IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1369  del  1993
 proposto  da Fusaro' Italo Vincenzo, rappresentato e difeso dall'avv.
 Gabriella Spata ed elettivamente domiciliato in Lecce presso  il  suo
 studio alla via Salvatore Trinchese n. 87;
   Contro  comune  di  Avetrana,  in  persona del sindaco pro-tempore,
 rappresentato e  difeso  dall'avv.  Pietro  Quinto  ed  elettivamente
 domiciliato  in  Lecce  presso il suo studio alla via G. Garibaldi n.
 43;
   Per l'annullamento del  silenzio  rifiuto  serbato  dal  comune  di
 Avetrana  sull'atto  di diffida notificato in data  27 febbraio 1993,
 nonche' per l'accertamento  della  natura  di  rapporto  di  pubblico
 impiego  a tempo indeterminato relativamente all'attivita' lavorativa
 prestata in favore del comune di Avetrana con conseguente obbligo del
 predetto  comune  del  riconoscimento   di   diritti,   spettanze   e
 retribuzioni   maturate   e  non  corrisposte,  con  rivalutazione  e
 interessi.
   Visti il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Avetrana;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa.
   Udito  il  relatore cons. Antonio Pasca e uditi altresi' gli avv.ti
 G. Spata e P. Quinto.
   Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con il ricorso n. 1369/1993, depositato in data 8 maggio  1993,  il
 ricorrente  impugna  il  silenzio  rifiuto  formatosi  sulla  diffida
 notificata  in  data  27  febbraio  1993,  chiedendo  accertarsi,  in
 relazione  alla attivita' lavorativa prestata in favore del comune di
 Avetrana la natura di rapporto di  pubblico  impiego,  con  tutte  le
 conseguenze  sul  piano  giuridico  ed economico, con rivalutazione e
 interessi sulle somme dovute.  Il ricorrente assume di aver  prestato
 servizio  presso  il  comune  di  Avetrana  in qualita' di ragioniere
 (sesta  qualifica  funzionale)  in   virtu'   di   formale   incarico
 conferitogli  dapprima  con delibere g.m. n. 451 del 1 settembre 1988
 (chiarita con successiva delibera n. 539 del 18 ottobre  1988)  e  n.
 86/1989  del  2 febbraio 1989 (incarichi a convenzione intercorsi tra
 il comune e lo "studio Giuliano", del quale il  ricorrente  risultava
 collaboratore).      Il   ricorrente,   benche'  la  iniziale  durata
 dell'incarico convenzionale fosse di durata  limitata,  asserisce  di
 aver  prestato  la  propria  opera,  contrariamente a quanto previsto
 dalla convenzione,  in  via  continuativa,  in  virtu'  di  ulteriori
 successive  delibere  adottate  dall'a.c. di Avetrana.  Il ricorrente
 assume  di  essere  stato  sin  dall'inizio  inserito   nell'apparato
 organizzativo  dell'ente,  prestando  la propria opera con vincolo di
 subordinazione gerarchica, avvalendosi di  mezzi  e  di  attrezzature
 forniti  dall'ente.  Il  rapporto in questione, nonostante la formale
 qualificazione come contratto d'opera ex art. 2222 c.c.,  si  sarebbe
 concretamente  atteggiato  come  vero  e proprio rapporto di pubblico
 impiego.  Il ricorrente ha notificato apposito  atto  di  diffida  in
 data 27 febbraio 1993, sulla quale si e' formato il silenzio rifiuto,
 pure impugnato con il ricorso in esame.
   A  sostegno  della  propria pretesa il ricorrente deduce i seguenti
 motivi di censura:
     1)  eccesso  di  potere,  con  riferimento  alla   illegittimita'
 dell'inerzia serbata dall'Amministrazione sull'atto di diffida;
     2)  violazione  degli  artt.  36  della  Costituzione e 2126 c.c.
 nonche' eccesso di potere  per  manifesta  ingiustizia,  per  erronea
 presupposizione   e   difetto   di  istruttoria,  in  relazione  alla
 circostanza che l'amministrazione non avrebbe adeguatamente  valutato
 la  configurabilita'  del rapporto in esame come rapporto di pubblico
 impiego, sussistendone tutti gli indici rivelatori  e  a  prescindere
 dal nomen fittiziamente attribuito al rapporto stesso.
   In  data  22 febbraio 1994 si e' costituito formalmente in giudizio
 il comune di Avetrana, chiedendo la reiezione del ricorso.
   In data 28 gennaio 1995 la difesa del ricorrente ha  depositato  in
 atti varia documentazione in via istruttoria.
   In  data  1 marzo 1996 il ricorrente ha proposto istanza cautelare;
 nella c.c. 12 marzo  1996  detta  istanza  e'  stata,  su  richiesta,
 rinviata a data da destinarsi.
