IL TRIBUNALE
   Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   sulla  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  sollevata   dal   pubblico   ministero
 all'udienza  19  marzo 1998 nel procedimento 507/94 r.g.n.r. - 114/94
 r.g.t.r.i.b. dell'art.   513, comma 1, c.p.p.  per  violazione  degli
 articoli  3,  97  e  112  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
 condiziona  l'utilizzabilita'  nei  confronti  dei  coimputati  delle
 dichiarazioni  rese  dall'imputato  assente,  contumace,  o che si e'
 rifiutato di rendere l'esame, al consenso delle parti,  nonche',  per
 gli   stessi   motivi   dell'art.  6,  comma  5,  delle  disposizioni
 transitorie della novella;
   Sentite le parti concludere sul punto come da verbale;
   Considerata la rilevanza della questione nel procedimento de quo  a
 seguito  dell'avvenuta  produzione,  da parte del pubblico ministero,
 del processo verbale delle dichiarazioni rese il  10  marzo  1994  in
 interrogatorio,   avanti  alla  polizia  giudiziaria  su  delega  del
 pubblico ministero, dall'imputato  Casciello  Renato,  contumace,  ai
 sensi  dell'art.    513, comma 1, c.p.p., e a seguito del manifestato
 dissenso  delle  altre  parti  all'utilizzabilita'  anche  nei   loro
 confronti   delle   predette   dichiarazioni,   contenenti  espliciti
 riferimenti alla posizione dei coimputati gerani Pierpaolo, Rivoldini
 Valter e Nastro Vincenzo, tratti a giudizio, assieme al  Cerani,  per
 il  reato di concorso in bancarotta fraudolenta documentale, ai sensi
 degli articoli 110 c.p., 216 comma 1, n. 2) e 223 r.d. n. 267/42  dal
 29 aprile 1987 al 30 gennaio 1992;
                                Osserva
   La  questione di legittimita' costituzionale sollevata dal pubblico
 ministero non e' manifestamente infondata.
   Infatti l'attuale testo del comma 1, dell'art.  513  c.p.p.,  cosi'
 come novellato dalla legge n. 267/1997, limitatamente alle parole "ma
 tali  dichiarazioni  non  possono  essere utilizzate nei confronti di
 altri senza il loro  consenso"  viola  innanzitutto  l'art.  3  della
 Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza nel trattamento
 di  casi  analoghi,  poiche' permette al coimputato, che ha gia' reso
 dichiarazioni coinvolgenti la posizione di  altro  coimputato,  o  al
 pubblico ministero o alla p.g. delegata, decidere, rispondendo o meno
 in  dibattimento,  se  e  per  quale  coimputato rendere effettivo il
 potere   di   quest'ultimo   di   opporsi   all'utilizzabilita'    di
 dichiarazioni  rese  in  fase di indagini preliminari, in questo modo
 facendo derivare dall'arbitrio di un terzo la possibilita' o meno  di
 un  soggetto,  imputato  in un procedimento penale, di incidere sulla
 utilizzabilita'  dei  risultati  delle  fonti  di  prova   contenenti
 elementi  rilevanti  per  la  sua  posizione,  con evidente possibile
 disparita' di trattamento tra coimputati nello stesso procedimento, o
 in procedimenti nati da una stessa indagine e poi  stralciati,  o  in
 procedimenti distinti ma che esaminino imputati in analoga posizione,
 per  i  quali  a  volte l'estensione di utilizzabilita' del materiale
 probatorio sara' massima e a volte limitata, a seconda  semplicemente
 dell'atteggiamento  processuale di un terzo (poiche' solo se il terzo
 non compare o non risponde sorgera'  il  potere  dell'interessato  di
 opporsi  all'utilizzazione  delle  dichiarazioni rese in indagine dal
 terzo nei  suoi  confronti),  con  ulteriore  irragionevolezza  delle
 possibili  conseguenze a livello di definizione del procedimento, che
 potra' essere, in relazione  alla  stessa  vicenda  processuale,  con
 soluzioni   anche   opposte   per  ciascun  coimputato  nello  stesso
 procedimento,  nonostante  la  sussistenza  dello  stesso   materiale
 probatorio raccolto in sede di indagine, o potra' essere di contrasto
 di  giudicati,  nel  caso  di  procedimenti  stralciati per qualsiasi
 motivo.
