IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 5292/1997,
 proposto  dalla  Legambiente  -  Comitato   regionale   siciliano   e
 dall'Associazione  italiana  per il World Wildlife Found, delegazione
 Sicilia (W.W.F.), in persona  dei  rispettivi  legali  rappresentanti
 pro-tempore,  rappresentati  e difesi dagli avv.ti Antonella Bonanno,
 Lidia La Rocca e Pierfrancesco La Spina, elettivamente domiciliati in
 Catania, via V. Giuffrida n. 37, presso lo studio  dell'avv.  Edoardo
 Nigra;  contro  l'Assessorato  per  l'agricoltura  e le foreste della
 Regione   siciliana,   in   persona    dell'assessore    pro-tempore,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  distrettuale  dello Stato,
 domiciliataria ex lege; per l'annullamento:
     1) del d.a. 2 settembre 1997 dell'Assessore regionale agricoltura
 e foreste, nonche' dell'allegato facente parte integrante del decreto
 medesimo, pubblicato sulla G.U.R.S. n. 48 del 3 settembre  1997,  con
 il  quale  si  e' provveduto a regolamentare l'esercizio del prelievo
 venatorio nella Regione siciliana per la stagione 1997-1998;
     2)  di  ogni  altro  atto  comunque  connesso,  presupposto   e/o
 conseguenziale con il provvedimento suindicato;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione intimata;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Designato  relatore,  per  la  camera  di consiglio del 27 novembre
 1997, il consigliere Biagio Campanella; uditi altresi', gli avv.ti A.
 Bonanno, L. La Rocca e P. La Spina per le parti ricorrenti;  l'avv.to
 dello Stato M.V. Lumetti per la Regione intimata;
   Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con il ricorso indicato in epigrafe, notificato l'8 novembre 1997 e
 depositato   il   14   novembre   successivo,   la  Lega  ambiente  e
 l'Associazione italiana per il World Wildlife Found (individuate come
 associazioni di protezione ambientale con decreto  20  febbraio  1987
 del  Ministro  dell'ambiente,  come  previsto  dall'art.  13, legge 8
 luglio 1986, n.  349, ai fini e per gli effetti di cui  all'art.  18,
 commi  4  e 5 della stessa legge) impugnano il decreto dell'Assessore
 regionale per l'agricoltura  e  le  foreste  del  2  settembre  1997,
 anch'esso  indicato  in  epigrafe,  con  il  quale si e' provveduto a
 regolamentare  l'esercizio  del  prelievo  venatorio  nella   Regione
 siciliana, per la stagione 1997-1998.
   Il  gravame  si  fonda unicamente sull'asserita incostituzionalita'
 dell'art. 50, comma 4, della legge regionale siciliana n.  33  del  1
 settembre  1997,  di cui l'impugnato decreto assessoriale costituisce
 puntuale applicazione.
   Si  sottolinea,  al   riguardo,   che   non   soltanto   e'   stato
 illegittimamente  ampliato l'arco temporale della stagione faunistica
 nel territorio siciliano, con  conseguente  massiccia  estensione  ed
 intensificazione  dell'attivita' venatoria medesima, ma, soprattutto,
 che non sono stati adottati in Sicilia  i  piani  faunistico-venatori
 provinciali  e  regionale previsti dall'art. 10 della legge nazionale
 11 febbraio 1992, n. 157 (e da realizzare "mediante  la  destinazione
 differenziata  del  territorio":  comma 2 del predetto art. 10) e che
 non e' stata neppure effettuata la determinazione  del  territorio  -
 anch'essa   a   livello   regionale   e  provinciale  ---  in  ambiti
 territoriali di  caccia  di  dimensioni  subprovinciali,  cosi'  come
 prescritto dal successivo art. 14, comma 1.
   La  menzionata  legislazione  di  riferimento violerebbe, pertanto,
 l'art. 14  dello  statuto  della  Regione  siciliana  (approvato  con
 r.d.lgs.  15 maggio 1946, n. 455) e l'art. 10 della Costituzione, sia
 pure  in  via  indiretta  e mediata, a seguito della violazione della
 legge-quadro n. 157/1992, direttamente disciplinatrice della  materia
 in questione.
   L'Assessorato  regionale intimato si e' costituita in giudizio, con
 memoria di pura forma, chiedendo la reiezione del ricorso.
