ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   1   del
 decreto-legge  13  settembre  1996,  n.  473 (Disposizioni urgenti in
 materia di trasparenza  delle  tariffe  elettriche)  convertito,  con
 modificazioni,  dalla  legge 14 novembre 1996, n. 577, e dell'art. 3,
 comma  240,  della  legge  28  dicembre  1995,  n.  549  (Misure   di
 razionalizzazione  della  finanza  pubblica),  promosso con ordinanza
 emessa il 18 gennaio 1997 dal giudice di pace di Carpi nel  corso  di
 un  procedimento  civile,  iscritta  al n. 106 del registro ordinanze
 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  12,
 prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto   l'atto   di   costituzione  dell'ENEL,  nonche'  l'atto  di
 intervento di Ciaperoni Anna e dell'Associazione  Federconsumatori  e
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  10  febbraio  1998  il  giudice
 relatore Valerio Onida;
   Uditi gli avvocati Alessandro Pace e Giovanni Gentile  per  l'ENEL,
 Maria    Lorizio    per   Ciaperoni   Anna   e   per   l'Associazione
 Federconsumatori, e l'Avvocato dello Stato Ivo M.  Braguglia  per  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Nel  corso  di  un giudizio civile, promosso nei confronti
 dell'ENEL S.p.a. dal responsabile provinciale di  un'associazione  di
 consumatori e da un utente, per ottenere la restituzione, a titolo di
 indebito,  di  quanto  versato,  dal  28  febbraio  1994 in poi, come
 cosiddetta "quota di prezzo" sulle forniture  di  energia  elettrica,
 prevista  dal  provvedimento del Comitato interministeriale prezzi n.
 32 del 1986, il giudice di pace di Carpi, con ordinanza emessa il  18
 gennaio  1997,  pervenuta  a  questa  Corte  il  25 febbraio 1997, ha
 sollevato d'ufficio due  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
 entrambe  in  riferimento  agli artt.   3 e 53 della Costituzione. La
 prima questione  ha  ad  oggetto  l'art.    1  del  decreto-legge  13
 settembre   1996,   n.   473  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di
 trasparenza delle tariffe elettriche), convertito, con modificazioni,
 dalla legge 14 novembre 1996, n. 577, "nella parte in cui conferma  e
 ritiene  operanti  le  quote-prezzo  di  cui  al provvedimento CIP n.
 32/1986 per il periodo dal 1 gennaio 1994  al  30  giugno  1996";  la
 seconda  ha  ad  oggetto l'art. 3, comma 240, della legge 28 dicembre
 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione  della  finanza  pubblica),
 "che  attribuisce  al  Fondo  di  ammortamento dei titoli di Stato le
 eccedenze di quote-prezzo pagate dagli utenti  di  energia  elettrica
 dal 1 gennaio 1994 al 30 giugno 1996".
   2.  -  La  vicenda  normativa  nel  cui  contesto si inseriscono le
 questioni prende le mosse dalla legge 28 febbraio 1986, n. 41  (legge
 finanziaria  per  il 1986), che, all'art. 18, riduceva di complessivi
 6.200 miliardi due preesistenti autorizzazioni di  spesa  -  disposte
 rispettivamente  dall'art.  3 del decreto-legge n. 609 del 1981 e dal
 decreto-legge n. 69 del 1982 - a titolo di conferimento  dello  Stato
 al  fondo  di  dotazione dell'ENEL. L'art. 17, a sua volta, disponeva
 che il CIP, "nel determinare le  tariffe  elettriche",  adottasse  "i
 provvedimenti  necessari  anche  per  tener conto dei minori introiti
 derivanti all'ENEL (...) dalle disposizioni di cui al successivo art.
 18, a tal fine operando sulle  agevolazioni  attualmente  previste  a
 favore delle utenze domestiche".
   Alla  luce e in attuazione di quest'ultima disposizione il CIP, con
 provvedimento  n.  32  del   23   maggio   1986   (Modificazioni   ai
 provvedimenti  vigenti in materia di prezzi e condizioni di fornitura
 di energia elettrica. Cassa conguaglio  per  il  settore  elettrico),
 determinava,  al capitolo I, nuove tariffe delle forniture elettriche
 con  potenza  impegnata  fino  a  3  Kw,  rispettivamente  effettuate
 nell'abitazione  di  residenza anagrafica dell'utente e in abitazioni
 diverse, prevedendo aumenti sia della quota fissa mensile  (mantenuta
 pero'  sempre  a livelli inferiori a quelli della tariffa ordinaria),
 sia del prezzo di ogni  Kwh  consumato,  parificato  a  quello  della
 tariffa  ordinaria  per i consumi oltre 150 Kwh e per i consumi delle
 abitazioni diverse da  quella  di  residenza,  e  portato  a  livelli
 superiori  a  quelli  previgenti,  ma  sempre  inferiori alla tariffa
 ordinaria, per gli scaglioni di  consumo  inferiori  a  150  Kwh.  Al
 capitolo  II,  il  provvedimento  istituiva  le cosi' dette "quote di
 prezzo",  corrispondenti  esattamente   agli   incrementi   tariffari
 disposti  dal  capitolo I, che, "comprese nelle tariffe stabilite nel
 precedente capitolo I", sarebbero spettate all'ENEL e sarebbero state
 gestite con contabilita'  separata  dalla  Cassa  conguaglio  per  il
 settore  elettrico,  a cui le aziende distributrici diverse dall'ENEL
 avrebbero dovuto versare gli  importi  corrispondenti  relativi  alle
 forniture  di  energia  da  esse  effettuate.  Il  provvedimento  non
 prevedeva un termine finale di efficacia delle disposizioni  in  esso
 contenute.
   A seguito del contenzioso avviato davanti al giudice amministrativo
 con  i ricorsi promossi da aziende elettriche municipalizzate, il TAR
 del Lazio prima, con numerose pronunce, e poi il Consiglio di  Stato,
 con  la  sentenza  7 marzo 1990, n. 347, confermavano la legittimita'
 del provvedimento del CIP, annullandone solo  una  clausola  relativa
 alla forfettizzazione, nei rapporti fra dette aziende e l'ENEL, degli
 importi  inesigibili  per  morosita'.  Nelle  motivazioni  delle loro
 pronunce i giudici amministrativi affermavano che le quote di  prezzo
 non  concretavano  un maggior corrispettivo della somministrazione di
 energia, ma un mezzo di riequilibrio  finanziario  dell'ENEL,  e  che
 l'intervento disposto nel provvedimento del CIP avrebbe dovuto essere
 ancorato  nel  tempo  al  raggiungimento  dell'obiettivo di garantire
 all'ENEL i proventi venuti meno  con  la  riduzione,  disposta  dalla
 legge, dei conferimenti statali al fondo di dotazione.
