comporta ex se  tale diffusione.  Il potere
 istruttorio  dovrebbe,  quindi,  arrestarsi  di  fronte al segreto di
 Stato. Ad  avviso  del  ricorrente,  l'inammissibilita'  della  prova
 dipende  dal thema probandum che e' escluso di per se' dall'attivita'
 istruttoria,  indipendentemente  dalla  qualita'  funzionale  di  chi
 detiene  il segreto.  L'Avvocatura contesta poi la tesi della Procura
 secondo la quale l'opposizione del segreto sarebbe venuta da indagati
 e non da testimoni, ed altresi' l'assunto  secondo  cui  l'esibizione
 dei  documenti,  da parte della Questura di Bologna, sarebbe avvenuta
 senza opposizione del segreto.
   La prima obiezione, sottolinea l'Avvocatura,  e'  superata  da  tre
 ordini  di  considerazioni:  l'autorita'  giudiziaria  ha  chiesto ed
 ottenuto  la  conferma  del  segreto  da  parte  del  Presidente  del
 Consiglio,    cio'    che   avrebbe   sanato   gli   eventuali   vizi
 dell'opposizione; il segreto sulle stesse notizie e'  stato  comunque
 ritualmente  opposto e confermato quanto meno in relazione all'ordine
 di  esibizione  documentale  al  direttore  del  SISDE;   l'autorita'
 procedente  era  in  ogni  caso a conoscenza del fatto che le notizie
 acquisite  erano  coperte  da  segreto  di   Stato.      Quest'ultima
 considerazione  viene  altresi'  addotta  dal  ricorrente  contro  la
 seconda obiezione, successivamente smentita  peraltro  anche  con  la
 produzione  della nota, della questura, di trasmissione dei documenti
 richiesti.  Conclude l'Avvocatura che oggetto del  segreto  di  Stato
 altro  non  puo'  essere  che  il  thema  probandum in quanto solo in
 relazione  ad  esso  e'  formulabile  un  giudizio   prognostico   di
 essenzialita' del mezzo di prova ai fini del decidere.
   6. - La discussione e' avvenuta il 24 febbraio 1998 a porte chiuse,
 giusta  provvedimento  del  Presidente della Corte in data 15 gennaio
 1998.
                         Considerato in diritto
   1. - Con  il  ricorso  indicato  in  epigrafe,  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri solleva conflitto di attribuzione tra poteri
 dello Stato nei confronti del  pubblico  ministero,  in  persona  del
 Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di Bologna, in
 relazione ad attivita' istruttoria svolta nei confronti di funzionari
 del Servizio per la informazione e la sicurezza democratica (SISDE) e
 di  polizia,  e  diretta  ad  acquisire  elementi  di  conoscenza  su
 circostanze  incise  dal  segreto  di Stato ex art. 12 della legge 24
 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei  servizi  per  le
 informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato).
   Il   ricorrente   lamenta   la   lesione  della  propria  sfera  di
 attribuzioni - fra queste, in particolare, il potere di   vietare  la
 diffusione  di  notizie  idonee  a  recare danno all'integrita' dello
 Stato democratico - come delimitata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94,  95
 e  126  della  Costituzione,  e con riguardo agli artt. 12 e 16 della
 legge 24 ottobre 1977, n.  801, nonche' agli artt. 202, 256 e 362 del
 codice di procedura penale.
   Il ricorrente chiede alla Corte di dichiarare  che  non  spetta  al
 pubblico  ministero  procedere  ad indagini strumentali all'esercizio
 dell'azione penale con riferimento a fatti e  notizie  in  ordine  ai
 quali e' stato opposto il segreto di Stato, confermato dal Presidente
 del  Consiglio,  e  di  conseguenza  di annullare gli atti istruttori
 specificamente elencati.
   2.  -  Occorre,  innanzitutto,  confermare   l'ammissibilita'   del
 conflitto  di  attribuzione  in questione, che   questa Corte ha gia'
 dichiarato, in linea di prima e sommaria delibazione, con l'ordinanza
 n. 426 depositata  il 18 dicembre 1997.
   Sotto il  profilo  soggettivo,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e'  legittimato  a sollevare il conflitto, in quanto organo
 competente a dichiarare definitivamente la volonta'  del  potere  cui
 appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma
 del  segreto  di  Stato, non solo in base alla legge n. 801 del 1977,
 ma, come questa Corte ha gia' avuto occasione di chiarire, anche alla
 stregua delle disposizioni costituzionali - invocate  nel  ricorso  -
 che ne delimitano le attribuzioni (sentenza n. 86 del 1977).