   Con ordinanza n.  3121  del  27  novembre  1997,  depositata  il  5
 dicembre    successivo,   e'   stata   accolta   provvisoriamente   e
 temporaneamente la domanda di sospensione,  in  tutto  il  territorio
 della  Regione siciliana, dell'esecuzione del provvedimento impugnato
 con il ricorso descritto in epigrafe ed e' stata rinviata l'ulteriore
 e definitiva trattazione della questione cautelare alla prima  camera
 di  consiglio  utile  dopo la restituzione degli atti del giudizio da
 parte della Corte costituzionale, a  seguito  della  decisione  della
 questione di costituzionalita' sollevata.
                             D i r i t t o
   1.  -  Come  gia'  esposto  nelle premesse di fatto, con il ricorso
 indicato in epigrafe, notificato l'8 novembre 1997 e depositato il 14
 novembre successivo, la Lega ambiente e l'Associazione  italiana  per
 il  Wold  Wildlife Found (individuate come associazioni di protezione
 ambientale con decreto 20 febbraio 1987 del  Ministro  dell'ambiente,
 come  previsto  dall'art.  13, legge 8 luglio 1986, n. 349, ai fini e
 per gli effetti di cui all'art. 18, commi 4 e 5 della  stessa  legge)
 impugnano  il decreto dell'assessore regionale per l'agricoltura e le
 foreste del 2 settembre 1997, anch'esso indicato in epigrafe, con  il
 quale  si  e'  provveduto  a  regolamentare  l'esercizio del prelievo
 venatorio nella Regione siciliana, per la stagione 1997-1998.
   Il  gravame  si  fonda unicamente sull'asserita incostituzionalita'
 dell'art. 50, comma 4, della legge regionale siciliana n.  33  del  1
 settembre  1997,  di cui l'impugnato decreto assessoriale costituisce
 puntuale applicazione.
   2. - La legge 11 febbraio 1992, n. 157 ("Norme  per  la  protezione
 della  fauna  selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio"), dopo
 aver affermato, all'art. 1, comma  1,  che  "la  fauna  selvatica  e'
 patrimonio  indisponibile  dello  Stato ed e' tutelata nell'interesse
 della comunita' nazionale ed internazionale",  nel  comma  successivo
 recita   nel  senso  che  "l'esercizio  dell'attivita'  venatoria  e'
 consentito purche' non  contrasti  con  l'esigenza  di  conservazione
 della  fauna  selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni
 agricole".
   Il terzo comma dello stesso art. 1 stabilisce, fra l'altro, che "le
 regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono in  base
 alle   competenze  esclusive  nei  limiti  stabiliti  dai  rispettivi
 statuti".
   Il successivo comma 4 prescrive, poi, che "le direttive  79/409/CEE
 del  Consiglio del 2 aprile 1979, 85/411/CEE della Commissione del 25
 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo  1991,  con  i
 relativi   allegati,   concernenti  la  conservazione  degli  uccelli
 selvatici, sono integralmente recepite ed  attuate  nei  modi  e  nei
 termini  previsti  dalla presente legge, la quale costituisce inoltre
 attuazione della Convenzione di Parigi  del  18  ottobre  1950,  resa
 esecutiva  con legge 24 novembre 1978, n. 812, e della Convenzione di
 Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto  1981,
 n. 503".
   L'art.    10    della    medesima   legge   n.   157/1992   ("piani
 faunistico-venatori") cosi' recita, fra l'altro:
     1) tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale e' soggetto
 a pianificazione faunistico-venatoria;
     2) le regioni e le province realizzano la pianificazione mediante
 la destinazione differenziata del territorio;
     3)  il  territorio  agro-silvo-pastorale  di  ogni   regione   e'
 destinato,  per  una quota dal 20 al 30 per cento, a protezione della
 fauna selvatica.
   L'art. 36 della legge, infine, ai commi 6 e 7,  ha  fissato  in  un
 anno, dalla data d'entrata in vigore della legge medesima, il termine
 entro  cui  le regioni dovranno adeguarsi ai principi e alle norme da
 essa stabiliti; per quanto concerne le regioni  a  statuto  speciale,
 viene  evidenziato  che  tale  adeguamento  deve avvenire "nei limiti
 della Costituzione e dei rispettivi statuti".
