LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 663/96 spedito il 19 febbraio 1996, avverso avv. di accert. n. 95000084 - registro contro registro di Sassuolo dell'Uptiles S.p.a., legale rappresentante Bernardi Gianpaolo residente a Fiorano Modenese (Modena) in via Montegrappa, 4/18, Ubersetto difeso da Rebuttini dott. Marco, residente a Sassuolo (Modena) in via Mazzini, 12. F a t t o L'Ufficio del registro di Sassuolo (Modena) notificava in data 21 dicembre 1995 al contribuente in epigrafe processo verbale di accertamento n. 95000084 in materia di "imposta straordinaria su particolari beni" in cui, constatata la violazione dell'art. 8, comma 6 del d.lgs. 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni in legge 14 novembre 1992, n. 438 per omessa presentazione della dichiarazione ed omesso versamento del tributo straordinario di L. 2.306.950, veniva accertato un credito erariale di L. 8.874.603 comprensivo di soprattasse ed interessi. L'accertamento veniva successivamente impugnato davanti a questa Commissione in data 19 febbraio 1996 e iscritto al r.g.r. n. 633/1996. Nella motivata istanza il ricorrente, rappresentato dal difensore tecnico dott. Marco Rebottini, dottore commercialista in Sassuolo, eccepiva l'illegittimita' dell'atto in quanto il bene detenuto era "stato immatricolato per la prima volta all'estero con targa MGDP3 nell'anno 1988" e si chiedeva, pertanto, l'annullamento dell'atto impugnato "in quanto mancante dei presupposti per le sua emissione" e, inoltre, la condanna dell'Ufficio al rimborso delle spese come da depositata nota. L'Ufficio, costituitosi in giudizio, in controdeduzioni ribadiva la conferma dell'atto di accertamento e la inaccoglibilita' delle eccezioni di parte. Successivamente lo stesso Ufficio accertatore depositava atto di autotutela ai sensi del d.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, dell'art. 2-quater del d.-l. n. 564/1994 convertito in legge n. 656/1994 e del decreto del Min. finanze 11 febbraio 1997, n. 37, per annullare per infondatezza l'atto contestato. Tale istanza veniva comunicata a questa Commissione ai sensi dell'art. 4, comma 2, del suddetto d.m.. D i r i t t o Il Collegio, vista l'istanza del resistente Ufficio, ritiene ricorrano le condizioni di cui all'art. 46 del d.lgs. n. 546/1992 per dichiarare cessata la materia del contendere. 1. - Osserva tuttavia, in via preliminare, questo Collegio che la norma, stante la attuale formulazione del comma 3 del citato art. 46, decreto legislativo n. 546/1992, non gli consente di esprimere una pronuncia risolutrice non potendo ne' condannare, ne' eventualmente compensare, in relazione alle spese del giudizio estinto, poiche' il legislatore ha gia' disposto in merito sancendo che le stesse "restano a carico della parte che le ha anticipate" cosi' contravvenendo sia alla disposizione di carattere generale di cui all'art. 15 del citato decreto, sia ad un principio gia' consolidato del diritto comune e richiamato dallo stesso legislatore (art. 91 c.p.c.). Opina questa Commissione che, se vi e' rinuncia di parte alla pretesa tutelata in giudizio per ritenuta infondatezza della stessa, debba essere la stessa parte rinunciante a farsi carico delle spese sostenute dalla controparte in analogia alla disposizione di cui all'art. 44 del decreto legislativo n. 546/1992. Rileva invece il Collegio che, con l'introduzione del comma 3 dell'art. 46, e' il ricorrente, ancora una volta, che si deve far carico delle spese anche quando e' l'ufficio finanziario ad esprimersi, esercitando il proprio diritto all'autotutela, per la rinuncia alla lite quando detto ufficio si rende conto, solo dopo l'instaurazione del giudizio tributario, dell'errore commesso. Appare quindi manifesto il pregiudizio posto dalla legge a carico del ricorrente il quale si deve accollare le spese sostenute per l'inizio dell'iter processuale poiche' l'Ufficio finanziario accertatore