   Sotto  il medesimo profilo, anche la legittimazione del procuratore
 della Repubblica presso il Tribunale   di  Bologna  a  resistere  nel
 conflitto deve essere affermata in conformita' alla giurisprudenza di
 questa  Corte,  che riconosce al pubblico ministero la legittimazione
 ad essere parte di conflitti di attribuzione tra poteri dello  Stato,
 in  quanto, ai sensi dell'art. 112 della Costituzione, e' il titolare
 diretto  ed  esclusivo   dell'attivita'   di   indagine   finalizzata
 all'esercizio  obbligatorio  dell'azione penale (ordinanza n. 269 del
 1996; sentenze n. 420 del 1995, e nn. 464, 463 e 462 del 1993).
   Quanto  al  profilo  oggettivo,  il conflitto riguarda attribuzioni
 costituzionalmente  garantite  inerenti   all'esercizio   dell'azione
 penale  da  parte  del  pubblico ministero ed alla salvaguardia della
 sicurezza dello Stato anche attraverso lo strumento del  segreto,  la
 cui opposizione e' attribuita alla responsabilita' del Presidente del
 Consiglio ed al controllo del Parlamento.
   3.  -  Per  la definizione del presente conflitto e' necessario, in
 via preliminare, ripercorrere i vari momenti  e  i  diversi  passaggi
 attraverso  i quali la vicenda che ha originato il presente conflitto
 si e' sviluppata.
   Il 12 dicembre 1996  venivano  sequestrati  dal  Procuratore  della
 Repubblica  di  Roma due scatoloni di documenti relativi ad indagini,
 svolte anni prima  da  agenti  della  polizia  in  forza  all'Ufficio
 centrale  investigazioni  generali  operazioni speciali (UCIGOS) e da
 funzionari del SISDE, in ordine a un cittadino straniero segnalato da
 servizi stranieri e sospettato di collegamento con una organizzazione
 terroristica  straniera  in  epoca  di  attentati  ad  obbiettivi  di
 pertinenza di Stato estero, siti sul nostro territorio.
   Il  27  gennaio  1997  venivano  interrogati  dal procuratore della
 Repubblica di Roma tre funzionari: due in servizio presso la  polizia
 di   Stato,  uno  presso  il  SISDE.  Quest'ultimo  si  rifiutava  di
 rispondere ad alcune domande e dichiarava di opporre  il  segreto  di
 Stato sulla documentazione esibitagli.
   Dopo  di  cio'  la  Procura  della  Repubblica  emetteva decreto di
 esibizione ex art. 256 cod. proc.  pen.,  notificato  il  5  febbraio
 1997,  col quale disponeva l'acquisizione al procedimento di copia di
 tutta la documentazione, ovunque custodita dal SISDE,  relativa  alla
 persona che era stata oggetto di indagini.
   Il  SISDE  forniva  parte  della  documentazione,  mentre  su altra
 opponeva il segreto di Stato.
   Ritenuta  "pertinente"  alle  indagini  preliminari  in  corso   la
 documentazione    segretata,    il   Procuratore   della   Repubblica
 interpellava il Presidente del Consiglio dei Ministri affinche' desse
 conferma del segreto opposto ai sensi della legge n. 801 del 1977.
   Il Presidente del Consiglio dei Ministri, con provvedimento del  12
 giugno  1997,  ricordando  che il segreto era stato opposto prima dal
 funzionario del SISDE, in sede di interrogatorio, e poi dal direttore
 del SISDE dopo l'ordine di esibizione, ritenute fondate  le  esigenze
 di  segreto,  dichiarava,  con  apposita  motivazione,  correttamente
 opposto in sede di interrogatorio il segreto di Stato in ordine  alle
 domande  relative  ai dettagli dei modi operandi seguiti dal servizio
 nell'operazione  antiterrorismo  e  in   ordine   all'esibizione   di
 documenti richiesti dall'autorita' giudiziaria.
   Successivamente,   il   Comitato  parlamentare  per  i  servizi  di
 informazione e sicurezza investito ex art. 16  della legge n. 801 del
 1977, con delibera unanime riteneva in data 22 luglio 1997 fondata la
 conferma del segreto opposta.
