IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 5292/1997, proposto dalla Legambiente - Comitato regionale siciliano e dall'Associazione italiana per il World Wildlife Found, delegazione Sicilia (W.W.F.), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, rappresentati e difesi dagli avv.ti Antonella Bonanno, Lidia La Rocca e Pierfrancesco La Spina, elettivamente domiciliati in Catania, via V. Giuffrida n. 37, presso lo studio dell'avv. Edoardo Nigra; contro l'Assessorato per l'agricoltura e le foreste della Regione siciliana, in persona dell'assessore pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege; per l'annullamento: 1) del d.a. 2 settembre 1997 dell'Assessore regionale agricoltura e foreste, nonche' dell'allegato facente parte integrante del decreto medesimo, pubblicato sulla G.U.R.S. n. 48 del 3 settembre 1997, con il quale si e' provveduto a regolamentare l'esercizio del prelievo venatorio nella Regione siciliana per la stagione 1997-1998; 2) di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguenziale con il provvedimento suindicato; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione intimata; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore, per la camera di consiglio del 27 novembre 1997, il consigliere Biagio Campanella; uditi altresi', gli avv.ti A. Bonanno, L. La Rocca e P. La Spina per le parti ricorrenti; l'avv.to dello Stato M.V. Lumetti per la Regione intimata; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Con il ricorso indicato in epigrafe, notificato l'8 novembre 1997 e depositato il 14 novembre successivo, la Lega ambiente e l'Associazione italiana per il World Wildlife Found (individuate come associazioni di protezione ambientale con decreto 20 febbraio 1987 del Ministro dell'ambiente, come previsto dall'art. 13, legge 8 luglio 1986, n. 349, ai fini e per gli effetti di cui all'art. 18, commi 4 e 5 della stessa legge) impugnano il decreto dell'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste del 2 settembre 1997, anch'esso indicato in epigrafe, con il quale si e' provveduto a regolamentare l'esercizio del prelievo venatorio nella Regione siciliana, per la stagione 1997-1998. Il gravame si fonda unicamente sull'asserita incostituzionalita' dell'art. 50, comma 4, della legge regionale siciliana n. 33 del 1 settembre 1997, di cui l'impugnato decreto assessoriale costituisce puntuale applicazione. Si sottolinea, al riguardo, che non soltanto e' stato illegittimamente ampliato l'arco temporale della stagione faunistica nel territorio siciliano, con conseguente massiccia estensione ed intensificazione dell'attivita' venatoria medesima, ma, soprattutto, che non sono stati adottati in Sicilia i piani faunistico-venatori provinciali e regionale previsti dall'art. 10 della legge nazionale 11 febbraio 1992, n. 157 (e da realizzare "mediante la destinazione differenziata del territorio": comma 2 del predetto art. 10) e che non e' stata neppure effettuata la determinazione del territorio - anch'essa a livello regionale e provinciale --- in ambiti territoriali di caccia di dimensioni subprovinciali, cosi' come prescritto dal successivo art. 14, comma 1. La menzionata legislazione di riferimento violerebbe, pertanto, l'art. 14 dello statuto della Regione siciliana (approvato con r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455) e l'art. 10 della Costituzione, sia pure in via indiretta e mediata, a seguito della violazione della legge-quadro n. 157/1992, direttamente disciplinatrice della materia in questione. L'Assessorato regionale intimato si e' costituita in giudizio, con memoria di pura forma, chiedendo la reiezione del ricorso. Con ordinanza n. 3121 del 27 novembre 1997, depositata il 5 dicembre successivo, e' stata accolta provvisoriamente e temporaneamente la domanda di sospensione, in tutto il territorio della Regione siciliana, dell'esecuzione del provvedimento impugnato con il ricorso descritto in epigrafe ed e' stata rinviata l'ulteriore e definitiva trattazione della questione cautelare alla prima camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale, a seguito della decisione della questione di costituzionalita' sollevata. D i