IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al r.g. n. 1706/1995, proposto dalla sig.ra Lucia Dotti, rappresentata e difesa dall'avv. Marsitella Oliveri Doronzo, presso la quale e' elettivamente domiciliata in Milano, p.zza Luigi di Savoia, 2; Contro l'Inpdap gestione autonoma Enpas, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Cesare Lombrassa, presso il cui studio e' elettivamente domiciliato in Milano, via Torino n. 48; e nei confronti dei sigg.ri Vincenzo e Giovanna Merli (n.c.); Per l'annullamento della deliberazione di pagamento Enpas dell'indennita' di buonuscita del prof. Stefano Merli deceduto il 18 agosto 1994 in favore dei fratelli Vincenzo Merli e Giovanna Merli (odierni controinteressati). Visto il ricorso con i relativi allegati; Vista la propria ordinanza n. 8 del 20 febbraio 1997, con la quale e' stata disposta la corretta instaurazione del contraddittorio nei confronti dell'amministrazione; Vista la conseguente costituzione in giudizio dell'Inpdap; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 15 gennaio 1998 il dr. Paolo Passoni, e uditi altresi' i procuratori delle parti; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. Fatto e Diritto La vertenza riguarda la spettanza dell'indennita' di buonuscita nel caso di decesso del lavoratore in attivita' di servizio con l'amministrazione. Nel caso di specie tale indennita' e' reclamata dalla ricorrente nella sua qualita' di erede testamentaria, mentre l'impugnata deliberazione di pagamento dell'ente previdenziale risulta diretta a favore dei fratelli del de cuius, ai sensi degli artt. 7 e 5 del d.P.R. n. 1023/1973, come modificato dall'art. 7, legge n. 177/1976; secondo tale norma (comma primo), "in caso di morte del dipendente statale in attivita' di servizio, l'indennita' di buonuscita, nella misura che sarebbe spettata al dipendente, compete, nell'ordine, al coniuge superstite e agli orfani, ai genitori, ai fratelli e sorelle". Da qui, trova ragione (ed unico sostegno del gravame) la richiesta avanzata nel ricorso introduttivo di un incidente di costituzionalita' di quella norma, nella parte in cui pretermette l'erede testamentario rispetto ai collaterali. Medio tempore peraltro, con pronuncia n. 106 del 4 aprile 1996, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del citato art. 5, "nella parte in cui esclude che, nell'assenza delle persone ivi indicate, l'indennita' di buonuscita formi oggetto di successione per testamento o, in mancanza, per legge". Peraltro, come correttamente sostenuto dall'amministrazione resistente nella sua memoria del 17 dicembre 1997, la norma continua a non consentire la soddisfazione della pretesa dedotta in giudizio, anche dopo l'intervento del giudice costituzionale. Ed infatti, l'attuale precetto di legge, cosi' come emendato con la citata pronuncia della Corte, valorizza la disposizione testamentaria sull'indennita' di buonuscita solo nell'assenza delle persone indicate nello stesso art. 1, mentre nel caso di specie si e' in presenza di un fratello e di una sorella del de cuius (attuali controinteressati), ai quali - de iure condito - spetterebbe pertanto l'indennita' in questione. Quanto sopra, indipendentemente dal fatto - pure piu' volte evidenziato in giudizio dalla ricorrente - che tali parenti non risultavano a carico del lavoratore deceduto, poiche' nell'art. 5 la prelazione a favore dei soggetti ivi elencati non appare condizionata ad una trascorsa condizione di subordinazione economica degli stessi soggetti nei confronti del de cuius. Cio' non di meno, il Collegio sospetta un contrasto della citata norma con gli artt. 3 e 36 della Costituzione (anche nella versione scaturita dall'intervento della Corte), nella parte in cui non viene subordinata l'attribuzione iure proprio dell'indennita' in capo ai parenti ivi elencati, al fatto che i parenti stessi fossero risultati a carico del lavoratore poi deceduto. Invero, tale sospetto di non manifesta infondatezza della questione trova la principale ratio proprio dalla logica sosttesa alla pronuncia n. 106/1996 della Corte costituzionale. In tale occasione, il giudice delle leggi ha osservato come l'indennita' di buonuscita presenti un peculiare carattere dimidiato fra il profilo retributivo e quello previdenziale; la presenza di quest'ultimo puo' in effetti giustificare la deroga al prinicipio della libera disponibilita' mortis causa del beneficio, ma solo se rivolto a favore di parenti gia' a carico del de cuius, e quindi bisognosi di un ristoro ex lege, addirittura svincolato dalle eventuali contrarie volonta' del testatore nel difficile momento che segue l'evento della perdita del parente lavoratore e del suo sostegno economico. In caso contrario, vale a dire in mancanza di detti soggetti, dovrebbe