   La Procura di  Roma,  ricevuta  la  decisione  del  Presidente  del
 Consiglio   e   ritenuta   la   propria   incompetenza  territoriale,
 trasmetteva gli atti, unitamente all'interpello e alla  delibera  del
 Presidente  del  Consiglio dei Ministri, al pubblico ministero presso
 il Tribunale di Bologna. Questi avviava l'investigazione, notificando
 alla DIGOS della locale Questura, in data 8 luglio  1997,  ordine  di
 esibizione  di  documentazione  riguardante  le indagini svolte a suo
 tempo dalla polizia e dai servizi.
   La Questura, nel trasmettere il 15 luglio 1997 copia dei  documenti
 richiesti,  precisava che sulle modalita' operative era stato opposto
 il segreto di Stato. L'Avvocatura generale dello Stato ha prodotto la
 nota di trasmissione della Questura di Bologna, per sottolineare come
 la predetta trasmissione sia avvenuta con un documento che richiamava
 espressamente l'opposizione del segreto di Stato e la  sua  conferma.
 Al  riguardo,  il  ricorrente ha ripetutamente affermato nel ricorso,
 nella memoria depositata e  nella  discussione,  che  il  procuratore
 della  Repubblica  ha  proceduto oltre nelle indagini e utilizzato la
 documentazione erroneamente  trasmessa  dalla  Questura  di  Bologna,
 ignorando il richiamo da questa formulato alla segretazione.
   La  Procura,  tra il 2 e il 4 agosto 1997, provvedeva ad aprire gli
 scatoloni inizialmente sequestrati, costituenti corpo di  reato,  che
 erano stati inviati fin dal 23 giugno 1997 dalla Procura di Roma.
   Il  6  novembre  1997,  nel  corso dell'interrogatorio di un quarto
 funzionario (il cui nome era  emerso  in  questa  fase  dell'indagine
 bolognese)  che  si  era  riportato  al  segreto  di Stato, era stata
 richiamata  espressamente  la  conferma  intervenuta  da  parte   del
 Presidente  del  Consiglio  con preciso riferimento al modus operandi
 del Servizio.
   Il  17  novembre  1997,  il  pubblico  ministero   effettuava   gli
 interrogatori degli altri indagati, preannunciando all'avvocato dello
 Stato,  incaricato della difesa, un prossimo deposito della richiesta
 di rinvio a giudizio.
   L'Avvocatura dello Stato, in una memoria datata 18  novembre  1997,
 chiedeva  al  pubblico  ministero  di non procedere alla richiesta di
 rinvio a giudizio.
   Il pubblico  ministero,  in  data  19-27  novembre  1997,  chiedeva
 l'emissione  di  decreto  di rinvio a giudizio per i quattro soggetti
 imputati per i reati previsti dagli artt. 81, 110,  615,  cod.  pen.,
 81,  110,  617, primo e terzo comma, cod. pen., e ancora 81, 110, 617
 bis primo e secondo comma, cod. pen., indicando  nella  richiesta  di
 rinvio a giudizio fonti di prova coperte dal segreto di Stato.
   Con  provvedimento  del  2 febbraio 1998 il giudice per le indagini
 preliminari fissava per il 22 aprile 1998 l'udienza preliminare.
   4. - Nel merito, il ricorso  deve  essere  accolto  nei  limiti  di
 seguito precisati.
   5.  -  Questa  Corte  ritiene  di tenere fermi i principi enunciati
 nelle sentenze che si sono pronunciate sul fondamento  e  sui  limiti
 del  segreto  opposto,  per  ragioni  di sicurezza interna ed esterna
 dello  Stato,  all'autorita'  giudiziaria  da   organi   del   potere
 esecutivo, in epoca anteriore alla legge n. 801 del 1977.
   Nella  sentenza  n.  86  del 1977, si afferma che solo nei casi nei
 quali si tratti di agire per la  salvaguardia  di  supremi  interessi
 dello  Stato  puo'  trovare  legittimazione  il  segreto,  in  quanto
 strumento necessario per raggiungere il fine  della  sicurezza  dello
 Stato  e  per garantirne l'esistenza, l'integrita', nonche' l'assetto
 democratico, valori tutelati dagli artt. 1, 5, 52,  87  e  126  della
 Costituzione.
   Quanto allo "sbarramento all'esercizio del potere giurisdizionale",
 potere  pur  esso  garantito  dagli  artt.  101, 102, 104 e 112 della
 Costituzione, la Corte - con  la  stessa  sentenza  -  ebbe  modo  di
 affermare   che  "la  sicurezza  dello  Stato  costituisce  interesse
 essenziale,  insopprimibile della collettivita', con palese carattere
 di assoluta preminenza su  ogni  altro,  in  quanto  tocca  (...)  la
 esistenza   stessa   dello   Stato,   un  aspetto  del  quale  e'  la
 giurisdizione".
