IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3467 del 1997,
 proposto da Leonardo Spagnoletti, rappresentanto e  difeso  dall'avv.
 Giuseppe  Barone, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in
 persona del Presidente in carica,  il  Presidente  del  Consiglio  di
 Stato  pro-tempore,  entrambi  rappresentati e difesi dall'Avvocatura
 distrettuale  dello  Stato;  per  l'annullamento  del   decreto   del
 Presidente  del  Consiglio  di  Stato del 18 luglio 1997 con il quale
 sono state indette le  elezioni  per  il  rinnovo  del  Consiglio  di
 presidenza della giustizia amministrativa per il 30 novembre 1997;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio;
   Vista la memoria prodotta dal ricorrente;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito  in  camera  di  consiglio il relatore dott. Catoni ed uditi,
 altresi', l'avv. Relleva, in sostituzione  dell'avv.  Barone  per  il
 ricorrente  e l'Avvocato dello Stato Gustapane per le amministrazioni
 resistenti;
   Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Il ricorrente e' un magistrato amministrativo in servizio presso il
 t.a.r. di Bari.
   A seguito  della  indizione  delle  elezioni  per  il  rinnovo  del
 Consiglio  di  presidenza  della  giustizia  amministrativa,  di  cui
 all'art. 7 della legge 27  aprile  1982  n.  186,  il  ricorrente  ha
 depositato,   previa  rituale  notifica,  il  gravame,  chiedendo  la
 sospensione delle  stesse  elezioni,  sulla  presupposizione  che  la
 composizione   dell'organo,   cosi'  come  prevista  dalla  legge  n.
 186/1982, sia lesiva della posizione  giuridica  dei  magistrati  dei
 t.a.r., la cui componente appartiene.
   Il  ricorrente  percio' deduce la illegittimita' costituzionale del
 ripetuto art. 7 per contrasto con gli artt. 3, 97, 101 secondo comma,
 107 terzo comma, e 108 secondo comma, della Costituzione.
   Tale  norma,  infatti,  secondo  il   ricorrente,   violerebbe   le
 disposizioni   costituzionali   citate   per   le   modalita'   sulla
 composizione   del   Consiglio   di   presidenza   della    giustizia
 amministrativa.
   Rileverebbero sotto tale profilo i seguenti elementi:
     a)  la  mancanza di membri "laici", posto che del Consiglio fanno
 parte solo magistrati (membri cosiddetti togati);
     b) la rappresentanza  proporzionale  assegnata  al  Consiglio  di
 Stato ed ai t.a.r.;
     c) il numero e la qualita' dei membri di diritto previsti.
   Espone  con  dovizia di argomentazioni giuridiche le ragioni per le
 quali siffatti elementi  realizzano  il  lamentato  contrasto  con  i
 principi costituzionali attinenti all'eguaglianza delle posizioni dei
 cittadini,  all'imparzialita' e correttezza della funzione della p.a.
 e  all'indipendenza  della  magistratura  e  conclude  chiedendo   la
 remissione  degli  atti alla Corte, previa sospensione delle elezioni
 indette per il prossimo 30 novembre 1997.
   Si   costituisce   l'Avvocatura   dello  Stato,  la  quale  rileva,
 preliminarmente,  di  aver  notificato  regolamento  di   competenza,
 essendo  istituzionalmente competente in materia la prima sezione del
 t.a.r.  Lazio.  Deduce  quindi  l'inammissibilita'  del  ricorso  per
 difetto d'interesse e contesta nel merito le pretese avversarie.
   In camera di consiglio il 26 novembre 1997, il collegio prende atto
 che non risulta ancora depositato in atti l'annunciato regolamento di
 competenza  ed  introita  il  ricorso  per la decisione sulla istanza
 cautelare.
                             D i r i t t o
   Il collegio  rileva  come  non  sussistano  i  presupposti  per  la
 concessione della tutela cautelare.
