IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel  procedimento  civile,  n.
 900  del  1996, trattato in camera di consiglio, promosso da Domenico
 Fazzalari con l'avv.  Francesco  Giorgianni  avverso  il  decreto  di
 liquidazione degli onorari, in data 16 dicembre 1995 nella consulenza
 tecnica d'ufficio, nella causa civile n. 12191 del 1970.
                       Svolgimento del processo
   Con  atto  depositato  il  10  gennaio  1996,  Domenico  Fazzalari,
 premesso di essere stato nominato consulente tecnico  d'ufficio,  nel
 1984,  in  una  causa  civile  concernente  una lesione di legittima,
 promossa da Erberto Vaselli, nei confronti  del  fratello  Mario,  in
 relazione  alla  successione  del defunto Romolo Vaselli, genitore di
 entrambi, con l'incarico di valutare la consistenza ed il valore  dei
 beni  costituenti  il patrimonio del defunto, alla sua morte, nonche'
 il valore dei beni oggetto della donazione effettuata dal predetto in
 favore del figlio Mario, ricorreva  (ex art. 11 della  legge  n.  319
 del  1980)  avverso il decreto del giudice istruttore, che al termine
 delle indagini, durate oltre  dieci  anni,  aveva  liquidato  in  suo
 favore  l'onorario  di  L.  12.339.000, in base alle tabelle previste
 dall'art.  3  del  d.P.R.    n. 352 del 1988, oltre a L. 65.614.084 a
 titolo di rimborso spese documentate e a L. 12.339.000  a  titolo  di
 compenso per un ausiliario tecnico autorizzato.
   Nel  ricorso  si  lamentava  l'esiguita'  dei  compensi  liquidati,
 determinata da una erronea interpretazione della normativa, da  parte
 del giudice istruttore, che non aveva considerato la pluralita' degli
 incarichi  e degli accertamenti ed applicato agli onorari tabelle non
 corrispondenti alla natura della consulenza, omettendo,  inoltre,  di
 liquidare   alcun  onorario  eccedente  il  limite  massimo  previsto
 dall'ultimo scaglione, nonostante che  il  valore  dei  beni  oggetto
 degli  accertamenti  ed  il  valore  della  causa fosse di gran lunga
 superiore agli importi stabiliti dallo scaglione predetto.
   Concludeva  chiedendo  che  il  tribunale,  rivedendo  la  predetta
 liquidazione,    riconoscesse    dovuti,    per    l'opera   prestata
 complessivamente, L.  6.936.339.000  a  titolo  di  onorari,  ovvero,
 gradatamente  L.  3.468.084.000,  per  la  consulenza  in  materia di
 valutazione di patrimonio, oltre a L. 681.736.000, per consulenza  in
 materia  contabile  e  di bilancio ed a L. 111.133.600 per materia di
 estimo di immobili.
   Il ricorso, con il decreto di convocazione delle parti  davanti  al
 collegio,  veniva  notificato  alle  altre parti del processo civile,
 presso i loro rispettivi difensori e segnatamente a  Mario,  Erberto,
 Filippo,  Massimo,  Giuseppe,  Paola  e  Priscilla  Vaselli,  a Laura
 Trotta, alla societa' CIPRI, a Fausto Di Fani ed a Giuseppe, Guido  e
 Fausta Rizzo.
   All'udienza del 7 ottobre 1996, si costituivano in giudizio Erberto
 Vaselli, Filippo Vaselli, la societa' CIPRI e Giuseppe Vaselli.
   Il  procuratore  del  ricorrente,  chiedeva  la  concessione  di un
 termine per la notificazione del ricorso agli eredi di Mario Vaselli,
 nel frattempo deceduto.
   Con decreto  del  19  febbraio  1997,  depositato  il  22  febbraio
 successivo  il  tribunale  disponeva  la produzione in giudizio della
 comunicazione dell'ordinanza di liquidazione, e la notifica personale
 alle parti del procedimento civile,  non  costituitesi,  nonche'  una
 richiesta  di  informazioni  al  giudice  istruttore,  per le notizie
 necessarie alla decisione sul ricorso, rinviando all'udienza  del  16
 giugno 1997.
   In  data  29  maggio 1997, il procuratore del ricorrente depositava
 una nota, con la  quale,  rilevando  che  alcune  delle  parti  erano
 decedute,  senza  che fosse possibile conoscere i nominativi di tutti
 gli eredi e la loro residenza, chiedeva un differimento  dell'udienza
 fissata, in attesa di quella del procedimento civile in cui avrebbero
 dovuto costituirsi i predetti eredi.
   All'udienza  del  16  giugno  1997,  si  costituivano  in giudizio,
 Marcella Manfredini, Gabriella ed  Elvira  Vaselli,  quali  eredi  di
 Erberto Vaselli.
   Il  collegio  riservava  ogni  decisione  concedendo  alle parti un
 doppio termine per le loro deduzioni e memorie.
   Il ricorrente produceva, insieme al ricorso, la copia  del  decreto
 di  liquidazione,  una  parcella  per  acconti e progetto a saldo del
 coadiutore autorizzato, la copia di una circolare del Presidente  del
 tribunale  di  Roma,  un  prospetto  dei  compensi per l'attivita' di
 consulenza in materia contabile e  di  bilanci,  sulle  societa'  del
 gruppo   Vaselli,  un  prospetto  dei  compensi  per  l'attivita'  di
 consulenza  in  materia  di estimo eseguita sui cespiti di proprieta'
 diretta del Conte Vaselli.
   In  data  16  luglio  1997,  il  ricorrente   produceva,   inoltre,
 unitamente al deposito delle note autorizzate, copia del biglietto di
 cancelleria  con  la  comunicazione  dell'ordinanza  di liquidazione,
 notificato il 21 dicembre 1995, che veniva allegato al fascicolo  "in
 busta  chiusa  e  sigillata", come da annotazione a firma illeggibile
 della cancelleria.
   Oltre alle comparse di costituzione, Erberto Vaselli, produceva  in
 giudizio  una  lettera ed alcuni atti della causa civile, tendenti ad
 inficiare  la  bonta'  della  consulenza,  mentre   i   suoi   eredi,
 successivamente  costituitisi,  producevano il certificato attestante
 la morte del loro dante causa, avvenuta nell'ottobre del 1996,  e  la
 fotocopia  non  autentica  di  un  foglio  contenente la minuta di un
 provvedimento non depositato.