   Nel  frattempo,  successivi  provvedimenti  del  CIP recavano nuovi
 aumenti delle tariffe elettriche, senza menzionare in alcun  modo  le
 quote di prezzo, il cui meccanismo, peraltro, continuo' ad operare.
   Il  15  dicembre  1993 la Cassa conguaglio per il settore elettrico
 comunicava al Ministero dell'industria che, secondo le sue stime, con
 le bollette relative agli ultimi mesi del 1993 si  sarebbe  raggiunto
 un  complessivo  importo  per  quote di prezzo pari a 6.200 miliardi,
 corrispondente alla riduzione dei conferimenti al fondo di dotazione
  dell'ENEL.
   Rimaneva  peraltro controverso il modo in cui dovesse calcolarsi il
 raggiungimento dell'obiettivo  finanziario  delle  quote  di  prezzo,
 sostenendosi   da   una   parte  che  esso  fosse  raggiunto  con  il
 conseguimento da parte dell'ente elettrico di  ricavi  lordi  pari  a
 6.200  miliardi,  dall'altra  parte invece che dovesse realizzarsi un
 importo di ricavi tale che -  tenendo  conto  della  diversa  cadenza
 temporale degli introiti e delle imposte che l'ENEL stesso pagava sui
 ricavi,  e che non avrebbero invece gravato sui conferimenti al fondo
 di dotazione venuti meno - si conseguisse  un  risultato  finanziario
 equivalente;  e  disputandosi  altresi'  sugli effetti che in materia
 dovessero attribuirsi alle successive determinazioni del CIP, che non
 avevano piu' menzionato, nello stabilire le tariffe, dette  quote  di
 prezzo.
   Il  legislatore  intervenne  in  materia,  dapprima con la legge 14
 novembre 1995, n. 481, che  istituiva  fra  l'altro  l'autorita'  per
 l'energia  elettrica e il gas, alla quale e' attribuito il compito di
 stabilire i parametri per la determinazione delle tariffe, sulla base
 di criteri dettagliatamente fissati dalla  stessa  legge  (art.    2,
 comma  12, lettera e, e commi 17, 18 e 19; art. 3). All'art. 3, comma
 7, primo periodo,  la  legge  disponeva  che  "i  provvedimenti  gia'
 adottati  dal  Comitato  interministeriale  prezzi  e  dal  Ministero
 dell'industria,  del  commercio  e  dell'artigianato  in  materia  di
 energia  elettrica  e di gas conservano piena validita' ed efficacia,
 salvo modifica o abrogazione disposta dal Ministro,  anche  nell'atto
 di concessione, o dalla autorita' competente".
   Poco  dopo  sopravveniva  la legge 28 dicembre 1995, n. 549, il cui
 art. 3, comma 240, stabiliva  che  "gli  incrementi  al  sovrapprezzo
 termico (cosi' impropriamente venivano denominate le quote prezzo) di
 cui  al  capitolo  II, punto 1, lettere A e B, del provvedimento CIPE
 (recte CIP) n. 32 del  23  maggio  1986,  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 121 del 27 maggio 1986, dopo che il CIPE avra' accertato
 l'avvenuto  conseguimento delle finalita' dello stesso provvedimento,
 sono riassegnati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato";  e
 che  il  CIPE  avrebbe provveduto a detto accertamento entro sessanta
 giorni.
   Il Ministero dell'industria, che aveva nominato un apposito  gruppo
 di lavoro per gli accertamenti in materia, sottoponeva in due riprese
 quesiti  al  Consiglio  di  Stato,  il  quale,  con pareri in data 20
 febbraio e 26 marzo 1996 (III sezione, rispettivamente  n.  93  e  n.
 353),  riteneva  che  l'obiettivo  di cui all'art. 3, comma 17, della
 legge  n.  41  del  1986  dovesse   intendersi   raggiunto   con   il
 conseguimento  da  parte  dell'ENEL  di  ricavi  lordi  pari  a 6.200
 miliardi; che le quote prezzo non avevano perso la loro  identita'  a
 seguito  delle  modifiche  tariffarie succedutesi dal 1990; e che, in
 forza dell'art. 3, comma 240, della legge n.  549 del  1995,  sarebbe
 risultata,   a  seguito  dei  doverosi  accertamenti  del  CIPE,  una
 esposizione  debitoria  dell'ENEL  nei  confronti   del   Fondo   per
 l'ammortamento  dei  titoli  di  Stato.  Il secondo parere concludeva
 suggerendo fra l'altro una modifica  legislativa,  che  limitasse  la
 riassegnazione  delle  somme  al  Fondo  alle sole quote introitate a
 decorrere dal 1 gennaio 1996, affermando che tale  soluzione  avrebbe
 sanato  interamente  lo  squilibrio  finanziario  a carico dell'ENEL,
 sostanzialmente   addebitabile,    secondo    l'organo    consultivo,
 "all'oscurita'   delle   disposizioni   di   legge   in   materia  ed
 all'incertezza  che  si  e' riscontrata riguardo alle modalita' della
 loro corretta applicazione".
   Intervenne a questo punto il decreto-legge 29 aprile 1996, n.  227,
 poi decaduto per mancata conversione nei termini, che, modificando il
 citato  art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995, fissava al 15
 maggio  1996  il  termine  per  l'accertamento,   da   ripetere   poi
 periodicamente;  stabiliva  che  gli  effetti  del  provvedimento CIP
 sarebbero cessati con decorrenza  dalle  fatture  e  bollette  emesse
 successivamente    alla    data    dell'accertamento    dell'avvenuto
 conseguimento dell'obiettivo o comunque  dalla  data  di  entrata  in
 vigore delle nuove tariffe adottate sulla base della legge n. 481 del
 1995, e che se alla data dell'accertamento del CIPE fossero risultate
 delle  eccedenze  queste  venissero  versate all'entrata del bilancio
 dello Stato per esser riassegnate al  Fondo  per  l'ammortamento  dei
 titoli  di  Stato; e stabiliva inoltre taluni criteri da osservare ai
 fini dell'accertamento, in sostanza accogliendo la tesi  del  calcolo
 degli introiti al netto degli oneri finanziari e fiscali.
   Sulla  base  di  tali disposizioni il CIPE, con deliberazione del 9
 maggio 1996, accerto' che l'importo netto introitato dall'ENEL,  sino
 al  31  dicembre  1995,  a titolo di quote prezzo ammontava a 5.109,6
 miliardi.
   Con il successivo decreto legge 15 luglio 1996, n. 371, si  dispose
 invece  la  cessazione, a decorrere dal 30 giugno 1996, degli effetti
 delle disposizioni di cui ai capitoli I e II del provvedimento CIP n.
 32 del 1986, e l'abrogazione dell'art. 3, comma 240, della  legge  n.