r i t t o 1. - Come gia' esposto nelle premesse di fatto, con il ricorso indicato in epigrafe, notificato l'8 novembre 1997 e depositato il 14 novembre successivo, la Lega ambiente e l'Associazione italiana per il Wold Wildlife Found (individuate come associazioni di protezione ambientale con decreto 20 febbraio 1987 del Ministro dell'ambiente, come previsto dall'art. 13, legge 8 luglio 1986, n. 349, ai fini e per gli effetti di cui all'art. 18, commi 4 e 5 della stessa legge) impugnano il decreto dell'assessore regionale per l'agricoltura e le foreste del 2 settembre 1997, anch'esso indicato in epigrafe, con il quale si e' provveduto a regolamentare l'esercizio del prelievo venatorio nella Regione siciliana, per la stagione 1997-1998. Il gravame si fonda unicamente sull'asserita incostituzionalita' dell'art. 50, comma 4, della legge regionale siciliana n. 33 del 1 settembre 1997, di cui l'impugnato decreto assessoriale costituisce puntuale applicazione. 2. - La legge 11 febbraio 1992, n. 157 ("Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio"), dopo aver affermato, all'art. 1, comma 1, che "la fauna selvatica e' patrimonio indisponibile dello Stato ed e' tutelata nell'interesse della comunita' nazionale ed internazionale", nel comma successivo recita nel senso che "l'esercizio dell'attivita' venatoria e' consentito purche' non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole". Il terzo comma dello stesso art. 1 stabilisce, fra l'altro, che "le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono in base alle competenze esclusive nei limiti stabiliti dai rispettivi statuti". Il successivo comma 4 prescrive, poi, che "le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991, con i relativi allegati, concernenti la conservazione degli uccelli selvatici, sono integralmente recepite ed attuate nei modi e nei termini previsti dalla presente legge, la quale costituisce inoltre attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812, e della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503". L'art. 10 della medesima legge n. 157/1992 ("piani faunistico-venatori") cosi' recita, fra l'altro: 1) tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale e' soggetto a pianificazione faunistico-venatoria; 2) le regioni e le province realizzano la pianificazione mediante la destinazione differenziata del territorio; 3) il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione e' destinato, per una quota dal 20 al 30 per cento, a protezione della fauna selvatica. L'art. 36 della legge, infine, ai commi 6 e 7, ha fissato in un anno, dalla data d'entrata in vigore della legge medesima, il termine entro cui le regioni dovranno adeguarsi ai principi e alle norme da essa stabiliti; per quanto concerne le regioni a statuto speciale, viene evidenziato che tale adeguamento deve avvenire "nei limiti della Costituzione e dei rispettivi statuti". Va subito sottolineato che tale termine, dopo essere stato piu' volte prorogato, e' definitivamente scaduto alla data del 31 luglio 1997 per effetto dell'art. 11-bis della legge n. 649/1996. Talche' la regione Sicilia, con la legge 1 settembre 1997, n. 33 ("Norme per la protezione, la tutela e l'incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale"), pubblicata sulla G.U.R.S. del 2 settembre 1997, si e' intesa conformare ai principi ed alle norme della menzionata legge-quadro in materia di caccia. L'art. 50 ("disposizioni transitorie") della legge regionale medesima, tuttavia, cosi' recita al comma 4: "In sede di prima applicazione della presente legge, nelle more dell'adozione del piano regionale faunistico-venatorio, per la stagione venatoria 1997/1998 l'Assessore regionale per l'agricoltura e le foreste e' autorizzato ad applicare il calendario e le modalita' venatorie dell'anno precedente e la disciplina in esso prevista apportando i necessari aggiornamenti e prescindendo dal parere del comitato regionale faunistico-venatorio ...". Secondo tale disposizione transitoria, pertanto, l'assessore regionale per l'agricoltura e foreste viene "autorizzato" ad applicare il calendario e le modalita' venatorie stabilite per l'anno 1996-1997, a suo tempo adottati