ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 16, comma 4
 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988,  n.
 65  (Modifiche  alla  legge  regionale  7  settembre  1987,  n. 30 ed
 ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti  solidi),  come
 interpretato  dall'art.  29  della legge regionale 14 giugno 1996, n.
 22 (Modifiche alla  legge  regionale  7  settembre  1987,  n.  30  ed
 ulteriori  norme  in  materia  di smaltimento dei rifiuti solidi e di
 attivita' estrattive), promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1997
 dal g.i.p.   presso la Pretura di Udine  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  Giancarlo  Toso  n.q.,  iscritta  al  n. 321 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1997.
    Visto l'atto di intervento della Regione Friuli-Venezia Giulia;
   Udito nell'udienza pubblica del 13 gennaio 1998 il giudice relatore
 Piero Alberto Capotosti;
   Udito l'avv.to Renato Fusco per la Regione Friuli-Venezia Giulia.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  giudice  per  le  indagini preliminari presso la Pretura
 circondariale di Udine, con ordinanza del 27 marzo 1997, ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 16, comma 4, della
 legge  regionale  Friuli-Venezia  Giulia  28  novembre  1988,  n.  65
 (Modifiche  alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori
 norme in  materia  di  smaltimento  dei  rifiuti  solidi)  il  quale,
 nell'interpretazione   autentica  datane  dall'art.  29  delle  legge
 regionale Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla
 legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia
 di  smaltimento  dei  rifiuti  solidi  e  di  attivita'  estrattive),
 stabilisce  che  negli impianti di discarica dei rifiuti, autorizzati
 ai sensi della prima delle due leggi, non possono essere  smaltiti  i
 rifiuti importati da altre regioni, in riferimento agli artt. 3, 41 e
 116 della Costituzione.
   2. - Il p.m. aveva richiesto al g.i.p. l'archiviazione di un affare
 rubricato,  sotto l'ipotesi di reato dell'art. 27 d.P.R. 10 settembre
 1982, n. 915, al nome  del  legale  rappresentante  di  una  societa'
 esercente  lo smaltimento di rifiuti urbani e speciali in Pozzolo del
 Friuli.  Nel corso delle indagini preliminari si  era  accertato  che
 nell'impianto   in   questione   venivano   trattati  rifiuti  solidi
 assimilabili ai rifiuti urbani provenienti da  altra  regione,  ossia
 una  condotta  astrattamente  idonea  ad integrare una violazione dei
 limiti dell'autorizzazione di cui  l'imprenditore  era  titolare  dal
 1990. Cio' in quanto la disposizione interpretativa ha esplicitato il
 divieto   espresso   di   smaltimento   dei  rifiuti  di  provenienza
 extraregionale, precisandone  la  riferibilita'  anche  a  tutti  gli
 impianti  di  discarica  considerati dalla precedente legge ed ha, in
 tal modo, ampliato il novero delle  "prescrizioni"  relative  a  tali
 impianti, la cui infrazione e' penalmente sanzionabile.
   Il  giudice  a  quo  deduce  che, in mancanza di una pianificazione
 regionale degli impianti in grado di assicurare  lo  smaltimento  dei
 rifiuti   interni,   la   disciplina  legislativa  regionale  risulta
 discriminatoria e viola gli artt. 3 e 41 della  Costituzione  "atteso
 che  il divieto di smaltire rifiuti provenienti da fuori regione crea
 inevitabilmente  un'alterazione   dell'assetto   concorrenziale   del
 mercato  della  raccolta  dei rifiuti a favore delle imprese prive di
 limiti territoriali di esercizio".