 549 del 1995.
   Decaduto  anche  questo  decreto-legge, il successivo, 13 settembre
 1996, n. 473, convertito dalla legge n. 577 del 1996,  riprodusse  le
 medesime disposizioni nell'art. 1, in questa sede censurato.
   3. - Il giudice remittente muove da una duplice premessa: la prima,
 che  il  complessivo importo degli introiti destinati a compensare la
 riduzione degli apporti al fondo di  dotazione  dell'ENEL,  dovendosi
 calcolare  al  lordo  di  ogni onere, e' stato raggiunto nel dicembre
 1993, secondo quanto comunicato dalla Cassa conguaglio  con  la  nota
 del 15 dicembre 1993, e che conseguentemente "l'efficacia normativa e
 cioe' la vigenza degli artt. 17 e 18 della legge n. 41 del 1986 e del
 provvedimento CIP n. 32/1986 e' cessata col 1 gennaio 1994" (anche se
 egli  ammette  che la prosecuzione dell'applicazione della componente
 tariffaria in questione e' dovuta alla circostanza che l'ENEL non era
 competente  ad  operare  modifiche  delle  tariffe,  e   gli   organi
 competenti  non  avevano provveduto a disporre la cessazione di detta
 componente tariffaria). In proposito il remittente  ricorda  le  gia'
 citate  sentenze  del  TAR e del Consiglio di Stato, e nega rilevanza
 alla  delibera  CIPE,  anch'essa  citata,  del  9  maggio  1996,  che
 accertava  non  essere  stato  ancora  raggiunto l'obiettivo, perche'
 fondata su criteri fissati da un decreto-legge decaduto.
   La seconda premessa e' che l'art. 1 del decreto-legge  n.  473  del
 1996,  disponendo  la  cessazione degli effetti del provvedimento CIP
 dal  30  giugno  1996,  avrebbe  reintrodotto   retroattivamente   la
 prestazione  tariffaria  non piu' dovuta per il periodo dal 1 gennaio
 1994 al 30 giugno 1996.
   Cio' premesso, il giudice a  quo  ritiene  che  detto  art.  1  del
 decreto-legge  n. 473 del 1996, avendo introdotto una prestazione che
 non avrebbe "alcun aggancio, attinenza o  connessione  con  le  quote
 prezzo  non  piu'  in  vigore",  avrebbe dato vita ad una imposizione
 vicina  a  quelle  di  natura  tributaria,  a  carico  di una "platea
 casuale"  di  cittadini  identificati  con  gli  utenti  di   energia
 elettrica, in violazione del principio di uguaglianza e del principio
 del  concorso  nelle  spese  pubbliche  in  ragione  della  capacita'
 contributiva, di cui all'art.  53 della Costituzione.
   Quanto all'art. 3, comma 240, della legge  n.  549  del  1995  (che
 disponeva  il  versamento  delle  eccedenze  di  quote  prezzo,  dopo
 l'accertamento  del  raggiungimento  dell'obiettivo,  al  Fondo   per
 l'ammortamento dei titoli di Stato), il remittente ritiene che la sua
 abrogazione  ad opera dell'art. 1, comma 3, del d.-l. n. 473 del 1996
 operi ex nunc restando dunque  la  norma  abrogata  efficace  per  il
 periodo anteriore all'abrogazione stessa. Detta norma "che secondo il
 giudice  a  quo non avrebbe avuto la possibilita' di esplicare alcuna
 concreta efficacia prima del  d.-l.  n.  473  del  1996,  posto  che,
 secondo  la  tesi ricordata, era gia' stato accertato che, scaduta al
 31 dicembre 1993 la vigenza del provvedimento CIP n. 32 del 1986, non
 si erano verificate eccedenze  delle  quote  prezzo"  avrebbe  invece
 riacquistato   efficacia   normativa  una  volta  che  l'art.  1  del
 decreto-legge  n.  473  del  1996  ha,  secondo  l'impostazione   del
 remittente,  richiamato  in  vita  retroattivamente  le  quote prezzo
 medesime. Di conseguenza, gli introiti versati a tale  titolo  dal  1
 gennaio  1994  al  30  giugno  1996  andrebbero devoluti al Fondo per
 l'ammortamento dei titoli di Stato, e non restituiti agli utenti.  Da
 cio'   deriverebbe   la   necessita'   di   sottoporre  a  vaglio  di
 costituzionalita' anche il citato comma 240, che sarebbe  illegittimo
 in  quanto  avrebbe  trasformato  le eccedenze di quote prezzo in una
 imposta diretta ad una finalita' generale di bilancio,  applicata  ai
 soli  utenti  di  energia elettrica, e non in ragione della capacita'
 contributiva: violando cosi' gli artt. 3 e 53 della Costituzione.
   4. - Si e' costituito in giudizio l'ENEL, parte nel giudizio a quo,
 chiedendo che le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili  o,  in
 subordine, infondate.
   Richiamate le gia' descritte vicende normative rilevanti ai fini di
 causa,  e  sottolineato  che  il  provvedimento CIP n. 32 del 1986 si
 limito' a ridurre delle agevolazioni tariffarie preesistenti,  e  che
 detto  provvedimento  non  venne  impugnato  da  parte di utenti o di
 associazioni di utenti, la parte afferma in primo luogo che  entrambe
 le questioni sarebbero inammissibili per irrilevanza.
   Non  sarebbe  infatti  configurabile  alcun  indebito oggettivo nei
 confronti dell'ENEL, poiche',  come  ammette  lo  stesso  remittente,
 questo   ente   ha   applicato  semplicemente  le  tariffe  stabilite
 dall'organo competente a fissare i prezzi amministrati, e non avrebbe
 potuto   disapplicare   il   provvedimento   del   CIP.   L'eventuale
 raggiungimento  degli  obiettivi  per  cui  era  stato adottato detto
 provvedimento avrebbe solo posto l'amministrazione  nella  necessita'
 di  valutare, nell'ambito della propria discrezionalita', se abrogare
 o meno il provvedimento medesimo, atteso altresi' che l'art. 17 della
 legge n. 41 del 1986 demandava  al  CIP  il  compito  di  adottare  i
 provvedimenti tariffari tenendo conto "anche", ma non esclusivamente,
 dei  minori introiti derivanti all'ENEL dalla riduzione degli apporti
 al  fondo  di  dotazione;  in  mancanza  di  detta  abrogazione,   il
 provvedimento  non  perdeva la sua efficacia e restava vincolante per
 le aziende distributrici.