   Va subito sottolineato che tale termine,  dopo  essere  stato  piu'
 volte  prorogato,  e' definitivamente scaduto alla data del 31 luglio
 1997 per effetto dell'art. 11-bis della legge n. 649/1996.
   Talche' la regione Sicilia, con la legge 1 settembre  1997,  n.  33
 ("Norme  per  la  protezione,  la  tutela  e l'incremento della fauna
 selvatica  e  per  la  regolamentazione   del   prelievo   venatorio.
 Disposizioni  per il settore agricolo e forestale"), pubblicata sulla
 G.U.R.S. del 2 settembre 1997, si e' intesa conformare ai principi ed
 alle norme della menzionata legge-quadro in materia di caccia.
   L'art.  50  ("disposizioni  transitorie")  della  legge   regionale
 medesima, tuttavia, cosi' recita al comma 4:
     "In  sede  di prima applicazione della presente legge, nelle more
 dell'adozione  del  piano  regionale  faunistico-venatorio,  per   la
 stagione  venatoria 1997/1998 l'Assessore regionale per l'agricoltura
 e le foreste e' autorizzato ad applicare il calendario e le modalita'
 venatorie dell'anno precedente  e  la  disciplina  in  esso  prevista
 apportando  i  necessari  aggiornamenti e prescindendo dal parere del
 comitato regionale faunistico-venatorio ...".
   Secondo  tale  disposizione  transitoria,   pertanto,   l'assessore
 regionale   per   l'agricoltura  e  foreste  viene  "autorizzato"  ad
 applicare il calendario e le modalita' venatorie stabilite per l'anno
 1996-1997, a suo tempo adottati in base all'ormai abrogata  normativa
 contenuta nella legge regionale siciliana n. 37/1981.
   Il d.a. del 2 settembre 1997 ha regolamentato il prelievo venatorio
 per  il 1997-1998 e fissato il relativo calendario nell'allegato "A",
 con espresso riferimento al surriportato comma 4 dell'art.  50  della
 legge regionale n. 33/1997
   Tale  decreto, che costituisce l'oggetto immediato dell'impugnativa
 in  oggetto,  sarebbe,  secondo  le   associazioni   ambientalistiche
 ricorrenti,  illegittimo,  a causa dell'illegittimita' costituzionale
 della norma "transitoria" che, con esso, si e' intesa applicare.
   Rilevano le predette  associazioni  che,  con  l'impugnato  decreto
 assessoriale,  l'amministrazione  regionale non ha inteso dare giusta
 attuazione alla recente normativa di  settore  (le  cui  disposizioni
 piu'  rilevanti  in  materia  di  periodi  di attivita' venatoria, di
 specie  cacciabili,    sono  state  impugnate,  dinanzi  alla   Corte
 costituzionale,   dal   Commissario   dello   Stato  per  la  regione
 siciliana),  con  ricorso  del  22  agosto  1997,  pubblicato   sulla
 G.U.R.S.,   parte   1,   n.   53   del  27  settembre  1997),  bensi'
 sostanzialmente ad una sola disposizione, per  di  piu'  a  carattere
 transitorio,  secondo  la quale, per la stagione venatoria 1997-1998,
 l'assessore regionale agricoltura e foreste sarebbe "autorizzato"  ad
 applicare il calendario e le modalita' venatorie stabilite per l'anno
 1996-1997.
   Affermano  ancora  le  ricorrenti  che  da  tale  premessa  di base
 testualmente contenuta, come gia' evidenziato, nel preambolo del  d.a
 2  settembre  1997,  e' scaturita una regolamentazione dell'attivita'
 venatoria che, per  alcuni  specifici  punti  si  appalesa  in  netto
 contrasto  non  solo  con  i principi generali sanciti dalla legge n.
 157/1992, ma anche con le direttive comunitarie che  quest'ultima  ha
 integralmente recepito.
   Si   deduce,   conseguentemente,   l'illegittimita'   del   decreto
 assessoriale per incostituzionalita' dell'art.  50,  comma  4,  della
 legge  regionale  n.  33/1997, in riferimento tanto all'art. 14 dello
 statuto della regione Sicilia (sotto il profilo dell'inosservanza  di
 norme  fondamentali  di  riforma  economico-sociale; artt. 10 e segg.
 della legge-quadro 11 febbraio 1992, n. 157) quanto all'art. 10 della
 Costituzione  (sotto  il  profilo  dell'inosservanza  degli  obblighi
 internazionali  derivanti dalle direttive comunitarie, specificamente
 indicate all'art. 1, della predetta legge n. 157/1992, in materia  di
 tutela della fauna selvatica).
