ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma  1,
 lettera  a),  della  legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo
 per la razionalizzazione e la revisione delle discipline  in  materia
 di   sanita',  di  pubblico  impiego,  di  previdenza  e  di  finanza
 territoriale), dell'art. 2, commi 2 e 3,  e  dell'art.  4,  comma  1,
 seconda  parte,  del  decreto  legislativo  3  febbraio  1993,  n. 29
 (Razionalizzazione   della   organizzazione   delle   amministrazioni
 pubbliche  e  revisione  della  disciplina  in  materia  di  pubblico
 impiego, a norma dell'articolo 2 della  legge  23  ottobre  1992,  n.
 421),  e  degli  artt. 45, commi 2, 7 e 9, e 49, comma 2, del decreto
 legislativo 3 febbraio 1993, n.  29, promosso con ordinanza emessa il
 9 dicembre 1996 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio  sul
 ricorso  proposto  da  Apollaro  Carmelina  contro il Ministero della
 pubblica istruzione  ed  altri,  iscritta  al  n.  717  del  registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visti  l'atto  di costituzione di Apollaro Carmelina nonche' l'atto
 di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  7  aprile  1998  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto.
   Ritenuto  che  nel  corso  di  un  giudizio  per l'annullamento del
 contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto  del  personale
 della  scuola, la' dove non prevede la possibilita' di sottrarsi alla
 vincolativita' del  contratto  stesso,  il  Tribunale  amministrativo
 regionale  del  Lazio,  con  ordinanza  emessa  il  9  dicembre  1996
 (pervenuta alla Corte il 25 settembre 1997), ha  sollevato  questioni
 di  legittimita' costituzionale:   a) dell'art. 2, comma 1, lett. a),
 della legge 23 ottobre 1992, n.  421, dell'art. 2, commi  2  e  3,  e
 dell'art.  4,  comma  1,  seconda  parte,  del  decreto legislativo 3
 febbraio 1993, n. 29, in riferimento all'art.  97 della Costituzione;
 b) dell'art. 45, commi 2, 7 e 9,  e  dell'art.    49,  comma  2,  del
 decreto  legislativo n. 29 del 1993, in riferimento all'art. 39 della
 Costituzione;
     che   le   norme   sub   a)   sono   sospettate  d'illegittimita'
 costituzionale nella  parte  in  cui,  secondo  quanto  a  suo  tempo
 rilevato  dall'Adunanza  generale del Consiglio di Stato, malgrado la
 diversita' di struttura e funzioni  tra  impiego  pubblico  e  lavoro
 privato, dispongono la c.d.  "privatizzazione" del primo;
     che  tale operazione legislativa e' ritenuta lesiva del principio
 di buon andamento della pubblica amministrazione, anche la'  dove  la
 prestazione  dell'impiegato  non  comporti  l'esercizio  di pubbliche
 funzioni, poiche' e' la stessa pubblica  amministrazione  ad  operare
 per  il  conseguimento  di interessi che trascendono la soggettivita'
 delle persone fisiche che ne hanno pro-tempore la rappresentanza e  a
 disporre  di  poteri  organizzativi ed autoritativi rispetto ai quali
 sarebbe incompatibile un modello di rapporto ispirato alle regole del
 mercato;
     che, a parere del giudice  a  quo,  le  norme  impugnate  sub  b)
 prevedono   una   efficacia  erga  omnes  dei  contratti  collettivi,
 stipulati in assenza delle condizioni  indicate  dall'art.  39  della
 Costituzione (registrazione dei sindacati, rappresentanza unitaria in
 proporzione  degl'iscritti,  ecc.), in tal modo risultando lesive del
 precetto costituzionale;
     che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso
 per l'infondatezza delle questioni  richiamandosi  alla  sentenza  n.
 309 del 1997 di questa Corte ed alle argomentazioni allora svolte per
 contrastare identiche prospettazioni del T.A.R. del Lazio;
     che nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituita la parte
 privata,    concludendo    per   la   declaratoria   d'illegittimita'
 costituzionale ed osservando, in una  successiva  memoria  depositata
 nell'imminenza  della  camera  di  consiglio,  come  il  dissenso del
 lavoratore  rispetto  alla  clausola   recettiva   della   disciplina
 collettiva sia una manifestazione della sua liberta' sindacale.
   Considerato  che  questa  Corte  ha  gia' dichiarato non fondate le
 medesime questioni, sollevate dallo stesso TAR del  Lazio,  ribadendo
 quanto  gia'  affermato nella sentenza n. 313 del 1996 circa il nuovo
 modello di statuto del pubblico impiego, quale scaturisce dalle linee
 della riforma, vo'lta a privilegiare il valore dell'efficienza  della
 pubblica  amministrazione, contenuto nel precetto di cui all'art.  97
 della Costituzione (cfr. sentenza n. 309 del 1997);
     che e' stata parimenti esclusa la violazione dell'art. 39  Cost.,
 la'  dove  questa Corte nella decisione da ultimo citata ha osservato
 come il meccanismo che impone alle amministrazioni di  osservare  gli
 impegni  assunti  con  il  contratto  collettivo  nazionale di lavoro
 rappresenti il momento conclusivo della procedura di contrattazione e
 sia finalizzato a garantire la parita' di trattamento;
     che il giudice a quo (il quale non ha avuto modo di conoscere  la
 succitata  sentenza)  non propone argomenti nuovi rispetto a quelli a
 suo tempo esaminati;
     che,  pertanto,  le  questioni  vanno  dichiarate  manifestamente
 infondate.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo n. 87, e 9,
 secondo  comma,  delle  norme  integrative per i giudizi davanti alla
 Corte costituzionale.