LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha emesso la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  561/1997  r.g.
 depositato  in  data  11  marzo  1997,  presentato  dal sig. Raffaele
 Battiati, nato a Terricciola (Pisa) il 14 agosto 1936, ivi  residente
 in  via  XX  Settembre n. 40, rappresentato e difeso dal rag. Antonio
 Ghelardoni, e domiciliato nel suo studio in Pisa, via Zerboglio n. 4,
 avverso cartella esattoriale  n.  7400025  dell'ufficio  distrettuale
 delle imposte dirette di Pontedera, relativa a Irpef per l'anno 1990.
                           Ritenuto in fatto
   Il ricorrente ha proposto ricorso per l'annullamento della cartella
 esattoriale  relativa  a recupero Irpef/1990 quale somma erroneamente
 rimborsata  ai  sensi  dell'art.  45  del  d.P.R.  n.  602/1973   per
 complessive L. 3.628.890.
   L'iscrizione  a  ruolo  scaturisce  dal  fatto che l'ufficio non ha
 riconosciuto oneri portati in deduzione nel quadro  "P"  del  modello
 740,   relativi   ai  contributi  Enpaf  (Ente  nazionale  assistenza
 farmacisti) perche' non idoneamente documentati per  L.  6.950.196  e
 perche' non ritenuti di competenza per L. 837.000.
   Il  ricorrente  e'  titolare di una farmacia ed e' quindi tenuto al
 versamento di un  importo  pari  allo  0,90%  del  totale  lordo  dei
 medicinali  forniti  agli  assistiti in regime di assistenza diretta,
 dagli istituti ed enti erogatori dell'assistenza di malattia.
   Il contributo viene obbligatoriamente trattenuto dall'ente in  sede
 di  pagamento delle forniture effettuate dalle farmacie ed e' versato
 trimestralmente all'Enpaf entro il giorno 15 del mese  successivo  al
 compimento di' ogni trimestre.
   Tale  obbligo  e'  scaturito a seguito dell'entrata in vigore della
 legge n. 395 in data 11 luglio 1977 che ha  convertito  in  legge  il
 d.-l.  n.  187  del  4  maggio 1977. Qgni mese il farmacista spedisce
 all'ente  erogatore  di  competenza  (la  regione)  il  prospetto  di
 liquidazione  ricette  il  quale  espone,  tra  le  varie  trattenute
 effettuate, anche lo 0,90% calcolato sull'importo lordo.
   Il ricorrente sostiene,  a  dimostrazione  di  quanto  dedotto  nel
 quadro  "P"  del  modello  740  per  l'anno  di  imposta 1990, che la
 sommatoria degli importi corrispondenti alla voce "trattenuta  Enpaf"
 corrisponde   esattamente   all'ammontare  delle  detrazioni.  Quanto
 all'importo di  L.  837.000,  lo  stesso  non  e'  stato  ammesso  in
 deduzione  perche' non ritenuto di competenza in quanto riferentesi a
 trattenute Enpaf su prospetti di liquidazione ricette per i  mesi  di
 novembre  e dicembre 1987; il ricorrente sostiene che per quell'anno,
 avvalendosi delle disposizioni di cui all'art.  2,  nono  comma,  del
 d.-l.  n.  853/1984,  convertito  in legge n. 17/1985, determinava il
 reddito di impresa non  in  base  al  criterio  di  competenza,  come
 previsto  dal  primo comma dell'art. 74 del d.P.R. n. 597/1973, ma in
 base al criterio dei ricavi conseguiti,  al  netto  dell'imposta  sul
 valore   aggiunto,   ridotto  di  determinate  percentuali  di  costi
 forfettizzati. Non avendo riscosso gli importi relativi  ai  mesi  di
 novembre  e  dicembre,  non  li  ha  conteggiati nel volume di affari
 dell'anno in  cui  erano  indicati,  ma  in  quello  della  effettiva
 riscossione, ossia il 1990. L'ufficio controdeduce sostenendo che nel
 mod.  740  relativo  al  1990  il  contribuente  non  ha allegato una
 sufficiente documentazione a sostegno di quanto asserito; afferma che
 buona parte dei versamenti effettuati all'Enpaf  non  possono  essere
 considerati,  secondo  un  criterio  di  cassa,  relativi al 1990, ma
 all'anno  successivo.  Contesta  il  fatto  che  i  versamenti  siano
 intestati  non al ricorrente, ma alla farmacia. Ritiene che, ai sensi
 dell'art. 2, undicesimo comma, della c.d. legge Visentini-ter, la cui
 lettura deve integrare il nono comma, dello stesso articolo, i ricavi
 si considerano conseguiti quando le operazioni sono state o avrebbero
 dovuto essere registrate o annotate ai fini dell'Iva.