   3.  -  Cosi' riassunte le doglianze poste a fondamento del gravame,
 il Collegio ritiene che la predetta  questione  di  costituzionalita'
 sia  rilevante  e  non  manifestamente  infondata, ai sensi e per gli
 effetti dell'art. 1 della legge costituzionale 9  febbraio  1948,  n.
 1, e dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e
 cio' per le considerazioni che seguono.
   4. - Quanto alla rilevanza di tale questione, occorre osservare che
 il  ricorso  in  oggetto  e'  esclusivamente    affidato alla dedotta
 incostituzionalita' di una norma: l'art. 50,  comma  4,  della  legge
 regionale 1 settembre 1997, n. 33.
   Orbene,   non  appare  superfluo  sottolineare  che,  per  costante
 giurisprudenza, la dedotta  incostituzionalita'  di  una  norma  puo'
 costituire   l'unico   motivo   su   cui  puo'  validamente  fondarsi
 l'impugnazione  di  un  atto  amministrativo  e   la   richiesta   di
 un'eventuale pronuncia cautelare (cfr. Corte costituzionale, sentenze
 n.  444  del 26 settembre-12 ottobre 1990, e n. 367 dell'11-23 luglio
 1991). In particolare, con la predetta sentenza n. 367/1991 la  Corte
 costituzionale   ha   esaminato   il   caso   in   cui   il  giudice,
 contemporaneamente all'ordinanza di rimessione,  aveva  disposto  con
 separato  provvedimento  la  sospensione degli atti impugnati, in via
 provvisoria e temporanea, fino alla ripresa  del  giudizio  cautelare
 dopo  l'incidente  di  costituzionalita'.  La Corte ha nell'occasione
 affermato che permaneva il  requisito  della  rilevanza,  poiche'  la
 pronuncia,  per la sua natura meramente temporanea ed interinale, non
 aveva determinato l'esaurimento del potere cautelare  del  giudice  a
 quo. Inoltre, nella medesima sentenza, la Corte medesima ha affermato
 che  la  sussistenza  del  requisito della relevanza va valutata allo
 stato  degli  atti  al  momento  dell'emanazione  dell'ordinanza   di
 rimessione,  restanto  quindi ininfluenti gli eventuali provvedimenti
 adottandi o adottati successivamente.
   Nel caso di specie, in verita', la violazione non concerne  in  via
 diretta  le  disposizioni  costituzionali,  bensi'  le norme di legge
 ordinaria statale al  cui  contenuto  la  regione  siciliana  avrebbe
 dovuto uniformarsi a mente della stessa Costituzione. Tuttavia, anche
 in  questo  caso  l'eccezione  di  costituzionalita' puo' validamente
 porsi, versandosi nella tipica fattispecie di  "violazione  di  norma
 interposta".
   Ed  invero,  la  stessa  Corte  costituzionale  ha affermato che il
 contrasto di una legge regionale con una norma  dello  statuto  della
 regione  stessa  si  risolve  in  una  violazione  "indiretta"  della
 Costituzione (cfr., la sentenza n. 993 del 12-27 ottobre 1988, con la
 quale e' stata riconosciuta la denunciata  violazione  dell'art.  123
 della  Costituzione attraverso la norma interposta dell'art. 55 dello
 statuto regionale del Veneto).
   La  risoluzione  della  questione  in  esame,   quindi,   si   pone
 assolutamente ed incontrovertibilmente, a norma dell'art. 23, secondo
 comma,   della   legge   11  marzo  1953,  n.  87,  quale  necessaria
 pregiudiziale per la  definizione  della  controversia  portata  alla
 cognizione  del  collegio,  dato  che,  come si e' detto, soltanto la
 declaratoria di illegittimita' costituzionale della  disposizione  di
 legge    denunciata   consentira'   al   collegio   di   pronunciarsi
 definitivamente e  positivamente  sulla  predetta  domanda  cautelare
 (temporaneamente  accolta, come si e' gia' precedentemente accennato,
 sino alla prima Camera di consiglio utile dopo la restituzione  degli
 atti del giudizio da parte della Corte costituzionale a seguito della
 decisione  in ordine alla sollevata questione di costituzionalita') e
 sul merito del ricorso.