   In contrario, prosegue il g.i.p. presso la pretura  di  Udine,  non
 giova  osservare  che  il  d.lgs.5 febbraio 1997, n. 22 stabilisce il
 principio dell'autosufficienza degli ambiti spaziali di  smaltimento,
 in  quanto  esso  concerne soltanto i rifiuti urbani non pericolosi e
 presuppone la compiuta adozione dei piani regionali di  gestione  dei
 rifiuti.  Analogamente,  non  rileva  che  detto  atto normativo mira
 tendenzialmente a ridurre la circolazione dei  rifiuti  stessi,  dato
 che   il   conseguimento   di   tale  risultato  non  puo'  dipendere
 dall'atteggiamento  di  un  singolo  ente  territoriale.   La   norma
 denunziata,  a  suo  avviso,  viola,  quindi,  anche l'art. 116 della
 Costituzione, perche' la Regione non ha osservato i principi generali
 dell'ordinamento statale, le norme di riforma economico-sociale e gli
 obblighi che  alla  Repubblica  italiana  derivano  dall'appartenenza
 all'Unione europea ed attuati dal d.lgs. n. 22 del 1997.
   Infine,  la  questione  e'  rilevante, perche', conclude il g.i.p.,
 l'art. 27 del d.P.R. n. 915  del  1982,  nonostante  la  sostituzione
 disposta  con il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (art. 51, comma 4), e'
 applicabile in virtu' dei principi sulla successione nel tempo  delle
 leggi penali.
   3.  -  La Regione Friuli Venezia Giulia e' intervenuta nel giudizio
 ed ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
   L'interveniente premette di essere titolare di potesta' legislativa
 concorrente nella materia della "igiene e  sanita'",  alla  quale  va
 ricondotta  la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, e deduce che
 l'art. 15, comma 6, della legge regionale 7 settembre 1987,  n.    30
 aveva  consentito  il  rilascio  di  autorizzazioni  alla gestione di
 impianti per i quali fosse "dimostrata la sussistenza  effettiva  del
 fabbisogno   in   relazione   alla  quantita'  di  rifiuti  prodotti,
 rapportata agli  ambiti  territoriali".  Successivamente,  l'art.  16
 della legge regionale n. 65 del 1988 ha sostituito detta disposizione
 e,  in  via  transitoria  e per ragioni di emergenza, ha accordato ad
 altri soggetti la facolta'  di  ottenere  l'autorizzazione,  al  solo
 scopo  di  garantire la raccolta dei rifiuti in rapporto "agli ambiti
 territoriali serviti, di pertinenza esclusivamente regionale.  L'art.
 29  della  legge  d'interpretazione  autentica  n. 22 del 1996, a suo
 avviso, si e' infine limitato a  ribadire,  a  causa  di  difficolta'
 applicative,  che  il legislatore intende ancora adesso assicurare lo
 smaltimento soltanto dei rifiuti prodotti nella  regione,  perdurando
 la  fase  di emergenza per il mancato perfezionamento del sistema dei
 piani di livello provinciale introdotto proprio dalla legge regionale
 n. 65 del 1988.
   La   Regione   contesta,   inoltre,   che   nell'ordinamento    sia
 individuabile un principio che stabilisca la "libera circolazione dei
 rifiuti  (...)  derogabile solo in presenza di piani di gestione", in
 quanto ne esiste anzi  uno  di  segno  contrario,  ora  espressamente
 sancito  dall'art.  5, comma 5, del d.lgs. n. 22 del 1997, che vieta,
 a far data dal 1999, lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi
 al di fuori della regione ove essi sono stati prodotti.
   L'interveniente ha concluso, infine, osservando  che  il  principio
 costituzionale  che  stabilisce  la liberta' di impresa deve comunque
 essere  giudicato  recessivo  rispetto  ai   valori   connessi   alla
 salubrita'  ambientale,  i quali sono vulnerati da una indiscriminata
 circolazione dei rifiuti.
                         Considerato in diritto
   1. - La questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  con
 l'ordinanza  in  epigrafe  concerne  l'art.  16, comma 4, della legge
 regionale Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65, che dispone:
 "fino a quando non saranno attuati i Piani (per lo smaltimento) e non
 saranno entrati in esercizio  gli  impianti  dagli  stessi  previsti,
 potranno   venire   autorizzati...   solamente   la  realizzazione  e
 l'esercizio di quelle nuove discariche...  per  le  quali  sia  stata
 dimostrata  la  sussistenza  effettiva  del  fabbisogno  di  spazi di
 deposito in relazione alla quantita' di rifiuti prodotti,  rapportata
 agli   ambiti   territoriali  serviti  di  pertinenza  esclusivamente
 regionale", cosi' come autenticamente interpretato dall'art. 29 della
 legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22,  che
 stabilisce  che  "''si  intende  per  "quantita' di rifiuti prodotti,
 rapportata   agli   ambiti   territoriali   serviti   di   pertinenza
 esclusivamente regionale" la  quantita'  di  rifiuti  di  provenienza
 esclusivamente  regionale per i quali e' stata dimostrata l'effettiva
 necessita' di ulteriori spazi di deposito''".