   In  data  11  marzo  1996  la  difesa  del  comune  di  Avetrana ha
 depositato in atti una memoria difensiva.
   In data 16 dicembre 1997  si  e'  costituito  in  giudizio  per  il
 ricorrente  l'avv.  G Spata, in sostituzione del precedente difensore
 avv. G.  Pellegrino.
   In date 14 marzo 1998 e 23 marzo 1998 la difesa del  ricorrente  e,
 rispettivamente, la difesa del comune di Avetrana hanno depositato in
 atti memorie conclusive.
   All'udienza  del  25 marzo 1998, in esito all'orale discussione, il
 ricorso e' stato per la decisione.
                             D i r i t t o
   L'azione di accertamento proposta dal Fusaro'  con  il  ricorso  in
 esame  concerne  l'arco  temporale  che  va dal 13 febbraio 1989 al 6
 maggio 1993; il ricorrente chiede, previa qualificazione del rapporto
 come rapporto  di  p.i.,  l'accertamento  del  proprio  diritto  alle
 differenze retributive, oltre interessi e rivalutazione, nonche' alla
 regolarizzazione   del  rapporto  sotto  il  profilo  contributivo  e
 previdenziale.
   A  seguito  della  acquisizione  agli  atti,  in  esecuzione  della
 sentenza parziale n. 330/1997 (resa nel ricorso connesso n. 948/1996,
 proposto  -  tra  gli  altri  - anche dall'odierno ricorrente), della
 relazione in data 23 luglio 1997 a firma del segretario generale  del
 comune  di Avetrana e' emerso - in disparte ogni altra considerazione
 in ordine alla  sussistenza  dei  cd  indici  rivelatori  -  che  non
 risultava  previsto  e/o  vacante  il  corrispondente specifico posto
 all'interno  della  pianta  organica.  In  particolare  nella  citata
 relazione  si legge:  "il rag. Fusaro' Italo ha prestato la sua opera
 nel periodo compreso tra il 13 febbraio 1989 e il  31  dicembre  1993
 negli  uffici di ragioneria e segreteria del comune di Avetrana ...";
 ed ancora, relativamente alla previsione e alla  vacanza  del  posto:
 "per  quanto  riguarda  i  posti  che  i  ricorrenti assumono di aver
 sostanzialmente  ricoperto,  si   comunica   che   presso   l'ufficio
 ragioneria  risultava  vacante  il posto di ragioniere economo (sesta
 qualifica funzionale) sino al 28 dicembre 1992, coperto a seguito  di
 espletamento  di concorso interno"; ed inoltre: "presso ... l'ufficio
 segreteria non vi erano posti di sesta qualifica  funzionale  vacanti
 ...".   Da quanto sopra emerge dunque che presso l'Ufficio segreteria
 non risultava vacante  alcun  posto  di  sesta  qualifica  funzionale
 durante  tutto  l'arco  di  tempo  qui  considerato e che, viceversa,
 presso l'ufficio ragioneria risultava vacante e disponibile  un  solo
 posto di ragioniere economo di sesta qualifica funzionale e solo fino
 alla  data  del 28 dicembre 1992.  Deve quindi, nei termini temporali
 sopra  evidenziati,  ritenersi  non  sussistere  in  relazione   alla
 attivita'  prestata  dal  ricorrente  il  presupposto della vacanza e
 della disponibilita'  del  posto  specifico  nelle  previsioni  della
 pianta  organica.   Cio' premesso, ritiene il collegio, che l'assenza
 di tale presupposto precluda  l'applicabilita'  della  norma  di  cui
 all'art. 2126, atteso che la previsione e vacanza del posto in pianta
 organica deve riguardarsi alla stregua di necessario presupposto, con
 priorita'  logica  rispetto  all'esame  degli indici rivelatori della
 subordinazione solitamente considerati  che  comunque  ricorrono  nel
 caso  di  specie.   Occorre premettere che la norma di cui al secondo
 comma dell'art.   2126 non sembra  applicabile  alla  fattispecie  in
 esame;  tale  norma sancisce il diritto del prestatore di lavoro alla
 retribuzione se il lavoro e' stato prestato con violazione  di  norme
 poste a tutela del lavoratore.  Ed invero nel caso in esame il lavoro
 risulterebbe  prestato  in violazione di norme diverse poste a tutela
 dell'interesse  della  p.a.     e   dell'interesse   generale   della
 collettivita'  tale  essendo  la  ratio  delle  norme  che  prevedono
 l'assunzione al pubblico impiego  esclusivamente  mediante  concorso.