   5.  -  Il  collegio deve, pertanto, farsi carico di esaminare se la
 questione medesima sia o meno "non manifestamente infondata".
   5.1. - L'art. 10 della legge n. 157/1992 (la "norma interposta" del
 caso di specie), dopo aver stabilito,  al  comma  1,  che  "tutto  il
 territorio    agro-silvo-pastorale    nazionale    e'    soggetto   a
 pianificazione faunistico-venatoria", impone alle regioni,  al  comma
 2,  l'obbligo  di  realizzare la suddetta pianificazione "mediante la
 destinazione differenziata del territorio".
   Il  comma  3  della  stessa   disposizione   normativa,   piu'   in
 particolare,  impone  la delimitazione, nell'ambito del territorio di
 ciascuna regione, delle zone  da  destinarsi  alla  protezione  della
 fauna  selvatica  (nella  misura  dal  20%  al  30%),  nelle quali e'
 assolutamente vietata ogni forma di attivita'  venatoria,  mentre  il
 successivo  comma  5  consente  la delimitazione delle zone in cui e'
 possibile la gestione privata della caccia (nella misura massima  del
 15% del territorio).
   Soltanto  in  seguito  a  tale  individuazione,  operata attraverso
 apposito strumento  pianificatorio  (il  piano  faunistico-venatorio,
 appunto),  e'  quindi  possibile delimitare le aree in cui le regioni
 potranno promuovere "forme di gestione programmata della caccia".
   Spetta dunque alle regioni, in forza dell'art. 14, comma  7,  della
 legge-quadro   n.   157/1992,   approvare   e   pubblicare  il  piano
 faunistico-venatorio  ed  il   relativo   regolamento   d'attuazione,
 ripartendo  il territorio agro-silvo-pastorale, destinato alla caccia
 programmata, in ambiti territoriali  di  caccia  "di  dimensioni  sub
 provinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali"
 (comma 1 dello stesso art. 14).
   Ed  il  comma 16 dello stesso art. 14 stabilisce inequivocabilmente
 che  "a  partire  dalla  stagione  venatoria  1995-1996  i  calendari
 venatori  delle  province  devono  indicare  le zone dove l'attivita'
 venatoria e' consentita in forma programmata, quelle  riservate  alla
 gestione  venatoria  privata e le zone dove l'esercizio venatorio non
 e' consentito".
   Il menzionato termine, che non puo' non essere ritenuto perentorio,
 non e'  stato  mai  prorogato,  come  sottolineano  le  stesse  parti
 ricorrenti.
   La  preventiva  predisposizione  di  tali  piani  appare, altresi',
 necessaria laddove, come  d'altra  parte  concretamente  avvenuto  in
 Sicilia,  la  Regione  intenda  ampliare l'ambito temporale in cui la
 caccia e' permessa (art. 18, comma 2, della legge,  in  relazione  al
 comma  1  dello  stesso  articolo,  che  fissa alla terza domenica di
 settembre il normale termine iniziale della stagione venatoria).
   Appare evidente che non solo tale pianificazione non  e'  avvenuta,
 ma  che  non  sono stati neppure istituiti quegli organismi, previsti
 dalla  predetta  normativa  e  dotati  delle  necessarie   competenze
 tecniche,  il  cui  apporto  e'  necessario  per l'attuazione di tali
 piani.
   La legge regionale n. 33/1997,  pertanto,  non  ha  sostanzialmente
 recepito  alcuna  prescrizione del legislatore statale, e, con l'art.
 50, comma 4, ha utilizzato il precedente  calendario  venatorio,  con
 relativa  anticipazione  dei termini di apertura della caccia, "nelle
 more dell'adozione del piano  faunistico-venatorio"  e  "prescindendo
 dal parere del comitato regionale faunistico-venatorio".
   5.2.  -  Il  primo  aspetto  della  dedotta  incostituzionalita' si
 identifica, secondo le parti ricorrenti, nella  violazione  dell'art.
 14  dello  statuto  regionale  siciliano  (approvato  con r.d.lgs. 15
 maggio 1946, n. 455), sotto il  profilo  dell'inosservanza  di  norme
 fondamentali di riforma economico-sociale.
   Tale tesi va condivisa.