   Il giudice istruttore della causa civile, che ha dato origine  alla
 consulenza  tecnica  eseguita  dal ricorrente, con nota del 14 giugno
 1997, comunicava che l'incarico risultava conferito nel dicembre  del
 1984;   che   l'incarico  aveva  ad  oggetto  la  determinazione  del
 patrimonio del defunto Romolo Vaselli ed il  valore  della  donazione
 fatta a favore del figlio Mario, il 29 marzo 1945; che il termine per
 l'espletamento  delle  operazioni  fu  originariamente fissato in 180
 giorni, con la concessione di  un  anticipo  di  L.  1.500.000;  che,
 riconvocato  all'udienza  del  5  ottobre  1987  il consulente faceva
 presente di aver rinvenuto rilevanti difficolta' nella  deteminazione
 delle partecipazioni societarie del defunto, ottenendo autorizzazione
 di  avvalersi  di  un  ausiliario  tecnico,  con la concessione di un
 ulteriore fondo spese di L. 5.000.000 ed  altri  180  giorni  per  il
 deposito  della  relazione; che i temini furono piu' volte prorogati;
 che  in  data  30  marzo  1989  risulta  depositata   una   relazione
 preliminare  di  73  pagine  nella  quale peraltro si faceva presente
 l'esigenza  di  una  certosina  ricerca   presso   le   conservatorie
 immobiliari di molte citta' italiane ed estere, una minuziosa ricerca
 storico  catastale  presso le piu' accreditate emeroteche nazionali e
 si richiedeva un rilevantissimo fondo spese per la prosecuzione delle
 indagini; che il processo fu interrotto nel 1989 ed alla riassunzione
 il consulente ottenne un fondo spese di  L.  25.000.000  con  termine
 sino  al  30 giugno 1990 per il deposito della relazione; che in data
 15 maggio 1991 e 10 marzo 1992, risultano  depositate  due  relazioni
 relative  ai  "beni  esteri"  appartenenti  al de cuius che risultano
 valutati in L. 8.890.274.552 al 1974 ed in L. 65.838.843.010 al 1991;
 che, successivamente, secondo quanto risultante dalle indicazioni del
 consulente, lo stesso avrebbe depositato una relazione relativa  alla
 societa'  facenti  parte del "gruppo Vaselli", elaborato peraltro non
 rintracciato dal giudice istruttore nella  documentazione  visionata;
 che due ulteriori elaborati risultano depositati nell'agosto del 1994
 e  nel  giugno  del  1995:  nel  primo  di  essi  si quantifica in L.
 12.500.000.000 al 1969 il valore dei beni costituenti  il  patrimonio
 del  defunto  Romolo  Vaselli, a cui deve aggiungersi il valore delle
 societa' donate nel 1945, per un  valore  complessivo  rapportato  al
 1969 dell'intero patrimonio, stimato in L. 83.772.265.000.
   Tutte  le  parti costituite hanno chiesto nel merito il rigetto del
 ricorso.
   Nella  comparsa  di costituzione, le parti costituitesi quali eredi
 di Erberto Vaselli, hanno eccepito l'inammissibilita' del ricorso per
 omesso deposito del provvedimento impugnato e per irregolarita' della
 notificazione, avvenuta a  mani  dei  difensori  e  non  delle  parti
 personalmente.  Nella  udienza  in  cui e' avvenuta la costituzione e
 nelle memorie autorizzate il procuratore di tali parti,  chiedeva  la
 estinzione  del  procedimento,  ex  art. 307, terzo comma del c.p.c.,
 quale conseguenza della mancata notificazione del ricorso alle  parti
 non  costituite,  da  intendersi  quali  litisconsorti necessari, per
 l'udienza fissata per la prosecuzione del giudizio.
                        Motivi della decisione
   Sulla istanza  di  inammissibilita'  del  ricorso,  proposta  nelle
 memorie  autorizzate  il  collegio  osserva  in  primo  luogo  che il
 provvedimento  di  liquidazione  del  giudice   istruttore,   risulta
 ritualmente depositato nel fascicolo del ricorrente, sin dal deposito
 del  ricorso.  Per  quanto  attiene  invece  al  mancato deposito del
 biglietto di cancelleria attestante la data della comunicazione, onde
 valutare la tempestivita' dell'opposizione, si osserva che, se e' pur
 vero che la decadenza del consulente per la tardivita'  del  deposito
 del  ricorso  puo'  essere  rilevata  d'ufficio, pur tuttavia nessuna
 disposizione prescrive che tale deposito debba avvenire,  a  pena  di
 inammissibilita',  all'atto  dell'esperimento  della azione. Comunque
 tale documentazione  (in  copia  fotostatica)  risulta  prodotta  con
 memoria  autorizzata del 16 luglio 1997 e non puo' quindi parlarsi di
 inammissibilita' del ricorso, essendo necessario  che  i  presupposti
 per una pronuncia di decadenza sussistano al momento della decisione.