 sanzionando  di  nullita'  assoluta  (in  senso  proprio  gli atti di
 costituzione di  un  rapporto  di  pubblico  impiego  in  assenza  di
 pubblico  concorso  (fatte  salve  le  deroghe espressamente previste
 dalla legge).  Tali norme, che trovano fondamento nell'art. 97  della
 Costituzione,  ricorrono  nell'ordinamento  sia  con riferimento alle
 amministrazioni statali, che per gli enti pubblici in genere,  per  i
 comuni,  le  province,  le  aziende sanitarie, etc.   La normativa in
 questione mira a tutelare sia le esigenze di contenimento della spesa
 pubblica sia le esigenze di imparzialita' dell'azione amministrativa,
 sia infine quelle legate ad una adeguata valutazione dei requisiti di
 ammissione  e  all'utilizzazione  di  idonei  criteri  selettivi  per
 l'accesso  al pubblico impiego (ex plurimis. C.d.S.  A.P. n. 2/1992).
 Come autorevolmente  rilevato  dal  C.d.S.,  in  particolare  con  la
 decisione  A.P.  n.  2  del  29 febbraio 1992, deve escludersi che la
 violazione delle norme che prevedono il divieto di  assunzioni  possa
 integrare  illiceita'  dell'oggetto  o  della causa nei termini e nei
 limiti ivi precisati.  Conseguentemente la norma a cui  occorre  fare
 riferimento  e'  esclusivamente  quella  di  cui  al primo comma, del
 citato  art.  2126  c.c.;  tale  norma  prevede  che  la  nullita'  o
 l'annullamento del contratto di lavoro non  produce  effetto  per  il
 periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.
   Ritiene  il collegio che in realta' la norma di cui al primo comma,
 dell'art. 2126 c.c. null'altro costituisca se non una  specificazione
 del  generale  principio di cui all'art. 2041 c.c. (con un elemento -
 tuttavia - specializzante come di seguito evidenziato);  ove  infatti
 la  norma  di  cui  al  primo  comma,  dell'art.  2126 non esistesse,
 ugualmente risulterebbe attribuita tutela al prestatore di lavoro  ai
 sensi  dell'art.    2041  c.c., che prevede in via residuale l'azione
 generale di indebito arricchimento (in questo caso tuttavia con onere
 di prova dell'utilitas a carico del ricorrente.    La  norma  di  cui
 all'art.  2126,  primo comma, trova infatti la sua evidente ratio non
 gia' nella astratta esigenza di fare salvi gli effetti medio  tempore
 prodotti   in   esecuzione  del  contratto  di  lavoro  nullo,  bensi
 nell'esigenza       di       salvaguardare       il        sinallagma
 prestazione-controprestazione,  realizzando  contemporaneamente  e in
 termini di complementarieta' - da un lato - la tutela del  lavoratore
 e  -  dall'altro  - l'esclusione dell'ingiustificato arricchimento da
 parte del datore di lavoro.    Conseguentemente  l'art.  2126,  primo
 comma,   deve   interpretarsi  -  quando  riferito  ad  una  pubblica
 amministrazione - entro tale angolazione visuale e conformemente alla
 sua ratio nel senso che deve ritenersi l'ingiustificato arricchimento
 della p.a. in danno del prestatore di lavoro come un postulato  della
 norma  in  esame.   La norma di cui all'art. 2126, in quanto prevista
 anzitutto per regolare rapporti di  lavoro  privatistici  (il  chiaro
 riferimento  alla  nullita'  o  annullamento  del  "contratto"  ne e'
 testimonianza), non contiene per cio' stesso un esplicito riferimento
 in tal senso, essendo intuitivo del resto che la costituzione  di  un
 rapporto  di  lavoro  nell'ambito  del  diritto  privato e quindi per
 volonta' anche del datore di lavoro, ancorche' con contratto nullo  o
 annullato  implica  e  presuppone  di  per  se'  una  evidente quanto
 implicita valutazione di utilita' e rilevanza economica per il datore
 di lavoro stesso della prestazione resa dal dipendente.    L'elemento
 specializzante  dell'art.  2126  rispetto  alla norma di cui all'art.
 2041 c.c. e' costituito dalla presunzione assoluta di utilitas  della
 prestazione  per  il  datore  di  lavoro  da  quanto  sopra  discende
 l'esonero  del  ricorrente  dal  relativo  onere  di  prova.     Tale
 presunzione  juris et de jure di utilita' economica della prestazione
 di lavoro resa dal lavoratore (che caratterizza e differenzia  l'art.
