IL TRIBUNALE Premesso che, in sede di richieste istruttorie ai sensi dell'art. 495, c.p.p., il pubblico ministero e le altre parti del processo hanno, tra l'altro, chiesto l'esame di un coimputato nel medesimo reato, nei cui confronti si e' proceduto separatamente e la cui posizione e' stata definita con sentenza di applicazione della pena a norma dell'art. 444, c.p.p., divenuta irretrattabile; Rilevato che, in particolare, alcuni degli imputati o hanno chiesto l'esame suddetto quale unico mezzo di prova ovvero "ai sensi dell'art. 210 o comunque", instando, poi - per l'eventualita', allo stato non verificabile, dell'esercizio della facolta' di non rispondere da parte del menzionato coimputato - per l'accoglimento di mezzi di prova sostitutivi, sulla cui ammissibilita' il tribunale dovrebbe ora anche esprimersi, al cospetto di opposizioni espresse dal pubblico ministero; Ritenuto altresi' che l'esame del medesimo coimputato e' stato pure domandato dal pubblico ministero, che, evidentemente, al fine di apportare dimostrazioni sostitutive, ha a sua volta, insistito per l'ammissione di mezzi di prova osteggiati dalle difese; Osservato - in vista dell'ordinanza di cui all'art. 495 c.p.p. e della determinazione sull'ammissibilita' dei mezzi di prova suddetti - che, in relazione a quelle situazioni, le quali delineano questioni del diritto di difesa degli imputati richiedenti l'esame, nonche' delle possibilita' di adeguata esplicazione del diritto dovere del p.m. di fornire appieno la prova delle imputazioni elevate nei confronti degli imputati - si prospetta, intanto, una limitazione delle rispettive prerogative atteso il testo e l'interpretazione dell'art. 210, c.p.p., laddove, includendo anche il coimputato nel medesimo reato, nei cui confronti si e' proceduto separatamente e la cui posizione e' stata definita con sentenza ex art. 444, c.p.p., tra i soggetti cui si applica il regime di essa norma, conferisce anche a quest'ultimi le prerogative difensive degli altri coimputati ivi indicati; Atteso che, conseguentemente, l'esercizio della facolta' di non rispondere da parte del coimputato, gia' uscito dal processo avvalendosi del rito di cui all'art. 444, c.p.p., e la preclusione alla lettura delle sue dichiarazioni, siccome ora prevista dall'art. 513 c.p.p. novellato, delineano una compressione dei diritti di difesa (e alla prova da parte del pubblico ministero dopo aver dato il proprio consenso al patteggiamento allorche' vigeva l'anteriore testo dell'art. 513, c.p.p. medesimo) e una irragionevole equiparazione di situazioni difformi; Considerato, inoltre, che l'equiparazione del coimputato la cui posizione sia gia' stata definita con sentenza di patteggiamento con l'imputato nei cui confronti ancora si procede - e anche con quello giudicato separatamente con sentenza irrevocabile - nonche' l'attribuzione al primo di una perdurante facolta' di non rispondere, non sono in alcun modo giustificate dalle ragioni che sorreggono, attualmente o virtualmente, il riconoscimento di detta prerogativa ai secondi, per i quali - invece - permane il diritto di non rendere risposte che potrebbero pregiudicare la rispettiva posizione processuale in atto o, eventualmente, ancora residualmente ritrattabile; Rivelato, infine, che la portata cosi' colta dell'art. 210 non appare nemmeno coerente e consequenziale con il regime delle preclusioni stabilito dall'art. 197 c.p.p., giacche', alla stregua del testo di quest'ultima norma e del costrutto della medesima, non potrebbe escludersi l'esame del coimputato nella sottolineata peculiare condizione e considerato che la posizione di questo non potrebbe, in tal caso, essere lesa stante anche il principio dell'art. 198, comma 2, c.p.p.; Ritenuto, dunque che la norma dell'art. 210 c.p.p., nella parte in cui contiene la menzionata equiparazione e consente di estendere la facolta' di non rispondere ai coimputati nel medesimo reato che abbiano definito con sentenza irrevocabile ex art. 444, c.p.p. la loro posizione, appare in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma della Costituzione, sotto il profilo: a) della violazione del principio della ragionevolezza che deve presidiare l'attribuzione di trattamenti adeguati a fronte di situazioni disomogenee; b) della tutela della piena estrinsecazione del diritto di difesa.