ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 10 e 14 della
 legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro  la  criminalita'),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  12 giugno 1997 dal tribunale di
 Casale Monferrato, iscritta al n. 645 del registro ordinanze  1997  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 41, prima
 serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di consiglio dell'11 febbraio 1998 il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
   Ritenuto che, nel corso di un  procedimento  a  carico  di  persona
 imputata  del  reato di cui agli artt. 10 e 14 della legge 14 ottobre
 1974,  n.  497  (Nuove  norme  contro  la  criminalita'),  per  avere
 illegalmente  detenuto  nella  propria abitazione un fucile monocanna
 calibro 24 ed una carabina ad aria compressa calibro 4, il  tribunale
 di  Casale  Monferrato,  con  ordinanza  in  data  12 giugno 1997, ha
 sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 97,  primo
 comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 dei citati artt. 10 e  14,  nella  parte  in  cui  non  prevedono  un
 trattamento  sanzionatorio  differenziato, nel minimo e nella specie,
 per  chi  illegalmente  detiene,  nello  stesso  luogo,   armi   gia'
 denunciate  da  altri  e a lui pervenute iure successionis o ad altro
 titolo,
     che il remittente premette che, secondo il costante  orientamento
 della  giurisprudenza  di legittimita', l'obbligo di denuncia incombe
 anche su chi erediti un'arma gia' denunciata dal de cuius sicche'  la
 fattispecie  sottoposta  al suo esame (omessa ripetizione di denuncia
 di armi pervenute iure  successionis  e  gia'  denunciate  dal  dante
 causa)   ricade   nell'ambito   di  applicazione  delle  disposizioni
 censurate;
     che, ad avviso  del  giudice  a  quo,  nel  caso  di  specie  "il
 disvalore  sociale  della condotta" sarebbe "minimo in relazione alla
 finalita' cui e' preordinata la  norma  incriminatrice,  identificata
 dalla giurisprudenza nella possibilita' per l'autorita' di polizia di
 conoscere  il  luogo  in  cui  le armi si trovano e le persone che ne
 hanno la disponibilita', in modo da  rendere  agevoli  gli  opportuni
 controlli e facilitare l'esecuzione di ordini di consegna per ragioni
 di  sicurezza", poiche', quando l'arma continua a permanere nel luogo
 gia' indicato nella denuncia e nella disponibilita' di coabitanti del
 denunciante, tale esigenza sarebbe comunque soddisfatta;
     che, secondo il remittente,  l'irragionevolezza  della  normativa
 censurata quanto alla specie ed all'entita' della pena (reclusione da
 uno  a  otto  anni  e  multa  da  lire quattrocentomila a tremilioni,
 ridotte di un terzo per le armi comuni da sparo) sarebbe  ancor  piu'
 evidente  "ove  la si raffronti all'ipotesi della mancata ripetizione
 della denuncia in caso di trasferimento delle armi,  gia'  denunciate
 ai  sensi  dell'art.  38  del  testo  unico  delle  leggi di pubblica
 sicurezza, da una localita' all'altra del  territorio  dello  Stato",
 fattispecie  che,  secondo la piu' recente giurisprudenza della Corte
 di cassazione, integra la contravvenzione  di  cui  all'art.  58  del
 regolamento per l'esecuzione del citato testo unico;
     che  le  disposizioni  denunciate contrasterebbero, altresi', con
 l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto la sproporzione
 fra l'entita' della sanzione  penale  e  il  disvalore  dell'illecito
 commesso   vanificherebbe   la   finalita'  rieducativa  della  pena,
 ingenerando   sentimenti   di   sfiducia   nella    legislazione    e
 nell'autorita' chiamata ad applicarla;
     che,  infine,  ad  avviso  del  giudice a quo, le norme impugnate
 violerebbero l'art. 97, primo comma, della Costituzione,  perche'  il
 minimo  e la specie della pena edittale comminata non consentirebbero
 l'applicazione di sanzioni sostitutive pecuniarie ed  ostacolerebbero
 la  definizione del procedimento in sede predibattimentale, imponendo
 la  celebrazione  del  processo   con   i   conseguenti   costi   per
 l'amministrazione della giustizia e per la collettivita';
     che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, concludendo per l'infondatezza della questione;
   Considerato  che,  come  questa Corte ha gia' rilevato (sentenza n.
 166  del  1982),  la  ratio  della  normativa   denunciata   consiste
 nell'esigenza  che l'autorita' locale di pubblica sicurezza sia posta
 in grado di conoscere quali e quante armi si trovino  nel  territorio
 di  sua  competenza,  nonche' i luoghi in cui sono custodite e i nomi
 dei detentori;
     che, in effetti, un reale ed efficace controllo in tema di  armi,
 munizioni  e  materie  esplodenti  presuppone  adeguati  strumenti di
 conoscenza dei luoghi in cui si trovano le armi e le persone  che  ne
 hanno la disponibilita';
     che,  se  questo  e'  il fine della disciplina, deve escludersene
 l'irrazionalita' e si deve riconoscere che  la  determinazione  delle
 pene,  per  le  ipotesi  in  cui  la  possibilita'  di  controllo sia
 vanificata a causa della omissione in cui  sia  comunque  incorso  il
 detentore  delle  armi, rientra pienamente nella discrezionalita' che
 spetta al legislatore;
     che, d'altra parte, e' consentito al legislatore includere in uno
 stesso modello di genere una pluralita' di  fattispecie  diverse  per
 struttura  e  disvalore:  in  questi  casi  sara'  il  giudice a fare
 emergere la differenza tra le varie sottospecie in ragione  del  loro
 diverso disvalore oggettivo ed a graduare su questa base, nell'ambito
 delle pene edittali, quelle da irrogare in concreto (sentenza n.  285
 del 1991);
     che,  sotto  questo aspetto, le disposizioni censurate permettono
 una assai flessibile graduazione delle pene,  sia  per  il  rilevante
 divario  tra il massimo e il minimo edittale, sia per la possibilita'
 di diminuirle in misura non eccedente i  due  terzi,  quando  per  la
 quantita'  o  per  la  qualita'  delle  armi,  delle munizioni, degli
 esplosivi o degli aggressivi chimici  il  fatto  debba  ritenersi  di
 lieve   entita'   (art.   5  della  legge  2  ottobre  1967,  n.  895
 "Disposizioni per il controllo delle armi");
     che, escluso il vizio di irrazionalita', resta superata anche  la
 denunciata  violazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione,
 non risultando  alcuna  sproporzione  tra  l'entita'  della  sanzione
 penale e il disvalore dell'illecito commesso;
     che,  per  quanto  riguarda  la supposta violazione dell'art. 97,
 primo comma, della Costituzione, questa Corte ha piu' volte affermato
 che il principio del buon andamento si riferisce  anche  agli  organi
 dell'amministrazione   della   giustizia  esclusivamente  per  quanto
 riguarda  l'ordinamento  degli   uffici   giudiziari   ed   il   loro
 funzionamento   sotto   l'aspetto  amministrativo,  ma  non  riguarda
 l'esercizio della funzione giurisdizionale  nel  suo  complesso  e  i
 diversi  provvedimenti  che  ne  costituiscono  espressione (cfr., da
 ultimo, sentenze nn. 385 e 122 del 1997; ordinanze nn. 189, 168,  103
 e 7 del 1997);
     che, pertanto, la questione e' manifestamente infondata;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.