   Con una memoria illustrativa il ricorrente sostiene che  l'ufficio,
 ai  sensi  dell'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, avrebbe dovuto, a
 pena di decadenza, notificare al contribuente la cartella esattoriale
 entro e non oltre il 31 dicembre del 1993, in quanto il  procedimento
 di   rettifica,  da  farsi,  appunto  entro  l'anno  successivo  alla
 dichiarazione,  diviene  pubblico  e  ricorribile  con  la   notifica
 dell'iscrizione  a  ruolo. Preliminarmente eccepisce che la cartella,
 emessa ai sensi dell'art. 36-bis del d.P.R.  n.  600/1973,  e'  stata
 notificata oltre i termini di legge.
                          Ritenuto in diritto
   Deve  essere  preliminarmente esaminata la rilevanza dell'eccezione
 relativa alla decadenza ex art. 36-bis.
   L'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 dispone che gli  uffici  delle
 imposte  (...)  procedono entro il 31 dicembre dell'anno successivo a
 quello di  presentazione  alla  liquidazione  delle  imposte  dovute.
 Dottrina   e   giurisprudenza   hanno   lungamente   dibattuto  sulla
 ordinatorieta' ovvero perentorieta'  del  termine  di  cui  trattasi.
 Come noto, il d.P.R. 24 dicembre 1976, n. 920, all'art. 2, aggiungeva
 l'art.  36-bis  al  d.P.R. n. 600/1973. L'originaria formulazione del
 36-bis non prevedeva alcun termine entro  il  quale  l'operazione  di
 riesame  delle  dichiarazioni  rese  dal  contribuente dovesse essere
 conclusa,  essendo  considerato,  nella   sua   ratio,   l'intervento
 dell'ufficio  come  un  atto  di  tutela  delle ragioni del fisco, ma
 anche, e soprattutto, di ausilio al contribuente.    Successivamente,
 il d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, mutando la precedente normativa,
 in   ordine   a  cio'  che  e'  consentito  all'ufficio  in  sede  di
 liquidazione  dell'imposta,  ha,   nella   riformulazione   dell'art.
 36-bis, confermato il termine, per tale liquidazione, del 31 dicembre
 dell'anno  successivo  a quello di presentazione della dichiarazione.
 La modifica legislativa dette originariamente luogo  a  comprensibili
 difficolta'  ermeneutiche  sia nella giurisprudenza delle commissioni
 tributarie di merito, che in quella della commissione centrale.  Dopo
 un primo momento  di  disorientamento,  si  e'  andata  formando  una
 giurisprudenza  univoca nel senso della perentorieta' del termine per
 l'iscrizione a ruolo.   La commissione tributaria  centrale,  con  la
 sentenza   27  ottobre  1994,  n.  3513,  confermando  l'orientamento
 espresso da numerose commissioni di primo e secondo grado, ribadi' la
 perentorieta' del termine. Sottolineo' che l'art. 36-bis  prevede  un
 particolare   procedimento   di  rettifica  delle  dichiarazioni  dei
 redditi, diverso dall'accertamento ex art.  38 e segg. La commissione
 contestava, nella fattispecie, la prospettazione dell'ufficio che,  a
 suo  dire, distingueva surrettiziamente tra procedimento di rettifica
 e liquidazione della maggior imposta con iscrizione a  ruolo,  mentre
 la  distinzione  andava  operata  tra  rettifica  ex  art.   36-bis e
 accertamento ex art. 38 e segg.   Il procedimento  di  rettifica,  da
 farsi entro l'anno successivo alla dichiarazione a pena di decadenza,
 avviene  interamente  nell'ambito  dell'ufficio  e diviene pubblico e
 ricorribile solo con la notifica dell'iscrizione a ruolo. Distinguere
 tra procedimento di rettifica, da farsi entro l'anno,  e  correlativa
 iscrizione  a  ruolo della maggiore imposta rettificata, che potrebbe
 avvenire nel quinquennio, vanificherebbe di  fatto  l'istituto  della
 rettifica,  eliminando  la  difesa  del  contribuente  che  non  puo'
 dimostrare in  alcun  modo  che  la  rettifica  e'  stata  effettuata
 nell'anno   e  solo  l'iscrizione  a  ruolo  molto  tempo  dopo,  nel
 quinquennio, e  che  quindi  la  rettifica  e'  stata  effettivamente
 tempestiva.    Ne'  si  comprenderebbe perche' l'amministrazione, che
 avesse,  come  generalmente  sostenuto,   effettuato   la   rettifica
 nell'anno   fissato  dalla  legge,  tardi  poi  fino  a  cinque  anni
 nell'iscrivere a ruolo la maggiore imposta rettificata.  La  Centrale
 affermava    inoltre    che,    oltretutto,   una   tale   tardivita'
 nell'iscrizione a ruolo comporterebbe anche una responsabilita' della
 stessa  amministrazione  per  interessi e rivalutazione sulla maggior
 somma  dovuta  dal  contribuente   per   la   rettifica   della   sua
 dichiarazione.    La  commissione  concludeva  nel  senso  che, cosi'
 operando, gli uffici dell'amministrazione finanziaria mascheravano la
