ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  3-bis,  quarto
 comma,  della  legge  31  maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la
 mafia), introdotto dall'art. 15 della legge  13  settembre  1982,  n.
 646  (Disposizioni  in  materia di misure di prevenzione di carattere
 patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10
 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n.  575.  Istituzione  di  una
 commissione  parlamentare  sul  fenomeno  della  mafia), promosso con
 ordinanza  emessa  il  5  giugno  1997  dal  pretore  di   Bari   nel
 procedimento  penale  a carico di Turturro Nicola, iscritta al n. 591
 del registro ordinanze 1997 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  7  aprile  1998  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Nel corso del dibattimento di un processo a carico di persona
 imputata del reato previsto  dall'art.  3-bis,  quarto  comma,  della
 legge  31  maggio  1965,  n.  575  (Disposizioni  contro  la  mafia),
 introdotto dall'art.  15  della  legge  13  settembre  1982,  n.  646
 (Disposizioni  in  materia  di  misure  di  prevenzione  di carattere
 patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10
 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n.  575.  Istituzione  di  una
 commissione  parlamentare  sul  fenomeno  della mafia), il pretore di
 Bari solleva, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo  comma,
 della  Costituzione,  questione  di  costituzionalita'  della  citata
 disposizione, che sanziona con l'arresto da sei mesi a  due  anni  il
 sottoposto  a  una  misura di prevenzione ai sensi della legge n. 575
 del 1965 che non ottemperi, nel termine fissato dal  Tribunale,  alla
 prescrizione,  adottata  a  norma del primo comma dell'art. 3-bis, di
 depositare una  somma  a  titolo  di  cauzione,  ne'  offra  garanzie
 sostitutive.
   Nel  caso di specie, all'imputato e' contestato il reato de quo per
 non avere adempiuto al versamento di una cauzione di  trenta  milioni
 di   lire,  imposta  dal  Tribunale  all'esito  del  procedimento  di
 prevenzione.  Lo stesso imputato, nel dibattimento celebrato  dinanzi
 al   pretore  rimettente,  si  e'  difeso  osservando  che  all'epoca
 dell'imposizione  della  cauzione  egli  non  disponeva  della  somma
 necessaria,  e  che  si  era  dichiarato disponibile a offrire, quali
 garanzie sostitutive, la  propria  autovettura  e  dei  monili;  tale
 richiesta era stata respinta, per intempestivita', dal Tribunale, con
 apposito provvedimento.
   Ad   avviso   del   pretore,  l'incriminazione  dell'inottemperanza
 all'ordine di  deposito  della  cauzione  e'  censurabile  sul  piano
 costituzionale, secondo un triplice ordine di argomenti.
   In  primo  luogo, la sanzione penale per l'omissione del versamento
 della  cauzione  o  per  la  mancata   prestazione   delle   garanzie
 sostitutive  risulta  discriminatoria  in danno di chi non dispone di
 mezzi  economici  adeguati;   tale   disparita'   appare   iniqua   e
 irragionevole e percio' lesiva dell'art. 3 della Costituzione, tenuto
 conto  -  osserva  il  giudice  a  quo - della mancanza di previsioni
 collaterali che permettano all'autorita' giudiziaria di verificare le
 effettive disponibilita' e i redditi dell'interessato.
   In secondo luogo, la norma appare in  contrasto  anche  con  l'art.
 27,  primo  comma,  della  Costituzione,  perche'  essa fa conseguire
 l'applicazione di  una  sanzione  penale  dalla  inosservanza  di  un
 obbligo di dare, il cui adempimento - secondo il pretore rimettente -
 non  e' interamente riconducibile alla determinazione e alla volonta'
 del soggetto; la punizione della mancata prestazione  della  cauzione
 per  scarse  disponibilita'  economiche finisce quindi per violare il
 principio di  personalita'  della  responsabilita'  penale,  giacche'
 rende  oggettivamente  responsabile  la  persona di una omissione non
 riconducibile al suo agire.
   Per  un  terzo  e  ultimo  profilo,  la  previsione  incriminatrice
 contrasterebbe  con  il  finalismo  rieducativo  della pena (art. 27,
 terzo comma, della Costituzione): la funzione rieducativa postula che
 il soggetto percepisca il disvalore del reato commesso, e viene  meno
 se  la sanzione risulta irrazionale e incomprensibile. Se il soggetto
 non versa la cauzione non per colpevole e  volontaria  decisione,  ma
 per  oggettiva  impossibilita',  si  delinea appunto la vanificazione
 della portata rieducativa della sanzione penale.
