IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile, n. 900 del 1996, trattato in camera di consiglio, promosso da Domenico Fazzalari con l'avv. Francesco Giorgianni avverso il decreto di liquidazione degli onorari, in data 16 dicembre 1995 nella consulenza tecnica d'ufficio, nella causa civile n. 12191 del 1970. Svolgimento del processo Con atto depositato il 10 gennaio 1996, Domenico Fazzalari, premesso di essere stato nominato consulente tecnico d'ufficio, nel 1984, in una causa civile concernente una lesione di legittima, promossa da Erberto Vaselli, nei confronti del fratello Mario, in relazione alla successione del defunto Romolo Vaselli, genitore di entrambi, con l'incarico di valutare la consistenza ed il valore dei beni costituenti il patrimonio del defunto, alla sua morte, nonche' il valore dei beni oggetto della donazione effettuata dal predetto in favore del figlio Mario, ricorreva (ex art. 11 della legge n. 319 del 1980) avverso il decreto del giudice istruttore, che al termine delle indagini, durate oltre dieci anni, aveva liquidato in suo favore l'onorario di L. 12.339.000, in base alle tabelle previste dall'art. 3 del d.P.R. n. 352 del 1988, oltre a L. 65.614.084 a titolo di rimborso spese documentate e a L. 12.339.000 a titolo di compenso per un ausiliario tecnico autorizzato. Nel ricorso si lamentava l'esiguita' dei compensi liquidati, determinata da una erronea interpretazione della normativa, da parte del giudice istruttore, che non aveva considerato la pluralita' degli incarichi e degli accertamenti ed applicato agli onorari tabelle non corrispondenti alla natura della consulenza, omettendo, inoltre, di liquidare alcun onorario eccedente il limite massimo previsto dall'ultimo scaglione, nonostante che il valore dei beni oggetto degli accertamenti ed il valore della causa fosse di gran lunga superiore agli importi stabiliti dallo scaglione predetto. Concludeva chiedendo che il tribunale, rivedendo la predetta liquidazione, riconoscesse dovuti, per l'opera prestata complessivamente, L. 6.936.339.000 a titolo di onorari, ovvero, gradatamente L. 3.468.084.000, per la consulenza in materia di valutazione di patrimonio, oltre a L. 681.736.000, per consulenza in materia contabile e di bilancio ed a L. 111.133.600 per materia di estimo di immobili. Il ricorso, con il decreto di convocazione delle parti davanti al collegio, veniva notificato alle altre parti del processo civile, presso i loro rispettivi difensori e segnatamente a Mario, Erberto, Filippo, Massimo, Giuseppe, Paola e Priscilla Vaselli, a Laura Trotta, alla societa' CIPRI, a Fausto Di Fani ed a Giuseppe, Guido e Fausta Rizzo. All'udienza del 7 ottobre 1996, si costituivano in giudizio Erberto Vaselli, Filippo Vaselli, la societa' CIPRI e Giuseppe Vaselli. Il procuratore del ricorrente, chiedeva la concessione di un termine per la notificazione del ricorso agli eredi di Mario Vaselli, nel frattempo deceduto. Con decreto del 19 febbraio 1997, depositato il 22 febbraio successivo il tribunale disponeva la produzione in giudizio della comunicazione dell'ordinanza di liquidazione, e la notifica personale alle parti del procedimento civile, non costituitesi, nonche' una richiesta di informazioni al giudice istruttore, per le notizie necessarie alla decisione sul ricorso, rinviando all'udienza del 16 giugno 1997. In data 29 maggio 1997, il procuratore del ricorrente depositava una nota, con la quale, rilevando che alcune delle parti erano decedute, senza che fosse possibile conoscere i nominativi di tutti gli eredi e la loro residenza, chiedeva un differimento dell'udienza fissata, in attesa di quella del procedimento civile in cui avrebbero dovuto costituirsi i predetti eredi. All'udienza del 16 giugno 1997, si costituivano in giudizio, Marcella Manfredini, Gabriella ed Elvira Vaselli, quali eredi di Erberto Vaselli. Il collegio riservava ogni decisione concedendo alle parti un doppio termine per le loro deduzioni e memorie. Il ricorrente produceva, insieme al ricorso, la copia del decreto di liquidazione, una parcella per acconti e progetto a saldo del coadiutore autorizzato, la copia di una circolare del Presidente del tribunale di Roma, un prospetto dei compensi per l'attivita' di consulenza in materia contabile e di bilanci, sulle societa' del gruppo Vaselli, un prospetto dei compensi per l'attivita' di consulenza in materia di estimo eseguita sui cespiti di proprieta' diretta del Conte Vaselli. In data 16 luglio 1997, il ricorrente produceva, inoltre, unitamente al deposito delle note autorizzate, copia del biglietto di cancelleria con la comunicazione dell'ordinanza di liquidazione, notificato il 21 dicembre 1995, che veniva allegato al fascicolo "in busta chiusa e sigillata", come da annotazione a firma illeggibile della cancelleria. Oltre alle comparse di costituzione, Erberto Vaselli, produceva in giudizio una lettera ed alcuni atti della causa civile, tendenti ad inficiare la bonta' della consulenza, mentre i suoi eredi, successivamente costituitisi, producevano il certificato attestante la morte del loro dante causa, avvenuta nell'ottobre del 1996, e la fotocopia non autentica di un foglio contenente la minuta di