non puo', per espressa disposizione di legge, soccombere al risarcimento delle spese ingiustamente sostenute dall'altra parte pur avendo il ricorrente mantenuto un comportamento, come nel caso di specie, conforme alla legge e non meritevole di accertamento. Appare chiaro a questo Collegio che la norma sia stata dettata al fine di mantenere un trattamento di favore verso l'amministrazione finanziaria che, vedendosi probabilmente soccombente, cerca di evitare una condanna al rimborso delle spese di giudizio con l'abbandono o la rinuncia alla lite. Cio' anche in considerazione del fatto che nel d.m. n. 37/1997, all'art. 7 "Criteri di economicita' per l'inizio e l'abbandono dell'attivita' contenziosa", le direzioni dipartimentali sono investite del compito di impartire direttive per l'abbandono delle liti gia' avviate sulla base del "criterio della probabilita' alla soccombenza e della conseguente condanna della stessa A.F. al rimborso delle spese di giudizio". Risulta evidente, a parere di questo Collegio, il contrasto del comma 3 dell'art. 46 del decreto legislativo n. 546/1992 con l'art. 3 della Carta costituzionale poiche' non viene garantita la parita' di trattamento davanti alla legge, per essere mantenuti oneri solo a carico di una sola parte che, vedendosi fra l'altro riconosciuta dalla controparte la legittimita' e fondatezza del proprio operato, e senza che sia richiesta la sua accettazione, deve sostenere in proprio le spese per vedere affermata la sua giusta pretesa. Il problema non puo' risolversi nemmeno rimandando alle norme di rito civile. In esse infatti vengono previste solo la rinuncia consensuale su iniziativa di parte con accollo delle spese alla stessa parte rinunciante (art. 306, c.p.c.) e l'inattivita' delle parti con compensazione delle spese (art. 307, c.p.c.). Sembra chiaro quindi alla Commissione che con il mantenimento del declarato terzo comma dell'art. 46 decreto legislativo n. 546/1992 la legge operi una irragionevole disparita' di trattamento a svantaggio del contribuente ed un trattamento di favore verso l'Amministrazione in pieno contrasto con la disposizione di cui all'art. 3 della Carta costituzionale. 2. - La previsione normativa dell'assistenza o rappresentanza obbligatoria introdotta nel processo tributario di nuovo rito, per la maggiore complessita' procedurale rispetto a quella prevista nell'abrogato d.P.R. n. 636/1972, ha comportato un notevole aggravio di spese di cui il contribuente si deve prendere carico per avviare la fase procedurale. Inoltre, contrariamente a quanto avveniva con la vecchia disciplina del contenzioso, oggi lo stesso contribuente puo' essere chiamato al risarcimento del danno nel caso di soccombenza in giudizio. Operazione di semplice normalizzazione per essere reso applicabile anche al rito tributario il principio civilistico della "soccombenza": chi perde la causa o rinuncia alla domanda nel corso del giudizio deve pagare, non solo le proprie spese, ma anche quelle della parte avversa. Restano a carico delle parti che le hanno anticipate le spese del processo estinto per inattivita'. L'infelice soluzione adottata invece dal legislatore con il piu' volte richiamato comma 3 dell'art. 46 del decreto legislativo n. 546/1992 ha reso inoperosa la collaudata normativa civilistica, in parte gia' mutuata nell'art. 44 del predetto decreto, producendo anche effetti contrastanti con quelli che la norma costituzionale avrebbe voluto che si fossero effettivamente prodotti con l'art. 24 della Carta. Si e' detto che con il processo di nuovo rito il contribuente si vede un aggravio di spese per dover ricorrere, nella maggior parte dei casi, alla "assistenza tecnica". Si impone quindi una valutazione prettamente soggettiva per decidere se iniziare la fase procedurale o soccombere alle richieste della pubblica amministrazione. In ossequio al principio costituzionale del diritto alla difesa, il legislatore