   Sulla regolarita' di tale produzione si osserva: che nessun termine
 (ordinatorio  o  perentorio)  era  stato  stabilito  dal  giudice nel
 provvedimento del 19 febbraio 1997; che nell'istanza di  differimento
 dell'udienza,  comunque,  il  ricorrente  aveva,  il  19 maggio 1997,
 implicitamente richiesto  un  differimento  del  termine,  anche  con
 riferimento  alla  data  del  16  giugno  1997;  che nel procedimento
 civile, la produzione dei documenti  non  depositati  all'atto  della
 costituzione  e'  regolata  dall'articolo  87  delle  disposizioni di
 attuazione del codice di procedura civile,  le  cui  formalita'  sono
 state  adempiute  con  il  deposito  in  cancelleria  dell'indice del
 fascicolo di parte, equivalente alla comunicazione  dell'elenco;  che
 in  un  procedimento  camerale  non  esistono  limiti preclusivi alle
 produzioni documentali, ove le stesse avvengano con il  rispetto  del
 principio del contraddittorio, prima della decisione; che, infine, la
 impossibilita'  derivata  alle  altre  parti, di prendere visione del
 documento e' stata cusata da un comportamento della cancelleria,  non
 previsto  da  alcuna  norma  di  legge,  che ha allegato il documento
 stesso al fascicolo  "in  busta  chiusa  e  sigillata",  erroneamente
 intepretando  il  termine  concesso  "solo  per  memorie"  e  non per
 "deposito di documenti"; che tale circostanza  costituisce  una  mera
 "irregolarita'"  della  produzione,  non  imputabile  al  ricorrente,
 certamente sanabile con la costituzione di un  contraddittorio  sulla
 autenticita'  della  copia  del documento.   Per quanto attiene, poi,
 alla  eccezione  di  estinzione  del   processo,   per   la   mancata
 integrazione  del  contraddittorio  nei  confronti  delle  parti  non
 costituitesi, sulla base del disposto dell'articolo 307  del  c.p.c.,
 (sul  presupposto  della  irregolarita'  della notificazione avvenuta
 presso i difensori della causa civile e non alle parti personalmente)
 il collegio ritiene di dover, in via preliminare, sollevare questione
 di   incostituzionalita'   della   normativa,  che  tale  conclusione
 imporrebbe.   Il procedimento di opposizione  contro  il  decreto  di
 liquidazione   dei   compensi  al  consulente  tecnico,  e'  regolato
 dall'articolo 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319, che  rinvia  alle
 disposizioni  dell'articolo  29  della  legge 13 giugno 1942, n. 794.
 Secondo tali norme, "avverso il decreto ...  il  consulente  tecnico"
 puo' "proporre ricorso entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione
 davanti  al tribunale", che, dopo il decreto presidenziale che ordina
 la "comparizione degli interessati, davanti al collegio ...  provvede
 alla  liquidazione  con  ordinanza non impugnabile".  Sulla natura di
 tale procedimento,  senza  entrare  nel  merito  della  questione  se
 trattasi  o  meno  di  un  giudizio  di  impugnazione, sembra doversi
 concludere che ci si trova di fronte ad  un  procedimento  del  tutto
 autonomo  rispetto a quello che ha dato origine alla liquidazione dei
 compensi.  In tal senso depongono le disposizioni  che  prevedono  la
 competenza  di  una  autorita'  giudiziaria  diversa da quella che ha
 liquidato il compenso, indicando il tribunale (che, tabellarmente, e'
 quello civile, o una sezione civile) anche per i decreti del pretore,
 del tribunale penale (g.i.p. o sezione dibattimentale) e del pubblico
 ministero,   nonche'   la   facolta'   prevista   dall'ultimo   comma
 dell'articolo  11  della  legge  319  del  1980,  di una richiesta di
 documenti e di  informazioni,  necessari  ai  fini  della  decisione,
 all'ufficio giudiziario dove si trovano gli atti.
   Sulla  struttura  del  procedimento,  poi,  la  scarna indicazione,
 contenuta nell'articolo 29 della legge 794 del 1942, che  prevede  la
 "comparizione  degli interessati" con un ordine impartito con decreto
 del presidente del tribunale,  da  notificarsi  a  cura  della  parte
 istante,  induce  a  ritenere  che,  nella ipotesi di liquidazione al
 consulente tecnico, nel procedimento civile, la  notificazione  debba
 essere  fatta  a  tutte  le parti del processo, senza distinzione tra
 quelle costituite e le contumaci e che la notificazione debba in ogni
 caso avvenire personalmente e  non  presso  gli  eventuali  difensori
 costituiti.  Non vi e' dubbio, infatti, che le parti interessate alla
 liquidazione  del  compenso  al  consulente siano tutti coloro che da
 tale  liquidazione  (e  dalla  sua  misura)  possono  risentirne   un
 pregiudizio  all'esito del procedimento che porra' a carico di una di
 esse l'onere  del  pagamento  del  compenso  stesso  (vedi  a  questo
 proposito Cass. 30 maggio 1997, n. 4819, secondo cui "nel giudizio di
 opposizione  al  decreto  di liquidazione del compenso introdotto dal
 consulente  del  p.m.  per  contestare  l'entita'  degli   emolumenti
 attribuitigli,  sono  contraddittori  necessari l'ufficio giudiziario
 che ha disposto la liquidazione contestata e  le  parti  private  del
 processo   penale  sulle  quali,  all'esito  del  giudizio,  potrebbe
 riversarsi il costo della consulenza, e, segnatamente, gli  imputati,
 destinati,  in caso di condanna, a dover sopportare il relativo onere
 finanziario").  D'altro canto, se si ritiene che il  procedimento  di
 opposizione,  abbia  una  sua autonomia rispetto a quello che ha dato
 origine alla consulenza,  deve  necessariamente  concludersi  che  le
 procedure  (con  le  relative  elezioni  di  domicilio) rilasciate ai
 difensori in quel procedimento, dal momento che le stesse  hanno  una
 validita'  esclusivamente "endoprocessuale", non possono valere anche
 per il  giudizio  promosso  "avverso"  il  decreto  di  liquidazione,
 essendo  inapplicabile  il disposto dell'art. 170 del c.p.c.  Se tale
 intepretazione e' corretta, come ritiene  il  collegio,  deve  essere
 rilevata la irragionevolezza, e la irrazionalita' della normativa che
 tale conclusione sorregge, anche in relazione alla grande difficolta'
 che   ne   deriva   a  carico  del  consulente  tecnico,  ricorrente,
 nell'esercizio del  suo  diritto  di  far  valere  eventuali  vizi  o
 manchevolezze   del   decreto   di   liquidazione.  Irragionevolezza,
 irrazionalita' e difficolta' che si traducono in un fondato  sospetto
 di  incostituzionalita',  in relazione agli artt. 3 e 24 della Carta,
 che  e'  rilevante  nel  procedimento  in  cui  ne   viene   eccepita
 l'estinzione  per  la  mancata  integrazione  del contraddittorio nei
 confronti delle parti che nello stesso non si  sono  costituite,  pur
 avendo  ricevuto  la notificazione del ricorso e del decreto presso i
 rispettivi difensori.  Sulla irragionevolezza, sulla irrazionalita' e
 sulla insopportabile difficolta' derivanti al consulente tecnico  che
 ha  presentato  reclamo  avverso  il  decreto  di  liquidazione, puo'
 osservarsi:
     il consulente non ha alcun accesso diretto al fascicolo d'ufficio
 ne' a quello delle parti, onde poterne desumere l'indirizzo "privato"
 delle stesse;
     dagli stessi atti  introduttivi,  di  regola,  non  risulta  tale
 recapito;
     in  processi  complessi,  con una grande quantita' di parti (come
 nel caso concreto) e' estremamente difficile, se non impossibile, per
 il consulente, raggiungerle tutte, potendo ipotizzarsi addirittura la
 necessita' di una notificazione per "pubblici proclami", nei casi  in
 cui  lo  stesso  attore  abbia  fatto  ricorso  a  tale strumento per
 costituire il contraddittorio con una molteplicita' di convenuti;
     il consulente sarebbe,  infine,  obbligato  a  seguire  tutte  le
 vicende  processuali  relative alle possibili successioni nel diritto
 controverso, e nella posizione di parte  interessata,  rispetto  alle
 quali vicende, chi ricorre per la liquidazione dei propri compensi e'
 totalmente estraneo.