 2126  dall'art.  2041)  non  ha  ragion d'essere qualora il datore di
 lavoro sia una pubblica  amninistrazione,  sia  per  la  peculiarita'
 della  normativa  di riferimento, sia per la cogente esigenza - anche
 costituzionalmente garantita sotto vari profili -  di  programmazione
 del  fabbisogno  di  personale  e  di correlativa puntuale previsione
 delle  risorse  umane.    Siffatta  utilita'  e  rilevanza  economica
 presunta  juris  et  de jure (implicito presupposto di applicabilita'
 dell'art.  2126),  ove  il  datore  di  lavoro   sia   una   pubblica
 ammmistrazione  non  puo'  che  ravvisarsi  -  sempre  ai  soli fini'
 dell'applicazione dell'art. 2126 - nella  attivita'  prestata  su  un
 posto  previsto  nella p.o., vacante e disponibile.  Tale circostanza
 dunque deve riguardarsi come necessario e imprescindibile presupposto
 per l'applicazione dell'art. 2126 c.c. nei confronti della p.a.    Il
 collegio  non  ignora ovviamente l'orientamento giurisprudenziale che
 non  attribuisce rilevanza a siffatto elemento nell'ambito di giudizi
 analoghi a quello in esame, orientamento pure in  precedenza  seguito
 da questo tribunale; alcune riflessioni ulteriori, tuttavia, inducono
 il  collegio,  melius  re  perpensa,  a  mutare il proprio indirizzo.
 Occorre infatti considerare che l'indebito arricchimento della,  p.a.
 (che  e'  presunto  in  via  assoluta  ex  art.  2126)  in  danno del
 dipendente, a differenza di quanto accade per il caso di un datore di
 lavoro  privato,  deve  necessariamente  raggiungere  un  livello  di
 rilevanza  giuridico-formale ai fini dell'applicazione della norma in
 esame;   ed   invero,    diversamente    opinando,    l'arricchimento
 ingiustificato  della  p.a.  ai  sensi dell'art. 2126 c.c. suonerebbe
 come una mera asserzione di principio e come un assioma  indimostrato
 e  indimostrabile.    Occorre  peraltro  considerare che una siffatta
 rilevanza    giuridico-formale    (e    non    meramente    fattuale)
 dell'arricchimento    indebito    costituisce    per    la   pubblica
 amministrazione,  a  differenza  di  quanto   accade   nei   rapporti
 interprivati,  non  un  dato  meramente  formale  e fine a se stesso,
 bensi' il concreto presupposto dell'arricchimento senza giusta causa,
 che  qui  rileva  in  quanto  causa   di   patologia   del   rapporto
 sinallagmatico al quale l'art. 2126 c.c. intende porre rimedio.
    Tale  arricchimento ingiustificato per la pubblica amministrazione
 - sempre ai limitati fini dell'applicazione dell'art. 2126 - non puo'
 che consistere, infatti, nella fruizione di  determinate  prestazioni
 lavorative,  riferibili  qualitativamente  e quantitativamente ad una
 determinata qualifica funzionale, retribuita  o  con  un  trattamento
 economico  previsto  per  un  dipendente di qualifica inferiore (come
 accade in tema di retribuzione differenziale per  lo  svolgimento  di
 mansioni   superiori)   ovvero   con   un   corrispettivo   di  fonte
 convenzionale, comunque inferiore al parametro  economico  costituito
 astrattamente  dalla  qualifica  di  riferimento delle mansioni svohe
 (come  accade  per  il  caso  della  domanda  di  accertamento  della
 qualificabilita'  di  un  rapporto precario come rapporto di pubblico
 impiego).
   Occorre  infatti  considerare  che,  per  fruire  di  una  siffatta
 prestazione  lavorativa,  la  p.a.  dovrebbe  poter  coprire il posto
 vacante (e ovviamente previsto  nella  p.o.)  mediante  una  regolare
 assunzione  (concorso,  mobilita', etc.), con la conseguenza di dover
 corrispondere al  dipendente  in  tal  modo  assunto  un  trattamento
 economico  corrispondente alla qualifica di riferimento; l'assenza di
 previsione e/o  vacanza  del  posto  nella  p.o.,  per  quanto  sopra
 evidenziato,  precluderebbe  alla p.a. ogni possibilita' di ricorrere
 ad una regolare assunzione.   Conseguentemente  nessuna  utilita'  in
 termini  economici e nessun indebito arricchimento possono presumersi
 - ex art. 2126 - derivare alla  p.a.  dall'espletamento  di  mansioni
 superiori ovvero dall'espletamento di attivita' da parte di personale
 in  rapporto di incarico e a convenzione, per il caso in cui il posto
 non risulti previsto nella pianta organica (come nel caso  in  esame)
 ovvero per il caso in cui lo stesso non risulti vacante.  In realta',
 la  ratio  di  fondo che giustifica la retribuibilita' delle mansioni
 superiori non e' dissimile da quella posta  a  giustificazione  della
 retribuzione  secondo  il  parametro  dei  contratti collettivi di un
 rapporto di incarico o a convenzione: in un caso e nell'altro  si  e'
 in  presenza di una rivendicazione da parte del prestatore di lavoro,
