IL PRETORE Ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di eccezione di legittimita' costituzionale, sollevata dalla parte convenuta. Visti: gli atti difensivi delle parti; gli artt. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; l'art. 1 della legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1; l'art. 1 della legge cost. 11 marzo 1953, n. 1; gli artt. 3, 23, 25, 32, 38 e 41 della Costituzione. 1. - Brevi premesse sulle deduzioni e conclusioni formulate dalle parti in causa. 1.a. - Nelle conclusioni formulate nell'atto introduttivo del giudizio l'I.N.A.I.L. chiede a questo pretore, di "1) dare atto ed accertare che l'I.N.A.I.L. ha erogato a Rigobello Gabriele, in seguito all'infortunio sul lavoro da quast'ultimo patito il 26 maggio 1987, prestazioni per L. 220.377.557, salvo miglior conteggio e miglioramenti del valor capitale della rendita; 2) ritenere la responsabilita' penale di Bonetti Giuseppe, quale amministratore responsabile degli impianti della ditta datrice di lavoro dell'infortunato Rigobello; 3) dichiarare conseguentemente ex artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124/65 la responsabilita' civile della stessa Filatura di Montirone S.p.a. in persona del legale rappresentante, in ordine all'accadimento del medesimo infortunio; 4) accertare, inoltre, in ogni sua componente il danno civilisticamente risarcibile in capo all'infortunato Rigobello Gabriele a seguito delle lesioni subite a timo; 5) conseguentemente condannare la Filatura di Montirone S.p.a., in persona del legale rappresentante, al pagamento in favore dell'I.N.A.I.L. istante, della somma di L. 220.377.557 - salvo miglior conteggio e miglioramenti di legge del valor capitale della rendita che si riserva di richiedere in corso di causa - o di quell'importo che sara' benviso in relazione alle componenti del danno cosi' accertato di spettanza dell'ente pubblico, con interessi e rivalutazione sulle somme riconosciute dal giorno del fatto illecito e con il limite delle prestazioni erogate; vinte le spese, le competenze e gli onorari del giudizio e con sentenza esecutiva". 1.b. - La societa' convenuta ha espresso le seguenti, riportate testualmente, conclusioni: "in via principale e nel rito: autorizzarsi la chiamata in causa dei sigg. Bordogna Tullio e Bonetti Giuseppe, responsabili, ai sensi degli artt. 2392 e 2396 c.c., oltrecche' secondo la normativa speciale, in via solidale con la S.p.a. Filatura di Montirone. Condannarsi conseguentemente i terzi chiamati al pagamento in via di regresso verso la Filatura di quanto la stessa dovesse essere tenuta a pagare al sig. Rigobello. In via pregiudiziale e nel merito: dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' degli artt. 10 e 11 del t.u. 1124/65, nonche', in quanto possa occorrere, dell'art. 1916 c.c., nella parte in cui consentono la rivalsa dell'I.N.A.I.L. contro il responsabile civile dell'infortunio assicurato, per violazione degli artt. 3, 23, 25, 32 e 38 della Costituzione. In via principale e nel merito: previe le declaratorie del caso, ivi compreso il concorso di colpa dell'infortunato nella causazione dell'evento de quo, respingersi allo stato la domanda proposta dall'I.N.A.I.L. contro la societa' convenuta, o, quantomeno, ridursi la pretesa dello stesso, sia nell'an, che nel quantum". 1.c. - Il terzo chiamato in causa Borgogna Tullio, costituitosi ritualmente in giudizio, spiegava, a sua volta, le seguenti conclusioni, spiegava, a sua volta, le seguenti conclusioni: "Preliminarmente, dichiararsi il difetto di legittimazione passiva del terzo chiamato sig. Tullio Bordogna, ovvero il difetto di competenza del pretore-giudice del lavoro, ovvero la improponibilita', improcedibilita' della domanda per intervenuta prescrizione. Spese rifuse. In via subordinata e nel merito, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione reietta, previa ogni altra opportuna declaratoria di legge, anche in ordine alle eccepite decadenze, cosi' giudicare: respingersi le domande proposte nei confronti del terzo chiamato, sig. Tullio Bordogna, in quanto infondate in fatto e in diritto. Spese rifuse". 