IL PRETORE Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa di sfratto per morosita' promossa da D'Angelo Orazio, rappresentato e difeso dall'avv. Antonino Cavallaro del foro di Acireale, presso il cui studio in Acireale, via Vito D'Anna n. 16, e' domiciliato, contro Cardillo Carmela, residente ad Acireale via Maddem, 2, che sta in giudizio personalmente. Con citazione notificata il 3 novembre 1997, D'Angelo Orazio intimava a Cardillo Carmela sfratto per morosita', non avendo quest'ultima pagato il canone di ottobre 1997, pari a L. 250.000, citandola a comparire per l'udienza del 3 dicembre 1997. La costituzione del locatore avveniva il 3 dicembre 1997 colla iscrizione della causa a ruolo e il deposito del fascicolo in cancelleria, ma la causa veniva d'ufficio rinviata al 17 dicembre 1997 perche' ancora non assegnata al magistrato istruttore. Alla prima udienza compariva personalmente la conduttrice, la quale produceva documentazione relativa al pagamento del canone e alla imputazione effettuata dal locatore e si opponeva alla convalida, eccependo di avere pagato il canone con ritardo a causa di assenza determinata da ragioni di salute. La conduttrice, inoltre, eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art. 660/5 c.p.c. per violazione del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione) nella parte in cui consente al locatore di costituirsi lo stesso giorno dell'udienza; eccepiva altresi' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5 della legge n. 392 del 1978, che esclude la valutazione da parte del giudice dell'importanza dell'inadempimento anche quando si tratta di ritardo nel pagamento di una sola mensilita' di tenue importo. Chiedeva quindi rigettarsi la domanda e in subordine termine di grazia per pagare le spese processuali. La difesa del locatore chiedeva l'emissione di ordinanza di rilascio. Le questioni, proposte dalla conduttrice coll'opposizione, costituiscono grave motivo per denegarsi l'ordinanza di rilascio dell'immobile. Delle questioni di legittimita' costituzionale, sollevate dalla conduttrice, la prima (riguardante la costituzione delle parti in giudizio) rileva non solo per parte convenuta, ma anche per parte attrice, anche se questa non ha sollevato eccezioni. Per quanto riguarda la posizione dell'attore la questione viene, quindi, sollevata d'ufficio. Mentre nei procedimenti ordinari attore e convenuto devono costituirsi entro termini ben precisi (cfr. artt. 165 e 166 c.p.c.), onde consentire all'altra parte di apprestare le proprie difese; invece l'art. 660 c.p.c., cosi' come modificato dall'art. 8/ter d.-l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv. in legge n. 534 del 1995, consente a entrambe le parti di costituirsi presentando al giudice, in udienza, intimazione o comparsa di risposta. Cio' comporta per il conduttore la necessita' di attendere che il giudice finisca l'udienza, per sapere se la causa e' stata iscritta a ruolo dal locatore, nel caso che questi non si sia costituito prima dell'udienza. Ma soprattutto comporta per entrambe le parti la menomazione del diritto di difesa, in quanto nel caso che una delle parti (attore o convenuto) non voglia scoprire le proprie carte anzitempo, puo' ritardare la costituzione (e il locatore l'iscrizione a ruolo della causa) fino al giorno dell'udienza, costringendo cosi' l'altra parte a "improvvisare" la propria difesa all'udienza. Cio' e' particolarmente grave nelle cause di sfratto, nelle quali gia' alla prima udienza il giudice decide sul rilascio dell'immobile. In tal modo la legge processuale rende estremamente difficoltoso l'esercizio concreto del diritto di difesa, che la Costituzione (art. 24) garantisce in ogni stato e grado del giudizio. Di tale accelerazione processuale non si riesce a cogliere la ragione giustificatrice, posto che il procedimento di convalida e' speciale, ma non e' ne' cautelare ne' urgente. Appellarsi alla discrezionalita' del legislatore per escludere la fondatezza della questione di legittimita' costituzionale vorrebbe dire eludere il problema che sopra abbiamo posto, perche' e' tutto da dimostrare che il legislatore possa eliminare, senza ragioni di urgenza, i termini di costituzione delle parti, posti a tutela del diritto di difesa. Ne' questo puo' rimanere affidato alla discrezionalita' del giudice, cioe' alla possibilita' che questi conceda (o meno) termine per