 rivendicazione che presuppone che lo stesso abbia sostanzialmente,  e
 anche  in  via  di  mero  fatto,  ricoperto uno specifico posto della
 pianta organica, vacante e disponibile.   Diversamente  opinando  non
 appare  giustificato, ne' conforme al principio di uguaglianza di cui
 all'art. 3 della Costituzione, il ritenere inapplicabili' le norme di
 cui agli artt. 36 della Costituzione e 2126  c.c.  per  il  caso  del
 dipendente  che  abbia  svolto  mansioni  superiori  in assenza della
 previsione o della vacanza dello specifico posto e,  per  contro,  il
 ritenere  tali  norme  applicabili  nei confronti di un soggetto che,
 sempre in assenza  di  previsione  e  di  vacanza  del  posto,  abbia
 prestato  una  attivita'  in  favore  della  p.a.  in  virtu' di atti
 deliberativi  di  incarico;  in  un  caso  o  nell'altro  infatti  la
 retribuzione  differenziale presuppone l'accertamento della copertura
 in via di fatto di un posto vacante nella p.o.  E' noto  infatti  che
 l'esigenza  del  perseguimento  dell'interesse  generale  e  dei fini
 istituzionali  da  parte  dell'ente  pubblico   condiziona   l'intera
 organizzazione  delle  risorse  umane e delle energie lavorative.  In
 particolare, la pianta organica costituisce il  momento  di  sintesi,
 all'interno  del quale vengono necessariamente rappresentate tutte le
 esigenze qualitative e quantitative  in  relazione  alla  natura  dei
 servizi  offerti  e  dei  fini  istituzionali  perseguiti.    La p.o.
 costituisce peraltro un evidente limite anche per  l'amministrazione,
 in vista della esigenza di garantire l'osservanza dei principi di cui
 all'art.  97 della Costituzione e una corretta gestione delle risorse
 finanziarie. Conseguentemente risulta precluso all'amministrazione di
 costituire rapporti impiegatizi su posti non previsti  e  vacanti  in
 p.o.   Le esigenze che non risultino tradotte in una previsione della
 p.o. risultano pertanto entita' non immediatamente e  presuntivamente
 apprezzabili in termini economico patrimoniali per l'amministrazione,
 salvo  prova  contraria,  nei  termini  di seguito precisati (ex art.
 2041 c.c.)   Da cio' deriva che la  previsione  e  la  vacanza  dello
 specifico  posto,  come  in relazione all'asserito espletamento delle
 mansioni  superiori  costituisce  necessario   presupposto   per   la
 retribuibilita'  delle  stesse (c.f.r. C.d.S. A.p. n. 2 del 16 maggio
 1991; t.a.r. Marche n. 553  del  29  novembre  1996;  t.a.r.  Sicilia
 Catania  n.  1109  del 21 giugno 1996; t.a.r. Puglia Lecce n. 46/1997
 del 24 gennaio 1997; nonche' c.f.r.  Corte  costituzionale  31  marzo
 1995  n. 101), cosi' anche in relazione all'asserita qualificabilita'
 di un rapporto ad incarico come rapporto  di  pubblico  impiego  deve
 necessariamente  costituire  altrettanto  imprescindibile presupposto
 per  l'attribuzione  di  retribuzione   differenziale   rispetto   al
 corrispettivo  fissato  nell'atto  di incarico, atteso che in un caso
 come nell'altro la previsione e la vacanza del posto condizionano  in
 concreto  la  qualificabilita'  della  fattispecie  come  ipotesi  di
 arricchimento ingiustificato presunto (ex art. 2126).  Deve  pertanto
 ritenersi  che  l'assenza  della  previsione  e/o  vacanza  del posto
 costituisca   circostanza   idoena   e   sufficiente   ad   escludere
 l'applicabilita'  alla  fattispecie  della previsione di cui all'art.
 2126, comma primo.  Cio' non vuol dire che in tal caso il  prestatore
 d'opera  resti privo di tutela giurisdizionale, per quanto di seguito
 si dira'.  Preme qui sottolineare che  l'assenza  di  previsione  e/o
 vacanza  del  posto  non  viene  in  rilievo  ai  fini  del  ritenere
 sussistente o meno un rapporto di p.i. (ancorche' costituito con atti
 sanzionati  di  nullita'),   ovvero   un   obiettivo   ingiustificato
 arricchimento   della   p.a.,   bensi'  solo  ai  fini  del  ritenere
 applicabile  o  meno  la  norma di cui all'art. 2126 del c.c., tenuto
 conto che l'evidente agevolazione del ricorrente sul piano dell'onere
 di prova trova fondamento in una presunzione  assoluta  dell'utilitas
 della  prestazione per il datore di lavoro, presunzione configurabile
 anche nei confronti della p.a.   ma solo nel  caso  di  previsione  e
 vacanza   del   posto   e   fatta   salva   l'ipotesi   dell'espresso
 riconoscimento di tale  utilitas  da  parte  della  p.a.    Ai  sensi
 dell'art. 1414 c.c., il contratto simulato non produce effetto tra le
 parti  e, se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da
 quello apparente, ha  effetto  tra  esse  il  contratto  dissimulato,
 purche' ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma.