   Ne',  secondo l'ENEL, le tariffe potrebbero essere disapplicate dal
 giudice ordinario, non potendosi configurare  un  diritto  soggettivo
 alla  applicazione  di  una  tariffa  diversa da quella approvata nel
 regime di prezzi  amministrati,  e  non  essendovi  nella  specie  un
 provvedimento  illegittimo,  ma,  se  mai, un provvedimento legittimo
 revocabile o modificabile dalla pubblica amministrazione  nell'ambito
 della   sua  discrezionalita'.  D'altro  canto,  aggiunge  la  difesa
 dell'ENEL, non  sarebbe  comunque  ipotizzabile  una  disapplicazione
 della  tariffa per singoli utenti, avendo il monopolista l'obbligo di
 parita' di trattamento.
   Secondo  la  parte,  proprio   in   relazione   a   tale   contesto
 giuridico-istituzionale   il  legislatore,  persistendo  una  inerzia
 dell'amministrazione nel compiere  le  proprie  valutazioni,  sarebbe
 intervenuto,   dapprima   demandando   al   CIPE   la   verifica  del
 raggiungimento degli obiettivi, e  disponendo  la  riassegnazione  al
 Fondo  per  l'ammortamento  dei  titoli  di Stato delle quote prezzo,
 applicate dopo il raggiungimento di tali obiettivi,  con  conseguente
 trasformazione  del  predetto elemento tariffario in prelievo forzoso
 para-fiscale; successivamente, disponendo la cessazione di  efficacia
 del   provvedimento   CIP   dopo   l'accertamento  del  conseguimento
 dell'obiettivo;  infine,  dopo  che  il  CIPE  aveva  accertato   che
 l'obiettivo  non  era  ancora  stato  raggiunto,  disponendo  che gli
 effetti del provvedimento cessassero  comunque  al  30  giugno  1996,
 indipendentemente      dall'eventuale      mancato     raggiungimento
 dell'obiettivo medesimo: del che avrebbe avuto di che dolersi proprio
 l'ENEL.
   In secondo luogo, le due questioni sarebbero  inammissibili,  o  in
 subordine infondate, per inesistenza dei presupposti di fatto assunti
 dal remittente, perche' non sarebbe provato che il recupero di quanto
 perduto  dall'ENEL  con  la  riduzione  degli  apporti  al  fondo  di
 dotazione si sarebbe  completato  col  dicembre  1993:  si  sarebbero
 infatti  dovuti  calcolare  gli  importi  al  netto degli oneri, come
 delibero' del resto il CIPE il  9  maggio  1996,  con  decisione  non
 impugnata  e  non  caducata  per il fatto che essa sia stata adottata
 sulla  base  di  un  decreto-legge  poi  decaduto,   trattandosi   di
 accertamento gia' previsto dalla legge.
   In  via  subordinata,  la  parte  afferma  la inammissibilita', per
 irrilevanza,   della   seconda   questione   in   conseguenza   della
 infondatezza   manifesta  della  censura  concernente  l'art.  1  del
 decreto-legge n. 473 del 1996.  Il rigetto di quest'ultima infatti, a
 suo avviso, toglierebbe ogni spazio all'altra censura, in  quanto  le
 somme  corrispondenti  alle  quote  prezzo  continuerebbero ad essere
 dovute dagli utenti o al  Fondo  per  l'ammortamento  dei  titoli  di
 Stato,  ovvero  all'ENEL,  se si ritenga, come ritiene l'ENEL stesso,
 che l'abrogazione dell'art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995
 abbia avuto effetto ex tunc.
   Ove, invece, l'autorita' remittente avesse  inteso  ipotizzare  una
 rilevanza  della  seconda questione a seguito dell'accoglimento della
 prima, detta seconda questione risulterebbe infondata in  quanto  non
 si  potrebbe  negare  al legislatore la facolta' di novare il titulus
 retinendi delle somme gia' versate dagli utenti, in ordine alle quali
 gli utenti stessi non vantino uno specifico  diritto  costituzionale;
 donde  discenderebbe  l'inammissibilita'  per irrilevanza della prima
 questione, poiche' le somme potrebbero al piu' spettare al Fondo  per
 l'ammortamento  dei  titoli di Stato, ma non agli utenti, nemmeno pro
 parte.
   L'ENEL afferma poi l'infondatezza della prima questione, in  quanto
 la  riduzione di una preesistente agevolazione tariffaria non sarebbe
 una prestazione imposta, e tanto meno un prelievo  fiscale  in  senso
 stretto,  e  la  volonta' del legislatore di mantenerla anche dopo il
 conseguimento delle finalita' originarie del  provvedimento  del  CIP
 rientrerebbe nella potesta' tariffaria dell'amministrazione, e non ne
 muterebbe la natura.
   Poiche',    d'altronde,    non   si   configurerebbe   un   diritto
 costituzionale a fruire di agevolazioni tariffarie - peraltro  legate
 a  scelte  di  politica  energetica  e non a livelli reddituali degli
 utenti -, ne  deriverebbe  la  perfetta  legittimita'  costituzionale
 della  norma,  che  si collocherebbe nell'ambito dell'esercizio della
 potesta' tariffaria e non dei prelievi fiscali.
   Secondo l'ENEL, l'art. 1 del decreto-legge n. 473 del 1996 non puo'
 essere interpretato come legge di sanatoria o di  imposizione  di  un
 prelievo  retroattivo:  esso invece abroga le quote prezzo sopperendo
 alla mancanza di un provvedimento amministrativo  modificativo  delle
 tariffe,   indipendentemente   dall'effettivo   raggiungimento  degli
 obiettivi perseguiti dall'art. 17 della legge n.  41  del  1986.  Gli
 utenti,  pertanto,  non  avrebbero  motivo  di dolersi di tale misura
 legislativa.
   La stessa questione sarebbe poi  infondata  anche  sotto  un  altro
 profilo,  in quanto l'adeguamento tariffario di cui all'art. 17 della
 legge n. 41 del 1986 era previsto "anche", ma non esclusivamente,  in
 relazione ai minori introiti derivanti all'ENEL dalla riduzione degli
 apporti   al   fondo   di   dotazione,  onde  era  legittimo  che  un
 provvedimento tariffario, pur dopo l'accertamento  del  conseguimento
 di  quell'obiettivo,  conservasse  la  voce tariffaria in funzione di
 ulteriori  esigenze.    In  ogni  caso,  anche  supponendo   che   il
 decreto-legge  n.  473  del 1996 abbia carattere interpretativo, esso
 sarebbe  egualmente  legittimo  in  quanto  non  incide  su   diritti
 costituzionalmente  protetti, e in quanto sarebbe possibile mantenere
 inalterato  il  sistema  tariffario  in  vista  di  nuove   finalita'
 pubblicistiche.   Ne'  potrebbe  comunque  parlarsi  di  un  prelievo
 fiscale, ma semmai, in denegata ipotesi, di prestazione imposta,  con
 conseguente  inapplicabilita' dell'art.  53 della Costituzione; e non
 si configurerebbe una violazione dell'art.    3  della  Costituzione,
 poiche'  una  riduzione  di  agevolazioni  tributarie  non  puo'  che
 applicarsi ai titolari di contratti di utenza. Infine, si ricorda che
 e' stata riconosciuta la legittimita' di imposte c.d.  speciali, come
 il canone di abbonamento radiotelevisivo.
