ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 51, comma 1,
 n. 4, e 669-octies del codice di procedura civile, promossi con n.  2
 ordinanze  emesse  il  6 ed il 17 ottobre 1997 dal giudice istruttore
 del tribunale di Torino nei procedimenti civili  vertenti  tra  Geuna
 Giuseppe  ed  altri  e Bulgarello Sergio e tra l'azienda agricola "La
 Meridiana" e il Caseificio centro latte  Centallo  S.r.l.  ed  altra,
 iscritte  ai  nn.  826 e 886 del registro ordinanze 1997 e pubblicate
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  48,  prima   serie
 speciale,  dell'anno  1997  e  n.  2, prima serie speciale, dell'anno
 1998;
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  6  maggio 1998 il giudice
 relatore Cesare Ruperto;
   Ritenuto che due giudici istruttori presso il tribunale di Torino -
 designati dal  presidente  di  quel  tribunale  per  l'istruzione  di
 altrettanti  giudizi  di  merito,  instaurati dagli attori a se'guito
 della concessione ante causam di provvedimenti cautelari  atipici  ex
 art.  700  del  codice  di  procedura  civile  - hanno sollevato, con
 ordinanze  emesse  il  6  ed  il  17  ottobre  1997,   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  51,  primo  comma, n. 4, del
 codice di procedura civile, "nella parte in cui non  prevede  che  il
 giudice abbia l'obbligo di astenersi allorche' abbia conosciuto della
 causa  in  sede  di  procedimento cautelare proposto anteriormente al
 giudizio di merito", ovvero del  successivo  art.  669-octies  "nella
 parte in cui non prevede (con disposizione analoga a quella contenuta
 nel  secondo  comma  dell'art.  669-terdecies) una specifica causa di
 incompatibilita' alla trattazione e decisione del giudizio di  merito
 costituita  dall'aver  conosciuto  della  controversia nella fase del
 procedimento cautelare introdotto prima dell'inizio  della  causa  di
 merito";
     che,  secondo  i  rimettenti, sarebbero trasponibili nel processo
 civile,    in    quanto    delineate     intorno     al     caposaldo
 dell'imparzialita'-terzieta'  del  giudice,  le affermazioni generali
 fatte da questa Corte circa la "forza di prevenzione", e pertanto  le
 denunciate  norme  si  porrebbero  in  contrasto  con l'art. 24 della
 Costituzione;
     che infatti vi sarebbe l'assunzione, da parte del giudice in sede
 cautelare, di vere e proprie valutazioni sulla medesima res judicanda
 non limitate alla mera conoscenza dei fatti ma  riferite  ad  aspetti
 sostanziali  della  situazione giuridica controversa; e cio' potrebbe
 di fatto pregiudicare,  o  anche  solo  fare  apparire  pregiudicata,
 l'imparzialita'  del giudice stesso, riferita all'attivita' decisoria
 nel successivo ed autonomo giudizio di merito;
     che, in entrambi i giudizi,  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello Stato, la quale  ha  concluso  per  l'inammissibilita'
 ovvero per l'infondatezza delle sollevate questioni.
   Considerato  che  -  trattando  questioni  identiche, sollevate con
 riguardo alle stesse disposizioni  di  legge  e  con  riferimento  al
 medesimo  parametro  di  costituzionalita' - i giudizi possono essere
 riuniti e congiuntamente decisi;
     che,  con  sentenza n. 326 del 1997 (successiva alle ordinanze di
 rimessione), questa Corte ha  gia'  dichiarato  non  fondata  analoga
 questione,  affermando  che  la  netta  distinzione  fra gli atti del
 processo civile - informato  al  principio  dispositivo,  svolgentesi
 attraverso  il  contraddittorio tra le parti, su un piano di "parita'
 delle  armi"  -  e  quelli  del  processo  penale  -   essenzialmente
 finalizzato  all'accertamento del fatto ascritto all'imputato, la cui
 posizione viene costantemente assistita dal favor rei - non  consente
 di ravvisare, al di la' di una mera suggestione lessicale, l'asserito
 parallelismo  supposto  dai  rimettenti  in ordine all'applicabilita'
 degli  istituti  di   incompatibilita'   soggettiva   nella   materia
 cautelare;
     che,  in  particolare, la Corte ha osservato come i provvedimenti
 cautelari adottati dal giudice civile - aventi carattere strumentale,
 rispetto non gia' al merito della causa,  bensi'  alla  realizzazione
 del diritto da accertare in tale sede - costituiscono espressione del
 principio,  secondo  cui ogni situazione giuridica deve poter trovare
 un suo momento cautelare, che non porta ad esprimere una "valutazione
 contenutistica" su fatti aventi  rilevanza  nella  causa  di  merito;
 aggiungendo  che  il  successivo  giudizio  civile  di  merito non e'
 descrivibile in termini di revisio prioris instantiae  operata  sulla
 medesima  res judicanda dovendosi escludere che la decisione espressa
 sulla  domanda  cautelare  possa   configurarsi   come   ragione   di
 condizionamenti suscettibili di minare l'imparzialita' del giudice;
     che  tali  considerazioni  assumono valenza generale, estensibile
 anche al censurato art. 669-octies cod. proc. civ;
     che,  dunque,  in  assenza  di  ulteriori  motivi   offerti   dai
 rimettenti   a   sostegno   dei  denunciati  vizi  di  illegittimita'
 costituzionale, le questioni devono essere dichiarate  manifestamente
 infondate.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.