   Cio' premesso, come gia' sopra anticipato, non puo' ritenersi che -
 secondo  la tesi interpretativa qui seguita - il prestatore di lavoro
 privato, in tal modo di tutela giurisdizionale  ex  art.  2126  comma
 primo,  in  relazione  al  rapporto  dissimulato resti anche privo di
 azione con riferimento al rapporto apparente per effetto  del  citato
 art.  1414, comma primo, c.c.  Occorre infatti considerare che spetta
 al giudice  il  compito  di  qualificare  la  fattispecie  sul  piano
 guridico, conseguentemente:
     1)  se  -  in  presenza  dei  presupposti di legge e degli indici
 rivelatori - il rapporto sara' qualificato come rapporto di  pubblico
 impiego,   cio'  stesso  comprovera'  che  il  contratto  o  rapporto
 apparente e' simulato, trovando conseguentemente applicazione  l'art.
 2126 comma primo e l'art. 1414, comma primo;
     2)  se  viceversa - in difetto delle necessarie condizioni - tale
 norma (2126)  non  possa  applicarsi  (ad  esempio  per  difetto  del
 presupposto  della  previsione  e/o  vacanza del posto corrispondente
 nella p.o.)  delle due l'una:
      a) o deve ritenersi esclusa la simulazione, essendo evidente  in
 tal caso che non sono ravvisabili un rapporto apparente convenzionale
 ed  un rapporto dissimulato di p.i., sussistendo viceversa unicamente
 il rapporto convenzionale, da ritenersi quindi non apparente,  bensi'
 reale ed effettivo sotto ogni profilo (ipotesi che ricorre qualora il
 rapporto   siasi   concretamente   articolato  in  conformita'  delle
 previsioni convenzionali,  oggettivamente  riconducibili  nell'ambito
 applicativo  di  cui  all'art.  2222  c.c.)  avendo  in  tal  caso il
 lavoratore  a  disposizione  ovviamente  le   azioni   nascenti   dal
 contratto;
      b)  ovvero,  ricorrendo  comunque  la  simulazione (essendosi il
 rapporto concretamente articolato secondo il modello del rapporto  di
 lavoro  subordinato),  deve  ritenersi  che  il contratto dissimulato
 abbia effetto tra le parti, ove ricorrano i  necessari  requisiti  di
 forma  e  di  sostanza, e che il lavoratore, esclusa l'applicabilita'
 dell'art. 2126 per difetto del presupposto della vacanza  del  posto,
 riceva   tutela   giurisdizionale   ai  sensi  dell'art.  2041.  c.c.
 Nell'ipotesi  di   cui   sub   2-a)   (sostanzialmente   assimilabile
 all'ipotesi   di   accertata  insussistenza  in  fatto  degli  indici
 rivelatori della subordinazione), il prestatore di lavoro avra' a sua
 disposizione l'azione nascente dalla convenzione-contratto, azione la
 cui cognizione resta ovviamente devoluta all'AGO, nel caso in cui  il
 rapporto  si  sia  concretamente articolato secondo le modalita' e le
 previsioni contenute nella convenzione.  In tal caso  il  lavoratore,
 oltre all'azione nascente dal contratto, avra' a disposizione, in via
 residuale,   l'azione   generale   di  cui  all'art.  2041  c.c.,  da
 esercitarsi  sempre  davanti  al  g.o.; cosi' ad esempio nei seguenti
 casi:
     per il  caso  in  cui  il  prestatore  sia  decaduto  dall'azione
 contrattuale;
     ovvero  per  il  caso  in  cui  il contratto manchi dei necessari
 requisiti formali (ad es.: forma scritta che per la p.a. e' richiesta
 ad substantiam);
     ovvero per il caso in cui il  contratto  risulti  nullo  o  venga
 annullato.
   Nell'ipotesi  di  cui  sub  2)-b), viceversa. sempre nella ritenuta
 assenza o vacanza del posto in p.o.,  il  prestatore  d'opera  potra'
 agire - davanti al giudice amministrativo - nei confronti della p.a.,
 avvalendosi  della  generale  e  residuale  azione ai sensi dell'art.