1.d. - Non e' utile, ne' necessario ricordare qui altri aspetti della controversia, perche', in relazione alla natura della questione di legittimita' costituzionale che viene sollevata, essi sono ininfluenti, giacche' non sono idonei ad incidere sulla valutazione della non manifesta infondatezza della medesima questione e della sua rilevanza ai fini della decisione del giudizio a quo. 2. - L'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata dalla societa' Filatura di Montirone S.p.a. Nella memoria difensiva della societa' convenuta, l'eccezione viene motivata nei seguenti termini testuali: "In via pregiudiziale si solleva poi eccezione di incostituzionalita' degli artt. 10 e 11 t.u. 1124/65 e dell'art. 1916 del codice civile, per quanto ricorra, per violazione degli artt. 3, 23, 25, 32 e 38 della Costituzione. Riservata ad una eventuale memoria la piu' vasta esposizione dei motivi che sottostanno all'eccezione, varra' la pena di accennarli qui solo brevemente. In sostanza, avendo perso l'assicurazione sociale contro gli infortuni carattere assicurativo, nella specie contro la responsabilita' civile del datore di lavoro, per trasformarsi in un mezzo di tutela pubblicistica del lavoratore colpito nella sua salute (art. 32) sul lavoro (art. 38), la rivalsa verso l'assicurato si appalesa a tutto concedere come una elusione del dettato costituzionale. L'I.N.A.I.L., infatti, si limita ad una anticipazione di cassa dell'indennizzo al lavoratore, facendosi restituire il tantundem dal datore di lavoro maggiorato di interessi da capitalizzazione assai elevati. In sostanza ritrae un lucro dall'operazione, cosa che non rientra certamente tra i suoi fini. Inoltre, poiche' comunque il datore di lavoro paga i contributi per garantire se' ed i propri dipendenti verso gli eventi di cui sopra, non si comprende bene quale sia lo scopo della rivalsa, che si tramuta in una pura duplicazione dell'onere gravante sul datore. Di fatto rappresenta poi una pesante sanzione partimoniale di carattere amministrativo, che, data la discrezionalita' sia sull'an che sul quantum con la quale l'I.N.A.I.L. la richiede e la quantifica, viola gli artt. 23 e 25, secondo comma della Costituzione. Ben diverso, a comprova di come ormai il rapporto in parola non sia piu' assicurativo, e quindi trilaterale, ma di carattere previdenziale e quindi bilaterale, e' il trattamento riservato dell'assicurazione privata contro la responsabilita' civile cosi' come delineata dagli artt. 1990, 1916 e 1917 c.c. Qui il diritto di surroga viene esercitato solo contro i terzi responsabili del fatto illecito, e mai contro l'assicurato. Anzi, addirittura si arriva ad escluderlo quando i terzi si trovino in relazione di parentela o di affinita' con l'assicurato. Cio' determina una disparita' di trattamento tra assicurazioni pubbliche e private, potendo le prime rivalersi contro l'assicurato e contro i terzi e le seconde no. Il che ovviamente si traduce non solo in un ingiustificato arricchimento dell'I.N.A.I.L. ma anche in un impoverimento irrazionale del datore di lavoro, ovvero nella distrazione di risorse che potrebbero essere impegnate per la crescita economica o per maggiori tutele e presidi antifortunistici a favore del lavoratore. Cio' per tacere che, comunque, l'infortunio determina di per se' un notevole aumento del premio, come e' provato dalla documentazione che si produce, il quale dovrebbe da se' bastare come deterrente, oltre alla condanna penale ed alle sanzioni amministrative rese ancor piu' pesanti da recenti novelle. Anche qui non si capisce, sul piano strettamente assicurativo, ma anche su quello logico, quali funzioni possa avere l'aumento del premio, se poi