   2. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato.
   Ad avviso dell'Avvocatura, la questione  sembra  evocare,  a  prima
 vista,   gli   argomenti   che   condussero   alla  dichiarazione  di
 incostituzionalita' del vecchio testo dell'art. 136  cod.  pen.,  che
 prevedeva, in caso di insolvenza del condannato, la conversione della
 pena   pecuniaria   in  quella  detentiva.  La  Corte  costituzionale
 (sentenza n.  131  del  1979)  osservo'  allora  che  la  conversione
 assumeva  quale  motivo esclusivo dell'aggravamento qualitativo della
 pena le condizioni economiche e sociali del condannato, e  si  poneva
 percio' in contrasto con il principio di uguaglianza.
   Ma  la  questione  ora  sollevata  e'  del  tutto diversa: la norma
 impugnata non istituisce un'automatica conversione di  un  obbligo  a
 contenuto   patrimoniale  in  una  pena  restrittiva  della  liberta'
 personale,   ma   delinea   semplicemente   un'ipotesi    di    reato
 contravvenzionale  che  soggiace  a  tutti  i  princi'pi generali del
 diritto penale.
   Non e' quindi esatto quanto assume  il  rimettente,  che  individua
 nella  norma  un  caso di responsabilita' oggettiva. L'inottemperanza
 all'ordine di deposito  deve  essere  infatti  dolosa  o,  perlomeno,
 colposa,  trattandosi di reato contravvenzionale, cosicche' colui che
 si trovi nell'impossibilita' di ottemperare  per  mancanza  di  mezzi
 economici e per causa a lui non imputabile versera' in una situazione
 di "inesigibilita'", tale da escludere la colpevolezza, ovvero potra'
 invocare  la  forza  maggiore, tale da far venire meno il fatto-reato
 tipico. Verso tale  interpretazione  conforme  a  Costituzione  e  ai
 principi   generali   orienta   del   resto  la  stessa  formulazione
 complessiva dell'art. 3-bis, che,  al  primo  comma,  nel  dettare  i
 criteri  che  il  tribunale deve osservare all'atto di determinare la
 cauzione, prescrive di tener conto delle  condizioni  economiche  del
 sottoposto alla misura preventiva.
   Escluso,  per quanto detto, che si possa prescrivere una cauzione a
 persona in stato di totale  indigenza,  e  rispettato  da  parte  del
 tribunale  il  criterio  di  commisurazione  dell'importo  alle reali
 capacita' economiche del soggetto, l'alternativa possibile si riduce:
     a) all'inottemperanza preordinata e  volontaria,  nel  qual  caso
 sussisteranno gli estremi del reato, ovvero;
     b)  all'inosservanza  per difficolta' economica non preordinata e
 non imputabile a fatto del soggetto,  che  andra'  pertanto  liberato
 dall'addebito  penale,  o  sul piano della sussistenza del fatto o su
 quello dell'elemento soggettivo.
   Se  non   e'   violato   il   principio   di   personalita'   della
 responsabilita'  penale,  l'Avvocatura  osserva  che anche la censura
 riferita alla finalita' rieducativa della pena viene conseguentemente
 meno: tale finalita' non e' un elemento  della  colpevolezza,  ma  ha
 rappresentato  un principio-base cui la Corte costituzionale ha fatto
 riferimento   nella    ricostruzione    della    colpevolezza    come
 "rimproverabilita'"  (sentenza  n.  364  del  1988). Il rimettente ha
 invertito l'ordine logico della  sequenza,  desumendo  la  violazione
 della   finalita'  rieducativa  dall'assunto  che  la  norma  preveda
 un'ipotesi di responsabilita' oggettiva: ma se cosi' non e', come  si
 e' detto, e se dunque la contravvenzione non e' configurabile in caso
 di   non   imputabilita'  dell'incapacita'  economica  che  determina
 l'inosservanza, viene meno anche il profilo di censura in esame.