ha anche previsto il gratuito patrocinio per il ricorrente non abbiente. Con la disposizione normativa di cui al comma 3, dell'art. 46 del decreto legislativo n. 546/1992 appare evidente, invece, che si vuole scoraggiare il ricorso a qualunque forma di giustizia, dagli effetti ancora piu' gravi e maggiormente contrastanti col principio costituzionale de quo, quando e soprattutto il contribuente si vede poi dare ragione, con l'atto di autotutela, dalla stessa amministrazione finanziaria. La Commissione giudica tale stato di cose privo di valido fondamento giuridico e quindi idoneo a violare, senza limiti di tempo, il diritto alla difesa dei contribuenti in trasgressione all'art. 24, primo comma, della Carta costituzionale laddove si statuisce che il diritto alla difesa e' inviolabile e che la legge lo deve garantire in ogni stato e grado del procedimento. Altra pertinente osservazione della Commissione e' che ai sensi dell'art. 44 del decreto legislativo n. 546/1992, il contribuente ricorrente che intende rinunciare al ricorso deve, oltre che ottenere il consenso dell'amministrazione finanziaria, farsi carico delle spese di giudizio. La norma sembra essere in linea con i principi ritualistici generali e trova piena costituzionalita' in quanto e se applicabile anche alla controparte amministrazione finanziaria. Ma con la successiva entrata "a regime" dell'istituto dell'autotutela riservato all'amministrazione finanziaria, si e' dotata quest'ultima di uno specialissimo potere di ritiro dal processo. Il conseguente effetto di scudo contro le spese dato dal preesistente e piu' volte menzionato comma 3 dell'art. 46, non pare, a questa Commissione, essere l'effetto voluto dal legislatore ma solo il prodotto di un mancato coordinamento normativo in grado di generare la denunciata possibile incostituzionalita'. Infatti solo ove l'autotutela scaturisse da una precisa richiesta del contribuente ricorrente si puo' ragionevolmente ipotizzare la compensazione delle spese. In questo caso, infatti, nell'istanza del contribuente-ricorrente, si viene a delineare un interesse di parte alla chiusura della lite che giustificherebbe ampiamente il ricorso alla compensazione delle spese. Ma nel caso di specie, invece, l'autotutela non e' stata richiesta dal contribuente bensi' gli e' stata imposta. La Commissione non vede, quindi, come non possa coagularsi un chiaro trattamento di favore verso l'amministrazione finanziaria con conseguente parzialita' scaturente dalla formulazione letterale del terzo comma dell'art. 46 del decreto legislativo n. 546/1992 che qui si espone al dubbio di costituzionalita'. Non meno manifesta pare poi la fondatezza della violazione dell'art. 24, primo comma, della Carta fondamentale che sancisce l'intangibilita' della tutela giurisdizionale di ogni soggetto. Detta tutela deve essere totale non potendosi accettare zone franche. Essa quindi non puo' che estendersi anche al diritto al rimborso delle spese di giudizio quando la parte ricorrente, senza che possa interloquire, vede sottrarsi la possibilita' di ristorarsi delle spese sostenute per far fronte ad una pretesa fiscale rivelatasi infondata. La circostanza che l'infondatezza non venga dichiarata dal giudice, ma riconosciuta dalla controparte, non deve privare il ricorrente del diritto al risarcimento, pena una evidente, ingiusta mutilazione del suo buon diritto costituzionalmente protetto. Non possono pertanto ammettersi, a parere di questa Commissione, nell'ordinamento giuridico norme che, regolando la soccombenza alle spese di una sola parte in giudizio, di fatto scoraggiano l'accesso a qualunque forma di giustizia. In tal senso preclaro e' l'intervento del legislatore costituzionale nello stesso art. 24 laddove si sancisce la inviolabilita' del diritto alla difesa assicurando ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, della Commissione tributaria provinciale di Modena, sez. VII.