   Secondo  il  giudice  a  quo,   la   situazione   di   carenza   di
 pianificazione a livello regionale - pianificazione che avrebbe anche
 potuto  rendere  plausibile  l'adozione  di misure restrittive per la
 tutela  dell'ambiente  -  determina   profili   di   "disparita'   di
 trattamento  senza valide giustificazioni", in violazione degli artt.
 3 e 41 della Costituzione, in quanto "il divieto di smaltire  rifiuti
 provenienti  da  fuori  regione  crea  inevitabilmente un'alterazione
 dell'assetto concorrenziale del mercato della raccolta dei rifiuti  a
 favore  delle  imprese  prive di limiti territoriali di esercizio che
 possono garantirsi la piena utilizzazione delle capacita' dei  propri
 impianti".
   Inoltre  la  norma  impugnata  violerebbe,  secondo  l'ordinanza di
 rinvio, anche l'art. 116 della Costituzione, integrato sia  dall'art.
 4 dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, sia dagli artt. 5
 e  6,  ultimo  comma,  dello  statuto,  in  quanto  "la materia dello
 smaltimento dei rifiuti non  rientra  fra  quelle  per  le  quali  e'
 riconosciuta   al  Friuli-Venezia  Giulia  una  potesta'  legislativa
 esclusiva, bensi' solo concorrente  o  integrativa  della  disciplina
 statale".
   2. - La questione non e' fondata.
   La  disposizione  impugnata,  che sostanzialmente vieta di smaltire
 negli impianti di discarica autorizzati della Regione  Friuli-Venezia
 Giulia  rifiuti  provenienti  da  altre  regioni,  si inserisce in un
 complesso quadro normativo costituito da fonti comunitarie, statali e
 regionali, che disciplinano il settore dei rifiuti. In questo ambito,
 in  particolare,  il  d.lgs.  5  febbraio  1997,  n.   22,   che   ha
 espressamente abrogato il previgente d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915
 e  che  e' stato emanato in base alla legge 22 febbraio 1994, n. 146,
 recante delega al Governo per l'attuazione delle direttive 91/156/CEE
 e  91/689/CEE,  contiene  disposizioni  che  costituiscono   principi
 fondamentali della legislazione statale, ai sensi dell'art. 117 della
 Costituzione,    e    rappresentano    anche    "norme   di   riforma
 economicosociale" nei confronti delle regioni a statuto speciale.
   Tra le disposizioni del decreto  n.  22  del  1997,  l'art.  5,  in
 particolare,  contiene  una  serie  di  principi  che  attengono alla
 questione del divieto di smaltimento dei rifiuti  extraregionali.  E'
 prescritto  infatti  che  lo  smaltimento dei rifiuti sia attuato per
 mezzo di una rete integrata  ed  adeguata  di  impianti  al  fine  di
 realizzare  "l'autosufficienza  nello  smaltimento dei rifiuti urbani
 non pericolosi in ambiti territoriali ottimali" (comma  3,  lett.  a)
 nonche'  di  permettere  lo  smaltimento  dei  rifiuti  in  uno degli
 impianti appropriati piu' vicini, al fine di  "ridurre  i  movimenti"
 dei  rifiuti  stessi  (comma 3, lett. b). Lo stesso decreto n. 22 del
 1997,  all'art.  23,  specifica  che,  salvo   diversa   disposizione
 regionale,  "gli  ambiti  territoriali  ottimali  per la gestione dei
 rifiuti urbani sono le Province". Infine,  nell'ambito  dei  principi
 fissati  dallo  stesso art. 5, va segnalato il comma 5 che stabilisce
 che "e' vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi  in  regioni
 diverse   da   quelle   dove  gli  stessi  sono  prodotti".  Da  tale
 statuizione, in quanto applicabile soltanto a decorrere dal 1 gennaio
 1999, puo' essere, nel frattempo, ricavato un criterio interpretativo
 della  ratio  complessiva  cui si ispira il legislatore statale nella
 disciplina di questa materia.