   La  legge  quadro  11  febbraio  1992,  n.  157, ha posto "principi
 generali" suscettibili di vincolare, ai  sensi  dell'art.  117  della
 Costituzione,  l'esercizio  delle  funzioni legislative in materia di
 caccia delle regioni ordinarie.
   La legge nazionale, peraltro - in relazione agli aspetti innovativi
 dei suoi contenuti, nonche' ai suoi  scopi  e  alle  sue  motivazioni
 politico-sociali, riferite ad un settore che ha assunto nel corso del
 tempo  sempre  maggiori  implicazioni  di ordine economico e sociale,
 quale quello  relativo  alla  protezione  della  fauna  selvatica  ed
 all'esercizio  della  caccia - viene anche a caratterizzarsi, secondo
 gli orientamenti ripetutamente espressi  dalla  Corte  costituzionale
 (cfr.,  sentenza  n. 1002 del 12-27 ottobre 1988, emessa in relazione
 alla precedente legge-quadro n. 968 del 27 dicembre 1977), come legge
 di   riforma   economico-sociale,   suscettibile   di   condizionare,
 attraverso le norme fondamentali che in essa e' data identificare, la
 legislazione  esclusiva  delle  regioni  e  delle province a speciale
 autonomia.
   Rilevano, a tal  fine,  in  particolare:  l'esplicita  affermazione
 dell'appartenenza  della  fauna selvatica al patrimonio indisponibile
 dello Stato (art. 1,  comma  1);  l'affievolimento  del  tradizionale
 "diritto  di  caccia",  subordinato  all'interesse  prevalente  della
 conservazione  del   patrimonio   faunistico   e   della   protezione
 dell'ambiente  agrario,  e,  conseguentemente,  sottoposto  a  regime
 concessorio  (art.  12);  l'imposizione  di  un  regime   di   caccia
 controllata per tutto il territorio nazionale.
   Tali  norme  ---  per  la  loro  natura  e rilevanza nonche' per il
 carattere  unitario  degli  interessi  alle  stesse  sottesi   -   si
 presentano  tali  da  vincolare  non solo la legislazione concorrente
 delle regioni ordinarie, ma anche  la  legislazione  esclusiva  delle
 regioni e delle province a speciale autonomia.
   E  con sentenza n. 153 dell'8 maggio 1995, la Corte costituzionale,
 di fronte ad un diretto contrasto tra alcune  disposizioni  di  leggi
 regionali    siciliane   impugnate   ed   i   principi   di   riforma
 economico-sociale,  ha  proceduto   a   dichiarare   l'illegittimita'
 costituzionale di tali norme sottoposte al proprio giudizio.
   Giustamente   sostengono   le   parti  ricorrenti  che  la  mancata
 rispondenza alle prescrizioni della  legge    n.  157/1992  determina
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  50, comma 4, della legge
 regionale n. 33/1997.
   Ne' potrebbe giungersi  a  diversa  conclusione  in  considerazione
 dell'asserita   natura   "transitoria"   della   norma  regionale  in
 questione.     Ed  invero,  il  legislatore   regionale   ha,   nella
 fattispecie,  proceduto  ad  una  deroga  inammissibile,  non potendo
 revocarsi in dubbio che  il  legislatore  medesimo  non  abbia  alcun
 potere  di  ritardare l'attuazione delle norme fondamentali poste dal
 legislatore statale.
    5.3. - Anche le considerazioni con cui viene dedotta la violazione
 dell'art. 10 della Costituzione, sotto il  profilo  dell'inosservanza
 degli obblighi internazionali, vanno condivise.
   Costituiscono  ormai  jus  receptum  i principi secondo cui: a) nel
 contrasto tra diritto interno e comunitario, la prevalenza  spetta  a
 quest'ultimo, anche se la norma interna confliggente venga emanata in
 epoca  successiva  (cfr.,  Corte  costituzionale, sentenza n. 170 del
 1984); b) l'applicazione  del  diritto  comunitario  avviene  in  via
 diretta   in   luogo  di  quello  interno  da  disapplicare,  e  tale
 disapplicazione fa carico non solo al giudice, ma anche  agli  organi
 della pubblica amministrazione nello svolgimento della loro attivita'
 amministrativa,   e  cio'  anche    d'ufficio,  indipendentemente  da
 sollecitazioni o richieste di parte (Consiglio di Stato - sez. IV, n.
 54 del 18 gennaio 1996).