   L'Avvocatura   conclude   quindi   per    una    declaratoria    di
 inammissibilita' o di infondatezza della questione.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il  pretore di Bari dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 3-bis, quarto comma, della legge 31  maggio  1965,  n.  575
 (Disposizioni  contro  la mafia), introdotto dall'art. 15 della legge
 13 settembre 1982, n. 646  (Disposizioni  in  materia  di  misure  di
 prevenzione  di  carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27
 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965,  n.
 575.   Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della
 mafia), che prevede che colui il quale sia sottoposto a una misura di
 prevenzione personale a norma della legge  n.  575  del  1965  e  non
 ottemperi,  nel  termine  fissato dal tribunale, alla prescrizione di
 depositare una somma a  titolo  di  cauzione  o  non  offra  garanzie
 sostitutive,  sia sottoposto alla sanzione dell'arresto da sei mesi a
 due anni.
   La norma - introdotta  nel  sistema  della  legislazione  antimafia
 dalla  richiamata  legge n. 646 del 1982 unitamente alle disposizioni
 rivolte a prevenire e sanzionare  le  accumulazioni  patrimoniali  di
 origine  illegale  -  vale  a  garanzia  dell'obbligo  di  versare la
 cauzione imposta contestualmente  all'applicazione  della  misura  di
 prevenzione  personale  (art.  3-bis,  primo  comma), in funzione del
 rispetto  dei  divieti  e  delle   prescrizioni   che   derivano   da
 quest'ultima.  Conformemente  a  tale  suo  carattere  strumentale  e
 "cautelare"  (art.  3-bis,  ottavo  comma),  la  somma   versata   e'
 restituita  all'interessato  al  termine dell'esecuzione della misura
 (quinto comma), ovvero e' confiscata  in  caso  di  trasgressione  ai
 divieti e agli obblighi posti con il decreto (sesto comma).
   Ad  avviso del giudice rimettente, la disposizione denunciata e' in
 contrasto:
     a) con l'art. 3 della Costituzione, poiche'  essa  determinerebbe
 un  ingiustificato  uguale trattamento di soggetti che, a causa delle
 loro disponibilita' economiche, sono o  non  sono  in  condizione  di
 adempiere  all'obbligo  di  deposito  della cauzione o di prestazione
 della garanzia;
     b) con l'art. 27, primo comma,  della  Costituzione,  poiche'  il
 prevenuto  il  quale  versi  in  condizioni  economiche  che  non gli
 consentono  di  adempiere  all'obbligo  di  cauzione  o  di  garanzia
 verrebbe a essere assoggettato a una sanzione penale per una condotta
 incolpevole, a lui riferibile solo oggettivamente;
     c)  con  l'art.  27,  terzo comma, della Costituzione, poiche' la
 pena irrogata a un soggetto chiamato a  rispondere  per  una  propria
 omissione  a titolo meramente oggettivo sarebbe inidonea a perseguire
 la sua necessaria funzione rieducativa.
   2. - La questione e' infondata in riferimento a tutti  i  parametri
 costituzionali invocati.
   2.1.  -  Quanto alla violazione del principio di uguaglianza, sotto
 il profilo dell'uguale trattamento di situazioni in fatto diverse, e'
 sufficiente considerare che, a norma del  primo  comma  del  medesimo
 art.  3-bis,  la determinazione da parte del tribunale della somma da
 versare a titolo di cauzione in vista  di  "un'efficace  remora  alla
 violazione   delle   prescrizioni   imposte"   col  provvedimento  di
 prevenzione deve tenere  conto  -  oltre  che  dei  provvedimenti  di
 sequestro  e  confisca  che  siano  stati adottati, a norma dell'art.
 2-ter  della  medesima  legge,  nei  confronti  del  proposto  o  del
 sottoposto  a  misura  di  prevenzione  relativamente ai suoi beni di
 origine illegale - anche delle condizioni economiche  del  prevenuto.
