IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Russo Vincenzo rappresentato e difeso dall'avv. Franco Gaetano Scoca ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma, via Paisiello n. 55; Contro il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in persona del Ministro pro-tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui uffici per legge domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e contro la commissione di disciplina presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in persona del presidente pro-tempore, non costituito; per l'annullamento della sentenza del tribunale amministrativo regionale della Basilicata n. 119 del 28 marzo 1995; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione appellata; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 10 gennaio 1997 il consigliere Calogero Piscitello. Nessuno e' comparso per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Con ricorso in appello notificato in data 20 ottobre 1995 il sig. Vincenzo Russo impugna la sentenza indicata in epigrafe con la quale e' stato respinto il ricorso dell'interessato avverso il provvedimento (d.m. n. 94/N0012 del 10 febbraio 1994) di destituzione ai sensi dell'art. 84, lett. a) ed f) del d.P.R. n. 3/1957. A sostegno della proposta impugnativa, l'appellante - dopo aver esposto sinteticamente i fatti essenziali della vicenda penale e disciplinare in esito alla quale e' stato adottato il provvedimento impugnato in primo grado - deduce i seguenti motivi: 1. - Error in judicando: violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, e dell'art. 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 - Eccesso di potere. La procedura conclusasi con l'irrogazione della sanzione disciplinare impugnata (del 10 febbraio 1994) e' andata ben oltre i novanta giorni dall'inizio del procedimento (sia che questo si faccia risalire alla data dell'atto di contestazione degli addebiti del 20 aprile 1993 sia alla sua notifica al ricorrente effettuata il 26 aprile 1993). Il legislatore, infatti, avrebbe individuato due distinte scansioni temporali: una globale di 270 gg. per la conclusione del procedimento disciplinare, ed una parziale per l'inizio o la prosecuzione del procedimento stesso che comunque deve avvenire entro centottanta giorni. Erroneamente il giudice di primo grado avrebbe affermato la natura ordinatoria di tali termini. Tra la data di adozione della delibera della commissione di disciplina (6 ottobre 1993) e la data di emanazione del provvedimento disciplinare (10 febbraio 1994) e quella della sua comunicazione (26 febbraio 1994) e' decorso un intervallo superiore ai novanta giorni in violazione dell'art. 120 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, sicche' il procedimento disciplinare si sarebbe estinto. 2. - Error in judicando: violazione e falsa applicazione degli artt. da 444 a 448 nonche' da 651 a 654 c.p.p. Violazione dell'art. 27 della Costituzione, dell'art. 11 della Convenzione dei diritti dell'uomo e dell'art. 14 del patto internazionale dei diritti civili e politici. Eccesso di potere per assoluto difetto di istruttoria e dei presupposti. Premesso che la sanzione disciplinare impugnata ha come fondamento esclusivo la sentenza di non doversi procedere per intervenuta amnistia (n. 99/1992) e la sentenza ex art. 444, c.p.p., (c.d. di patteggiamento) (n. 100/1992) pronunciata dal Tribunale di Potenza, l'appellante afferma che ne' la prima (stante la sua natura di sentenza di proscioglimento ex art. 529, c.p.p.) ne' la seconda (stante la peculiare natura della sentenza di patteggiamento, che e' solo equiparata in relazione ad alcuni effetti che essa produce, alla sentenza di condanna), potevano fornire alcun elemento di prova alla commissione di discipina. 3. - Error in judicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 107 e ss. del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; Violazione degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; Eccesso di potere per assoluto difetto di istruttoria; Ingiustizia manifesta; Iniquita'; Sproporzione; Violazione del giusto procedimento di legge. A fondamento dell'intero procedimento disciplinare non sarebbe stata svolta alcuna attivita' istruttoria, sicche' la sanzione disciplinare inflitta al dipendente risulta manifestamente iniqua, sproporzionata ed illogica rispetto ai fatti addebitatigli. La carenza di motivazione sarebbe ancora piu' grave nel caso di specie perche' l'art. 107 d.P.R. n. 3/1957 consente il deferimento alla commissione di disciplina solo quando si ritenga applicabile una sanzione piu' grave della censura ed il caso sufficientemente istruito. 4. - Error in judicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 107, 111 e 114 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e dell'art. 3, legge n. 241/1990; Eccesso di potere. L'amministrazione non avrebbe rispettato i termini del procedimento disciplinare, (per la trasmissione degli atti alla commissione di disciplina, l'avviso al ricorrente di prendere visione degli atti e la trasmissione della delibera della commissione di disciplina all'ufficio del personale). L'Avvocatura dello Stato costituitasi in giudizio per l'amministrazione appellata, non ha prodotto scritti difensivi. D i r i t t o Con il primo motivo l'appellante deduce la violazione dei termini previsti, in tema di procedimento disciplinare, dall'art. 9 secondo comma della legge 7 febbraio 1990, n. 19, e dall'art. 120 del t.u. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, in quanto il provvedimento di destituzione impugnato risulta adottato ben oltre i novanta giorni dall'inizio della procedura disciplinare previsti dal citato art. 19. L'adunanza plenaria (3 settembre 1997, n. 19) risolvendo le incertezze interpretative prospettate nelle ordinanze 10 gennaio 1997, n. 33 della V sezione e 18 febbraio 1997, n. 295, della VI sezione, ha ritenuto che il superamento di tale termine comporti l'illegittimita' del provvedimento sanzionatorio, senza che possa tenersi conto di ragioni giustificatrici connesse alle fasi endoprocedimentali. La norma cosi' interpretata e' stata, pero', ritenuta di dubbia costituzionalita' (in riferimento agli artt. 3, 97 e 24 della Costituzione). Riproponendosi, pertanto, in questa sede, la stessa questione di legittimita' costituzionale (rilevante e non manifestamente infondata) dell'art. 9, secondo comma della legge n. 19 del 1990, il giudizio deve essere sospeso con la conseguente trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.