   In  realta',  pur  nella  possibilita'  che l'organo di autogoverno
 possa essere illegittimamente composto, ove si  ravvisassero  fondate
 le  tesi del ricorrente sulla illegittimita' costituzionale dell'art.
 7  della  legge  n.  186/1982,  e'  pur  sempre  preferibile,   anche
 nell'interesse  del  ricorrente,  che in attesa delle decisioni della
 Corte, sia garantita comunque la funzione dell'organo  rispetto  alla
 totale paralisi dello stesso.
   Peraltro,  poiche'  l'argomento appare di notevole importanza ed e'
 interesse generale che istituzioni di siffatta rilevanza,  rispondano
 ai  principi  costituzionali,  il  collegio  e' chiamato certamente a
 decidere, anche in sede cautelare, se sussistano  i  presupposti  per
 l'immediata remissione alla Corte della questione sottopostagli.
   Preliminare    appare    a   questo   riguardo   la   pregiudiziale
 dell'Avvocatura dello Stato.
   Questa e' certamente infondata.
   La difesa dell'amministrazione afferma che il "ricorrente non e' in
 grado  di  indicare  alcun  fatto  concreto  o  alcun  atto  che,  in
 dipendenza    dell'attuale    composizione   del   Consigilo,   abbia
 concretamente inciso sulla sua sfera giuridica".
   Ma in casi come quelli sottoposti al collegio, l'interesse non deve
 sussistere  in  concreto   bensi'   in   astratto.      L'illegittima
 composizione  di  un organo e' solo suscettibile di arrecare danni al
 momento in cui viene realizzata e il danno che  provoca  nella  sfera
 giuridica  di  chi  si  ritiene  leso  nasce  proprio dall'irregolare
 composizione dell'organo. In questi casi e' la posizione giuridica di
 chi propone l'impugnativa che  viene  in  rilievo,  analogicamente  a
 quanto  avviene  per  qualsiasi tipo di elezioni, come nel caso delle
 elezioni comunali, nelle quali rileva, ad esempio,  la  posizione  di
 cittadino  elettore  di  quel comune che radica un interesse popolare
 nella categoria che l'organo elettivo verra' a rappresentare.
   Nella specie, trattandosi dell'elezione  dell'organo  di  giustizia
 amministrativa  cui  il  ricorrente  e'  chiamato  a partecipare come
 magistrato amministrativo elettore, non si puo' avere  dubbio  alcuno
 sull'interesse al ricorso.
   Basti  pensare,  infatti, alle funzioni cui e' chiamato l'organo di
 autogoverno  della  magistratura  amministrativa,  tutte  capaci   di
 incidere  su  concreti  interessi degli appartenenti alla categoria e
 rilevanti sotto il profilo della posizione giuridica di ogni  singolo
 magistrato.
   Quanto  alla  rilevanza  della questione, non vi e' dubbio che essa
 sussista nella misura in cui solo la pronuncia della Corte, in  grado
 di  incidere sull'eventuale illegittimita' della norma ritenuta tale,
 potrebbe arrecare concreta soddisfazione al ricorrente.
   Nel merito, poi, la questione non appare manifestamente infondata.
   La  prima  ragione  dell'illegittimita'  della  norma,  capace   di
 incidere  anche  sull'indipendenza  del  magistrato, il ricorrente la
 individua nella mancanza di membri cosiddetti "laici".
   Il rilievo appare importante.
   La magistratura amministrativa,  pur  non  appartenendo  all'ordine
 giudiziario,  gode  delle  stesse guarentigie attribuite al primo. Si
 tratta, e' vero, di una giurisdizione speciale ma anche  ad  essa  si
 deve  riconoscere,  per  ovvi motivi, l'autonomia e l'indipendenza da
 ogni altro potere.