in base all'ormai abrogata normativa contenuta nella legge regionale siciliana n. 37/1981. Il d.a. del 2 settembre 1997 ha regolamentato il prelievo venatorio per il 1997-1998 e fissato il relativo calendario nell'allegato "A", con espresso riferimento al surriportato comma 4 dell'art. 50 della legge regionale n. 33/1997 Tale decreto, che costituisce l'oggetto immediato dell'impugnativa in oggetto, sarebbe, secondo le associazioni ambientalistiche ricorrenti, illegittimo, a causa dell'illegittimita' costituzionale della norma "transitoria" che, con esso, si e' intesa applicare. Rilevano le predette associazioni che, con l'impugnato decreto assessoriale, l'amministrazione regionale non ha inteso dare giusta attuazione alla recente normativa di settore (le cui disposizioni piu' rilevanti in materia di periodi di attivita' venatoria, di specie cacciabili, sono state impugnate, dinanzi alla Corte costituzionale, dal Commissario dello Stato per la regione siciliana), con ricorso del 22 agosto 1997, pubblicato sulla G.U.R.S., parte 1, n. 53 del 27 settembre 1997), bensi' sostanzialmente ad una sola disposizione, per di piu' a carattere transitorio, secondo la quale, per la stagione venatoria 1997-1998, l'assessore regionale agricoltura e foreste sarebbe "autorizzato" ad applicare il calendario e le modalita' venatorie stabilite per l'anno 1996-1997. Affermano ancora le ricorrenti che da tale premessa di base testualmente contenuta, come gia' evidenziato, nel preambolo del d.a 2 settembre 1997, e' scaturita una regolamentazione dell'attivita' venatoria che, per alcuni specifici punti si appalesa in netto contrasto non solo con i principi generali sanciti dalla legge n. 157/1992, ma anche con le direttive comunitarie che quest'ultima ha integralmente recepito. Si deduce, conseguentemente, l'illegittimita' del decreto assessoriale per incostituzionalita' dell'art. 50, comma 4, della legge regionale n. 33/1997, in riferimento tanto all'art. 14 dello statuto della regione Sicilia (sotto il profilo dell'inosservanza di norme fondamentali di riforma economico-sociale; artt. 10 e segg. della legge-quadro 11 febbraio 1992, n. 157) quanto all'art. 10 della Costituzione (sotto il profilo dell'inosservanza degli obblighi internazionali derivanti dalle direttive comunitarie, specificamente indicate all'art. 1, della predetta legge n. 157/1992, in materia di tutela della fauna selvatica). 3. - Cosi' riassunte le doglianze poste a fondamento del gravame, il Collegio ritiene che la predetta questione di costituzionalita' sia rilevante e non manifestamente infondata, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e cio' per le considerazioni che seguono. 4. - Quanto alla rilevanza di tale questione, occorre osservare che il ricorso in oggetto e' esclusivamente affidato alla dedotta incostituzionalita' di una norma: l'art. 50, comma 4, della legge regionale 1 settembre 1997, n. 33. Orbene, non appare superfluo sottolineare che, per costante giurisprudenza, la dedotta incostituzionalita' di una norma puo' costituire l'unico motivo su cui puo' validamente fondarsi l'impugnazione di un atto amministrativo e la richiesta di un'eventuale pronuncia cautelare (cfr. Corte costituzionale, sentenze n. 444 del 26 settembre-12 ottobre 1990, e n. 367 dell'11-23 luglio 1991). In particolare, con la predetta sentenza n. 367/1991 la Corte costituzionale ha esaminato il caso in cui il giudice, contemporaneamente all'ordinanza di rimessione, aveva disposto con separato provvedimento la sospensione degli atti impugnati, in via provvisoria e temporanea, fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalita'. La Corte ha nell'occasione affermato che permaneva il requisito della rilevanza, poiche' la pronuncia, per la sua natura meramente temporanea ed interinale, non aveva determinato l'esaurimento del potere cautelare del giudice a quo. Inoltre, nella medesima sentenza, la Corte medesima ha affermato che la sussistenza del requisito della relevanza va valutata allo stato degli atti al momento dell'emanazione dell'ordinanza di rimessione, restanto quindi ininfluenti gli eventuali provvedimenti adottandi o adottati successivamente. Nel caso