un provvedimento non depositato. Il giudice istruttore della causa civile, che ha dato origine alla consulenza tecnica eseguita dal ricorrente, con nota del 14 giugno 1997, comunicava che l'incarico risultava conferito nel dicembre del 1984; che l'incarico aveva ad oggetto la determinazione del patrimonio del defunto Romolo Vaselli ed il valore della donazione fatta a favore del figlio Mario, il 29 marzo 1945; che il termine per l'espletamento delle operazioni fu originariamente fissato in 180 giorni, con la concessione di un anticipo di L. 1.500.000; che, riconvocato all'udienza del 5 ottobre 1987 il consulente faceva presente di aver rinvenuto rilevanti difficolta' nella deteminazione delle partecipazioni societarie del defunto, ottenendo autorizzazione di avvalersi di un ausiliario tecnico, con la concessione di un ulteriore fondo spese di L. 5.000.000 ed altri 180 giorni per il deposito della relazione; che i temini furono piu' volte prorogati; che in data 30 marzo 1989 risulta depositata una relazione preliminare di 73 pagine nella quale peraltro si faceva presente l'esigenza di una certosina ricerca presso le conservatorie immobiliari di molte citta' italiane ed estere, una minuziosa ricerca storico catastale presso le piu' accreditate emeroteche nazionali e si richiedeva un rilevantissimo fondo spese per la prosecuzione delle indagini; che il processo fu interrotto nel 1989 ed alla riassunzione il consulente ottenne un fondo spese di L. 25.000.000 con termine sino al 30 giugno 1990 per il deposito della relazione; che in data 15 maggio 1991 e 10 marzo 1992, risultano depositate due relazioni relative ai "beni esteri" appartenenti al de cuius che risultano valutati in L. 8.890.274.552 al 1974 ed in L. 65.838.843.010 al 1991; che, successivamente, secondo quanto risultante dalle indicazioni del consulente, lo stesso avrebbe depositato una relazione relativa alla societa' facenti parte del "gruppo Vaselli", elaborato peraltro non rintracciato dal giudice istruttore nella documentazione visionata; che due ulteriori elaborati risultano depositati nell'agosto del 1994 e nel giugno del 1995: nel primo di essi si quantifica in L. 12.500.000.000 al 1969 il valore dei beni costituenti il patrimonio del defunto Romolo Vaselli, a cui deve aggiungersi il valore delle societa' donate nel 1945, per un valore complessivo rapportato al 1969 dell'intero patrimonio, stimato in L. 83.772.265.000. Tutte le parti costituite hanno chiesto nel merito il rigetto del ricorso. Nella comparsa di costituzione, le parti costituitesi quali eredi di Erberto Vaselli, hanno eccepito l'inammissibilita' del ricorso per omesso deposito del provvedimento impugnato e per irregolarita' della notificazione, avvenuta a mani dei difensori e non delle parti personalmente. Nella udienza in cui e' avvenuta la costituzione e nelle memorie autorizzate il procuratore di tali parti, chiedeva la estinzione del procedimento, ex art. 307, terzo comma del c.p.c., quale conseguenza della mancata notificazione del ricorso alle parti non costituite, da intendersi quali litisconsorti necessari, per l'udienza fissata per la prosecuzione del giudizio. Motivi della decisione Sulla istanza di inammissibilita' del ricorso, proposta nelle memorie autorizzate il collegio osserva in primo luogo che il provvedimento di liquidazione del giudice istruttore, risulta ritualmente depositato nel fascicolo del ricorrente, sin dal deposito del ricorso. Per quanto attiene invece al mancato deposito del biglietto di cancelleria attestante la data della comunicazione, onde valutare la tempestivita' dell'opposizione, si osserva che, se e' pur vero che la decadenza del consulente per la tardivita' del deposito del ricorso puo' essere rilevata d'ufficio, pur tuttavia nessuna disposizione prescrive che tale deposito debba avvenire, a pena di inammissibilita', all'atto dell'esperimento della azione. Comunque tale documentazione (in copia fotostatica) risulta prodotta con memoria autorizzata del 16 luglio 1997 e non puo' quindi parlarsi di inammissibilita' del ricorso, essendo necessario che i presupposti per una pronuncia di decadenza sussistano al momento della decisione. Sulla regolarita' di tale produzione si osserva: che nessun termine (ordinatorio o perentorio) era stato stabilito dal giudice nel provvedimento del 19 febbraio 1997; che nell'istanza di differimento dell'udienza, comunque, il ricorrente aveva, il 19 maggio 1997, implicitamente richiesto un differimento del termine, anche con riferimento alla data del 16 giugno 1997; che nel procedimento civile, la produzione dei documenti non depositati all'atto della costituzione e' regolata dall'articolo 87 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, le cui formalita' sono state adempiute con il deposito in cancelleria dell'indice del fascicolo di parte, equivalente alla comunicazione dell'elenco; che in un procedimento camerale non esistono limiti preclusivi alle produzioni documentali, ove le stesse avvengano con il rispetto del principio del contraddittorio, prima della decisione; che, infine, la impossibilita' derivata alle altre parti, di prendere visione del documento e' stata cusata da un comportamento