   Tali  considerazioni  inducono  il collegio a porre la questione di
 costituzionalita' dell'articolo 11, sesto comma, della legge 8 luglio
 1980, n. 319, nella parte in cui non prevede  che,  nel  procedimento
 regolato  dall'articolo  29  della  legge  13  giugno  1942,  n. 794,
 introdotto con ricorso dal consulente tecnico, il ricorso stesso, con
 il decreto del presidente di convocazione  degli  interessati,  debba
 esser  notificato  solamente  alle  parti  costituite  presso  i loro
 difensori, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.  La
 richiesta pronuncia "integrativa"  della  disposizione,  varrebbe  ad
 eliminare   la   maggior   parte  delle  difficolta'  del  consulente
 nell'esercizio del proprio  diritto  ad  una  corretta  liquidazione,
 senza  pregiudizio delle altre parti interessate, ivi comprese quelle
 non costituite nel procedimento che ha dato origine  alla  consulenza
 (alle  quali  non  deve  essere  data  comunicazione  del  decreto di
 liquidazione), per le quali la mancanza  di  un  contraddittorio  non
 riserva  rischi maggiori rispetto a quelli naturalmente derivanti dal
 loro comportamento volontariamente omissivo.
   Per quanto  attiene,  poi,  al  merito  della  controversia,  sulla
 determinazione  degli  onorari,  spettanti al consulente, per l'opera
 prestata,  ritiene  il  collegio  di  dovere,  in  via   preliminare,
 sollevare  d'ufficio  la  questione  della  incostituzionalita' della
 normativa che stabilisce la misura ed i criteri per  la  liquidazione
 dei  compensi,  sia  in linea generale che nel particolare caso degli
 onorari  variabili.    A  tale  proposito,  infatti,  va rilevato che
 l'ordinanza, ampiamente motivata, del  giudice  istruttore  ha  fatto
 applicazione, oltre che delle misure stabilite con il regolamento del
 1988,   anche   di   alcuni  criteri  di  determinazione,  certamente
 penalizzanti per il consulente tecnico, ricavabili dalla normativa di
 legge e da quella regolamentare, stabilendo  che  "la  determinazione
 dell'onorario  a  percentuale  per  le consulenze tecniche in materia
 civile, deve essere compiuta tenendo conto che l'ultimo scaglione  di
 riferimento  ai  fini  del calcolo e' quello che va da L. 500.000.001
 fino e non oltre L. 1.000.000.000 anche nel caso in cui il consulente
 abbia  accertato  valori  superiori  al  limite  massimo   di   detto
 scaglione,  con  la  conseguenza  che  nessun  compenso  puo'  essere
 riconosciuto in riferimento ai valori superiori al miliardo accertati
 dal c.t.u." e che "deve escludersi che al consulente tecnico  possano
 riconoscersi piu' compensi con riferimento al medesimo incarico anche
 nell'ipotesi  in cui questo comporti l'onere della valutazione di una
 pluralita' di beni distinti" e che  non  puo'  darsi  ingresso  nella
 specie  "al  criterio  di  valutazione a vacazioni alternativamente o
 congiuntamente al criterio di valutazione a scaglioni".
   Sulla base di  tale  relazione,  e  della  stessa  motivazione  del
 provvedimento   del  giudice  istruttore,  a  prescindere  dall'esame
 concreto   dell'opera   prestata   dal   consulente,   da   compiersi
 eventualmente  nel proseguimento del giudizio, non vi e' dubbio e non
 e' contestato che il  consulente  abbia  valutato  beni  per  importi
 complessivamente  di  molto  superiori  al  miliardo di lire e che la
 valutazione del patrimonio Vaselli e dei beni donati al figlio  Mario
 abbia  comportato  l'esame e l'accertamento del valore di numerosi ed
 autonomi beni immobiliari e mobiliari, all'esito di operazioni tra di
 loro diverse.   La liquidazione dei compensi  al  consulente  tecnico
 nominato nel corso di un procedimento civile, per quanto attiene agli
 "onorari variabili", e' regolata in base all'articolo 2 della legge 8
 luglio  1980,  n.  319,  che  rimanda, per la loro deteminazione alle
 "tabelle  redatte  con  riferimento   alle   tariffe   professionali,
 eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate dalla natura
 pubblicistica  dell'incarico, ed approvate con decreto del Presidente
 della  Repubblica".    Il  successivo  art.  4,   poi,   prevede   la
 possibilita'  che  gli onorari vengano commisurati al tempo impiegato
 "in base alle  vacazioni",  quando  si  tratti  di  "prestazioni  non
 previste nelle tabelle" di cui alle disposizioni precedenti.
   Il  primo  rilievo  da  farsi,  su  tale  normativa e' che, in base
 all'art.  10 della legge, la misura degli onorari di cui agli artt. 2
 e 4 avrebbe "potuto" essere aggiornata, ogni tre anni, "in  relazione
 alla  variazione  accertata  dall'ISTAT  dell'indice  dei  prezzi  al
 consumo per le famiglie  di  operai  ed  impiegati  verificatesi  nel
 triennio precedente".