 La  corretta  considerazione  congiunta della finalita' della misura,
 cioe'  l'efficace   deterrenza   rispetto   alla   violazione   delle
 prescrizioni di prevenzione, e delle disponibilita' economiche su cui
 la cauzione viene a incidere consente al tribunale, anzi impone, come
 condizione   di   validita'   del   provvedimento,   la   valutazione
 differenziata  delle  diverse  condizioni  economiche  dei   soggetti
 interessati; una valutazione, inoltre, non solo sottoposta a verifica
 nelle  normali  procedure  di  ricorso  in  appello  e  in cassazione
 previste dall'art.  4 della legge n. 1423 del 1956, ma  anche  sempre
 rivedibile  alla  stregua dell'ultimo comma dell'art. 3-bis in esame,
 il quale consente in ogni momento la revoca, totale o parziale, della
 misura  per  comprovate  gravi  necessita' personali o familiari, che
 includono, secondo la corrente interpretazione della  giurisprudenza,
 l'ipotesi dell'incapacita' economica.
   Si  deve percio' escludere che la legge operi un cieco livellamento
 di  situazioni  diverse  dal  punto  di  vista  delle  disponibilita'
 economiche dei prevenuti, essendo invece sempre tenuto il tribunale a
 valutare  la  specificita'  delle  situazioni  e  la congruita' delle
 singole  misure  ai  fini  della  determinazione  dell'entita'  della
 cauzione.  Ne  segue  che la fattispecie penale dell'impugnato quarto
 comma dell'art. 3-bis, della quale  il  provvedimento  del  tribunale
 costituisce  il  presupposto,  non comporta quell'equiparazione nello
 stesso trattamento  penale  di  situazioni  diverse  che  il  giudice
 rimettente   ha   ravvisato   nel  sollevare  la  presente  questione
 d'incostituzionalita'.
   2.2. -  Anche  i  dubbi  sollevati  con  riguardo  al  primo  comma
 dell'art.  27 della Costituzione risultano infondati.
   La  censura  che  il  pretore rimettente prospetta a tale proposito
 muove dall'ipotesi non di applicazione ma di violazione della  legge.
 Si  considera infatti il caso in cui il tribunale, male intendendo il
 suo compito, abbia imposto il  versamento  di  una  cauzione  che  il
 soggetto  non  ha  la  possibilita'  materiale  di  effettuare.  Tale
 soggetto sarebbe posto nelle condizioni  di  non  poter  non  violare
 l'obbligo   penalmente   sanzionato,   indipendentemente   dalla  sua
 volonta'. La sanzione penale conseguirebbe in tal modo, in violazione
 dell'art. 27, primo comma, della  Costituzione,  a  un  comportamento
 omissivo incolpevole, la cui responsabilita' verrebbe quindi ascritta
 obbiettivamente al suo autore.
   In  tal modo, tuttavia, il giudice rimettente opera arbitrariamente
 un rovesciamento argomentativo, ragionando come se la responsabilita'
 penale, nella specie, fosse il dato di partenza necessario invece che
 il punto d'arrivo eventuale del suo giudizio. Egli infatti assume che
 vi sia responsabilita' penale  anche  se  il  comportamento  omissivo
 previsto   dalla   disposizione   denunciata   non   e'   ascrivibile
 soggettivamente  all'imputato,  e  da  cio'  inferisce   la   lesione
 dell'art.  27,  primo  comma, della Costituzione. Le regole ordinarie
 che valgono in tema di colpevolezza in materia penale portano  invece
 pianamente alla conclusione opposta. In particolare, dalla disciplina
 dei  criteri  di imputazione soggettiva del reato contenuta nell'art.
 42 cod. pen.   discende  che  anche  il  reato  contravvenzionale  in
 questione  presuppone  quantomeno  la  colpa.  Percio'  la  materiale
 impossibilita' di provvedere al versamento della cauzione, causata da
 mancanza di disponibilita' economiche evidentemente non preordinata o
 colposamente determinata, comporta non una forma  di  responsabilita'
 oggettiva ma l'esenzione da responsabilita'.
   2.3.  -  Le  considerazioni che precedono, infine, danno la ragione
 dell'infondatezza anche della questione prospettata sotto il  profilo
 della  violazione  dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Una
 volta esclusa  la  possibilita'  di  individuare,  nella  fattispecie
 prevista  dall'impugnato  quarto comma dell'art. 3-bis della legge n.
 575 del 1965, un'ipotesi di responsabilita' penale oggettiva, viene a
 mancare infatti ogni motivo per seguire il ragionamento  del  giudice
 rimettente  circa  il  rapporto tra funzione rieducativa della pena e
 volontarieta' dell'illecito penale.