della cancelleria, non previsto da alcuna norma di legge, che ha allegato il documento stesso al fascicolo "in busta chiusa e sigillata", erroneamente intepretando il termine concesso "solo per memorie" e non per "deposito di documenti"; che tale circostanza costituisce una mera "irregolarita'" della produzione, non imputabile al ricorrente, certamente sanabile con la costituzione di un contraddittorio sulla autenticita' della copia del documento. Per quanto attiene, poi, alla eccezione di estinzione del processo, per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti non costituitesi, sulla base del disposto dell'articolo 307 del c.p.c., (sul presupposto della irregolarita' della notificazione avvenuta presso i difensori della causa civile e non alle parti personalmente) il collegio ritiene di dover, in via preliminare, sollevare questione di incostituzionalita' della normativa, che tale conclusione imporrebbe. Il procedimento di opposizione contro il decreto di liquidazione dei compensi al consulente tecnico, e' regolato dall'articolo 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319, che rinvia alle disposizioni dell'articolo 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794. Secondo tali norme, "avverso il decreto ... il consulente tecnico" puo' "proporre ricorso entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione davanti al tribunale", che, dopo il decreto presidenziale che ordina la "comparizione degli interessati, davanti al collegio ... provvede alla liquidazione con ordinanza non impugnabile". Sulla natura di tale procedimento, senza entrare nel merito della questione se trattasi o meno di un giudizio di impugnazione, sembra doversi concludere che ci si trova di fronte ad un procedimento del tutto autonomo rispetto a quello che ha dato origine alla liquidazione dei compensi. In tal senso depongono le disposizioni che prevedono la competenza di una autorita' giudiziaria diversa da quella che ha liquidato il compenso, indicando il tribunale (che, tabellarmente, e' quello civile, o una sezione civile) anche per i decreti del pretore, del tribunale penale (g.i.p. o sezione dibattimentale) e del pubblico ministero, nonche' la facolta' prevista dall'ultimo comma dell'articolo 11 della legge 319 del 1980, di una richiesta di documenti e di informazioni, necessari ai fini della decisione, all'ufficio giudiziario dove si trovano gli atti. Sulla struttura del procedimento, poi, la scarna indicazione, contenuta nell'articolo 29 della legge 794 del 1942, che prevede la "comparizione degli interessati" con un ordine impartito con decreto del presidente del tribunale, da notificarsi a cura della parte istante, induce a ritenere che, nella ipotesi di liquidazione al consulente tecnico, nel procedimento civile, la notificazione debba essere fatta a tutte le parti del processo, senza distinzione tra quelle costituite e le contumaci e che la notificazione debba in ogni caso avvenire personalmente e non presso gli eventuali difensori costituiti. Non vi e' dubbio, infatti, che le parti interessate alla liquidazione del compenso al consulente siano tutti coloro che da tale liquidazione (e dalla sua misura) possono risentirne un pregiudizio all'esito del procedimento che porra' a carico di una di esse l'onere del pagamento del compenso stesso (vedi a questo proposito Cass. 30 maggio 1997, n. 4819, secondo cui "nel giudizio di opposizione al decreto di liquidazione del compenso introdotto dal consulente del p.m. per contestare l'entita' degli emolumenti attribuitigli, sono contraddittori necessari l'ufficio giudiziario che ha disposto la liquidazione contestata e le parti private del processo penale sulle quali, all'esito del giudizio, potrebbe riversarsi il costo della consulenza, e, segnatamente, gli imputati, destinati, in caso di condanna, a dover sopportare il relativo onere finanziario"). D'altro canto, se si ritiene che il procedimento di opposizione, abbia una sua autonomia rispetto a quello che ha dato origine alla consulenza, deve necessariamente concludersi che le procedure (con le relative elezioni di domicilio) rilasciate ai difensori in quel procedimento, dal momento che le stesse hanno una validita' esclusivamente "endoprocessuale", non possono valere anche per il giudizio promosso "avverso" il decreto di liquidazione, essendo inapplicabile il disposto dell'art. 170 del c.p.c. Se tale intepretazione e' corretta, come ritiene il collegio, deve essere rilevata la irragionevolezza, e la irrazionalita' della normativa che tale conclusione sorregge, anche in relazione alla grande difficolta' che ne deriva a carico del consulente tecnico, ricorrente, nell'esercizio del suo diritto di far valere eventuali vizi o manchevolezze del decreto di liquidazione. Irragionevolezza, irrazionalita' e difficolta' che si traducono in un fondato sospetto di incostituzionalita', in relazione agli artt. 3 e 24 della Carta, che e' rilevante nel procedimento in cui ne viene eccepita l'estinzione per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti che nello stesso non si sono costituite, pur avendo ricevuto la notificazione del ricorso e del decreto presso i rispettivi difensori. Sulla