IL PRETORE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  a  scioglimento  della riserva
 assunta all'udienza del 1 dicembre 1997. Causa di lavoro n. 226/1997:
 Nacci Attilia (avv. Santoro), contro I.N.P.S. (avv. Sgroi).
                             O s s e r v a
   Con ricorso depositato presso la cancelleria della pretura di Ivrea
 in data 23 aprile 1997, si  costituiva  in  giudizio  Nacci  Attilia,
 esponendo:  di  aver  presentato all'Inps in data 24 ottobre 1994 una
 domanda intesa ad ottenere l'integrazione al trattamento minimo della
 pensione di invalidita' dalla medesima goduta, non superando  i  suoi
 redditi  i  limiti  di  legge;  che  tuttavia  l'Inps  rigettava tale
 domanda, poiche' la Nacci non poteva considerarsi legalmente separata
 dal coniuge Marconi Luigi,  pendendo  tuttora  la  procedura  per  la
 separazione  legale,  ed avendo viceversa la ricorrente ottenuto solo
 un provvedimento presidenziale  ex  art.  708  c.p.c.,  col  quale  i
 coniugi   venivano   autorizzati  a  vivere  separati  ed  il  marito
 condannato a versare alla moglie un assegno mensile quale  contributo
 al  mantenimento,  pari  a  lire  100.000.    Riteneva  viceversa  la
 ricorrente che a lei competesse l'integrazione al trattamento  minimo
 a  far  data  dal  1  gennaio 1994 (e cioe' dal primo giorno del mese
 successivo all'emanazione del provvedimento presidenziale ex art. 708
 c.p.c.), formulando in tal senso domanda al pretore.
   Si costituiva in  giudizio  l'Inps,  preliminarmente  eccependo  la
 decadenza dalla possibilita' di proporre l'azione giudiziaria, avendo
 la  ricorrente richiesto il beneficio a decorrere dal 1 gennaio 1994,
 con successivo ricorso giudiziale depositato solo in data  23  aprile
 1997,  cioe'  al  di la' del termine triennale previsto dall'art. 47,
 d.P.R. n. 639/1970, cosi' come sostituito dall'art. 4  del  d.-l.  n.
 384/1992,  convertito  con  la legge n. 438/1992. Nel merito ribadiva
 l'Inps l'inesistenza  del  diritto  all'integrazione  al  trattamento
 minimo,  poiche'  l'art.  1 della legge n. 222/1984 prevede al quarto
 comma che l'integrazione non spetti "... per i soggetti  coniugati  e
 non  separati  legalmente,... qualora il reddito, cumulato con quello
 del coniuge sia  superiore  a  tre  volte  l'importo  della  pensione
 sociale  stessa...".  Poiche' nel caso di specie non era stata emessa
 alcuna  sentenza  di  separazione   giudiziale,   ne'   omologhe   di
 separazione  consensuale,  la  ricorrente avrebbe dovuto considerarsi
 "coniugata e non separata legalmente",  non  potendosi  ritenere  che
 costituisse  "separazione  legale"  solo l'ordinanza presidenziale di
 cui all'art. 708 c.p.c.
   Nel  corso  dell'istruttoria  il  difensore  di  parte   ricorrente
 prospettava   in   via   subordinata  l'eccezione  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art.  1 della legge n. 222/1984, nell'ipotesi che
 tale norma dovesse  essere  interpretata  secondo  la  prospettazione
 dell'istituto convenuto.
   La  preliminare  eccezione  di  decadenza,  formulata dall'Inps sul
 presupposto che la ricorrente abbia depositato il ricorso  giudiziale
 oltre  il  termine  triennale  previsto  dal  d.-l.  n.  384/1992, e'
 infondata, poiche' la domanda amministrativa  e'  stata  proposta  in
 data  24  ottobre 1994, ancorche' la ricostruzione della pensione sia
 stata chiesta a decorrere dal  1  gennaio  1994,  mentre  il  ricorso
 giudiziale  e'  stato  depositato in data 23 aprile 1997, e cioe' non
 oltre il triennio cui si richiama l'Inps.
   Nel merito ritiene in effetti il pretore che l'art. 1  della  legge
 n.  222/1984,  nella parte in cui prevede che ai soggetti coniugati e
 non separati legalmente non  competa  l'integrazione  al  trattamento
 minimo  (in  presenza  di  limiti reddituali cumulati che sicuramente
 vengono  superati  nel  caso  della  Nacci),  non  possa  che  essere
 interpretato secondo la tesi prospettata dall'Inps; l'integrazione al
 minimo,  cioe',  spetta  al coniuge solo se legalmente separato, ed a
 tal fine non e' certo sufficiente l'emanazione del  provvedimento  di
 cui  all'art.    708 c.p.c, che ha solo una funzione cautelare e puo'
 essere modificato dal giudice istruttore o dal  collegio,  e  la  cui
 precarieta'  ne  impedisce persino l'impugnazione in Cassazione (vedi
 Cass. n. 6389/1983).
   Tale dunque e' l'interpretazione che dell'art.  1  da'  il  giudice
 remittente,  fermo  restando che codesta Corte ben potrebbe affermare
 che l'interpretazione prospettata e'  scorretta  e  non  conforme  ai
 principi   costituzionali,   dovendo   quindi  considerarsi  "coniuge
 legalmente separato" anche colui che abbia ottenuto un  provvedimento
 temporaneo  presidenziale  ex art. 708 c.p.c. (ma non vede il pretore
 come questo  risultato  possa  essere  raggiunto  tramite  i  normale
 strumenti ermeneutici).