   Questi principi sono conformi  anche  alla  normativa  comunitaria,
 dato  che  il trattato di Maastricht prevede, tra gli altri, anche il
 "principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni  causati
 all'ambiente" (art. 130 R. n. 2); principio che, data la peculiarita'
 dei rifiuti, secondo l'interpretazione della Corte di giustizia della
 comunita'  europea  "implica  che spetta a ciascuna regione, comune o
 altro ente locale adottare le misure adeguate al  fine  di  garantire
 l'accoglimento,  il  trattamento e lo smaltimento dei propri rifiuti;
 questi devono essere quindi smaltiti, nei limiti del  possibile,  nel
 luogo della loro produzione al fine di limitare il loro trasporto per
 quanto si possa fare" (Corte di giustizia, sent. 9 luglio 1992, causa
 C-2/90).
   Nell'ambito  delle fonti comunitarie, inoltre, il regolamento CEE 1
 febbraio 1993 n. 259/93 dispone, in via generale,  all'art.  13,  che
 gli  Stati membri istituiscono un appropriato sistema di sorveglianza
 e  controllo  delle  spedizioni  di  rifiuti  al  loro  interno.   In
 particolare,   gli  Stati  membri  possono,  ai  sensi  dell'art.  4,
 paragrafo 3 a) i) dello stesso regolamento,  adottare,  nel  rispetto
 del  trattato e al fine di attuare i "principi della vicinanza, della
 priorita' al recupero e dell'autosufficienza",  "misure  per  vietare
 del  tutto  o  in  parte le spedizioni di rifiuti". Tutto questo, del
 resto, era gia' previsto  dalla  direttiva  91/156/CEE,  recepita  ed
 attuata  dal  citato  decreto  n.  22 del 1997, la quale, all'art. 7,
 paragrafo 3, stabilisce che "gli Stati membri hanno  la  facolta'  di
 prendere  i provvedimenti necessari per impedire movimenti di rifiuti
 non conformi con i loro piani di gestione dei rifiuti".
   Anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia della comunita'
 europea, del resto, sussiste un  preciso  orientamento,  secondo  cui
 l'obiettivo  di fondo del diritto comunitario in materia e' quello di
 costituire un sistema armonizzato di procedimenti attraverso i  quali
 limitare  la circolazione dei rifiuti, al fine di garantire la tutela
 dell'ambiente. Ed infatti la Corte di giustizia interpreta la  citata
 direttiva  91/156  nel  senso  che  essa  prospetti l'opportunita' di
 ridurre  i  movimenti  di  rifiuti  conformemente  alle  esigenze  di
 protezione  dell'ambiente  e,  su  questa  premessa,  rileva  che  il
 ricordato regolamento n. 259/93 "prescrive le  modalita'  alle  quali
 sono  assoggettate  le  spedizioni di rifiuti all'interno degli Stati
 membri e i procedimenti da seguire per la loro  autorizzazione...  al
 fine  di  attuare  i  principi  della  vicinanza,  della priorita' al
 recupero e della autosufficienza a livello comunitario  e  nazionale"
 (Corte di giustizia, sent. 28 giugno 1994, causa C-187/93).
   3.  -  Premesso questo quadro normativo e giurisprudenziale, in cui
 va collocata la norma sottoposta a scrutinio, non si  riscontrano  le
 prospettate censure di costituzionalita'.
   Non  sussiste  infatti  la  violazione  degli  artt.  3  e 41 della
 Costituzione, sotto il profilo che il  divieto  di  smaltire  rifiuti
 provenienti  da fuori regione determinerebbe alterazioni dell'assetto
 concorrenziale del mercato della raccolta dei rifiuti  e  conseguente
 disparita' di trattamento tra imprese del settore.