irragionevolezza, sulla irrazionalita' e sulla insopportabile difficolta' derivanti al consulente tecnico che ha presentato reclamo avverso il decreto di liquidazione, puo' osservarsi: il consulente non ha alcun accesso diretto al fascicolo d'ufficio ne' a quello delle parti, onde poterne desumere l'indirizzo "privato" delle stesse; dagli stessi atti introduttivi, di regola, non risulta tale recapito; in processi complessi, con una grande quantita' di parti (come nel caso concreto) e' estremamente difficile, se non impossibile, per il consulente, raggiungerle tutte, potendo ipotizzarsi addirittura la necessita' di una notificazione per "pubblici proclami", nei casi in cui lo stesso attore abbia fatto ricorso a tale strumento per costituire il contraddittorio con una molteplicita' di convenuti; il consulente sarebbe, infine, obbligato a seguire tutte le vicende processuali relative alle possibili successioni nel diritto controverso, e nella posizione di parte interessata, rispetto alle quali vicende, chi ricorre per la liquidazione dei propri compensi e' totalmente estraneo. Tali considerazioni inducono il collegio a porre la questione di costituzionalita' dell'articolo 11, sesto comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319, nella parte in cui non prevede che, nel procedimento regolato dall'articolo 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, introdotto con ricorso dal consulente tecnico, il ricorso stesso, con il decreto del presidente di convocazione degli interessati, debba esser notificato solamente alle parti costituite presso i loro difensori, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. La richiesta pronuncia "integrativa" della disposizione, varrebbe ad eliminare la maggior parte delle difficolta' del consulente nell'esercizio del proprio diritto ad una corretta liquidazione, senza pregiudizio delle altre parti interessate, ivi comprese quelle non costituite nel procedimento che ha dato origine alla consulenza (alle quali non deve essere data comunicazione del decreto di liquidazione), per le quali la mancanza di un contraddittorio non riserva rischi maggiori rispetto a quelli naturalmente derivanti dal loro comportamento volontariamente omissivo. Per quanto attiene, poi, al merito della controversia, sulla determinazione degli onorari, spettanti al consulente, per l'opera prestata, ritiene il collegio di dovere, in via preliminare, sollevare d'ufficio la questione della incostituzionalita' della normativa che stabilisce la misura ed i criteri per la liquidazione dei compensi, sia in linea generale che nel particolare caso degli onorari variabili. A tale proposito, infatti, va rilevato che l'ordinanza, ampiamente motivata, del giudice istruttore ha fatto applicazione, oltre che delle misure stabilite con il regolamento del 1988, anche di alcuni criteri di determinazione, certamente penalizzanti per il consulente tecnico, ricavabili dalla normativa di legge e da quella regolamentare, stabilendo che "la determinazione dell'onorario a percentuale per le consulenze tecniche in materia civile, deve essere compiuta tenendo conto che l'ultimo scaglione di riferimento ai fini del calcolo e' quello che va da L. 500.000.001 fino e non oltre L. 1.000.000.000 anche nel caso in cui il consulente abbia accertato valori superiori al limite massimo di detto scaglione, con la conseguenza che nessun compenso puo' essere riconosciuto in riferimento ai valori superiori al miliardo accertati dal c.t.u." e che "deve escludersi che al consulente tecnico possano riconoscersi piu' compensi con riferimento al medesimo incarico anche nell'ipotesi in cui questo comporti l'onere della valutazione di una pluralita' di beni distinti" e che non puo' darsi ingresso nella specie "al criterio di valutazione a vacazioni alternativamente o congiuntamente al criterio di valutazione a scaglioni". Sulla base di tale relazione, e della stessa motivazione del provvedimento del giudice istruttore, a prescindere dall'esame concreto dell'opera prestata dal consulente, da compiersi eventualmente nel proseguimento del giudizio, non vi e' dubbio e non e' contestato che il consulente abbia valutato beni per importi complessivamente di molto superiori al miliardo di lire e che la valutazione del patrimonio Vaselli e dei beni donati al figlio Mario abbia comportato l'esame e l'accertamento del valore di numerosi ed autonomi beni immobiliari e mobiliari, all'esito di operazioni tra di loro diverse. La liquidazione dei compensi al consulente tecnico nominato nel corso di un procedimento civile, per quanto attiene agli "onorari variabili", e' regolata in base all'articolo 2 della legge 8 luglio 1980, n. 319, che rimanda, per la loro deteminazione alle "tabelle redatte con riferimento alle tariffe professionali, eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate dalla natura pubblicistica dell'incarico, ed approvate con decreto del Presidente della Repubblica". Il successivo art. 4, poi, prevede la possibilita' che gli onorari vengano commisurati al tempo impiegato "in base alle vacazioni", quando si tratti di "prestazioni non previste nelle tabelle" di cui alle disposizioni precedenti. Il primo rilievo da