   Il  decreto con le tabelle e' stato emanato il 14 novembre 1983 con
 il n. 820 e gli onorari sono stati "adeguati" con il d.P.R. 27 luglio
 1988, n. 352.
   Tale adeguamento periodico, a distanza  di  quasi  dieci  anni  dal
 primo, non e' piu' intervenuto e l'omissione ha comportato, di fatto,
 una  perdita  di  valore  delle  tabelle in vigore (e dei compensi ai
 periti ed ai consulenti tecnici), dell'ordine di  circa  il  40%.  La
 situazione  verificatasi,  non  ha  alcuna  giustificazione ed incide
 notevolmente in modo irragionevole ed  irrazionale  sui  compensi  da
 liquidarsi   (non   piu'   corrispondenti   a   quelli   degli  altri
 professionisti),   e,   in    definitiva,    sul    buon    andamento
 dell'amministrazione della giustizia, che, di riflesso, risente della
 difficolta'  di  trovare  validi  ausiliari  non  essendo in grado di
 compensarli convenientemente, ponendosi in contrasto con gli articoli
 3 e 97 della Carta costituzionale.
   Ne', per quanto attiene agli "onorari variabili" che sono calcolati
 a percentuale secondo le tabelle, puo' valere la  considerazione  (in
 cui   vi  e'  cenno  nella  sentenza  n.  41  del  1996  della  Corte
 costituzionale)  che  tali  compensi   trovano   il   loro   naturale
 adeguamento,  essendo  collegati  al  valore  dei  beni o delle altre
 attivita' oggetto dell'accertamento peritale, che si  incrementa  nel
 tempo in termini di valore reale.
   Va  osservato,  infatti,  che,  nella  maggior parte dei casi, tali
 valori sono ancorati, nell'ambito del procedimento ad un accertamento
 da farsi con riferimento ad epoche, a volte assai remote e che,  come
 si  vedra'  in seguito, le tabelle impongono dei limiti insuperabili,
 in  relazione  ai  valori  di  tali  beni   od   utilita',   rendendo
 inconferente   qualsiasi  collegamento  tra  i  valori  stessi  e  le
 percentuali previste (vedi in questo senso Cass. 27 agosto  1991,  n.
 9194  e  Cass.  16 settembre 1993, n. 9558 secondo cui "ai fini della
 liquidazione dell'onorario  a  percentuale  spettante  al  consulente
 tecnico di ufficio in materia di estimo, per cui l'art. 13 del d.P.R.
 14  novembre  1983,  n. 820 prevede che l'onorario sia calcolato, per
 scaglioni, sull'importo stimato, deve farsi in ogni caso  riferimento
 al  valore deteminato dal consulente nel dare esecuzione all'incarico
 conferitogli dal giudice, e non invece al valore del  bene  all'epoca
 dell'effettuazione  della  consulenza,  anche  quando  la  stima  sia
 compiuta in relazione ad un'epoca passata, salvo la  possibilita'  di
 attenuare  gli  svantaggi  derivabili  al  consulente  in tale ultima
 ipotesi attraverso l'esercizio del potere discrezionale  del  giudice
 di  liquidare  il  compenso tra il minimo ed il massimo fissati dalla
 legge".    Tali  considerazioni  inducono  il  collegio  a  porre  la
 questione  di costituzionalita' dell'articolo 10 della legge 8 luglio
 1980, n.  319, nella parte in cui non prevede  che  la  misura  degli
 onorari  "e'  automaticamente  adeguata"  ogni  tre  anni,  secondo i
 criteri previsti dalla stessa norma, a partire  dall'ultimo  decreto,
 per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
   Il  secondo  rilievo attiene alla misura dei compensi ed ai criteri
 che debbono usarsi per le relative determinazioni essendo il collegio
 chiamato ad applicare le tabelle degli onorari  variabili  in  favore
 del consulente tecnico che reclama una piu' congrua liquidazione.
   Per  la  consulenza  tecnica in materia di valutazioni di aziende e
 patrimoni (come  sembra  essere  quella  che  ha  dato  origine  alla
 presente  controversia)  l'articolo  3  del d.P.R. 27 luglio 1988, n.
 352, prevede una liquidazione  di  onorari  variabili  a  percentuale
 secondo  una  tabella che prevede scaglioni di calcolo che giungono a
 quello "da L. 500.000.001 fino e non oltre L. 1.000.000.000". Analoga
 limitazione e' posta, per altri tipi di consulenza o  perizia,  dagli
 artt.  2, 4, 6, 8, 11, 13, 14, 15 e 17.  Tale limitazione comporta la
 conseguenza che l'onorario a percentuale (entro  i  limiti  minimi  e
 massimi  previsti)  non  puo' superare la cifra determinabile in base
 all'ultimo scaglione,  qualunque  sia  il  valore  superiore  oggetto
 dell'accertamento o della causa.
   Va  considerato,  inoltre, che l'unicita' dell'incarico affidato al
 consulente non consente una pluralita' di liquidazioni, sulla base di
 scaglioni  calcolati  singolarmente,  anche  quando   oggetto   della
 consulenza  sia  una  pluralita'  di valutazioni sia pure tra di loro
 autonome, ne' sembra consentire alcun altro  compenso  "a  vacazione"
 alternativamente  o  congiuntamente  al  criterio  di  valutazione  a
 scaglioni.   La situazione che ne  risulta,  appare,  ad  avviso  del
 collegio,   irragionevole  ed  irrazionale,  perche'  determina,  una
 abnorme contrazione della possibilita' di liquidazione degli onorari,
 nelle ipotesi in cui il valore dell'oggetto della consulenza, o della
 causa, sia superiore ai  limiti  massimi  imposti  dalle  tabelle,  e
 quando  oggetto  della  consulenza sia una pluralita' di valutazioni,
 tra di loro  del  tutto  autonome,  la  cui  somma  deve  interamente
 rapportarsi agli scaglioni previsti, senza che le limitazioni stesse,
 possano,  in  casi  estremi, essere comunque adeguatamente compensate
 con l'applicazione della facolta' di cui all'art. 5  della  legge  n.