per ogni infortunio, quantomeno quelli superiori all'11%, pressoche' indiscriminatamente l'I.N.A.I.L. esperisce, o cerca di esperire, la rivalsa. Perche' si deve pagare di piu' per qualcosa che di fatto all'I.N.A.I.L. non costa nulla? Questi temi sono gia' stati affrontati come e' forse noto con le sentenze n. 22/67, 134/71 e 319/89 (la madre di tutte le sentenze sul danno biologico) che non hanno dato pero' una soluzione definitiva. Gli e' che da allora e' stata riconosciuta in via autonoma sia al risarcibilita' danno biologico che di quella morale dalla stessa Corte costituzionale. Questo proprio partendo dalla considerazione che, non essendo tali danni compensati dall'I.N.A.I.L., e quindi non rientrando nella rivalsa, essi debbono essere rifusi dal datore di lavoro. Col che' l'assicurazione sociale, che si mantiene anche il diritto di rivalsa per il danno partimoniale, ha veramente perso ogni funzione di garanzia per il datore di lavoro, ed a questo punto non si vede per quali motivi venga imposto solo a lui, cui non viene piu' ''assicurato'' un bel niente, e non a tutta la collettivita', di far fronte a tale onere parafiscale. E' quindi profondamente cambiata la situazione giuridica (verso l'estensione dei precetti costituzionali del diritto alla salute del lavoratore), ma anche in fatto. Le aziende si trovano quindi oggettivamente esposte alle ulteriori richieste dei lavoratori, che, ove giustificate, debbono trovare congrua ed equa soddisfazione. Si e' quindi diffusa a macchia d'olio tra i datori di lavoro la pratica, gia' peraltro presente anche nel passato per tutelarsi dalla rivalsa I.N.A.I.L. (forma impropria di riassicurazione o coassicurazione a carico dell'assicurato), di assicurarsi privatamente per far fronte alle richieste di prestatori. Appare quindi oltremodo opportuno a fronte di cambiamenti cosi' forti, da apparire epocali, anche una riflessione sull'istituto della rivalsa, obsoleto e controproducente rispetto al suo iniziale scopo. Tale istituto, peraltro e' unico ed isolato nel panorama previdenziale europeo e extraeuropeo dei paesi industrializzati. Esso e' stato traslato nel t.u. del 1965 pari pari dalla legge 1765 del 1935 che trenta anni prima istituiva, o meglio estendeva a tutte le categorie di lavoratori, l'assicurazione obbligatoria. Sono passati altri trenta anni da allora e l'Italia da Paese agricolo che era e' divenuto Paese industriale, con un tributo di costi economici, ambientali ed umani, controbilanciati da enormi ed impensabili progressi sociali, che impongono un ripensamento ed una razionalizzazione a tutto campo". Nulla di piu' significativo si riscontra nelle memorie autorizzata della societa' resistente, depositata in data 13 novembre 1997, limitandosi essa a ribattere alle contestazioni sviluppate dall'I.N.A.I.L. per contestare la fondatezza dell'eccezione di legittimita' costituzionale proposta nel primo atto difensivo della Filatura di Montirone. Non e' necessario richiamare le argomentazioni svolte in proposito dalla difesa del chiamato in causa costituito, poiche' esse, sostanzialmente, manifestano gli stessi dubbi di legittimita' costituzionale evidenziati dalla societa' convenuta, a carico degli artt. 10 e 11 d.P.R. n. 1124 del 1965. In ordine alle contestazioni dell'I.N.A.I.L. sulla fondatezza dell'eccezione di legittimita' costituzionale in esame si dira' piu' avanti, trattando del requisito della non manifesta infondatezza e dei limiti del relativo giudizio demandato a questo giudice. 