farsi, su tale normativa e' che, in base all'art. 10 della legge, la misura degli onorari di cui agli artt. 2 e 4 avrebbe "potuto" essere aggiornata, ogni tre anni, "in relazione alla variazione accertata dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati verificatesi nel triennio precedente". Il decreto con le tabelle e' stato emanato il 14 novembre 1983 con il n. 820 e gli onorari sono stati "adeguati" con il d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352. Tale adeguamento periodico, a distanza di quasi dieci anni dal primo, non e' piu' intervenuto e l'omissione ha comportato, di fatto, una perdita di valore delle tabelle in vigore (e dei compensi ai periti ed ai consulenti tecnici), dell'ordine di circa il 40%. La situazione verificatasi, non ha alcuna giustificazione ed incide notevolmente in modo irragionevole ed irrazionale sui compensi da liquidarsi (non piu' corrispondenti a quelli degli altri professionisti), e, in definitiva, sul buon andamento dell'amministrazione della giustizia, che, di riflesso, risente della difficolta' di trovare validi ausiliari non essendo in grado di compensarli convenientemente, ponendosi in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Carta costituzionale. Ne', per quanto attiene agli "onorari variabili" che sono calcolati a percentuale secondo le tabelle, puo' valere la considerazione (in cui vi e' cenno nella sentenza n. 41 del 1996 della Corte costituzionale) che tali compensi trovano il loro naturale adeguamento, essendo collegati al valore dei beni o delle altre attivita' oggetto dell'accertamento peritale, che si incrementa nel tempo in termini di valore reale. Va osservato, infatti, che, nella maggior parte dei casi, tali valori sono ancorati, nell'ambito del procedimento ad un accertamento da farsi con riferimento ad epoche, a volte assai remote e che, come si vedra' in seguito, le tabelle impongono dei limiti insuperabili, in relazione ai valori di tali beni od utilita', rendendo inconferente qualsiasi collegamento tra i valori stessi e le percentuali previste (vedi in questo senso Cass. 27 agosto 1991, n. 9194 e Cass. 16 settembre 1993, n. 9558 secondo cui "ai fini della liquidazione dell'onorario a percentuale spettante al consulente tecnico di ufficio in materia di estimo, per cui l'art. 13 del d.P.R. 14 novembre 1983, n. 820 prevede che l'onorario sia calcolato, per scaglioni, sull'importo stimato, deve farsi in ogni caso riferimento al valore deteminato dal consulente nel dare esecuzione all'incarico conferitogli dal giudice, e non invece al valore del bene all'epoca dell'effettuazione della consulenza, anche quando la stima sia compiuta in relazione ad un'epoca passata, salvo la possibilita' di attenuare gli svantaggi derivabili al consulente in tale ultima ipotesi attraverso l'esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il compenso tra il minimo ed il massimo fissati dalla legge". Tali considerazioni inducono il collegio a porre la questione di costituzionalita' dell'articolo 10 della legge 8 luglio 1980, n. 319, nella parte in cui non prevede che la misura degli onorari "e' automaticamente adeguata" ogni tre anni, secondo i criteri previsti dalla stessa norma, a partire dall'ultimo decreto, per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Il secondo rilievo attiene alla misura dei compensi ed ai criteri che debbono usarsi per le relative determinazioni essendo il collegio chiamato ad applicare le tabelle degli onorari variabili in favore del consulente tecnico che reclama una piu' congrua liquidazione. Per la consulenza tecnica in materia di valutazioni di aziende e patrimoni (come sembra essere quella che ha dato origine alla presente controversia) l'articolo 3 del d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352, prevede una liquidazione di onorari variabili a percentuale secondo una tabella che prevede scaglioni di calcolo che giungono a quello "da L. 500.000.001 fino e non oltre L. 1.000.000.000". Analoga limitazione e' posta, per altri tipi di consulenza o perizia, dagli artt. 2, 4, 6, 8, 11, 13, 14, 15 e 17. Tale limitazione comporta la conseguenza che l'onorario a percentuale (entro i limiti minimi e massimi previsti) non puo' superare la cifra determinabile in base all'ultimo scaglione, qualunque sia il valore superiore oggetto dell'accertamento o della causa. Va considerato, inoltre, che l'unicita' dell'incarico affidato al consulente non consente una pluralita' di liquidazioni, sulla base di scaglioni calcolati singolarmente, anche quando oggetto della consulenza sia una pluralita' di valutazioni sia pure tra di loro autonome, ne' sembra consentire alcun altro compenso "a vacazione" alternativamente o congiuntamente al criterio di valutazione a scaglioni. La situazione che ne risulta, appare, ad avviso del collegio, irragionevole ed irrazionale, perche' determina, una abnorme contrazione della possibilita' di liquidazione degli onorari, nelle ipotesi in cui il valore dell'oggetto della consulenza, o della causa, sia superiore ai limiti massimi imposti dalle tabelle, e quando oggetto della consulenza sia una pluralita' di valutazioni, tra di loro del tutto autonome, la cui somma deve