di specie, in verita', la violazione non concerne in via diretta le disposizioni costituzionali, bensi' le norme di legge ordinaria statale al cui contenuto la regione siciliana avrebbe dovuto uniformarsi a mente della stessa Costituzione. Tuttavia, anche in questo caso l'eccezione di costituzionalita' puo' validamente porsi, versandosi nella tipica fattispecie di "violazione di norma interposta". Ed invero, la stessa Corte costituzionale ha affermato che il contrasto di una legge regionale con una norma dello statuto della regione stessa si risolve in una violazione "indiretta" della Costituzione (cfr., la sentenza n. 993 del 12-27 ottobre 1988, con la quale e' stata riconosciuta la denunciata violazione dell'art. 123 della Costituzione attraverso la norma interposta dell'art. 55 dello statuto regionale del Veneto). La risoluzione della questione in esame, quindi, si pone assolutamente ed incontrovertibilmente, a norma dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, quale necessaria pregiudiziale per la definizione della controversia portata alla cognizione del collegio, dato che, come si e' detto, soltanto la declaratoria di illegittimita' costituzionale della disposizione di legge denunciata consentira' al collegio di pronunciarsi definitivamente e positivamente sulla predetta domanda cautelare (temporaneamente accolta, come si e' gia' precedentemente accennato, sino alla prima Camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del giudizio da parte della Corte costituzionale a seguito della decisione in ordine alla sollevata questione di costituzionalita') e sul merito del ricorso. 5. - Il collegio deve, pertanto, farsi carico di esaminare se la questione medesima sia o meno "non manifestamente infondata". 5.1. - L'art. 10 della legge n. 157/1992 (la "norma interposta" del caso di specie), dopo aver stabilito, al comma 1, che "tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale e' soggetto a pianificazione faunistico-venatoria", impone alle regioni, al comma 2, l'obbligo di realizzare la suddetta pianificazione "mediante la destinazione differenziata del territorio". Il comma 3 della stessa disposizione normativa, piu' in particolare, impone la delimitazione, nell'ambito del territorio di ciascuna regione, delle zone da destinarsi alla protezione della fauna selvatica (nella misura dal 20% al 30%), nelle quali e' assolutamente vietata ogni forma di attivita' venatoria, mentre il successivo comma 5 consente la delimitazione delle zone in cui e' possibile la gestione privata della caccia (nella misura massima del 15% del territorio). Soltanto in seguito a tale individuazione, operata attraverso apposito strumento pianificatorio (il piano faunistico-venatorio, appunto), e' quindi possibile delimitare le aree in cui le regioni potranno promuovere "forme di gestione programmata della caccia". Spetta dunque alle regioni, in forza dell'art. 14, comma 7, della legge-quadro n. 157/1992, approvare e pubblicare il piano faunistico-venatorio ed il relativo regolamento d'attuazione, ripartendo il territorio agro-silvo-pastorale, destinato alla caccia programmata, in ambiti territoriali di caccia "di dimensioni sub provinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali" (comma 1 dello stesso art. 14). Ed il comma 16 dello stesso art. 14 stabilisce inequivocabilmente che "a partire dalla stagione venatoria 1995-1996 i calendari venatori delle province devono indicare le zone dove l'attivita' venatoria e' consentita in forma programmata, quelle riservate alla gestione venatoria privata e le zone dove l'esercizio venatorio non e' consentito". Il menzionato termine, che non puo' non essere ritenuto perentorio, non e' stato mai prorogato, come sottolineano le stesse parti ricorrenti. La preventiva predisposizione di tali piani appare, altresi', necessaria laddove, come d'altra parte concretamente avvenuto in Sicilia, la Regione intenda ampliare l'ambito temporale in cui la caccia e' permessa (art. 18, comma 2, della legge, in relazione al comma 1 dello stesso articolo, che fissa alla terza domenica di settembre il normale termine iniziale della stagione venatoria). Appare evidente che non solo tale pianificazione non e' avvenuta, ma che non sono stati neppure istituiti quegli organismi, previsti dalla predetta normativa e dotati delle necessarie competenze tecniche, il cui apporto e' necessario per l'attuazione di tali piani. La legge regionale n. 33/1997, pertanto, non ha sostanzialmente recepito alcuna prescrizione del legislatore statale, e, con l'art. 50, comma 4, ha utilizzato il precedente calendario venatorio, con relativa anticipazione dei termini di apertura della caccia, "nelle more dell'adozione del piano faunistico-venatorio" e "prescindendo dal parere del comitato regionale faunistico-venatorio". 