3. - Sulla rilevanza in causa della questione di costituzionalita'. Non sembra necessaria una motivazione particolare sulla rilevanza dell'eccezione di costituzionalita' qui trattata, poiche' e' evidente che l'efficacia delle disposizioni, a carico delle quali essa si sviluppa, riveste essenziale importanza per la decisione della controversia, cosicche' si appalesa come inutile ogni ulteriore elaborazione sul punto. Da un punto di vista generale ed in linea di principio, puo' solo aggiungersi, con riferimento al requisito della rilevanza delle questioni portare all'esame della Corte costituzionale, che il giudice remittente non puo' manifestare le sue valutazioni sugli altri elementi di fatto e di diritto della causa a quo, per dimostrare l'assoluto valore determinante della questione di costituzionalita' ai fini della decisione, o, men che meno, esprimere una preventiva opinione su quale delle parti abbia ragione o torto, lasciando solo alla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale l'esito del giudizio, poiche' cio' si tradurrebbe in scorretta anticipazione della decisione della causa. 4. - Sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza e precisazione della presente questione di legittimita' costituzionale. L'eccezione non e' manifestamente infondata, dacche' le sue argomentazioni evidenziano le incongruenze (con violazione del principio di razionalita'-ragionevolezza, di cui all'art. 3 Costituzione) della sopravvivenza di un istituto atipico, quale certamente e' l'azione di regresso, ancora concesso all'I.N.A.I.L., pur in presenza di un regresso, ancora concesso all'I.N.A.I.L., pur in presenza di una crescente esigenza, sentita ormai diffusamente nella realta' socio-economica italiana, di accrescere le risorse economiche per lo sviluppo dell'iniziativa imprenditoriale privata, affinche' questa possa svolgere la sua rilevante funzione costituzionale di creare ricchezza ed occupazione, proprio nella prospettiva dell'art. 41 della Costituzione (anche se questo parametro non e' invocato dalla parte che propone la questione), ove la previsione di limiti alla libera iniziativa puo' avere un senso solo se riconnessa al riconoscimento della suddetta funzione essenziale dell'impresa ai fini dell'interesse superiore della collettivita'. In questo quadro, e' evidente che qualsiasi ipotesi normativa che sottragga risorse economiche dell'impresa, naturalmente destinate allo sviluppo della funzione costituzionale piu' rilevante della libera iniziativa economica, quale sopra individuata, per distrarle al fine di incrementare i mezzi di finanziamento degli Enti previdenziali ed assistenziali, risulta viziata da irrazionalita': cosi' e' per gli artt. 10 e 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, che, pur in presenza della previsione di legge dell'aumento del premio a seguito del verificarsi di infortuni, imponendo nella realta' (e non si tratta di una mera distorsione di fatto, ma di necessaria conseguenza della normativa) alle imprese di destinare risorse economiche per stipulare polizze assicurative per garantirsi dai rischi d'infortunio, non solo nei confronti dei propri dipendenti, ma anche dell'azione di regresso dell'I.N.A.I.L., determina una minore capacita' espansiva delle attivita' produttive, per minore capacita' di investire, con naturale, conseguente violazione degli artt. 2 e 41 della Costituzione. Si consideri, inoltre, che le precedenti decisioni della Corte costituzionale, che hanno, direttamente o indirettamente, affermato la legittimita' costituzionale dell'azione di regresso dell'I.N.A.I.L., pur non potendo essere oggetto di impugnazione, tuttavia si rapportano all'odierna questione come rese in una situazione normativa assai differente da quella attuale, in modo tale da far ritenere possibile una riconsiderazione della Corte sul merito effettivo della questione, in relazione alle mutate condizioni giuridiche nelle quali opera oggi l'azione di regresso. Si e' enormemente ampliato, infatti, lo spazio operativo dell'azione di regresso I.N.A.I.L., posto che, a seguito di numerose sentenze "adeguatrici" (per usare il termine preferito dal Giudice delle leggi) della Corte costituzionale, e' stato sensibilmente ridimensionato l'ambito di esclusione della responsabilita' civile del datore di lavoro, quale