note o un rinvio (come si dice) con salvezza dei diritti di prima udienza, in quanto il diritto di difesa e' diritto pieno e non mero interesse legittimo. Appare, quindi, non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 660/5 c.p.c. nella parte in cui consente sia al locatore intimante sia al conduttore intimato di costituirsi davanti al giudice in udienza. L'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' comportera' la necessita' per le parti di costituirsi almeno il giorno prima dell'udienza; e cio' permetterebbe quel minimo lasso di tempo perche' le parti possano approntare le proprie difese. Cio' in attesa che il legislatore riveda la materia, stabilendo dei termini per la costituzione delle parti (come e' giusto). Parimenti rilevante e non manifestamente infondata e' la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 5 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui dispone che anche il mero ritardo (di oltre venti giorni) nel pagamento del canone di una sola mensilita' costituisce causa di risoluzione del contratto di locazione, in deroga all'art. 1455 cod. civ. e quindi senza che il giudice possa valutare l'importanza dell'inadempimento. In tal senso viene, infatti, intesa detta norma dalla costante giurisprudenza (cfr. da ultimo Cass. sez. III 1 giugno 1995, n. 6131). Orbene, la norma, cosi' intesa, rappresenta, a nostro avviso, una tutela eccessiva delle ragioni della proprieta', in contrasto con la funzione sociale che la stessa deve avere secondo l'art. 42 della Costituzione. Funzione sociale che non puo' prescindere dalla considerazione delle ragioni dei conduttori. Orbene, ci sembra esagerato e ingiusto che la legge consenta al padrone di casa di gettare sul lastrico l'inquilino sol perche' questi ha pagato in ritardo di qualche giorno il canone relativo a un sol mese (come nel caso in esame), senza che il giudice possa valutare l'importanza dell'inadempimento, tenuto conto anche delle ragioni esposte dal conduttore. Il locatore e' gia' tutelato dalla legge che gli attribuisce il diritto al pagamento degli interessi legali; la risoluzione del contratto costituisce il classico "troppo che storpia". Ne' puo' servire ad escludere tale ingiustizia il fatto che la legge c.d. dell'equo canone (art. 55) consente al conduttore di sanare la morosita' nel termine assegnato dal giudice: 1) perche' tale possibilita' e' condizionata alla prova delle difficolta' economiche del conduttore (prova che non sempre puo' essere data) ed e' affidata alla discrezionalita' del giudice (Cass. 14 febbraio 1992); 2) perche' comporta in ogni caso il pagamento delle spese processuali, che talora (come nel caso in esame) sono di gran lunga superiori al canone, di cui si e' ritardato il pagamento; 3) perche', ove il conduttore chieda il termine di grazia in via subordinata, ossia senza recesso dalla richiesta di rigetto della domanda di risoluzione, come nel caso in esame, (e la giurisprudenza lo ritiene possibile: cfr. Cass. 21 agosto 1985, n. 4474; Trib. Bologna 22 aprile 1994, Blaffard c. Mattioli) il giudice deve comunque applicare l'art. 5 predetto senza poter valutare l'importanza dell'inadempimento ex art. 1455 c.c. L'incostituzionalita' dell'art. 5 della legge c.d. dell'equo canone si puo' ritenere anche sotto altro profilo, per il quale la questione viene sollevata d'ufficio. Secondo la giurisprudenza, ormai costante da vari anni, l'art. 5 che stabilisce la "predeterminazione" della gravita' dell'inadempimento, al fine della risoluzione del rapporto, non si applica alle locazioni non abitative, mentre e' applicabile alle stesse l'art. 55 che consente di purgare la mora (cfr da ultimo Cass. 29 novembre 1994, n. 10202; Cass. 29 maggio 1995, n. 6023; Cass. 27 febbraio 1995, n. 2332). Dovendo tale interpretazione considerarsi, come si dice, diritto vivente, balza agli occhi in tutta la sua evidenza l'irragionevole disparita' di trattamento tra locazioni abitative e locazioni non abitative, essendo solo per queste ultime consentito al giudice di valutare l'importanza dell'inadempimento del conduttore. Viene violato quindi l'art. 3 della Costituzione, oltre che l'art. 42 sulla funzione sociale della proprieta', sembrando rispondente alle esigenze di uguaglianza e di giustizia sociale che il legislatore non tratti i conduttori di case di abitazione peggio dei conduttori di immobili ad uso diverso.