   In  proposito, va osservato che, nella specie, non e' configurabile
 la lesione della  liberta'  d'iniziativa  economica,  perche'  questa
 consente  l'apposizione  di  limiti al suo esercizio a condizione che
 essi corrispondano all'utilita' sociale, nel cui  ambito  sicuramente
 rientrano gli interessi alla tutela della salute e dell'ambiente.  In
 ogni  caso,  la  asserita  limitazione,  a fini di tutela ambientale,
 della liberta'  d'impresa  relativa  allo  smaltimento  dei  rifiuti,
 disposta  dalla norma in oggetto nella Regione Friuli-Venezia Giulia,
 si giustifica  nel  quadro  delle  norme-principio,  che  si  e'  ora
 prospettato.  Tanto  piu' che, secondo la giurisprudenza comunitaria,
 la  direttiva  91/156  mira  principalmente  a  garantire,  al   fine
 preminente  di  salvaguardare  l'ambiente, l'efficacia della gestione
 dei rifiuti nella comunita' e, solo in subordine, ad  incidere  sulle
 condizioni  della  concorrenza  e  degli  scambi:  "e'  quindi errato
 sostenere che la direttiva in esame abbia quali  obiettivi  specifici
 il  corretto funzionamento del mercato interno e l'eliminazione delle
 disparita' di trattamento tra  gli  operatori  economici"  (Corte  di
 giustizia, sent. 12 settembre 1996, cause riunite C-58, 75, 112, 119,
 123,  135,  140, 141, 154, 157/95).  E' dunque in questo contesto che
 va esaminata la norma in questione, che,  nel  bilanciamento  tra  la
 salvaguardia  della  salute  e dell'ambiente e la liberta' d'impresa,
 presceglie non irragionevolmente la prima, anche a costo di stabilire
 a carico della  seconda  "restrizioni  inevitabili  giustificate  dal
 perseguimento  dello  scopo  di  interesse  generale costituito dalla
 tutela dell'ambiente" (Corte di giustizia, sent.   7  febbraio  1985,
 causa C-240/83).
   D'altra   parte,   la   disciplina   in   oggetto   trova  adeguata
 giustificazione anche sul  piano  della  ragionevolezza,  poiche'  il
 legislatore  regionale,  in  attesa  dell'attuazione  di una compiuta
 pianificazione territoriale dei siti di discarica, si e' proposto  di
 evitare, attraverso il divieto di conferimento di rifiuti provenienti
 da  fuori regione, una incongrua e pregiudizievole moltiplicazione di
 impianti di  smaltimento,  derivante  dall'assoluta  imprevedibilita'
 della  quantita'  di  materiali da trattare.   A tal fine, il divieto
 tende  pertanto  a   divenire,   sia   pure   in   via   transitoria,
 generalizzato:  ed  infatti  l'art.  28  della  legge  n. 22 del 1996
 prevede l'autorizzazione di nuovi impianti di discarica in  relazione
 a  rifiuti  di  provenienza esclusivamente regionale, mentre la norma
 censurata dell'art.  29  chiarisce,  non  irragionevolmente,  che  lo
 stesso  criterio limitativo, in quanto gia' ricavabile dall'art.  16,
 comma 4, della legge n.  65  del  1988,  e'  applicabile  anche  agli
 impianti di discarica considerati dalla predetta legge.
   Infine  non  sussiste  neppure  la  violazione  dell'art. 116 della
 Costituzione, per inosservanza sia dell'art. 4, sia degli artt. 5 e 6
 dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia,  poiche'  la  norma
 censurata della legge n. 22 del 1996 appare rispettosa, alla luce del
 quadro  normativo  e  giurisprudenziale  che  si  e'  precedentemente
 delineato, dei limiti inerenti alla potesta' legislativa regionale e,
 in particolare, sia delle norme di riforma economico-sociale, sia dei
 principi fondamentali  in  materia,  sia  infine  delle  esigenze  di
 attuazione delle direttive comunitarie di settore.