 319 del 1980, sul raddoppio degli onorari.
   La  stessa  situazione,  ad  avviso  del collegio, viene a porre il
 sospetto della incostituzionalita' (per contrasto con gli art. 3 e 97
 della Carta) delle norme di legge  che,  ponendosi  in  posizione  di
 indirizzo,  rispetto  a quelle del regolamento n. 352 del 1988, hanno
 consentito una tale interpretazione, pur non essendovi traccia, nella
 legge,  di  alcuna  delle  limitazioni  poi  consentite  nel  decreto
 presidenziale autorizzato.
   Va  infatti  rilevato il costante orientamento della giurisprudenza
 della Corte di  cassazione,  nel  senso  sopra  indicato,  che  ormai
 costituisce  "diritto  vivente" risolvendosi nella impossibilita', da
 parte dei  giudici  di  merito  di  giungere  a  diverse  conclusioni
 "disapplicando"  la  normativa  "secondaria" per contrasto con quella
 "primaria".  Sul costante orientamento uniforme sulla insuperabilita'
 della limitazione  degli  onorari  sino  al  massimo  previsto  dalle
 tabelle, possono essere citate, infatti:
     Cass.  27  luglio  1991,  n.  9193,  secondo  cui  "al fine della
 liquidazione dell'onorario per consulenza tecnica avente  ad  oggetto
 la  valutazione  di  azienda,  secondo  le disposizioni della legge 8
 luglio 1980, n.  319 e le tabelle approvate con   d.P.R. 14  novembre
 1983, n. 820 (in attuazione dell'art. 2 di detta legge), lo scaglione
 massimo  di  valore,  per  il  calcolo  a  percentuale  dell'onorario
 medesimo,  fissato  a  partire  da   L.   500.000.001   fino   a   L.
 1.000.000.000,  configura  un  limite  non superabile, pure quando la
 stima di detta azienda sia di ammontare eccedente";
     Cass. 16 settembre 1993, n. 9558,  secondo  cui  "al  fine  della
 liquidazione  dell'onorario  per consulenza tecnica avente ad oggetto
 la valutazione di azienda, secondo  le  disposizioni  della  legge  8
 luglio 1980, n. 319 e le tabelle approvate con d.P.R. 27 luglio 1988,
 n.  352  (in  attuazione  dell'art.  2  di detta legge), lo scaglione
 massimo  di  valore,  per  il  calcolo  a  percentuale  dell'onorario
 medesimo,   fissato   a   partire   da   L.  500.000.000  fino  a  L.
 1.000.000.000, configura un limite non  superabile,  pure  quando  la
 stima di detta azienda sia di ammontare eccedente;
     Cass.  16  maggio  1994,  n.  4791  secondo  cui  "ai  fini della
 liquidazione dell'onorario per consulenze tecniche aventi ad  oggetto
 l'accertamento  di abusi edilizi, secondo le disposizioni della legge
 8 luglio 1980, n. 319 e le tabelle approvate  con  d.P.R.  27  luglio
 1988,  n.  352,  lo  scaglione  massimo  di  valore, per il calcolo a
 percentuale  dell'onorario  medesimo,  fissato  in  "non   oltre   il
 miliardo",  configura  un limite non superabile, pure quando la stima
 di dette costruzioni sia di ammontare eccedente. Detta limitazione di
 valore non contrasta con il disposto dell'art. 2233, capoverso,  cod.
 civ.  -  secondo  cui  la  misura  del  compenso deve essere adeguata
 all'importanza dell'opera ed al decoro della professione - in  quanto
 l'art.  2  della  legge  n.    319 del 1980 impone di contemperare la
 misura degli onorari con la natura pubblicistica dell'incarico;
     Cass. 26 giugno 1995, n. 7214, secondo cui "l'art. 2  del  d.P.R.
 27  luglio  1988,  n.  352  - secondo cui per la perizia o consulenza
 tecnica in materia amministrativa,  contabile  e  fiscale  spetta  al
 perito  o  al  consulente tecnico un onorario a percentuale calcolato
 per scaglioni fino alla soglia massima di lire un miliardo,  riferita
 al  valore dell'oggetto dell'indagine ha posto un limite massimo alla
 liquidabilita' dell'onorario a percentuale con la conseguenza  che  i
 valori  superiori  alla scaglione massimo, non utilizzabili come base
 di  calcolo  a  percentuale,  possono  essere  valutati  dal  giudice
 soltanto   come   indice  rivelatore  della  eccezionale  importanza,
 complessita' e difficolta' delle prestazioni richieste  al  perito  o
 consulente  tecnico  e  consentire quindi l'applicazione dell'aumento
 fino al doppio dell'onorario liquidato  a  norma  dell'art.  5  della
 legge 8 luglio 1980, n. 319;
     Cass.  21  novembre  1996,  n.  10277, secondo cui "al fine della
 liquidazione dell'onorario per consulenza tecnica avente  ad  oggetto
 la  valutazione  di  azienda,  secondo le disposizioni della legge n.
 319 del 1980 e le tabelle approvate con d.P.R. n. 352  del  1988,  lo
 scaglione   massimo   di   valore   per   il  calcolo  a  percentuale
 dell'onorario medesimo, fissato a partire da L. 500.000.001 fino a L.