 2041 c.c. L'azione ai sensi dell'art. 2041, con conseguente onere  di
 prova  dell'utilitas  della  prestazione  a carico del ricorrente, va
 comunque riconosciuta nei seguenti casi:
     qualora il rapporto  siasi  in  concreto  articolato  in  termini
 differenti   rispetto   alle   previsioni   contrattuali   (prova  di
 simulazione), concernendo  ad  esempio  l'esecuzione  di  prestazioni
 ulteriori  e  non previste convenzionalmente e secondo il modello del
 rapporto di lavoro subordinato;
     ovvero infine per il caso in cui non vi sia stato alcun contratto
 o convenzione e il rapporto  siasi  comunque  articolato  secondo  il
 modello del rapporto di lavoro subordinato.
   In tali ultime ipotesi infatti, in presenza degli indici rivelatori
 del  rapporto  di  pubblico  impiego,  da  valutarsi  ex  ante  ed in
 relazione al petitum, resta per cio' stesso radicata la giurisdizione
 del g.a.; non potendo tuttavia applicarsi - in difetto della  vacanza
 del  posto  (o  dell'esplicito riconoscimento dell'utilitas) - l'art.
 2126, il ricorrente  ha  l'onere  di  fornire  prova  della  utilita'
 economica della prestazione per la p.a., avvalendosi di tutti i mezzi
 di  prova  a  sua  disposizione (anche in relazione a quanto statuito
 dalla Corte costituzionale con la nota sentenza 23  aprile  1987,  n.
 146).   Sia sufficiente in proposito solo richiamare, per esigenze di
 sintesi, il  prevalente  orientamento  in  tema  di  onere  di  prova
 nell'azione  ex  2041 nei confronti della p.a., anche con riferimento
 alla  possibilita'  di  riconoscimento  implicito  dell'utilita':  ex
 plurimis  Cass. 11 novembre 1994, n. 9458; Cass. 27 febbraio 1991, n.
 2111; Cass. 13 maggio 1980, n. 3157; Cass. 23 maggio 1995,  n.  5638;
 Cass.  23  giugno  1992, n.   7694; Cass. 20 novembre 1992, n. 12399;
 Cass. 10 dicembre 1994, n.  10567; Cass. ss.uu. 13 febbraio 1991,  n.
 1521;  Cass.  8 luglio 1994; Cass. 12 settembre 1992, n. 10433; Cass.
 20 agosto 1992, n. 9682; Cass. 10 novembre 1993, n. 11107.   Siffatto
 onere  probatorio  risulta  peraltro  temperato  dalla  possibilita',
 prevista unicamente per il giudizio davanti all'AGO, di chiedere e di
 ottenere una pronuncia secondo equita', atteso il tenore da  un  lato
 dell'art.  113 c.p.c. e dall'altro del combinato disposto di cui agli
 artt. 112 e 432 c.p.c.   Tale ultima disposizione  prevede,  infatti,
 espressamente  (indipendentemente  da  una  richiesta di parte in tal
 senso) che nelle controversie di lavoro, "quando sia certo il diritto
 ma non sia possibile determinare la somma dovuta..."  la  valutazione
 delle prestazioni rese dal lavoratore venga liquidata dal giudice con
 valutazione  equitativa  (rif.  anche  ad art. 1226 c.c.).   Ai sensi
 dell'art. 409 c.p.c. tali controversie - ratione materiae - rientrano
 infatti  nella  competenza  del  giudice  del lavoro, con conseguente
 applicazione dello speciale rito (art. 409 c.p.c., terzo comma).   Si
 consideri  peraltro  che  la previsione di cui all'art. 2126, proprio
 facendo salvi gli effetti del contratto  nullo  o  annullato  per  il
 tempo  in  cui  il  rapporto  ha  avuto  esecuzione, rinvia quanto al
 parametro  retributivo  di  riferimento,  proprio   al   compenso   o
 retribuzione  previsti  dal  contratto  stesso, esclusa pertanto ogni
 possibilita' di integrazione o sostituzione per c.d. "esterna".    Si
 puo'   in   proposito   ritenere   che  il  ricorso  da  parte  della
 giurisprudenza  amministrativa,  in  tali  i   casi,   ai   parametri
 retributivi   previsti   dalla   contrattazione   collettiva  per  il
 dipendente di ruolo con mansioni similari abbia costituito in realta'
 un escamotage o un surrogato del potere  di  liquidazione  equitativa
 della  prestazione,  attribuito  al solo al giudice ordinario (atteso
 che il riferimento ai parametri retributivi fissati dai  CC.CC.NN.LL.
