IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza;
   Con decreto del 2 febbraio  1994  Scrivo  Bruno  e  Federico  Maria
 Assunta  venivano  tratti  a  giudizio davanti a questo tribunale per
 rispondere, il primo del reato di cui agli artt. 81, 56, 61 n. 2, 610
 c.p., la seconda del reato di cui all'art. 371-bis c.p., commesso  il
 24  giugno  1992  nell'ambito  del  procedimento contro Scrivo per il
 reato sopra indicato.
   Ritiene  il  collegio  di  sollevare  d'ufficio  la  questione   di
 legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,
 dell'art. 28, comma 1, legge n. 332/1995, che limita  la  sospensione
 necessaria  del  procedimento  per  il reato di false informazioni al
 p.m. alle sole ipotesi  in  cui  l'esercizio  dell'azione  penale  e'
 successivo  al  23 agosto 1995, data di entrata in vigore della legge
 suddetta.
   Il d.-l. 8 giugno 1992, n. 306 ha  stabilito  la  rilevanza  penale
 delle false dichiarazioni rese al p.m. nel corso delle indagini dalle
 persone  informate sui fatti, prendendo atto dell'inadeguatezza della
 fattispecie di cui  all'art. 378 c.p. a coprire  tutte  le  possibili
 manifestazioni  dell'illecito  e  della  valenza probatoria, sia pure
 limitata e variamente  condizionata,  che  gli  atti  delle  indagini
 preliminari  avevano  gia'  allora  assunto  per  effetto  di novelle
 legislative, e soprattutto per quelle derivanti dallo stesso d.-l. n.
 306/1992, ed interventi della Corte costituzionale.
   Con il ripensamento garantista che e' all'origine  della  legge  n.
 332/1995,  viceversa,  si  e'  inteso,  per  la parte che qui rileva,
 salvaguardare la genuinita' delle informazioni raccolte nella fase di
 indagini, mettendo al bando tutti quegli strumenti  procedurali  che,
 in   piena   legittimita',   consentivano  all'organo  inquirente  di
 esercitare  una  pressione  sul  dichiarante  con  grave  rischio  di
 compiacenti  dichiarazioni  allineate  all'impostazione accusatoria e
 giustificate  soltanto  dalla  preoccupazione   dell'informatore   di
 evitare  interventi  ai  suoi  danni  ovvero  di  far  cessare azioni
 coercitive gia' in essere. Di qui il divieto di arresto in  flagranza
 del  falso  informatore (art. 26, legge n. 332/1995) e la sospensione
 del procedimento fino alla sentenza di primo grado, all'archiviazione
 o alla sentenza di proscioglimento.
   La sospensione, in particolare, serve ad  evitare  che  la  persona
 indagata  per  il  reato  di  cui  all'art.  371-bis c.p., chiamata a
 deporre in dibattimento, sia pure ai sensi dell'art. 210 c.p.p.,  sia
 condizionata  dalla  contemporanea  pendenza  del  procedimento a suo
 carico e, anche per fruire degli effetti della ritrattazione ex  art.
 376  c.p.,  finisca  per allinearsi artificiosamente all'impostazione
 d'accusa.
   D'altra  parte la sospensione del procedimento, nel medesimo ordine
 di idee, preclude  l'applicazione  di  misure  cautelari,  eliminando
 cosi' un ulteriore strumento di pressione sul testimone. E' appena il
 caso  di evidenziare che il rapporto tra il procedimento principale e
 quello per il reato di cui all'art.  371-bis  c.p.  non  si  pone  in
 termini  di  pregiudizialita', ma di totale autonomia. Tant'e' che la
 sospensione opera, non fino al passaggio in giudicato della  sentenza
 resa  nel  primo,  ma  fino  alla  pronuncia  di primo grado, termine
 quest'ultimo  coincidente  con  quello  ultimo  entro  il  quale   la
 ritrattazione assume rilevanza ai fini del gia' citato art. 376 c.p.
   Cio'  comporta,  a prescindere da ogni valutazione circa l'utilita'
 dello strumento, che,  per  effetto  della  sospensione,  la  persona
 informata  sui  fatti puo' svolgere il proprio ruolo nel procedimento
 principale con una sorta di immunita' nel senso che, fermo  l'obbligo
 di  verita',  l'ordinamento  le  garantisce  che  nessuna  iniziativa
 giudiziaria sara' adottata nei suoi confronti, ne'  sul  piano  della
 coercizione  personale,  ne'  su  quello  processuale,  prima che una
 pronuncia giurisdizionale abbia compiutamente  verificato,  sia  pure
 nel  contesto  del  procedimento principale, quelle dichiarazioni che
 l'organo inquirente ritiente false. Il  tutto  a  salvaguardia  tanto
 della  posizione  dello stesso informatore, tanto di quella di coloro
 nei cui confronti le sue dichiarazioni devono essere utilizzate.
   Cio' posto, ad avviso del collegio, non puo' porsi in dubbio che la
 posizione di coloro per i quali l'azione penale e'  stata  esercitata
 prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge n. 332/1995 e', sotto i
 profili di cui sopra, identica a quella di chi assume la qualita'  di
 imputato  del reato di cui all'art. 371-bis c.p. in epoca successiva.
 Posto che nel procedimento di riferimento non sia  stata  pronunciata
 la  sentenza  di  primo grado, le argomentazioni di cui sopra sono in
 toto  riproducibili,  indipendentemente  dal  momento   in   cui   e'
 intervenuta la chiusura delle indagini preliminari.
   Tale  riferimento  cronologico non e' in grado di influire in alcun
 modo sulle ragioni di garanzia poste a fondamento della  norma  nella
 misura  in  cui  e' ancorato ad un dato generale (l'entrata in vigore
 della legge) indipendente dalla dinamica del procedimento.  Dall'art.
 28,  comma  1,  legge n. 332/1995, pertanto, deriva una disparita' di
 trattamento dell'imputata Federico Maria Assunta,  rispetto  a  tutti
 coloro  che non avevano ancora assunto la qualita' di imputati per il
 reato di cui all'art. 371-bis c.p. alla data del 23 agosto 1995 e  ai
 quali la sospensione e' applicabile.
   Tale  disparita'  di trattamento non appare compatibile, secondo il
 canone   della   ragionevolezza   elaborato   dalla    giurisprudenza
 costituzionale,  neppure  in  rapporto a quelle esigenze pratiche che
 hanno probabilmente animato il  legislatore  nell'elaborazione  della
 disposizione transitoria in parola. Nel momento in cui la sospensione
 viene vista come strumento di garanzia finalizzato a contribuire allo
 svolgimento  di  un "giusto processo", la stessa assume una dignita',
 anche costituzionale, superiore e non puo' che prevalere, in  assenza
 di  altre  giustificazioni  di  un  diverso trattamento, su generiche
 considerazioni di buon andamento dell'attivita' giudiziaria, peraltro
 di dubbia incidenza in concreto.
   Evidente e'  la  rilevanza  della  questione  considerato  che  nel
 presente  giudizio, nel quale l'imputata e' chiamata a rispondere del
 reato  di  cui  all'art.  371-bis  c.p.,  l'azione  penale  e'  stata
 esercitata  prima  dell'entrata in vigore della legge n. 332/1995. Ne
 discende  che  l'art.  28,  della  cui legittimita' costituzionale si
 dubita, preclude nella specie l'applicabilita' della  sospensione  ex
 art. 25 della legge suddetta.