intendersi decisiva la componente "retributiva" dell'indennita' di buonuscita, che postula di per se' il diritto ad una sua libera disponibilita', anche mortis causa. Ha infatti testualmente osservato la Corte con la citata decisione che l'attribuzione dell'indennita' esclusivamente a favore di determinati soggetti "... puo' certo trovare razionale fondamento nella surrichiamata concorrente funzione previdenziale dell'indennita' di buonuscita, considerando che destinatarie di questa vengono indicate persone nei cui confronti il dipendente deceduto aveva obblighi alimentari. Ma e' chiaro che, in assenza di tali soggetti, a favore dei quali opera una riserva legale di destinazione, perde qualunque rilevanza la concorrente funzione previdenziale, espandendosi in tutta la sua portata la natura retributiva dell'indennita' stessa. E allora, essendo questa gia' entrata nel patrimonio del dipendente al momento della sua morte, non e' ragionevole esclude legislativamente che essa formi oggetto di successione ereditaria, con la conseguenza che il dipendente non ne possa disporre per testamento, e che in mancanza di questo, non trovino applicazione le norme sulla successione legittima ...". Resta cosi' evidente, anche dal testuale lessico della motivazione della pronuncia, che la funzione previdenziale dell'indennita' di buonuscita puo' legittimamente derogare alla libera disponibilita' testamentaria dell'indennita' stessa solo in presenza di "persone nei cui confronti il dipendente deceduto aveva obblighi alimentari", e non anche in presenza di soggetti che comunque - come nel caso in questione il fratello e la sorella del de cuius - rispetto a quest'ultimo non avevano alcuna dipendenza economica. Lo stesso art. 2122 del codice civile, nel regolare le equivalenti indennita' nel settore privato in caso di morte del lavoratore, stabilisce una riserva legale di destinazione a favore dei parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo solo se "vivevano a carico del prestatore di lavoro". L'esempio e' di particolare rilievo poiche' la Corte - con la citata pronuncia n. 106/1996 - ha inteso conformarsi per coerenza di trattamento proprio all'enunciato art. 2122 c.c., di cui aveva del resto gia' dichiarato l'illegittimita' costituzionale del terzo comma nella parte in cui escludeva che il prestatore di lavoro privato potesse disporre per testamento dell'indennita', in mancanza delle persone di cui al primo comma. Ora, la paventata disparita' di trattamento nell'istituto in esame fra il rapporto di lavoro pubblicistico e quello privatistico sembra trovare nel delineato contesto una particolare irragionevolezza, poiche' non solo sussiste una "connotazione unitaria in termini di natura e di funzione, delle varie categorie di indennita' di fine rapporto (... con ...) una generale applicazione a qualsiasi tipo di rapporto di lavoro subordinato dei relativi princi'pi informatori della materia" (sentenza Corte cost. n. 106/1996), ma pure in ragione del fatto che l'art. 2122 c.c. e' destinato a regolare anche i trattamenti di fine servizio dei lavoratori pubblici assunti dal 1 gennaio 1996, ai sensi della legge 8 agosto 1995, n. 335. Pertanto, all'interno delle stesse categorie di dipendenti, si viene a determinare un differente regime di trasmissibilita' dell'indennita' di buonuscita nel caso di premorienza del lavoratore ancora in servizio, con una sua facolta' di disporre mortis causa del beneficio economico piu' ampia ove trovi applicazione l'art. 2122 c.c., rispetto all'ipotesi dell'art. 5 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032; quanto sopra - per l'appunto - perche' solo riguardo a quest'ultima disposizione la (eccezionale) prevalenza del conferimento ope legis sulle diverse volonta' testamentarie del dipendente pubblico resta ex se assicurata dalla semplice esistenza della parentela specificata nello stesso art. 5, senza rilievo per il fatto che nei suoi confronti il de cuius avesse avuto o meno obblighi alimentari. Considerata dunque la non manifesta infondatezza (ai sensi dei richiamati artt. 3 e 36 della Costituzione), nonche' la rilevanza della questione (atteso che la presente vertenza non puo' essere decisa indipendentemente dalla valutazione della compatibilita' costituzionale dell'art. 5 d.P.R. n. 1032/1972), il tribunale rimette all'esame della Corte costituzionale il giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5 anzidetto, nella parte in cui non prevede che il dipendente dello Stato possa disporre per testamento dell'indennita' di buonuscita, nel caso in cui il medesimo deceda in servizio lasciando i parenti, che la legge indica come astratti beneficiari dell'indennita' stessa, ma nei cui confronti non aveva al momento del decesso alcun obbligo alimentare.