   Si  pone  quindi  il  problema  di  valutare  la rilevanza e la non
 manifesta infondatezza della eccezione prospettata dalla ricorrente.
   Quanto alla rilevanza essa  emerge  evidente,  poiche'  il  diritto
 all'integrazione  al  minimo  da  parte  della Nacci, titolare di una
 pensione di invalidita' che, a calcolo, ammonta a  circa  L.  220.000
 mensili,  puo' essere conseguito solo con una sentenza additiva della
 Corte che aggiunga al quarto comma del citato art. 1, dopo  la  frase
 "per  i soggetti coniugati e non separati legalmente", l'espressione:
 "e nei confronti dei quali non sia stato emesso un  provvedimento  di
 autorizzazione  a  vivere  separati ex art. 708 c.p.c", o una qualche
 espressione equivalente.
   Sotto il profilo della "non manifesta infondatezza", il  giudice  a
 quo  puo'  rigettare  l'eccezione  di  incostituzionalita' solo se la
 medesima risulti infondata in maniera manifesta; e nel caso di specie
 tale drastico giudizio non puo'  essere  emesso,  fermo  restando  il
 fatto  che  la  conseguente  remissione alla Corte non implica che il
 giudice a quo  ritenga  viceversa  del  tutto  infondata  l'eccezione
 stessa.    Ed  in  realta'  la  questione  presenta  ampi  margini di
 opinabilita', soprattutto ove si consideri che essa interferisce  con
 la  problematica  delle separazioni legali "finte", che costituiscono
 ormai esperienza comune dei giudici di merito,  e  che  sono  attuate
 appunto  allo scopo di poter lucrare, da parte di uno o di entrambi i
 coniugi,  l'integrazione  al  minimo  sulla  pensione  in  godimento,
 fenomeno  peraltro  totalmente rimosso dagli organi giurisdizionali e
 legislativi  che  dovrebbero  tutelare  la  collettivita'  da  simili
 comportamenti  che  costituiscono vere e proprie truffe: problematica
 quest'ultima  peraltro  piu'  riferibile alle separazioni consensuali
 che a quelle giudiziali, come invece si verifica nel caso di specie.
   Invero le argomentazioni di  parte  ricorrente  non  possono  certo
 considerarsi  del  tutto  fuori  luogo: e' evidente infatti che se la
 convivenza  consente  ad  una   coppia   di   poter   fare   a   meno
 dell'integrazione  al  minimo  di  una  pensione  nell'ipotesi in cui
 comunque il cumulo dei redditi familiari superi un certo livello,  e'
 altrettanto  vero  che,  nel  momento  in  cui  i due coniugi vengono
 autorizzati a vivere separati, le economie di scala della  convivenza
 vengono  meno  e molte spese "strutturali" devono venir duplicate; ed
 indubbiamente il coniuge che poteva fare a meno dell'integrazione  al
 minimo,  in  quanto  convivente con un'altra persona che integrava in
 misura adeguata il reddito familiare, una volta separato si  trova  a
 dover  far  fronte  ad  una serie di spese che in precedenza potevano
 essere sopportate dal reddito familiare, e che viceversa  devono  ora
 essere  affrontate con una pensione a calcolo di entita' inferiore al
 minimo, in presenza eventualmente di  un  assegno  di  entita'  molto
 ridotta  - come nel caso di specie - e cioe' non idoneo a risolvere i
 problemi sopra evidenziati.
   D'altro  canto  e'  inutile  nascondersi  che   anche   l'eventuale
 riconoscimento   del   diritto   all'integrazione   al  minimo,  dopo
 l'emanazione del provvedimento presidenziale cautelare  ex  art.  708
 c.p.c.,  presenta  notevoli  inconvenienti:    innanzitutto l'assegno
 dovrebbe  essere  quantificato  dal  giudice  tenendo   anche   conto
 dell'esistenza  o  meno  di  un diritto all'integrazione al minimo da
 parte del coniuge beneficiario; ma i tempi tecnici  per  l'erogazione
 dell'integrazione al minimo implicherebbero comunque la necessita' di
 una  erogazione  di  un  assegno avente valore alimentare, quantomeno
 medio tempore.
   Ed  infatti  nel  caso  concreto  la  quantificazione  dell'assegno
 disposta dal presidente del tribunale tiene conto della percezione in
 capo   alla   moglie   di   una  pensione  a  calcolo:  un  eventuale
 riconoscimento dell'integrazione  al  minimo,  quindi,  implicherebbe
 tutta   una  serie  di  problematiche  connesse  al  fatto  che  alla
 ricorrente spetterebbero gli  arretrati  dalla  data  della  domanda,
 avenfo  pero'  ella  percepito  medio tempore un assegno quantificato
 tenendo  presente  l'entita'  della  pensione  a  calcolo,  e   cioe'
 integrata  al  trattamento  minimo,  il tutto implicando una serie di
 compensazioni, restituzioni, modifiche per il futuro, di  non  facile
 gestione.
   Si  tratta  comunque di problematiche che dovra' tenere presente la
 Corte,  alla  quale  e'  demandata  una  definitiva  valutazione   in
 proposito  alla  luce  di  quanto  previsto dagli artt. 3 e 38, primo
 comma, della Costituzione.