originariamente previsto nel sistema degli artt. 10 e 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/65, con l'introduzione di un nuovo e diverso regime assai piu' gravoso per le imprese. Il legislatore nel 1965 aveva strutturato il rapporto costo-benefici per il datore di lavoro, in relazione all'assicurazione I.N.A.I.L., tenendo anche certamente conto, nell'esercizio della piena discrezionalita' politica, dell'ampia zona di esenzione della responsabilita' civile, come originariamente strutturata nell'art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/65, e, in tale ambito, la scelta di attribuire all'I.N.A.I.L. l'azione di regresso si poneva di certo (e tale e' sata ritenuta dal Giudice delle leggi) come costituzionalmente compatibile. Oggi, mutato il quadro normativo che reggeva l'intero sistema del rapporto costi-benefici, a seguito delle numerose decisioni della Corte costituzionale che hanno fortemente inciso sulla reale potenzialita' "aggressiva" dell'azione di regresso nei confronti dei datori di lavoro, puo' ben ragionavolmente dubitarsi dell'attuale legittimita' costituzionale, in termini di ragionevolezza e di equilibrio normativo e di rispetto della funzione sociale dell'impresa, del permanere nel sistema del decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/65 della stessa azione. Nei termini e limiti predetti, ivi compreso quanto si e' rilevato d'ufficio sulla violazione dell'art. 41 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale in esame appare dotata del requisito della non manifesta infondatezza e deve, conseguentemente, essere portata al giudizio dinanzi alla Corte costituzionale. E', invece, carente, nell'eccezione in esame, il suddetto requisito, in relazione a tutti gli altri parametri costituzionali indicati, poiche' non viene offerto alcun rapporto motivazionale a giustificarne il richiamo. Altrettanto deve dirsi in ordine all'eccezione di incostituzionalita' a carico dell'art. 1916 del codice civile, dal momento che essa viene presentata in modo del tutto eventuale e, soprattutto, senza argomenti a suo sostegno. Sempre in ordine alla decisione sulla sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza, occorre, doverosamente, aggiungere che, essendo il relativo giudizio, demandato al giudice a quo, destinato solo alla valutazione della questione di costituzionalita' nei limiti della semplice verifica dell'assenza di immediatamente evidenti, di incontestabili ed incontrovertibili motivi di infondatezza, e' del tutto chiaro che all'Autorita' giudiziaria, a meno di non voler invadere le attribuzioni del Giudice delle leggi, non e' consentito svolgere un esame di merito sulla fondatezza della questione, soprattutto quando essa venga proposta da una parte in causa (essendo naturale che nelle questioni rilevate d'ufficio il giudice, anche solo implicitamente, svolga un'indagine piu' approfondita ed ampia sull'elemento della non manifesta infondatezza), cosicche' risulta necessario ritenere sussistente il requisito in discorso ogni volta in cui sia presente un dubbio ragionevole sulla costituzionalita' della norma contestata, essendo solo la Corte costituzionale titolare della funzione di decidere sulla fondatezza del dubbio. Da quanto appena sopra esposto deriva, altresi', nel caso in esame, che questo giudice non puo' valutare le ampie argomentazioni difensive svolte dall'I.N.A.I.L., nelle note autorizzate depositate in data 3 novembre 1997, sullo specifico tema, poiche', al fine di valutarne l'esattezza, occorrerebbe un'indagine approfondita, preclusa in questa sede, in quanto palesemente situata oltre i confini del giudizio di non manifesta infondatezza. Il presente giudizio pretorile deve essere sospeso, ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87, tuttora vigente, pur se imputato d'incostituzionalita' in precedenti ordinanze gia' trasmesse alla Corte costituzionale.