   La decisione richiama  la  precedente  sentenza  n.  82  del  1976,
 anch'essa  in  tema  di  segreto  politico-militare,  nella  quale si
 sottolinea che il predetto istituto  involge  "il  supremo  interesse
 della  sicurezza dello Stato nella sua personalita' internazionale, e
 cioe'  l'interesse  dello  Stato-comunita'  alla  propria  integrita'
 territoriale,   indipendenza,  e  -  al  limite  -  alla  stessa  sua
 sopravvivenza".
   La Corte ha sottolineato che la potesta' dell'esecutivo  in  questa
 materia  non  e' illimitata e ha fatto salva l'esigenza - destinata a
 trovare il suo punto di equilibrio  e  la  sua  definizione  in  sede
 legislativa  -  di  assicurare,  in  ogni  singolo  caso concreto, un
 ragionevole rapporto di mezzo a fine; precisando che mai  il  segreto
 potrebbe   essere  allegato  per  impedire  l'accertamento  di  fatti
 eversivi dell'ordine costituzionale;  affermando  la  necessita'  che
 l'esecutivo indichi le ragioni essenziali che stanno a fondamento del
 segreto; insistendo sulla centralita' della sede parlamentare ai fini
 del  sindacato  politico sulla tutela del segreto, attraverso tutti i
 modi  consentiti  dalla  Costituzione,  riconducibili  alla  funzione
 ispettiva   delle   Camere,   ovvero   all'a'mbito  dei  procedimenti
 fiduciari.
   6. - A seguito della sentenza n. 86  del  1977,  il  Parlamento  ha
 introdotto  con  la  legge  n.  801 del 1977 una nuova disciplina del
 segreto di  Stato,  in  larga  misura  ispirata  alla  giurisprudenza
 costituzionale.  Non si tratta tuttavia di una riforma compiuta, come
 risulta  dall'art.   18, che rinvia ad una successiva "legge organica
 relativa alla materia del segreto" - non ancora  intervenuta  -  che,
 anche alla luce del presente conflitto, si appalesa auspicabile.
   In  particolare,  l'art.  15  della legge n. 801, che ha modificato
 l'art. 352 del codice di procedura penale del 1930, e in  seguito  la
 direttiva  della legge-delega per il nuovo codice di procedura penale
 di cui all'art. 2, comma 1, n. 70), della legge 16 febbraio 1987,  n.
 81,  e  gli  artt. 202 e 256 del nuovo codice - norme, queste ultime,
 sulla cui base, nella specie, e' stato opposto  il  segreto  -  hanno
 delineato,  con  formule non tutte identiche, in guisa da determinare
 qualche incertezza in ordine alla estensione del segreto, una ipotesi
 di  improcedibilita',  da  dichiararsi  dal  giudice,  allorche'  sia
 opposto  il  segreto  e  il  giudice stesso ritenga essenziali per la
 definizione del processo gli elementi di conoscenza da esso preclusi.
   7. - Con l'atto introduttivo del presente  giudizio  il  ricorrente
 chiede  che  la  Corte dichiari che non spetta al pubblico ministero,
 una volta preso atto della opposizione e della conferma  del  segreto
 di  Stato,  procedere  oltre nelle indagini strumentali all'esercizio
 dell'azione penale e compiere ulteriori atti di indagine  diretti  ad
 acquisire aliunde elementi di conoscenza sui fatti incisi dal segreto
 di Stato.
   La  tesi  prospettata dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale
 l'opposizione del segreto inibirebbe in modo  assoluto  all'Autorita'
 giudiziaria la conoscenza dei fatti ai quali il segreto si riferisce,
 e  quindi  precluderebbe  al pubblico ministero di compiere qualsiasi
 indagine,  anche  se  fondata  su  elementi  di conoscenza altrimenti
 acquisiti, non puo' essere condivisa. Tale  impostazione  altererebbe
 in  questa  materia  l'equilibrio dei rapporti tra potere esecutivo e
 autorita' giudiziaria, che debbono essere improntati al principio  di
 legalita';  ne'  potrebbe  questa  Corte  sostituirsi al legislatore,
 operando, in  concreto  e  di  volta  in  volta,  senza  alcuna  base
 legislativa,  valutazioni  di merito attinenti al bilanciamento tra i
 beni costituzionali  sottostanti  rispettivamente  alle  esigenze  di
 tutela  del  segreto  e  di  salvaguardia  dei  valori protetti dalle
 singole fattispecie incriminatrici.