   Questi attributi, tuttavia, se la svincolano  dai  controlli  degli
 altri  poteri,  non  la pongono certo al di fuori dell'organizzazione
 dello Stato, sicche' non vi e' dubbio che un  collegamento  con  quei
 poteri si presenti necessario ed auspicabile.
   In  uno  Stato democratico come l'Italia, nel quale, come recita la
 Costituzione,  la  Sovranita'  appartiene  al  popolo,  non  si  puo'
 scollegare del tutto, il rapporto con gli appartenenti alla comunita'
 che,  anche  se  indirettamente,  e' opportuno siano interessati alla
 gestione   di   una   funzione   cosi'   importante    come    quella
 giurisdizionale.
   L'assetto  del  Consiglio  superiore  della  magistratura  e' stato
 disposto ispirandosi a questi principi,  con  l'inserimento  nel  suo
 seno   di   una  rappresentanza  (certo  di  persone  particolarmente
 qualificate sotto il  profilo  giuridico)  designata  dal  Parlamento
 attribuendo,  altresi',  al  Capo  dello Stato, supremo garante della
 Costituzione, la presidenza dell'organo, e a  un  membro  "laico"  la
 vice presidenza.
   Non   e'   senza   significato,   inoltre,  che,  in  ogni  settore
 dell'assetto organizzativo  dello  Stato,  sia  per  quanto  riguarda
 l'amministrazione  diretta  sia  indiretta di esso, la rappresentanza
 del cittadino sia una costante.
   Un'analoga operazione non  e'  stata  fatta  per  il  Consiglio  di
 giustizia  amministrativa  e  questo  e'  gia'  di  per  se capace di
 ingenerare il sospetto d'illegittimita' costituzionale, per contrasto
 con l'art.  101 primmo comma della Cost.,  apparendo  l'organo,  piu'
 che    come    espressione    dell'autogovemo    della   magistratura
 amministrativa, come un'entita' gerarchica nella struttura funzionale
 del  settore,  senza  alcun  collegamento  con  il  restante  assetto
 costituzionale dello Stato.
   Avvalora   quest'ipotesi,   la   composizione  rappresentativa  dei
 magistrati chiamati a farne parte  che  costituisce,  del  resto,  la
 seconda ragione posta a fondamento della tesi del ricorrente.
   Sotto quest'aspetto, la questione deve essere rettamente intesa.
   Non  e'  la  composizione  in  se  stessa  che  induce  a  sospetti
 d'illegittimita' costituzionale, quanto le modalita' di  elezioni  in
 rapporto all'assenza dei membri laici.
   Vero e' che la Corte costituzionale (cfr. sent. 12-23 dicembre 1963
 n. 168), chiamata a pronunciarsi sulla composizione e le modalita' di
 elezioni del Consiglio superiore della magistratura, allorche' questo
 era  strutturato  in  modo diverso dall'attuale, aveva dichiarato non
 fondate le questioni sul riparto dei seggi e  sul  principio,  allora
 vigente,  che  ogni  magistrato  votava  solo  per i componenti della
 propria categoria.
   Ma vi era la presenza dei membri laici che  incideva  senza  dubbio
 sulla  questione  e  cio'  nondimeno,  con  l'art.  7  della legge 18
 dicembre 1967 n. 1198 (il cui testo  e'  stato,  poi  ribadito  nella
 legge  n.    695  del  22 dicembre 1975 che disciplina attualmente la
 composizione del Consiglio) si era modificata  la  primitiva  stesura
 dell'art. 23, terzo comma della legge n. 195 del 24 marzo 1958.
   Ora, se si osserva l'attuale assetto del Consiglio superiore che e'
 composto  da  tre  componenti di diritto (di cui uno e' il Capo dello
 Stato che lo presiede) venti componenti togati ( 8 di  cassazione,  4
 di  appello  e  8  di  tribunale,  i  quali vengono eletti da tutti i
 magistrati senza distinzione di categoria) e 10 membri  laici  eletti
 dal  Parlamento, non si puo' non avanzare qualche dubbio sull'attuale
 composizione del Consiglio di giustizia amministrativa; l'assetto  di
 esso,  cosi'  come  previsto,  induce  a  ritenere  che si sia voluto
 privilegiare l'aspetto funzionale e  gerarchico  rispetto  a  quello,
 piu'  corretto, di autonoma gestione dell'assetto organizzativo della
 giurisdizione.