interamente rapportarsi agli scaglioni previsti, senza che le limitazioni stesse, possano, in casi estremi, essere comunque adeguatamente compensate con l'applicazione della facolta' di cui all'art. 5 della legge n. 319 del 1980, sul raddoppio degli onorari. La stessa situazione, ad avviso del collegio, viene a porre il sospetto della incostituzionalita' (per contrasto con gli art. 3 e 97 della Carta) delle norme di legge che, ponendosi in posizione di indirizzo, rispetto a quelle del regolamento n. 352 del 1988, hanno consentito una tale interpretazione, pur non essendovi traccia, nella legge, di alcuna delle limitazioni poi consentite nel decreto presidenziale autorizzato. Va infatti rilevato il costante orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione, nel senso sopra indicato, che ormai costituisce "diritto vivente" risolvendosi nella impossibilita', da parte dei giudici di merito di giungere a diverse conclusioni "disapplicando" la normativa "secondaria" per contrasto con quella "primaria". Sul costante orientamento uniforme sulla insuperabilita' della limitazione degli onorari sino al massimo previsto dalle tabelle, possono essere citate, infatti: Cass. 27 luglio 1991, n. 9193, secondo cui "al fine della liquidazione dell'onorario per consulenza tecnica avente ad oggetto la valutazione di azienda, secondo le disposizioni della legge 8 luglio 1980, n. 319 e le tabelle approvate con d.P.R. 14 novembre 1983, n. 820 (in attuazione dell'art. 2 di detta legge), lo scaglione massimo di valore, per il calcolo a percentuale dell'onorario medesimo, fissato a partire da L. 500.000.001 fino a L. 1.000.000.000, configura un limite non superabile, pure quando la stima di detta azienda sia di ammontare eccedente"; Cass. 16 settembre 1993, n. 9558, secondo cui "al fine della liquidazione dell'onorario per consulenza tecnica avente ad oggetto la valutazione di azienda, secondo le disposizioni della legge 8 luglio 1980, n. 319 e le tabelle approvate con d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352 (in attuazione dell'art. 2 di detta legge), lo scaglione massimo di valore, per il calcolo a percentuale dell'onorario medesimo, fissato a partire da L. 500.000.000 fino a L. 1.000.000.000, configura un limite non superabile, pure quando la stima di detta azienda sia di ammontare eccedente; Cass. 16 maggio 1994, n. 4791 secondo cui "ai fini della liquidazione dell'onorario per consulenze tecniche aventi ad oggetto l'accertamento di abusi edilizi, secondo le disposizioni della legge 8 luglio 1980, n. 319 e le tabelle approvate con d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352, lo scaglione massimo di valore, per il calcolo a percentuale dell'onorario medesimo, fissato in "non oltre il miliardo", configura un limite non superabile, pure quando la stima di dette costruzioni sia di ammontare eccedente. Detta limitazione di valore non contrasta con il disposto dell'art. 2233, capoverso, cod. civ. - secondo cui la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera ed al decoro della professione - in quanto l'art. 2 della legge n. 319 del 1980 impone di contemperare la misura degli onorari con la natura pubblicistica dell'incarico; Cass. 26 giugno 1995, n. 7214, secondo cui "l'art. 2 del d.P.R. 27 luglio 1988, n. 352 - secondo cui per la perizia o consulenza tecnica in materia amministrativa, contabile e fiscale spetta al perito o al consulente tecnico un onorario a percentuale calcolato per scaglioni fino alla soglia massima di lire un miliardo, riferita al valore dell'oggetto dell'indagine ha posto un limite massimo alla liquidabilita' dell'onorario a percentuale con la conseguenza che i valori superiori alla scaglione massimo, non utilizzabili come base di calcolo a percentuale, possono essere valutati dal giudice soltanto come indice rivelatore della eccezionale importanza, complessita' e difficolta' delle prestazioni richieste al perito o consulente tecnico e consentire quindi l'applicazione dell'aumento fino al doppio dell'onorario liquidato a norma dell'art. 5 della legge 8 luglio 1980, n. 319; Cass. 21 novembre 1996, n. 10277, secondo cui "al fine della liquidazione dell'onorario per consulenza tecnica avente ad oggetto la valutazione di azienda, secondo le disposizioni della legge n. 319 del 1980 e le tabelle approvate con d.P.R. n. 352 del 1988, lo scaglione massimo di valore per il calcolo a percentuale dell'onorario medesimo, fissato a partire da L. 500.000.001 fino a L. 1.000.000.000, configura un limite non superabile, pure quando la stima di detta azienda ecceda la misura indicata dalla legge; Cass. 14 maggio 1997, n. 4243, secondo cui "lo "stimatore" o "l'esperto", del quale l'organo giudiziario si avvale al fine di determinare il valore di beni assoggettati a procedure esecutive (anche concorsuali), appartiene alla categoria residuale degli "altri ausiliari del giudice" contrapposta a quella degli ausiliari tipici e "nominati", quali il consulente tecnico o il custode; ad esso pertanto si applica, per quanto concerne la procedura di liquidazione (in relazione agli aspetti formali dei relativi provvedimenti), la disciplina di cui agli artt. 52 e 53 