   Sulla base di  questi  princi'pi,  e  alla  luce  della  disciplina
 vigente,  che  non  delinea  alcuna  ipotesi di immunita' sostanziale
 collegata all'attivita' dei servizi  informativi,  l'opposizione  del
 segreto  di  Stato da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri
 non ha l'effetto di impedire che il pubblico  ministero  indaghi  sui
 fatti  di reato cui si riferisce la notitia criminis in suo possesso,
 ed eserciti se del caso l'azione penale, ma ha l'effetto  di  inibire
 all'autorita'   giudiziaria   di   acquisire  e  conseguentemente  di
 utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto.
   Tale  divieto  riguarda  l'utilizzazione  degli  atti  e  documenti
 coperti da segreto sia in via diretta, ai fini cioe' di fondare su di
 essi l'esercizio dell'azione penale, sia in via indiretta, per trarne
 spunto  ai  fini  di  ulteriori  atti  di  indagine, le cui eventuali
 risultanze sarebbero a loro volta viziate  dall'illegittimita'  della
 loro origine.
   Fermo il principio di legalita', i rapporti tra Governo e autorita'
 giudiziaria  debbono  essere  ispirati  a  correttezza e lealta', nel
 senso  dell'effettivo  rispetto   delle   attribuzioni   a   ciascuno
 spettanti.   Entro questo quadro, non potrebbe ad esempio l'autorita'
 giudiziaria  aggirare  surrettiziamente  il   segreto   opposto   dal
 Presidente  del  Consiglio,  inoltrando  ad altri organi richieste di
 esibizione  di  documenti  dei  quali  le  sia  nota  la   segretezza
 formalmente opposta.
   Nel  caso  di specie, non appare conforme al dovere di lealta' e di
 correttezza il comportamento del procuratore della Repubblica  presso
 il  Tribunale  di Bologna che, pur essendo a conoscenza dell'avvenuta
 opposizione del segreto, non ne ha di fatto tenuto conto,  rivolgendo
 al  Questore  di  Bologna  ordine  di  esibizione  di  documentazione
 riguardante le indagini svolte  a  suo  tempo  dalla  polizia  e  dai
 servizi.
   Risultano   pertanto   lese   le   attribuzioni  costituzionalmente
 riconosciute al Presidente del Consiglio, e  il  vizio  non  riguarda
 soltanto  l'acquisizione  di  atti  e  documenti del cui contenuto il
 Procuratore della Repubblica di Bologna sia venuto a  conoscenza,  ma
 coinvolge  anche  l'eventuale  attivita' di indagine susseguentemente
 svolta avvalendosi di quelle conoscenze.
   Per contro non e' precluso al pubblico ministero di procedere,  ove
 disponga  o  possa  acquisire  per  altra via elementi indizianti del
 tutto autonomi e indipendenti  dagli  atti  e  documenti  coperti  da
 segreto.
   Spetta  poi  al  giudice, al quale il pubblico ministero formula le
 sue richieste, decidere se si debba dichiarare non doversi  procedere
 per  l'esistenza del segreto di Stato, allorquando ritenga essenziali
 prove la cui acquisizione e utilizzazione sono impedite  dal  segreto
 medesimo.
   Nella  specie,  risulta,  in  base  a  quanto  si  e'  detto  nella
 precedente esposizione in fatto, che atti coperti  dal  segreto  sono
 stati  acquisiti  ed utilizzati; che da essi il pubblico ministero ha
 preso le mosse per ulteriori indagini e che la richiesta di rinvio  a
 giudizio  indica,  fra le fonti di prova dei reati contestati, alcuni
 documenti  coperti  dal  segreto  legalmente  opposto.  Sotto  questo
 profilo,  la  domanda  del  ricorrente  e'  dunque  fondata: e devono
 pertanto essere annullati, ai sensi dell'art. 38 della  legge  n.  87
 del  1953, gli atti di indagine compiuti sulla base di fonti di prova
 coperte dal segreto, nonche' la sopravvenuta richiesta  di  rinvio  a
 giudizio, in quanto vi sono indicate o sono comunque utilizzate fonti
 di prova coperte dal segreto.