LA CORTE DI ASSISE Il presidente, detta la seguente ordinanza. La Corte di assise, sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 2 aprile 1998 osserva: i difensori degli imputati sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis O.P. hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale della legge n. 11 del 1998 che prevede la partecipazione a distanza degli imputati sottoposti a regime dell'articolo prima indicato. A parere di questa Corte, la questione non appare manifestamente infondata. Premette, invero, questo giudice che la normativa sopra indicata e' stata accusata di incostituzionalita' apparendo, la stessa, espressione e strumento di quella tendenza legislativa volta piu' alla tutela di presunti interessi generali o di ordine pubblico che alla garanzia dei diritti dei singoli (ed in particolare di quello fondamentale della difesa, anche tecnica) con la conseguenza che e' stata sacrificata in ruoli e funzioni sempre piu' marginali e accessori la figura del difensore la cui attivita' e le modalita' stesse del relativo esercizio sono state sempre piu' spesso compresse e limitate attraverso disposizioni di legge che, di fatto rendono in molti casi praticamente teorica la garanzia della difesa. Il concetto di difesa quale diritto inviolabile di cui all'art. 24 della Costituzione va ricondotto, invero, a quello di assistenza dell'imputato che non equivale semplicemente alla mera presenza di un difensore specie nel momento piu' importante e decisivo dell'intero processo penale, vale a dire nella fase dibattimentale: e', invero, indispensabile, perche' quel diritto possa dirsi garantito, che lo stesso sia liberamente e concretamente esercitabile con la conseguenza che devono essere automaticamente sospettate di incostituzionalita' tutte le norme che lo rendono anche semplicemente piu' difficoltoso. Non appare, alla Corte, manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dai difensori degli imputati in relazione all'art. 10 della Costituzione che richiama "le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute" e, fra queste, principalmente, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo che, all'art. 6, lett. c) e d), fa rientrare fra i diritti dell'accusato quello di procedere, in particolare, all'interrogatorio di testimoni nelle stesse condizioni in cui vi procede il p.m. con la possibilita', quindi, di intervenire e porre domande - attraverso il difensore - in termini, tempi e modalita' che presuppongano la possibilita' di un immediato scambio di informazioni fra il difensore stesso e l'accusato e cio' anche in considerazione, dell'eventuale necessita' che il teste venga immediatamente sorpreso e contraddetto nel caso di dichiarazioni inesatte o mendaci senza che gli sia lasciato il tempo di elaborare eventuale versione di comodo. La stessa Convenzione prevede, inoltre, il diritto dell'imputato ad un processo "pubblico" - con le sole eccezioni richiamate fra le quali non e' certamente prevista quella di impedire che gli imputati parlino tra di loro - e il concetto di "processo pubblico" presuppone, a parere di questa Corte, la presenza reale (e non "virtuale", come si usa ormai dire) dell'imputato in aula. Ma anche l'art. 13 della Costituzione potrebbe essere stato violato dalla normativa de qua atteso che essa introduce una disparita' di trattamento fra soggetti tutti ugualmente presuntivamente non colpevoli per la legge, ma alcuni dei quali costretti a difendersi in modo anomalo e piu' difficoltoso semplicemente perche' nei loro confronti e' stata elevata una contestazione la cui fondatezza e' ancora tutta da dimostrare e con possibili riflessi, quindi, anche sul principio della presunzione di non colpevolezza sancito dall'art. 27 della Costituzione. In sostanza, e' la stessa accusa a determinare le diverse modalita' di svolgimento del dibattimento nei confronti di alcuni imputati attraverso il mezzo della contestazione. E' opinione di questa Corte che le norme citate della Costituzione vadano interpretate nella lettera e nello spirito nel senso piu' possibilmente favorevole alla difesa essendo evidente che essi sottintendano come il vero protagonista della vicenda processuale sia l'imputato e che debba essere il processo a piegarsi alle esigenze del protagonista (e del suo difensore) e non questi ultimi ad altre non ben precisate ragioni. Sono questi i principi che la Corte ritiene non sia manifestamente infondato che possano essere stati violati e pertanto, valutata anche l'eccezionale rilevanza che essi hanno addirittura per il concetto stesso di civilta' giuridica, appare necessario che le disposizioni di legge in questione vengano portate all'esame della Corte costituzionale anche, peraltro, in ossequio alla lettera e allo spirito degli artt. 23 e 24, legge 11 marzo 1953, n. 87 (che prescrivono la necessita' di una adeguata motivazione solo per l'ipotesi che l'ordinanza respinga l'eccezione di illegittimita' costituzionale per manifesta irrilevanza o infondatezza lasciando intendere che, nei casi in cui la predetta infondatezza non sia evidente, vada necessariamente richiesto il giudizio della Corte costituzionale). Il processo non appare definibile, per i motivi sopra indicati, indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e, di conseguenza, vanno trasmessi gli atti alla Corte e il giudizio in corso sospeso.