   5. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,   chiedendo   che   la   prima   questione  sia  dichiarata
 inammissibile  e,  comunque,  non  fondata;  e  che  la  seconda  sia
 dichiarata  inammissibile ovvero, in subordine, inammissibile perche'
 manifestamente irrilevante, e comunque non fondata.
   La prima  questione,  secondo  l'interveniente,  muoverebbe  da  un
 presupposto erroneo ed indimostrato; inoltre, la conferma delle quote
 prezzo  fino  al  30  giugno  1996  non  violerebbe  l'art.  3  della
 Costituzione, poiche' tale conferma altro non farebbe che  proseguire
 nella  manovra  iniziata con il provvedimento CIP n. 32 del 1986. Ne'
 sarebbe pertinente il richiamo all'art. 53 della  Costituzione,  dato
 che  alla  manovra  confermata  non  puo'  essere  attribuita  natura
 tributaria.
   Quanto all'art. 3, comma 240, della  legge  n.  549  del  1995,  la
 relativa    questione    di   legittimita'   costituzionale   sarebbe
 inammissibile, in quanto la norma e' stata espressamente abrogata  e,
 per  il  tempo  in cui e' rimasta in vigore, non ha spiegato effetti,
 quanto meno nella parte che prevedeva  la  devoluzione  di  somme  al
 Fondo  per  l'ammortamento  dei titoli di Stato. Inoltre nella stessa
 prospettazione del giudice a quo tale questione si presenterebbe come
 non rilevante, oltre che infondata, in quanto,  una  volta  stabilito
 dalla   legge,  in  maniera  costituzionalmente  corretta,  l'obbligo
 dell'utenza di sopportare la riduzione  dell'agevolazione  tariffaria
 sino  al  30 giugno 1996, sarebbe del tutto indifferente, ai fini del
 giudizio a quo che gli importi affluiscano all'ENEL o  al  Fondo  per
 l'ammortamento dei titoli di Stato.
   6.  -  Hanno  spiegato  intervento,  con  atti  depositati oltre il
 termine di venti giorni di cui  all'art.  25,  secondo  comma,  della
 legge  n.    87  del  1953 e all'art. 3 delle norme integrative per i
 giudizi davanti alla Corte costituzionale, la signora Anna Ciaperoni,
 attrice in un diverso giudizio pendente davanti al giudice di pace di
 Roma, sospeso in attesa dell'esito del presente giudizio incidentale,
 e l'Associazione Federconsumatori, intervenuta  ad  adiuvandum  nello
 stesso  giudizio  davanti al giudice di pace di Roma, concludendo nel
 senso  della  irrilevanza  e  della  manifesta   infondatezza   della
 questione  relativa  all'art.  1  del  decreto  legge n. 473 del 1996
 qualora la  Corte  "ritenga  che  la  disposizione  non  incida,  con
 efficacia  retroattiva,  sul  preesistente  regime relativo alle c.d.
 quote prezzo", ovvero nel senso della rilevanza  e  della  fondatezza
 nel  caso  contrario;  nonche'  nel  senso  della irrilevanza e della
 manifesta infondatezza della questione  relativa  all'art.  3,  comma
 240, della legge n. 549 del 1995.
   7.  -  In  prossimita'  dell'udienza  ha depositato memoria l'ENEL,
 chiedendo che si dichiari l'inammissibilita' degli  interventi  delle
 parti del giudizio davanti al giudice di pace di Roma, o in subordine
 la  loro irricevibilita' per tardivita', ovvero, sotto altro profilo,
 la loro inammissibilita' nella parte in cui tenterebbero di estendere
 la questione a parametri non contemplati dal remittente.  La  memoria
 contesta  poi  le tesi affermate negli atti di intervento, e conclude
 insistendo per la dichiarazione di inammissibilita',  e  comunque  di
 infondatezza, delle questioni.
   8.  - Con ordinanza pronunciata all'udienza del 10 febbraio 1998 la
 Corte ha dichiarato inammissibili gli interventi spiegati in giudizio
 dalla signora Anna Ciaperoni e dalla  Associazione  Federconsumatori,
 parti  non  gia' del giudizio a quo ma di un altro giudizio, pendente
 davanti al giudice di pace di Roma, sospeso bensi'  in  attesa  della
 decisione  sulle  presenti questioni, ma nel cui corso non sono state
 sollevate, con  ordinanza  di  rimessione  a  questa  Corte,  ne'  le
 questioni medesime, ne' altre aventi analogo oggetto.
                         Considerato in diritto
   1.   -    Il  giudice  a  quo  solleva  questione  di  legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 della  Costituzione,
 di due disposizioni:  in primo luogo dell'art. 1 del decreto legge 13
 settembre   1996,  n.    473  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di
 trasparenza delle tariffe elettriche), convertito  con  modificazioni
 dalla legge 14 novembre 1996, n. 577, piu' precisamente investito nel
 solo  comma 1, ai cui sensi "gli effetti delle disposizioni di cui ai
 capitoli I e II del provvedimento  CIP  n.  32  del  23  maggio  1986
 cessano  a decorrere dal 30 giugno 1996"; in secondo luogo, dell'art.
 3, comma 240, della  legge  28  dicembre  1995,  n.  549  (Misure  di
 razionalizzazione  della  finanza  pubblica)  - abrogato dall'art. 1,
 comma 3, del medesimo decreto legge n. 473 del 1996 -  il  cui  primo
 periodo,  investito  dalla  censura, disponeva che "gli incrementi al
 sovrapprezzo termico"  (recte: le quote di prezzo) di cui al capitolo
 II, punto 1, lettere A e B, del provvedimento CIPE (recte: CIP) n. 32
 del 23 maggio 1986, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 121 del 27
 maggio  1986,  dopo  che   il   CIPE   avra'   accertato   l'avvenuto
 conseguimento   delle  finalita'  dello  stesso  provvedimento,  sono
 riassegnati al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
   Ad avviso dell'autorita' remittente, la prima disposizione  avrebbe
 il  contenuto  e  l'effetto di ridare vigore ed efficacia alle misure
 tariffarie disposte con il citato provvedimento  CIP  del  23  maggio
 1986,  che  introdusse le "quote di prezzo" a favore dell'ENEL, e con
 cio', essendosi esaurita - secondo la ricostruzione del giudice a quo
 - con il 31 dicembre 1993 la funzione originaria di dette  quote,  di
 compensazione  del  minore  apporto  del Tesoro al fondo di dotazione
 dell'ENEL, avrebbe in sostanza disposto una  prestazione  retroattiva
 simile  ad  una  imposta,  applicata alla sola "platea casuale" degli
 utenti domestici di energia elettrica, con violazione  del  principio
 di  eguaglianza,  e  non  correlata  alla  capacita' contributiva dei
 soggetti colpiti. La seconda disposizione, che  verrebbe  a  spiegare
 effetto  per  il  periodo - successivo all'esaurimento della funzione
 originaria delle dette quote, e anteriore  alla  sua  abrogazione  ex
 nunc  -  dal 1 gennaio 1994 al 30 giugno 1996, avrebbe trasformato le
 eccedenze delle quote di  prezzo  rispetto  al  conseguito  obiettivo
 originario  in  una  imposta diretta a finalita' generali di bilancio
 dello Stato, a sua volta applicata alla sola "platea  casuale"  degli
 utenti  domestici  di  energia  elettrica  e  non  in  ragione di una
 capacita' contributiva.