disp. att. cod. proc. civ., mentre, per quanto concerne i criteri di liquidazione, occorre fare riferimento a quelli previsti, in particolare per la materia estimativa, dall'art. 13 d.P.R. n. 352 del 1988, restando cosi' preclusa l'applicabilita' diretta delle tariffe professionali, richiamate dal legislatore solo ai fini di una determinazione tabellare generale, i cui limiti, minimi e massimi, non sono superabili neppure quando la stima dei beni, con riferimento a scaglioni di valore contiguo e progressivo, sia eccedente il limite superiore dello scaglione massimo. Detta limitazione di valore non contrasta col disposto dell'art. 2233 cod. civ. - secondo cui la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione -, posto che l'art. 2 legge n. 319 del 1980 impone di contemperare la misura degli onorari con la natura pubblicitaria dell'incarico, ne' e' configurabile una carenza di remunerazione per la parte di opera professionale correlata al valore eccedente il limite massimo, potendosi, ove ne ricorrano le condizioni, applicare l'art. 5 legge n. 319 del 1980 - che consente un incremento del compenso risultante dal calcolo tabellare ogni volta che l'incarico si presenti caratterizzato da particolare importanza, complessita' o difficolta' - previsione che consente di tenere conto di quelle ipotesi in cui la rilevante dimensione economica dell 'incarico sia effettivamente sintomo rivelatore di una oggettiva peculiarita' di esso, come tale riflettentesi sull'impegno professionale richiesto; Cass. 22 agosto 1997, n. 7852, secondo cui "in tema di liquidazione dell'onorario del consulente tecnico di ufficio, lo scaglione massimo di valore, per il calcolo a percentuale dell'onorario medesimo, fissato dall'art. 2 del d.P.R. n. 352 del 1988 in "non oltre il miliardo di lire", configura un limite insuperabile, che non contrasta ne' con gli artt. 35 e 36 della Costituzione, ne' con l'art. 2233 cod. civ.. Infatti, la razionalita' della scelta legislativa e' suffragata dalla posizione stessa dei consulenti d'ufficio, i quali, nella loro qualita' di ausiliari del giudice, non possono essere considerati, ai fini della valutazione delle loro prestazioni, come semplici lavoratori autonomi (nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, prescindendo dalla qualificazione del citato d.P.R. come atto amministrativo regolamentare o come fonte normativa primaria, ha escluso la possibilita' per il giudice ordinario di procedere alla disapplicazione del decreto stesso)". Sul costante orientamento uniforme sulla impossibilita' di considerare separatamente, ai fini della liquidazione degli onorari variabili, secondo gli scaglioni previsti dalle tabelle, piu' valutazioni autonome anche a vacazione compiute nella medesima consulenza, possono ancora essere citate: Cass. 14 agosto 1990, n. 8270, secondo cui "per il combinato disposto dell'art. 11 del d.P.R. 14 novembre 1983, n. 820 e dell'art. 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319 compete al consulente tecnico, per le consulenze in materia di costruzioni edilizie e di impianti idrici e fognari ad esse inerenti, un onorario percentuale calcolato per scaglioni (con possibilita' di aumento degli onorari sino al doppio ai sensi dell'art. 5 per le operazioni di particolare difficolta' e complessivita') con esclusione dell'applicazione congiunta della liquidazione a vacazioni, essendo consentita quest'ultima soltanto nell'ipotesi di prestazioni professionali non specificamente contemplate nelle tabelle o che comunque non rientrano nelle materie analoghe a quelle previste dalle tabelle stesse"; Cass. 23 agosto 1991, n. 9052, secondo cui "in tema di liquidazione degli onorari di un consulente tecnico di ufficio, la pluralita' delle valutazioni a lui affidate (nella specie, con riguardo ai danni subiti da diversi immobili di distinti proprietari) non esclude l'unicita' dell'incarico e conseguente unitarieta' del compenso, rilevando soltanto ai fini della determinazione giudiziale di quest'ultimo, che la legge fissa tra una misura minima ed una massima"; Cass. 23 agosto 1991, n. 9053, secondo cui "tra le spese rimborsabili al consulente tecnico d'ufficio, nel caso in cui si sia proceduto alla determinazione degli onorari in misura fissa, non possono essere comprese ne' le vacazioni concernenti le convocazioni per le operazioni peritali, comportando tale forma di determinazione del compenso la liquidazione di una somma comprensiva di tutte le attivita' preordinate all'espletamento dell'incarico, ne' la spesa sostenuta per la scritturazione di prospetti contabili da parte di un amanuense, non essendo tale spesa prevista dall'art. 7 della legge 8 luglio 1980, n. 319"; Cass. 9 luglio 1994, n. 6500 secondo cui "in tema di onorari dovuti al consulente tecnico d'ufficio per operazioni eseguite su disposizioni dell'Autorita' Giudiziaria l'incarico avente ad oggetto la realizzazione di un progetto di utilizzazione edificatoria di un'area (da controllare nella sua esatta estensione e dimensione alla stregua degli atti di provenienza) in base alle norme dettate dal programma di fabbricazione del comune, ancorche' comporti una pluralita' di accertamenti non esclude l'unicita' dell'incarico