   Ne' potrebbe validamente affermarsi un'ipotetica "autonomia"  delle
 regioni a statuto speciale rispetto al diritto comunitario.
   Anche questa questione e' stata da tempo affrontata e risolta dalla
 Corte   costituzionale   la   quale,  chiamata  ad  esprimersi  circa
 l'obbligatorieta' della legge 8 agosto 1977, n. 584, ha affermato che
 le disposizioni fondamentali ivi  contenute  sono  applicabili  anche
 alle regioni a statuto speciale per la decisiva considerazione che la
 legge  stessa  costituisce  un  puntuale adempimento dello Stato agli
 obblighi internazionali, alla cui osservanza  sono  tenute  anche  le
 regioni  a  statuto  speciale, e cio' indipendentemente dal fatto che
 tale normativa possa costituire per esse una legge-quadro  oppure  no
 (Corte costituzionale, n. 86 del 12-26 luglio 1979).
   Il  t.a.r.  per  la  Sardegna,  poi,  con  sentenza  n. 1991 del 20
 dicembre  1995,  ha  affermato  che  e'  immediatamente  applicabile,
 all'interno  dell'ordinamento  giuridico  della  regione Sardegna, il
 disposto normativo di cui  all'art.  18,  comma  2,  della  legge  11
 febbraio   1992,  n.  157,  quale  specifica  e  puntuale  previsione
 normativa  adottata  dal  legislatore  nazionale  in  esecuzione   ed
 attuazione  di  direttive  della  C.E.E. (quale la direttiva 2 aprile
 1979,  n.  409),  con  conseguente  immediata  disapplicazione  della
 previgente normativa regionale con essa confliggente (nella
  fattispecie,   e'   stato,   pertanto,   dichiarato  illegittimo  il
 calendario  regionale-venatorio  1995-1996,  nella   parte   in   cui
 consentiva  la  durata  del periodo di esercizio della caccia, per le
 specie di cui allo stesso art. 18, comma 1, della legge  n.  157  del
 1992, oltre il termine del 31 gennaio 1996).
   Appare, quindi, incontestabile l'inesistenza di una qualsiasi forma
 di   autonomia   delle  regioni  a  statuto  speciale  nei  confronti
 dell'ordinamento comunitario; e  cio'  non  e'  sfuggito  neppure  al
 legislatore  nazionale, in sede di adozione della disciplina generale
 sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario  e
 sulle  procedure  di  esecuzione dei relativi obblighi (legge 9 marzo
 1989, n. 86).
   L'art. 9 di tale legge, infatti, sancisce in pratica  il  principio
 secondo  il  quale  tutte  le  regioni, sia a statuto ordinario che a
 statuto speciale, risultano egualmente vincolate ai principi  espresi
 dall'ordinamento  comunitario, nonche' alla legge statale che di essi
 costituisce attuazione.
   Puo' a ragione affermarsi, quindi, che  il  disegno  costituzionale
 relativo alle competenze delle regioni debba ritenersi, nella materia
 in  questione,  del  tutto superato, e che il rispetto degli obblighi
 internazionali e' assolutamente necessario ed imprescindibile, pur in
 difetto di espressa e specifica disposizione  statutaria  (in  questi
 termini si e' espressa autorevole dottrina).
   D'altra  parte,  come gia' rilevato al precedente punto 1, la legge
 n. 157/1992, al comma  4  dell'art.  1,  recepisce  integralmente  le
 direttive   C.E.E.   concernenti   la   conservazione  degli  uccelli
 selvatici, e costituisce attuazione della Convenzione di  Parigi  del
 18  ottobre  1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812,
 nonche' della Convenzione  di  Berna  del  19  settembre  1979,  resa
 esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503.
   6.   -   Conclusivamente,   atteso  che  la  dedotta  questione  di
 costituzionalita' appare rilevante per la decisione  del  ricorso,  e
 non  manifestamente  infondata,  si  rende  necessario  sospendere il
 presente giudizio (sia nella fase cautelare che in quella di  merito)
 in  attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulla eccezione di
 incostituzionalita',  per  violazione  dell'art.  14  dello   statuto
 regionale siciliano (approvato con r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455) e
 dell'art.  10  della Costituzione, dell'art. 50, comma 4, della legge
 regionale n. 33 del 1 settembre 1997 (pubblicata sulla G.U.R.S. del 2
 settembre successivo).