   2. - In ordine alla prima delle  questioni  sollevate,  non  merita
 accoglimento   l'eccezione   di   inammissibilita'   per  irrilevanza
 formulata dalla difesa dell'ENEL.
   Tale eccezione si fonda sul rilievo che il provvedimento CIP n.  32
 del 23  maggio  1986,  essendo  privo  di  alcun  termine  finale  di
 efficacia,   e   non   essendo   stato  mai  annullato  ne'  revocato
 dall'amministrazione, ha continuato a produrre effetto fino alla data
 a decorrere dalla quale la legge ne  ha  disposto  la  cessazione,  e
 cioe' fino al 30 giugno 1996: tanto piu' che, successivamente, l'art.
 3,  comma  7,  della  legge  14 novembre 1995, n. 481, non impugnato,
 ribadi', a seguito  della  riforma  del  sistema  e  della  creazione
 dell'Autorita'  per l'energia elettrica e il gas, che i provvedimenti
 gia' adottati dal CIP in materia  di  energia  elettrica  "conservano
 piena  validita'  ed efficacia, salvo modifica o abrogazione disposta
 dal Ministro, anche  nell'atto  di  concessione,  o  dalla  Autorita'
 competente".  Pertanto, essendo l'ENEL tenuto ad applicare la tariffa
 risultante dai provvedimenti del CIP,  stante  il  regime  di  prezzi
 amministrati  allora  vigente,  non  si  potrebbe  configurare  alcun
 indebito oggettivo  nei  confronti  degli  utenti,  tale  da  fondare
 l'azione  di  ripetizione esperita dagli attori nel giudizio a quo ai
 cui  fini  risulterebbero  dunque  prive di rilevanza le questioni di
 legittimita' costituzionale sollevate.
   La Corte osserva che il remittente fonda la  propria  ricostruzione
 del  quadro  normativo  sulla  premessa,  controversa e opinabile, ma
 esplicitamente da esso accolta, secondo cui il provvedimento  CIP  n.
 32   del   1986   avrebbe  cessato  di  produrre  effetto  a  seguito
 dell'avvenuto e accertato  conseguimento  dell'obiettivo  finanziario
 cui  -  si  assume  -  era  finalizzato  e vincolato, vale a dire con
 l'avvenuta maturazione da parte dell'ENEL di ricavi lordi,  a  titolo
 di  quote di prezzo riscosse sia direttamente sia attraverso le altre
 aziende distributrici di energia e la Cassa conguaglio per il settore
 elettrico, pari a 6.200 miliardi, cioe' alla cifra corrispondente  ai
 minori   apporti   al   fondo   di   dotazione   dell'ente  derivanti
 dall'applicazione dell'art. 18  della  legge  n.  41  del  1986.  Per
 conseguenza,  secondo  l'interpretazione  del  giudice a quo, l'unico
 titolo giuridico che  giustificherebbe,  a  posteriori,  la  avvenuta
 riscossione  delle quote prezzo dopo il 1 gennaio 1994, e impedirebbe
 dunque  di  accogliere  la   domanda   di   ripetizione   di   quanto
 indebitamente  riscosso  dall'ENEL,  sarebbe appunto la norma dettata
 dall'art. 1, comma 1,  del  decreto  legge  n.  473  del  1996,  che,
 disponendo  la  cessazione  degli effetti del provvedimento CIP a far
 tempo  dal  30  giugno  1996,   avrebbe   implicitamente   conferito,
 retroattivamente,  efficacia  fino  a  tale  data  ad una imposizione
 tariffaria, che si assume scaduta il 31 dicembre 1993.
   La Corte non deve, ai fini dello scrutinio di ammissibilita'  della
 questione,  esaminare la fondatezza di tale ricostruzione del sistema
 normativo: e' sufficiente, per ritenerla ammissibile,  osservare  che
 il remittente ha affermato la rilevanza della questione medesima, con
 motivazione  che  non  appare prima facie priva di ogni plausibilita'
 (cfr. sentenze n. 173 del 1994, n. 521 del 1995).
   3. - La questione e' tuttavia infondata.
   Le quote prezzo  furono  introdotte,  come  si  e'  visto,  con  il
 provvedimento  CIP  n.  32 del 1986, senza scadenze temporali e senza
 alcun diretto aggancio con  un  ammontare  di  ricavi  esplicitamente
 definito,  tale  che  con  il  suo  conseguimento  potesse  ritenersi
 automaticamente cessata l'efficacia del provvedimento  medesimo.  Con
 esso il CIP si limito' ad esercitare la potesta' tariffaria allora di
 sua  spettanza,  modificando  le  tariffe  in  vigore  per  le utenze
 domestiche e precisamente riducendo, come prevedeva l'art. 17,  comma
 3,  della  legge  n.  41  del  1986,  le agevolazioni prima di allora
 previste, con un provvedimento ritenuto necessario "anche  per  tener
 conto  dei  minori  introiti  derivanti  all'ENEL"  dalla  riduzione,
 conseguente all'applicazione dell'art. 18 della stessa  legge,  degli
 apporti al relativo fondo di dotazione.
   Il  provvedimento,  come  ritenne  il  giudice  amministrativo, era
 finalisticamente   legato   al   conseguimento   dell'obiettivo    di
 compensazione  finanziaria  dell'ENEL per tali minori apporti (e cio'
 spiega - stante l'unicita' della tariffa nel territorio  nazionale  -
 il  meccanismo  del trasferimento a favore di questo ente anche delle
 quote riscosse a  carico  degli  utenti  ai  quali  l'energia  veniva
 somministrata  da  aziende  diverse dall'ENEL medesimo), e quindi era
 destinato ad avere un effetto solo temporaneo. Tuttavia  esso  era  e
 resta un provvedimento operante sulle tariffe elettriche, espressione
 della  potesta'  tariffaria  allora  spettante  al  CIP, e non assume
 dunque alcun carattere tributario, costituendo la tariffa, bensi', un
 prezzo  pubblico  imposto  in  base  alla  legge, soggetto ai vincoli
 dell'art. 23 della Costituzione (cfr.  sentenza n. 72 del  1969),  ma
 non  un'imposta,  cui  si  applichino  i  precetti dell'art. 53 della
 Costituzione, che valgono solo per la materia propriamente tributaria
 (cfr. sentenza n. 311 del 1995).