stesso, il quale deve farsi rientrare in base al criterio analogico sancito come regola generale dall'art. 3 legge n. 319 del 1980 nelle ipotesi tipiche contemplate dall'art. 12 d.P.R. n. 820 del 1983 con la conseguenza che al suo riguardo deve trovare applicazione il criterio di liquidazione a percentuale ai sensi dell'art. 2 del citato decreto, essendo possibile data l'analogia delle situazioni l'inquadrabilita' dell'indagine nelle voci specificamente indicate nelle tariffe, con esclusione quindi del criterio di determinazione dell'onorario in base alle vacazioni di cui all'art. 4 legge n. 319 del 1980, che puo' trovare applicazione solo in via sussidiaria e residuale limitatamente ai casi in cui manchi una previsione delle tariffe e non sia logicamente giustificata e possibile un'estensione analogica delle ipotesi tipiche di liquidazione in base al criterio delle percentuali"; Cass. 23 settembre 1994, n. 7837, secondo cui "in tema di liquidazione degli onorari ad un consulente tecnico di ufficio (nella specie, architetto incaricato dal giudice dell'esecuzione della stima di un complesso immobiliare pignorato), la pluralita' delle valutazioni a lui affidate non esclude l'unicita' dell'incarico e la conseguente unitarieta' del compenso, ma rileva soltanto ai fini della determinazione giudiziale del compenso medesimo, che la legge fissa tra una misura minima ed una massima"; Cass. 1 settembre 1997, n. 8298, secondo cui "in tema di liquidazione del compenso a periti e consulenti tecnici, la pluralita' della valutazioni e degli accertamenti richiesti non esclude l'unicita' dell'incarico e la conseguente unitarieta' del compenso; pertanto, nell'ipotesi di consulenza consistente nella valutazione di un patrimonio nell'arco di alcuni anni, il compenso va determinato con riferimento ad un unico valore costituito dalla sommatoria dei valori riscontrati all'esito degli accertamenti esperiti. Che tale situazione risulti irragionevole in relazione alle conseguenze che, sia pure in casi estremi, puo' condurre, con pregiudizio della buona funzionalita' dell'amministrazione della giustizia, che viene pregiudicata nella possibilita' di avvalersi di consulenti di grande esperienza, affidabilita' e specializzazione, per accertamenti di grande complessita' ed estensione, puo' essere dimostrata dal caso in esame in cui il giudice istruttore ha fatto applicazione delle disposizioni regolamentari e dei principi costantemente affermati dalla Corte di cassazione, applicando sia il massimo delle percentuali previste dalle tabelle, sia il raddoppio degli onorari ex art. 5 della legge, giungendo ad una determinazione del compenso di poco superiore a L. 12.000.000, quale limite massimo assolutamente non superabile, di fronte alla valutazione di un patrimonio per oltre 80 miliardi di lire, riferita al 1969. In particolare va osservato: la disposizione che autorizza la determinazione degli onorari, con riferimento alle tariffe professionali "contemperate dalla natura pubblica dell'incarico", e' troppo vaga e generica e se puo' consentire una formulazione delle tabelle in senso riduttivo, rispetto a quelle degli altri professionisti non puo' comunque ragionevolmente consentire la fissazione di tetti massimi invalicabili; la stessa disposizione, inoltre, nulla dice sulla impossibilita' di considerare separatamente, ai fini della liquidazione degli onorari, diverse valutazioni di beni o di complessi di beni che abbiano una loro distinta autonomia ed e' sicuramente irrazionale che una serie di molteplici operazioni ripetute, ma del tutto identiche in termini di impegno professionale debbano essere considerate come un tutto unico; la situazione che ne risulta, infine, appare al collegio, irrazionale e penalizzante, anche perche' troppo rigida e tale da giungere alla estrema conseguenza - una volta liquidati gli onorari massimi, con il raddoppio degli stessi - secondo cui il compenso e' unico per tutte le consulenze che raggiungono un altissimo livello di importanza, senza alcuna possibilita' di distinzione; Tali considerazioni e rilievi, inducono il tribunale: a porre la questione di costituzionalita' dell'articolo 2 della legge 8 luglio 1980, n. 319, commi primo e secondo, nella parte in cui prevede che le tabelle per gli onorari fissi siano redatte con riferimento alle tariffe professionali "contemperate dalla natura pubblicistica dell'incarico" e non invece semplicemente "tenuto conto della natura pubblicistica dell'incarico" per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Carta; a porre la questione di costituzionalita' della stessa norma nella parte in cui non prevede, che, nella determinazione degli onorari i criteri di liquidazione debbano essere rapportati ad ogni singola valutazione, che abbia caratteristiche autonome, per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Carta; a porre la questione di costituzionalita' della stessa norma, nella parte in cui non prevede che il giudice, in casi estremi e con provvedimenti specificatamente motivato, possa prescindere dalle tabelle per adeguare il compenso alla concreta attivita' svolta dal consulente, per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Carta.