 1.000.000.000, configura un limite non  superabile,  pure  quando  la
 stima di detta azienda ecceda la misura indicata dalla legge;
     Cass.  14  maggio  1997,  n.  4243, secondo cui "lo "stimatore" o
 "l'esperto", del quale l'organo giudiziario  si  avvale  al  fine  di
 determinare  il  valore  di  beni  assoggettati a procedure esecutive
 (anche concorsuali), appartiene alla categoria residuale degli "altri
 ausiliari del giudice" contrapposta a quella degli ausiliari tipici e
 "nominati", quali  il  consulente  tecnico  o  il  custode;  ad  esso
 pertanto si applica, per quanto concerne la procedura di liquidazione
 (in  relazione  agli  aspetti formali dei relativi provvedimenti), la
 disciplina di cui agli artt. 52 e 53  disp.  att.  cod.  proc.  civ.,
 mentre,  per  quanto concerne i criteri di liquidazione, occorre fare
 riferimento  a  quelli  previsti,  in  particolare  per  la   materia
 estimativa,  dall'art.    13  d.P.R.  n. 352 del 1988, restando cosi'
 preclusa  l'applicabilita'  diretta  delle   tariffe   professionali,
 richiamate  dal  legislatore  solo  ai  fini  di  una  determinazione
 tabellare  generale,  i  cui  limiti,  minimi  e  massimi,  non  sono
 superabili  neppure  quando  la  stima  dei  beni,  con riferimento a
 scaglioni di valore contiguo e progressivo, sia eccedente  il  limite
 superiore  dello  scaglione  massimo. Detta limitazione di valore non
 contrasta col disposto dell'art. 2233 cod.  civ.  -  secondo  cui  la
 misura  del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e
 al decoro della professione -, posto che l'art. 2 legge  n.  319  del
 1980  impone  di  contemperare  la misura degli onorari con la natura
 pubblicitaria  dell'incarico,  ne'  e'  configurabile  una carenza di
 remunerazione per la parte di opera professionale correlata al valore
 eccedente  il  limite  massimo,  potendosi,  ove  ne   ricorrano   le
 condizioni,  applicare  l'art. 5 legge n. 319 del 1980 - che consente
 un incremento del compenso  risultante  dal  calcolo  tabellare  ogni
 volta  che  l'incarico  si  presenti  caratterizzato  da  particolare
 importanza, complessita' o difficolta' - previsione che  consente  di
 tenere  conto  di  quelle  ipotesi  in  cui  la  rilevante dimensione
 economica dell 'incarico sia effettivamente sintomo rivelatore di una
 oggettiva peculiarita' di esso, come tale riflettentesi  sull'impegno
 professionale richiesto;
     Cass.   22  agosto  1997,  n.  7852,  secondo  cui  "in  tema  di
 liquidazione dell'onorario del  consulente  tecnico  di  ufficio,  lo
 scaglione   massimo   di   valore,   per  il  calcolo  a  percentuale
 dell'onorario medesimo, fissato dall'art. 2 del  d.P.R.  n.  352  del
 1988  in  "non  oltre  il  miliardo  di  lire",  configura  un limite
 insuperabile, che non contrasta ne' con  gli  artt.  35  e  36  della
 Costituzione,   ne'   con   l'art.  2233  cod.    civ..  Infatti,  la
 razionalita' della scelta legislativa e' suffragata  dalla  posizione
 stessa  dei  consulenti  d'ufficio,  i  quali, nella loro qualita' di
 ausiliari del giudice, non possono essere considerati, ai fini  della
 valutazione delle loro prestazioni, come semplici lavoratori autonomi
 (nella  specie,  la  S.C.,  in applicazione dell'enunciato principio,
 prescindendo  dalla  qualificazione  del  citato  d.P.R.  come   atto
 amministrativo  regolamentare  o  come  fonte  normativa primaria, ha
 escluso la possibilita' per il giudice ordinario  di  procedere  alla
 disapplicazione del decreto stesso)".
   Sul   costante   orientamento   uniforme  sulla  impossibilita'  di
 considerare separatamente, ai fini della liquidazione  degli  onorari
 variabili,   secondo  gli  scaglioni  previsti  dalle  tabelle,  piu'
 valutazioni  autonome  anche  a  vacazione  compiute  nella  medesima
 consulenza, possono ancora essere citate:
     Cass.  14  agosto  1990,  n.  8270, secondo cui "per il combinato
 disposto dell'art. 11 del d.P.R. 14 novembre 1983, n. 820 e dell'art.
 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319 compete  al  consulente  tecnico,
 per  le  consulenze  in materia di costruzioni edilizie e di impianti
 idrici e fognari ad esse inerenti, un onorario percentuale  calcolato
 per  scaglioni  (con  possibilita'  di  aumento degli onorari sino al
 doppio  ai  sensi  dell'art.  5  per  le  operazioni  di  particolare
 difficolta'   e   complessivita')  con  esclusione  dell'applicazione
 congiunta  della  liquidazione  a   vacazioni,   essendo   consentita
 quest'ultima  soltanto  nell'ipotesi di prestazioni professionali non
 specificamente contemplate nelle tabelle o che comunque non rientrano
 nelle materie analoghe a quelle previste dalle tabelle stesse";
     Cass.  23  agosto  1991,  n.  9052,  secondo  cui  "in  tema   di
 liquidazione  degli  onorari  di un consulente tecnico di ufficio, la
 pluralita' delle  valutazioni  a  lui  affidate  (nella  specie,  con
 riguardo ai danni subiti da diversi immobili di distinti proprietari)
 non  esclude  l'unicita'  dell'incarico e conseguente unitarieta' del
 compenso, rilevando soltanto ai fini della determinazione  giudiziale
 di  quest'ultimo,  che  la  legge  fissa tra una misura minima ed una
 massima";
     Cass.  23  agosto  1991,  n.  9053,  secondo  cui  "tra  le spese
 rimborsabili al consulente tecnico d'ufficio, nel caso in cui si  sia
 proceduto  alla  determinazione  degli  onorari  in misura fissa, non
 possono essere comprese ne' le vacazioni concernenti le  convocazioni
 per  le operazioni peritali, comportando tale forma di determinazione
 del compenso la liquidazione di una somma  comprensiva  di  tutte  le
 attivita'  preordinate  all'espletamento  dell'incarico, ne' la spesa
 sostenuta per la scritturazione di prospetti contabili da parte di un
 amanuense, non essendo tale spesa prevista dall'art. 7 della legge  8
 luglio 1980, n. 319";
     Cass.  9  luglio  1994,  n.  6500 secondo cui "in tema di onorari
 dovuti al consulente tecnico d'ufficio  per  operazioni  eseguite  su