   Peraltro,  mentre  il  carattere  temporaneo,  e   vincolato   allo
 specifico  fine,  della misura tariffaria in questione venne, come si
 e' detto, affermato  in  sede  giurisdizionale,  nessun  accertamento
 definitivo  ed  univoco  ha  avuto  luogo per quanto attiene al punto
 controverso  dei  criteri  con   i   quali   dovesse   valutarsi   il
 conseguimento dell'obiettivo finanziario connesso alla misura stessa,
 e  dunque  del  modo  di  determinare  il momento a partire dal quale
 dovesse  ritenersi  esaurito  il   fine   ad   essa   assegnato.   La
 comunicazione  effettuata  in proposito dalla Cassa conguaglio con la
 nota del 15 dicembre 1993 non  aveva  alcun  valore  di  accertamento
 amministrativo,  ma era una semplice e neutra informazione su un dato
 contabile, peraltro non controverso. Restavano invece controverse  ed
 incerte almeno due questioni: se l'obiettivo finanziario della misura
 tariffaria  dovesse  ritenersi  raggiunto  con il conseguimento di un
 ammontare di ricavi da quote prezzo pari,  in  termini  monetari,  ai
 minori  apporti al fondo di dotazione dell'ENEL, o invece solo con il
 conseguimento di un ammontare di ricavi tale che, tenendo conto degli
 oneri fiscali e finanziari gravanti  sull'ENEL,  desse  luogo  ad  un
 risultato  equivalente  in  termini economici a quello che si sarebbe
 avuto con gli apporti al fondo di dotazione non  piu'  effettuati;  e
 se,   dopo  le  modifiche  delle  tariffe  delle  utenze  domestiche,
 intervenute con i provvedimenti CIP n. 45 del 19 dicembre 1990  e  n.
 15  del  14  dicembre  1993,  adottati senza tenere alcun conto delle
 quote prezzo e della loro specifica  finalizzazione,  potesse  ancora
 ritenersi  attuale la specifica finalita' finanziaria di dette quote,
 o  questa  non  dovesse  invece  ritenersi  in  qualche   modo   gia'
 soddisfatta in virtu' del calcolo economico che stava alla base delle
 nuove tariffe.
   In  particolare,  per quanto riguarda la prima questione, dibattuta
 all'interno della stessa amministrazione statale, si  contrapponevano
 da  un lato i due pareri del Consiglio di Stato in data 20 febbraio e
 26 marzo 1996, favorevoli al calcolo "al lordo" dei ricavi  (peraltro
 in  un  contesto  in  cui non si discuteva della cessazione eventuale
 della misura tariffaria, ma della destinazione dei relativi  proventi
 all'ENEL  piuttosto  che  al  Fondo  per l'ammortamento dei titoli di
 Stato, ai sensi dell'art. 3, comma 240, della legge n. 549 del 1995);
 dall'altro lato l'opinione opposta,  favorevole  ad  un  calcolo  "al
 netto",  in  termini  di  equivalenza  economica (sulle cui modalita'
 peraltro gravavano ulteriori incertezze, dovute alle  difficolta'  di
 comparazione  dei  diversi  elementi  del  rapporto),  sostenuta  dal
 Governo e tradotta poi esplicitamente  nelle  disposizioni  dell'art.
 1,  commi 2 e 3, del decreto legge n. 227 del 1996, non convertito in
 legge, in applicazione dei quali la delibera del CIPE 9  maggio  1996
 accerto'  il  non  ancora  raggiunto  conseguimento dell'obiettivo di
 compensazione cui erano finalizzate  le  quote  prezzo.  Entrambe  le
 opinioni  potevano,  con  almeno  eguale  fondamento,  richiamarsi al
 generico dettato dell'art. 17, comma 3, della legge n. 41  del  1986,
 secondo  cui il CIP avrebbe dovuto adottare i provvedimenti necessari
 "anche  per tener conto dei minori introiti" derivanti all'ENEL dalla
 riduzione degli apporti al fondo di dotazione,  senza  che  venissero
 precisate le modalita' di tale "tener conto".
   Le  due tesi convergevano peraltro nel ritenere comunque necessario
 un espresso accertamento in via amministrativa, a cui avrebbe  dovuto
 fare  seguito  la cessazione della misura tariffaria o la devoluzione
 all'erario  dei  proventi   che   risultassero   eccedenti   rispetto
 all'obiettivo, una volta verificatone il conseguimento.
   Il  decreto-legge n. 473 del 1996, il cui art. 1 e' stato censurato
 in questa sede, e' intervenuto dunque in una situazione di  obiettiva
 incertezza,  discendente  dalla genericita' dei dettati legislativi e
 dai dubbi nell'applicazione dei medesimi: quella situazione  rilevata
 dallo stesso Consiglio di Stato, che concludeva il secondo dei pareri
 espressi   in  argomento  rilevando  che  lo  squilibrio  finanziario
 dell'ENEL, di cui si discuteva, "risulta sostanzialmente addebitabile
 all'oscurita'   delle   disposizioni   di   legge   in   materia   ed
 all'incertezza  che  si  e' riscontrata riguardo alle modalita' della
 loro corretta applicazione" (Sez. III, parere n.  353  del  26  marzo
 1996).
   Alla  stregua  di  quanto si e' detto, deve dunque ribadirsi che la
 disposizione legislativa impugnata non  impone  retroattivamente  una
 prestazione  di natura tributaria, bensi' costituisce espressione del
 potere tariffario gia' oggetto della disciplina di cui all'art.    17
 della  legge  n. 41 del 1986, ed e' diretta a risolvere, anche in via
 sostanzialmente interpretativa, la situazione di incertezza circa  la
 durata   nel   tempo  della  misura  tariffaria  adottata  nel  1986,
 eliminando  la  necessita'  dell'accertamento   amministrativo   gia'
 demandato  al  CIPE,  e sancendo direttamente - con una scelta volta,
 come si esprime la premessa  del  decreto-legge,  ad  assicurare  "la
 trasparenza  dei meccanismi tariffari e la tutela degli utenti, senza
 alterare gli  equilibri  finanziari  del  bilancio  statale  e  delle
 societa'  operanti  nel  settore"  -  la cessazione degli effetti del
 provvedimento CIP n. 32 del 1986 a  decorrere  dal  30  giugno  1996.