5.2. - Il primo aspetto della dedotta incostituzionalita' si identifica, secondo le parti ricorrenti, nella violazione dell'art. 14 dello statuto regionale siciliano (approvato con r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455), sotto il profilo dell'inosservanza di norme fondamentali di riforma economico-sociale. Tale tesi va condivisa. La legge quadro 11 febbraio 1992, n. 157, ha posto "principi generali" suscettibili di vincolare, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, l'esercizio delle funzioni legislative in materia di caccia delle regioni ordinarie. La legge nazionale, peraltro - in relazione agli aspetti innovativi dei suoi contenuti, nonche' ai suoi scopi e alle sue motivazioni politico-sociali, riferite ad un settore che ha assunto nel corso del tempo sempre maggiori implicazioni di ordine economico e sociale, quale quello relativo alla protezione della fauna selvatica ed all'esercizio della caccia - viene anche a caratterizzarsi, secondo gli orientamenti ripetutamente espressi dalla Corte costituzionale (cfr., sentenza n. 1002 del 12-27 ottobre 1988, emessa in relazione alla precedente legge-quadro n. 968 del 27 dicembre 1977), come legge di riforma economico-sociale, suscettibile di condizionare, attraverso le norme fondamentali che in essa e' data identificare, la legislazione esclusiva delle regioni e delle province a speciale autonomia. Rilevano, a tal fine, in particolare: l'esplicita affermazione dell'appartenenza della fauna selvatica al patrimonio indisponibile dello Stato (art. 1, comma 1); l'affievolimento del tradizionale "diritto di caccia", subordinato all'interesse prevalente della conservazione del patrimonio faunistico e della protezione dell'ambiente agrario, e, conseguentemente, sottoposto a regime concessorio (art. 12); l'imposizione di un regime di caccia controllata per tutto il territorio nazionale. Tali norme --- per la loro natura e rilevanza nonche' per il carattere unitario degli interessi alle stesse sottesi - si presentano tali da vincolare non solo la legislazione concorrente delle regioni ordinarie, ma anche la legislazione esclusiva delle regioni e delle province a speciale autonomia. E con sentenza n. 153 dell'8 maggio 1995, la Corte costituzionale, di fronte ad un diretto contrasto tra alcune disposizioni di leggi regionali siciliane impugnate ed i principi di riforma economico-sociale, ha proceduto a dichiarare l'illegittimita' costituzionale di tali norme sottoposte al proprio giudizio. Giustamente sostengono le parti ricorrenti che la mancata rispondenza alle prescrizioni della legge n. 157/1992 determina l'illegittimita' costituzionale dell'art. 50, comma 4, della legge regionale n. 33/1997. Ne' potrebbe giungersi a diversa conclusione in considerazione dell'asserita natura "transitoria" della norma regionale in questione. Ed invero, il legislatore regionale ha, nella fattispecie, proceduto ad una deroga inammissibile, non potendo revocarsi in dubbio che il legislatore medesimo non abbia alcun potere di ritardare l'attuazione delle norme fondamentali poste dal legislatore statale. 