 disposizioni  dell'Autorita' Giudiziaria l'incarico avente ad oggetto
 la realizzazione di un  progetto  di  utilizzazione  edificatoria  di
 un'area (da controllare nella sua esatta estensione e dimensione alla
 stregua  degli  atti  di  provenienza) in base alle norme dettate dal
 programma  di  fabbricazione  del  comune,  ancorche'  comporti   una
 pluralita'  di  accertamenti  non  esclude  l'unicita'  dell'incarico
 stesso, il quale deve farsi rientrare in base al  criterio  analogico
 sancito  come regola generale dall'art. 3 legge n. 319 del 1980 nelle
 ipotesi tipiche contemplate dall'art. 12 d.P.R. n. 820 del  1983  con
 la  conseguenza  che  al  suo  riguardo  deve trovare applicazione il
 criterio di liquidazione a  percentuale  ai  sensi  dell'art.  2  del
 citato  decreto,  essendo  possibile data l'analogia delle situazioni
 l'inquadrabilita' dell'indagine nelle  voci  specificamente  indicate
 nelle  tariffe,  con esclusione quindi del criterio di determinazione
 dell'onorario in base alle vacazioni di cui all'art. 4 legge  n.  319
 del  1980,  che  puo'  trovare applicazione solo in via sussidiaria e
 residuale limitatamente ai casi in cui manchi  una  previsione  delle
 tariffe  e non sia logicamente giustificata e possibile un'estensione
 analogica delle ipotesi tipiche di liquidazione in base  al  criterio
 delle percentuali";
     Cass.  23  settembre  1994,  n.  7837,  secondo  cui  "in tema di
 liquidazione degli onorari ad un consulente tecnico di ufficio (nella
 specie, architetto incaricato dal giudice dell'esecuzione della stima
 di  un  complesso  immobiliare  pignorato),   la   pluralita'   delle
 valutazioni  a lui affidate non esclude l'unicita' dell'incarico e la
 conseguente unitarieta' del compenso,  ma  rileva  soltanto  ai  fini
 della  determinazione  giudiziale del compenso medesimo, che la legge
 fissa tra una misura minima ed una massima";
     Cass. 1  settembre  1997,  n.  8298,  secondo  cui  "in  tema  di
 liquidazione   del   compenso  a  periti  e  consulenti  tecnici,  la
 pluralita' della  valutazioni  e  degli  accertamenti  richiesti  non
 esclude  l'unicita'  dell'incarico  e  la conseguente unitarieta' del
 compenso; pertanto,  nell'ipotesi  di  consulenza  consistente  nella
 valutazione di un patrimonio nell'arco di alcuni anni, il compenso va
 determinato  con  riferimento  ad  un  unico  valore costituito dalla
 sommatoria  dei  valori  riscontrati  all'esito  degli   accertamenti
 esperiti.
   Che   tale  situazione  risulti  irragionevole  in  relazione  alle
 conseguenze che,  sia  pure  in  casi  estremi,  puo'  condurre,  con
 pregiudizio  della  buona  funzionalita'  dell'amministrazione  della
 giustizia, che viene pregiudicata nella possibilita' di avvalersi  di
 consulenti  di  grande  esperienza, affidabilita' e specializzazione,
 per accertamenti di grande complessita' ed  estensione,  puo'  essere
 dimostrata  dal  caso  in esame in cui il giudice istruttore ha fatto
 applicazione  delle  disposizioni  regolamentari   e   dei   principi
 costantemente  affermati dalla Corte di cassazione, applicando sia il
 massimo delle percentuali previste dalle tabelle,  sia  il  raddoppio
 degli  onorari ex art. 5 della legge, giungendo ad una determinazione
 del compenso di poco superiore a L. 12.000.000, quale limite  massimo
 assolutamente  non  superabile,  di  fronte  alla  valutazione  di un
 patrimonio per oltre 80 miliardi di lire, riferita al 1969.
   In particolare va osservato:
     la disposizione che autorizza la  determinazione  degli  onorari,
 con riferimento alle tariffe professionali "contemperate dalla natura
 pubblica  dell'incarico",  e'  troppo  vaga  e  generica  e  se  puo'
 consentire  una  formulazione  delle  tabelle  in  senso   riduttivo,
 rispetto  a  quelle  degli  altri  professionisti  non  puo' comunque
 ragionevolmente   consentire   la   fissazione   di   tetti   massimi
 invalicabili;
     la  stessa disposizione, inoltre, nulla dice sulla impossibilita'
 di  considerare  separatamente,  ai  fini  della  liquidazione  degli
 onorari,  diverse  valutazioni  di  beni  o  di complessi di beni che
 abbiano una loro distinta autonomia ed e' sicuramente irrazionale che
 una serie di molteplici operazioni ripetute, ma del  tutto  identiche
 in  termini  di impegno professionale debbano essere considerate come
 un tutto unico;
     la  situazione  che  ne  risulta,  infine,  appare  al  collegio,
 irrazionale  e  penalizzante,  anche  perche' troppo rigida e tale da
 giungere alla estrema conseguenza - una volta liquidati  gli  onorari
 massimi,  con  il raddoppio degli stessi - secondo cui il compenso e'
 unico per tutte le consulenze che raggiungono un altissimo livello di
 importanza, senza alcuna possibilita' di distinzione;
   Tali considerazioni e rilievi, inducono il tribunale:
     a porre la questione di costituzionalita' dell'articolo  2  della
 legge  8  luglio  1980, n. 319, commi primo e secondo, nella parte in
 cui prevede che le tabelle per gli onorari fissi  siano  redatte  con
 riferimento  alle  tariffe  professionali  "contemperate dalla natura
 pubblicistica dell'incarico" e non invece semplicemente "tenuto conto
 della natura  pubblicistica  dell'incarico"  per  contrasto  con  gli
 articoli 3 e 97 della Carta;
     a  porre  la  questione  di  costituzionalita' della stessa norma
 nella parte in cui  non  prevede,  che,  nella  determinazione  degli
 onorari  i  criteri di liquidazione debbano essere rapportati ad ogni
 singola  valutazione,  che  abbia   caratteristiche   autonome,   per
 contrasto con gli articoli 3 e 97 della Carta;
     a  porre  la  questione  di costituzionalita' della stessa norma,
 nella parte in cui non prevede che il giudice, in casi estremi e  con
 provvedimenti  specificatamente  motivato,  possa  prescindere  dalle
 tabelle per adeguare il compenso alla concreta attivita'  svolta  dal
 consulente, per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Carta.