ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  34,  comma  2,
 del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24
 gennaio 1997 dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 tribunale  di  Sala  Consilina,  iscritta  al  n.  317  del  registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7  aprile 1998 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
   Ritenuto che con ordinanza del 24 gennaio 1997 il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso  il  tribunale  di  Sala  Consilina  ha
 sollevato, in riferimento agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del
 codice di procedura penale, nella parte in cui non  prevede  che  non
 possa  partecipare  all'udienza  preliminare  nei confronti di alcuni
 imputati  il  giudice  che  abbia,  in  una  precedente  sentenza  di
 applicazione  della  pena  concordata  resa  nei  confronti  di altri
 imputati, valutato incidentalmente la posizione dei primi, esprimendo
 un giudizio sulla sussistenza  degli  elementi  materiali  del  reato
 contestato, agli uni e agli altri, a titolo di concorso;
     che  nell'ipotesi anzidetta, che ricorre nel giudizio principale,
 il rimettente ravvisa una  violazione  dei  parametri  costituzionali
 invocati,  alla  stregua  della  sentenza  n.  371 del 1996 di questa
 Corte, che ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 34,  comma  2,  cod.  proc. pen. nella parte in cui non prevede quale
 causa di incompatibilita' al giudizio nei confronti di un imputato la
 precedente pronuncia di una sentenza, resa nei confronti di  soggetti
 diversi, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine
 alla sua responsabilita' penale sia gia' stata comunque valutata;
     che,  ad  avviso del rimettente, l'ipotesi sottoposta a scrutinio
 sarebbe analoga a quella oggetto della sentenza citata:  la  sentenza
 di   patteggiamento   ex   art.   444   cod.   proc.   pen.  comporta
 l'apprezzamento della sussistenza di  elementi  oggettivi  dei  reati
 contestati,  assumendo  pertanto  forza  pregiudicante  rispetto alla
 successiva valutazione sulla responsabilita' di  altri  imputati  dei
 medesimi  reati  a  titolo  di  concorso;  d'altra  parte, il giudice
 dell'udienza  preliminare  e'  chiamato  a  svolgere,  in  essa,  una
 funzione  qualificabile come giudizio, in particolare a seguito della
 modifica dell'art. 425 cod. proc.   pen. apportata  con  la  legge  8
 aprile  1993,  n.  105,  giacche'  il decreto che dispone il giudizio
 presenta  un  "contenuto  di  accertamento  positivo",  sia  pure  di
 carattere  probabilistico,  della  sussistenza  di  elementi idonei a
 fondare l'affermazione di responsabilita' dell'imputato;
     che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
   Considerato che la  disciplina  dell'incompatibilita'  del  giudice
 vale  a  evitare  che l'attivita' di "giudizio", cioe' la valutazione
 sul merito dell'accusa, sia, o  appaia,  pregiudicata  da  precedenti
 valutazioni della medesima natura compiute dallo stesso giudice;
     che,  come  numerose  volte  e'  stato affermato da questa Corte,
 nell'udienza preliminare il giudice e' chiamato non gia'  a  svolgere
 una  valutazione  sul  merito  dell'accusa,  bensi'  a controllare la
 legittimita'  della  domanda  di  giudizio  formulata  dal   pubblico
 ministero,   dandole   ingresso   ovvero   paralizzandola,   con  una
 delibazione di carattere processuale (sentenze nn. 311, 206 e 94  del
 1997;  ordinanze  nn.  91 del 1998, 367 e 97 del 1997, 410, 333, 279,
 232 e 24 del 1996);
     che l'anzidetta configurazione dell'udienza  preliminare  esclude
 che  in  essa possa ravvisarsi una funzione di "giudizio" - come tale
 suscettibile  di  essere   condizionato   da   precedenti   attivita'
 valutative  e decisorie - e cio' anche dopo la modifica dell'art. 425
 cod. proc.  pen. operata dalla legge 8 aprile 1993, n.  105,  con  la
 soppressione  del  requisito  dell'evidenza  ai  fini del decreto che
 dispone il giudizio, poiche' comunque l'apprezzamento del giudice, in
 detta udienza e in vista di  detto  decreto,  "non  si  sviluppa  ...
 secondo  un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o innocenza,
 ma si incentra sulla ben  diversa  prospettiva  di  delibare  ...  se
 risulti  o  meno  necessario  dare  ingresso alla successiva fase del
 dibattimento" (sentenze nn.  51 del 1997 e 71 del 1996);
     che, in assenza dei caratteri del giudizio, non  puo'  delinearsi
 alcun  pregiudizio, rilevante in termini di imparzialita' e terzieta'
 del giudice;
     che pertanto, non apportando il rimettente argomentazioni  idonee
 a  condurre a diversa conclusione, la questione sollevata deve essere
 dichiarata manifestamente infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.