5.3. - Anche le considerazioni con cui viene dedotta la violazione dell'art. 10 della Costituzione, sotto il profilo dell'inosservanza degli obblighi internazionali, vanno condivise. Costituiscono ormai jus receptum i principi secondo cui: a) nel contrasto tra diritto interno e comunitario, la prevalenza spetta a quest'ultimo, anche se la norma interna confliggente venga emanata in epoca successiva (cfr., Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 1984); b) l'applicazione del diritto comunitario avviene in via diretta in luogo di quello interno da disapplicare, e tale disapplicazione fa carico non solo al giudice, ma anche agli organi della pubblica amministrazione nello svolgimento della loro attivita' amministrativa, e cio' anche d'ufficio, indipendentemente da sollecitazioni o richieste di parte (Consiglio di Stato - sez. IV, n. 54 del 18 gennaio 1996). Ne' potrebbe validamente affermarsi un'ipotetica "autonomia" delle regioni a statuto speciale rispetto al diritto comunitario. Anche questa questione e' stata da tempo affrontata e risolta dalla Corte costituzionale la quale, chiamata ad esprimersi circa l'obbligatorieta' della legge 8 agosto 1977, n. 584, ha affermato che le disposizioni fondamentali ivi contenute sono applicabili anche alle regioni a statuto speciale per la decisiva considerazione che la legge stessa costituisce un puntuale adempimento dello Stato agli obblighi internazionali, alla cui osservanza sono tenute anche le regioni a statuto speciale, e cio' indipendentemente dal fatto che tale normativa possa costituire per esse una legge-quadro oppure no (Corte costituzionale, n. 86 del 12-26 luglio 1979). Il t.a.r. per la Sardegna, poi, con sentenza n. 1991 del 20 dicembre 1995, ha affermato che e' immediatamente applicabile, all'interno dell'ordinamento giuridico della regione Sardegna, il disposto normativo di cui all'art. 18, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, quale specifica e puntuale previsione normativa adottata dal legislatore nazionale in esecuzione ed attuazione di direttive della C.E.E. (quale la direttiva 2 aprile 1979, n. 409), con conseguente immediata disapplicazione della previgente normativa regionale con essa confliggente (nella fattispecie, e' stato, pertanto, dichiarato illegittimo il calendario regionale-venatorio 1995-1996, nella parte in cui consentiva la durata del periodo di esercizio della caccia, per le specie di cui allo stesso art. 18, comma 1, della legge n. 157 del 1992, oltre il termine del 31 gennaio 1996). Appare, quindi, incontestabile l'inesistenza di una qualsiasi forma di autonomia delle regioni a statuto speciale nei confronti dell'ordinamento comunitario; e cio' non e' sfuggito neppure al legislatore nazionale, in sede di adozione della disciplina generale sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione dei relativi obblighi (legge 9 marzo 1989, n. 86). L'art. 9 di tale legge, infatti, sancisce in pratica il principio secondo il quale tutte le regioni, sia a statuto ordinario che a statuto speciale, risultano egualmente vincolate ai principi espresi dall'ordinamento comunitario, nonche' alla legge statale che di essi costituisce attuazione. Puo' a ragione affermarsi, quindi, che il disegno costituzionale relativo alle competenze delle regioni debba ritenersi, nella materia in questione, del tutto superato, e che il rispetto degli obblighi internazionali e' assolutamente necessario ed imprescindibile, pur in difetto di espressa e specifica disposizione statutaria (in questi termini si e' espressa autorevole dottrina). D'altra parte, come gia' rilevato al precedente punto 1, la legge n. 157/1992, al comma 4 dell'art. 1, recepisce integralmente le direttive C.E.E. concernenti la conservazione degli uccelli selvatici, e costituisce attuazione della Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950, resa esecutiva con legge 24 novembre 1978, n. 812, nonche' della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503. 6. - Conclusivamente, atteso che la dedotta questione di costituzionalita' appare rilevante per la decisione del ricorso, e non manifestamente infondata, si rende necessario sospendere il presente giudizio (sia nella fase cautelare che in quella di merito) in attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulla eccezione di incostituzionalita', per violazione dell'art. 14 dello statuto regionale siciliano (approvato con r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455) e dell'art. 10 della Costituzione, dell'art. 50, comma 4, della legge regionale n. 33 del 1 settembre 1997 (pubblicata sulla G.U.R.S. del 2 settembre successivo).