   In secondo luogo, lo stesso inciso dell'art. 513, comma 1, viola le
 norme di cui agli articoli 101, seondo comma, e 112,  Cost.,  poiche'
 da un lato rende il giudice subordinato nelle sue decisioni di merito
 a   due  atti  sostanzialmente  arbitrari  di  parte,  il  primo  del
 coimputato che ha reso dichiarazioni in istruttoria,  che  decide  se
 rispondere   o   meno  in  dibattimento,  ed  il  secondo  dell'altro
 coimputato, nei cui confronti il primo ha reso in  istruttoria  delle
 dichiarazioni,  che  il  secondo puo' impedire al giudice di valutare
 semplicemente  opponendosi,  qualora  il  primo  non   abbia   inteso
 rispondere in dibattimento, con cio' violando il principio secondo il
 quale  il  giudice  e' soggetto soltanto alla legge e non alle mere e
 immotivate manifestazioni di volonta' di parte, e poiche'  dall'altro
 lato  incide  sull'obbligatorieta'  dell'azione  penale, poiche' tale
 principio verrebbe sostanzialmente vanificato, se l'utilizzazione dei
 risultati  del   suo   esercizio   fossero   lasciati   alla   libera
 disponibilita' dei soggetti nei cui confronti venisse esercitata (che
 in  base  allo  stesso  principio  potrebbero  essere facoltizzati in
 futuro   a   decidere   se   opporsi   o   meno   ai   risultati   di
 un'intercettazione,  di  una perquisizione, o di una testimonianza, a
 seconda della convenienza).
   D'altra  parte tale dispersione delle fonti di prova risulta essere
 in  contrasto  col  principio,  da  sempre   ribadito   dalla   Corte
 costituzionale,  in sentenze 3 giugno 1992 n. 254 e 24 febbraio 1995,
 n. 260 della necessita' di preservare il  fine  ultimo  del  processo
 penale,  che  e'  quello  di  accertamento  della  verita', che viene
 perseguito  col   necessario   contemperamento   tra   il   principio
 dell'oralita'  e  quello  della non dispersione delle fonti di prova,
 principio  che  esiste  nel  nostro  ordinamento  processuale  e  che
 traspare da numerosi articoli (relativi alla formazione del fascicolo
 per  il  dibattimento,  al  meccanismo  dell'incidente probatorio, al
 meccanismo delle contestazioni,  al  sistema  delle  letture)  e  che
 costituisce  correttivo indispensabile al principio dell'oralita', in
 modo da garantire un corretto equilibrio tra questi due principi,  al
 fine di impedire che uno squilibrio eccessivo a favore di uno di essi
 comporti  una  deviazione  intollerabile  del processo da un corretto
 iter tendente all'accertamento  della  verita',  che,  si  ribadisce,
 costituisce,  come  ha  affermato  la  Corte  costituzionale "il fine
 primario ed ineludibile del processo penale".
   Si deve ravvisare altresi' un ulteriore profilo di irragionevolezza
 della normativa di cui  all'art.  6  delle  disposizioni  transitorie
 della  legge  7  agosto  1997  n.  267,  con  conseguente  profilo di
 incostituzionalita', per violazione dell'art. 3  della  Costituzione,
 nella  parte  in  cui  permette  l'immediata applicabilita' del testo
 novellato ai giudizi di primo grado nei quali  il  dichiarante  venga
 esaminato  dopo  l'entrata  in  vigore della novella, senza prevedere
 alcuna clausola di salvaguardia analoga a quella prevista dai commi 2
 e 5 dello stesso articolo per il caso di dichiarante  gia'  esaminato
 in   dibattimento,   con   conseguente  irragionevole  differenza  di
 trattamento degli imputati i cui procedimenti abbiano  gia'  esaurito
 la  fase  delle  indagini  e siano pervenuti gia' a dibattimento, con
 impossibilita' quindi per il pubblico  ministero  ormai  di  chiedere
 l'incidente  probatorio  per prevenire la possibile inutilizzabilita'
 successiva delle dichiarazioni gia' da lui raccolte, e gli imputati i
 cui  procedimenti  permettano  ancora  questa  scelta  del   pubblico
 ministero,  poiche'  il  primo  gruppo  di  imputati  si  trovera' in
 posizione  molto  piu'  vantaggiosa   dei   secondi,   determinandosi
 irragionevolmente  tale  differenza soltanto per lo stato casuale del
 procedimento alla data di entrata in vigore della normativa.