 per  i  dipendenti  di ruolo appare praticabile solo per l'ipotesi di
 copertura  di  fatto  di  un  posto  vacante  e  disponibile).     La
 possibilita'   comunque   di  ottenere  una  liquidazione  equitativa
 attenua,  come  gia'  evidenziato,  l'onere,  di  prova  che  incombe
 sull'attore  ex  2041 c.c., potendosi agevolmente ravvisare in cio' -
 alla stregua della previsione specifica per le controversie di lavoro
 di cui all'art.  432 c.p.c. - un evidente favor per il prestatore  di
 lavoro,  in  perfetto  parallelo  con  quello  -  per  altro  verso -
 assicurato dal 2126 c.c.  Correlativamente si puo'  ritenere  che  la
 posizione  di favor per il prestatore di lavoro, che trova radici nei
 principi  sanciti  nella  Carta  costituzionale,   risulti   comunque
 garantita  anche per l'ipotesi di azione ex art. 2041, ove esercitata
 dal lavoratore; la liquidazione equitativa, anche d'ufficio,  esclude
 infatti  complicazioni  probatorie sull'utilitas, abbastanza ardue in
 taluni  casi   (investendo   valutazioni   gestionali   difficilmente
 apprezzabili  dall'attore).   Conclusivamente deve ritenersi che come
 le azioni ai sensi del 2041 proposte dal prestatore d'opera, ai sensi
 dell'art. 409 c.p.c., terzo comma,  rientrano  nella  competenza  del
 giudice  del lavoro, cosi' analogamente l'azione ex 2041 proposta dal
 prestatore d'opera nei confronti della p.a. non possa  che  rientrare
 nella  giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo qualora nel
 rapporto e alla luce  della  domanda  siano  ravvisabili  gli  indici
 rivelatori  del  rapporto  di pubblico impiego.  Considerato che, ove
 manchi il presupposto della previsione e della vacanza del  posto  in
 p.o.,  non  puo'  trovare applicazione, pure in presenza degli indici
 rivelatori, l'art. 2126 c.c. e tenuto conto che in tal caso non  puo'
 assumersi  a  parametro  retributivo  di  riferimento  il trattamento
 economico previsto per i dipendenti  di  ruolo  dalla  contrattazione
 collettiva  (anche  in relazione alla correlazione della retribuzione
 non solo alla oggettivita' della  prestazione  resa,  ma  anche  alle
 condizioni   soggettive   e   qualitative   del  prestatore),  appare
 discriminatorio il ritenere non applicabile  da  parte  del  g.a.  la
 norma  di  cui  all'art. 432 c.p.c.   Tale norma infatti, in quanto e
 facente parte del rito speciale  del  lavoro  innanzi  al  G.O.,  non
 sembra  immediatamente  applicabile  nel giudizio in tema di pubblico
 impiego dinnanzi al giudice amministrativo.   Tale omessa  previsione
 appare  in  contrasto con l'art. 3 della Costituzione, differenziando
 sul piano della  tutela  giurisdizionale  situazioni  sostanzialmente
 identiche;  nonche'  in contrasto con l'art. 36 Cost.  nella parte in
 cui  - esclusa per l'assenza della vacanza del posto l'applicabilita'
 dell'art. 2126 e, conseguentemente, la possibilita'  del  riferimento
 ai  parametri  retributivi della contrattazione collettiva - preclude
 al lavoratore una liquidazione secondo equita' che  risulti  comunque
 conforme   ai   principi  fissati  nella  citata  norma  della  Carta
 costituzionale; nonche' infine in contrasto con l'art. 113 Cost.   in
 quanto  tale  omessa  previsione limita la tutela giurisdizionale del
 diritto soggettivo alla giusta retribuzione, qualora -  non  trovando
 applicazione   i  parametri  della  contrattazione  collettiva  -  il
 ricorrente non sia  in  grado  di  provare  anche  il  quantum.    La
 questione  di  costituzionalita', cosi come sopra esposta, appare non
 manifestamente infondata e rilevante ai fini del decidere.  Basti  in
 proposito  considerare  che il ricorrente, come si evince anche dalle
 relazioni in atti, ha svolto mansioni completamente diverse da quelle
 previste nell'originaria convenzione; cio' induce a ritenere  che  il
 rapporto  di  incarico  a  convenzione fosse in realta' simulato.  Le
 attivita' svolte,  che  peraltro  sono  obiettivamente  riconducibili
 nell'ambito di quelle proprie di qualifiche varie e diverse fra loro,
 non  possono  ritenersi  compensate  dal corrispettivo previsto nella
 convenzione, proprio perche' ulteriori e diverse.  Non  essendo,  per
 quanto  sopra  evidenziato,  applicabile l'art. 2126 e ricorrendo gli
 indici rivelatori della subordinazione, nel caso di specie non appare
 possibile definire la controversia nella sua totalita' se non  previa
 definizione  della  questione  di costituzionalita' nei termini sopra
 esposti.
   Riservata  ogni  altra   decisione,   il   giudizio   va   pertanto
 immediatamente   sospeso,  in  attesa  della  decisione  della  Corte
 costituzionale, cui vanno rimessi gli atti.