   Cio' porta a ritenere non infondata la  questione  di  legittimita'
 costituzionale   prospettata   sotto   il  profilo  della  violazione
 dell'art.  3 (eguaglianza) 97 (imparzialita'), 107 (indipendenza  del
 giudice).
   Infatti,   sia   la   composizione   che  le  modalita'  d'elezione
 attribuiscono una netta  prevalenza  ai  componenti  provenienti  dal
 Consiglio di Stato.
   Tale  assetto  non  puo'  considerarsi  possa  essere  parzialmente
 corretto dalla circostanza che il 50% dei giudici  del  Consiglio  di
 Stato sono di provenienza t.a.r., dato che per il particolare sistema
 di  nomina  che  prevede  la  presenza di tale percentuale solo fra i
 Consiglieri di Stato e non fra tutti  i  magistrati  appartenenti  al
 Consiglio,  accade  che  la  componente  dei  magistrati  t.a.r.  non
 raggiunga mai la prevista aliquota rispetto all'intera componente del
 Consiglio di Stato.
   Ne  consegue  che  in   sede   di   elezione,   essendo   riservata
 rispettivamente   alle   due   componenti  l'indicazione  dei  propri
 rappresentanti, e' evidente che i magistrati provenienti  dai  t.a.r.
 non  potrebbero,  quasi mai, ottenere la elezione di propri eventuali
 candidati.
   Tale situazione aggravata  dalla  particolare  situazione  che,  in
 virtu'  della  funzione  consultiva  assegnata al Consiglio di Stato,
 vede una stretta correlazione tra i magistrati del  Consiglio  stesso
 ed  il  potere  esecutivo, incide in modo rilevante sull'indipendenza
 del giudice amministrativo. Non e' senza significato che gli  attuali
 lavori  della Commissione bicamerale si siano conclusi con l'espressa
 previsione della separazione della funzione giurisdizionale  rispetto
 a quella consultiva del Consiglio di Stato.
   Ma anche il terzo rilievo prospettato dal ricorrente ha fondamento.
   Non  risponde  alla  funzione  riservata  all'organo,  infatti,  la
 circostanza che vi siano ben tre membri di diritto (tutti  magistrati
 del  Consiglio  di  Stato)  su  tredici  componenti  del Consiglio di
 presidenza, laddove lo stesso numero e'  previsto  per  il  Consiglio
 superiore  della  magistratura,  dove uno dei membri e' il Capo dello
 Stato e dove il numero complessivo dei componenti (di  cui  oltre  un
 terzo  di nomina parlamentare), e' di gran lunga superiore rispetto a
 quello del Consiglio di giustizia amministrativa.
   Quest'aspetto  costituisce   un'ulteriore   possibilita'   che   la
 prevalenza  di  una  certa  componente  sia  disciplinata  in un modo
 anziche' in  un  altro  con  le  conseguenze  che,  per  le  funzioni
 riservate  all'organo,  possano  essere  incise  le  prerogative  dei
 magistrati dei t.a.r. e le aspettative degli stessi, minandosi in tal
 modo, alla base, la loro indipendenza di giudizio.
    Apparendo, quindi, la questione non manifestamente  infondata  per
 contrasto con gli artt. 3, 97, 101 e 108 della Costituzione, vista la
 sua  rilevanza  per  la decisione della controversia, gli atti devono
 essere  rimessi  immediatamente  alla  Corte  ed,  in  attesa   della
 decisione di essa, il giudizio deve essere immediatamente sospeso.