 Nella  sostanza,  la  norma  impugnata,  in  continuita' e in stretto
 collegamento con l'originaria disposizione  della  legge  n.  41  del
 1986,  e  nell'esercizio  della stessa potesta' statale in materia di
 tariffe elettriche, ha realizzato una non irragionevole  composizione
 degli  interessi  coinvolti  nella  materia,  afferenti  da  un  lato
 all'ente  erogatore  dell'energia  elettrica  e  al  suo   equilibrio
 finanziario, dall'altro lato agli utenti dell'energia medesima.
   La  norma  impugnata  ha  dunque bensi' sganciato l'efficacia della
 misura tariffaria in questione da un accertamento  amministrativo  in
 termini  di  equivalenza  matematica  dei  suoi  risultati finanziari
 rispetto all'originario obiettivo di compensazione dei minori apporti
 al fondo di dotazione dell'ENEL - equivalenza matematica che peraltro
 non risultava nemmeno  dalla  originaria  disposizione  dell'art.  17
 della  legge  n.  41  del  1986 -, ma non per questo ha modificato la
 natura esclusivamente tariffaria della misura,  e  della  correlativa
 prestazione  imposta  agli utenti. Non trattandosi, come si e' detto,
 di norma che imponga una prestazione di  tipo  tributario,  risultano
 prive  di  fondamento le censure volte a lamentare una violazione dei
 principi  di  eguaglianza   e   di   capacita'   contributiva   nella
 imposizione.
   4.  -  La  seconda questione, relativa all'art. 3, comma 240, della
 legge n. 549 del 1995, e' inammissibile per difetto di rilevanza.
   La disposizione censurata, come si  e'  detto  nell'esposizione  in
 fatto,  sopravvenne  nel  corso  della  complessa vicenda, quando era
 incerto e controverso il momento in cui dovesse  ritenersi  raggiunto
 l'obiettivo  finanziario  cui  era  collegata  la modifica tariffaria
 varata nel 1986. Essa attribuiva al CIPE il compito di  procedere  in
 via  amministrativa  all'accertamento,  stabilendo  all'uopo un breve
 termine. La contestuale previsione della devoluzione delle  eccedenze
 al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato non aveva il senso di
 voler  imprimere  stabilmente  una  nuova  destinazione  ad  introiti
 tariffari. Poiche' l'accertamento avrebbe potuto  intervenire  in  un
 momento  successivo  a  quello  nel  quale l'obiettivo finanziario in
 questione  risultasse  raggiunto,  data   l'accertabilita'   solo   a
 posteriori,   in   termini  finanziari  precisi,  dell'entita'  degli
 introiti (sul presupposto,  evidentemente,  che  tale  obiettivo  non
 fosse  gia',  all'epoca  -  siamo  alla  fine  del 1995 -, senz'altro
 acquisito), la disposizione in esame introduceva  un  meccanismo  che
 consentisse  di  conservare  gli  effetti gia' esplicati dalla misura
 tariffaria nei confronti degli utenti, privando  pero'  l'ENEL  degli
 introiti  che  fossero  risultati eccedenti rispetto all'obiettivo di
 compensazione finanziaria perseguito dal legislatore del  1986.  Cio'
 trova  conferma  nel  successivo  intervento legislativo del Governo,
 attuato con il decreto legge n.  227  del  1996,  non  convertito  in
 legge,  il  quale,  all'art.  1, comma 1, riformulava la disposizione
 dell'art. 3, comma 240, della  legge  n.  549  del  1995,  stabilendo
 espressamente   la   cessazione   degli   effetti  del  provvedimento
 tariffario a seguito dell'accertato conseguimento  dell'obiettivo,  e
 la  devoluzione all'erario della eventuale eccedenza delle quote gia'
 riscosse al momento di tale accertamento.
   Successivamente il Governo  stesso  cambio'  soluzione,  prima  con
 l'art.  1 del decreto legge n. 371 del 1996, anch'esso decaduto (ma i
 cui effetti sono stati fatti salvi dall'art. 1, comma 2, della  legge
 14  novembre  1996,  n.  577, di conversione del successivo decreto),
 poi, nel medesimo senso, con l'art. 1 del decreto legge  n.  473  del
 1996, censurato in questa sede. Abbandonata la strada - rivelatasi di
 incerto   e   difficile   percorso   -   dell'accertamento   in   via
 amministrativa, ad opera  del  CIPE,  del  conseguimento  in  termini
 matematici   dell'obiettivo   finanziario   connesso   alla   manovra
 tariffaria in questione, si passo' a fissare direttamente  per  legge
 la data di cessazione dell'efficacia del provvedimento tariffario del
 1986,   prescindendo  da  un  accertamento  specifico  sugli  effetti
 finanziari prodotti a quella data rispetto al bilancio  dell'ENEL,  e
 quindi sganciando tale efficacia da una matematica corrispondenza con
 determinati  risultati  finanziari  nell'ambito di detto bilancio; di
 conseguenza  veniva  meno  il  fondamento   logico   della   prevista
 devoluzione   all'erario   delle   eccedenze   di  introiti  rispetto
 all'obiettivo,  e  per  questo  si   stabili'   l'abrogazione   della
 disposizione che prevedeva tale devoluzione.
   L'abrogazione  non  comporta,  in  questo  caso,  come  vorrebbe il
 remittente, la conferma dell'efficacia della norma  abrogata  per  il
 tempo  anteriore  alla  data  dell'abrogazione:  il  venir meno dello
 stesso presupposto  della  norma,  consistente,  come  si  e'  detto,
 nell'accertamento  amministrativo  del  conseguimento  dell'obiettivo
 della  misura  tariffaria,  e  nella  devoluzione  all'erario   delle
 eccedenze  risultanti  rispetto a tale obiettivo, definito in termini
 finanziariamente precisi, faceva venir meno la stessa possibilita' di
 una siffatta  devoluzione.  Cadute  la  necessita'  e  la  previsione
 dell'accertamento  amministrativo,  e  sganciata  la durata nel tempo
 della misura tariffaria  dal  computo  matematico  dei  suoi  effetti
 finanziari,  non sarebbe stato e non sarebbe piu' possibile devolvere
 all'erario alcunche'. Deve pertanto ritenersi che, con  l'abrogazione
 disposta  dall'art.  1,  comma  3, del decreto legge n. 473 del 1996,
 accompagnata dalle altre innovazioni normative di cui si e' detto, la
 disposizione in esame  abbia  perduto  definitivamente  e  totalmente
 efficacia,  e  non  sia  dunque  in  grado  di spiegare alcun effetto
 qualificatorio sui rapporti dedotti nel giudizio a quo e negli  altri
 analoghi giudizi in corso: onde la questione e' priva di rilevanza.