 propria  incapacita'  a  rispettare  i   termini   provvedendo   alla
 rettifica,  nella  maggior  parte  dei casi, a termini ormai scaduti,
 termini  stabiliti  per  legge  per  l'accertamento.  Le  rettifiche,
 pertanto,  apparivano  fatte tardivamente e quando ormai era avvenuta
 la decadenza; ne conseguiva che l'iscrizione  a  ruolo  che  da  tali
 rettifiche  conseguiva,  era  affetta da nullita'.   Del resto, anche
 codesta Corte costituzionale, nell'ordinanza n.   430  del  7  aprile
 1988, aveva dichiarato che la liquidazione ex art.  36-bis e' operata
 sulla base delle dichiarazioni presentate, mediante un mero riscontro
 cartolare,  nei  casi  eccezionali  e  tassativamente  indicati dalla
 legge, vertenti su  errori  materiali  e  di  calcolo  immediatamente
 rilevabili   (senza   la   necessita'  di  alcuna  istruttoria),  che
 l'amministrazione finanziaria ha il potere-dovere di correggere anche
 a vantaggio del contribuente.  Si tratta, pertanto,  di  un'attivita'
 di  carattere  "tecnico"  che  rientra  pur  sempre  nel quadro delle
 attivita' di' accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria,
 ma che non puo' essere messa sullo  stesso  piano  del  controllo  di
 merito  della  congruita'  del  reddito  dichiarato.  Prova ne e' che
 l'eventuale  rettifica  della  dichiarazione  non  comporta  per   il
 contribuente    alcuna   sanzione   connessa   all'infedelta'   della
 dichiarazione (appunto  perche'  non  di  infedelta'  si  tratta;  la
 riliquidazione  dell'imposta  dovuta  attiene infatti ad elementi che
 stanno all'origine della dichiarazione, e cioe' gli oneri deducibili,
 le detrazioni, le ritenute, i crediti di imposta ed il calcolo  della
 stessa.    La  commissione  tributaria centrale, nella sentenza prima
 richiamata, affermava addirittura la responsabilita' del  funzionario
 competente per il danno causato all'erario dalla tardiva riscossione.
 Senza  arrivare  alle estreme conseguenze cui perviene la commissione
 centrale  nella  citata  sentenza,  si  puo'   tuttavia   condividere
 l'interpretazione di taluni giudici di merito (commissione tributaria
 di  I  grado  di  Vicenza,  sez.  I,  dc.  n.  256 del 2 marzo 1994 e
 commissione II grado di  Vicenza,  sez.  II,  dec.  22  giugno  1995)
 secondo  cui  l'interpretazione di ritenere ancorata alla facolta' di
 iscrizione a ruolo, nel termine quinquennale successivo delle imposte
 iscrivibili ai  sensi  dell'art.    36-bis,  darebbe  sbocco  ad  una
 presunta  violazione  di  costituzionalita', per palese contrasto con
 l'art. 10, secondo comma, punto 6, della legge  delega  n.  825/1971.
 Precedentemente  la  commissione  tributaria di I grado di Benevento,
 sez. I, con la decisione n. 47 del 21 marzo 1990, era  arrivata  alla
 conclusione  che  dovesse accogliersi il ricorso del contribuente per
 tardiva liquidazione dell'imposta, in mancanza dell'indicazione della
 data   dell'avvenuta   liquidazione   nella   cartella   esattoriale,
 soprattutto quando il lasso di tempo trascorso fino alla consegna del
 ruolo  all'ex  Intendenza  di finanza faccia presumere l'inosservanza
 del  termine  piu'  breve  assegnato  al   fisco   per   l'operazione
 propedeutica.    Si  condivide  anche  l'orientamento  di parte della
 dottrina che ha sostenuto (E. Grossi, L'art.  36-bis  del  d.P.R.  n.
 600/1973...,  su  Il  Fisco, n. 1/1996) che si deve tener conto della
 filosofia  globale  posta  a  fondamento  dell'originaria  disciplina
 riguardante   la   materia,   atta   a  sostenerla  sul  piano  della
 razionalita'  ordinamentale,  disciplina  che  si   e'   tentato   di
 ricostruire  storicamente,  volta  a raggiungere proprio la finalita'
 espressa  come   auspicio.   L'art.   36-bis,   che   risulta   dalla
 stratificazione  legislativa successiva al suo primitivo disegno, non
 sembra sfuggire al sospetto di irrazionalita' e di vulnus al  diritto
 di  difesa del contribuente, il quale non solo non conosce le ragioni
 della modifica apportata all'imponibile da  lui  dichiarato,  ma  non
 conosce  nemmeno  l'ammontare  rettificato  in  tempi ragionevolmente
 brevi, nonostante le accresciute  potenzialita'  dell'amministrazione
 dopo  l'istituzione dei centri di servizio.  E' pertanto evidente che
 non si possa consentire il procrastinarsi  di  un  assetto  normativo
 eversivo  rispetto all'esigenza di far salve le ragioni di speditezza
 dell'intervento correttivo del fisco sul dichiarato, ma anche  quello
 del  contribuente  a  non  vedersi,  a distanza di anni, notificare i
 supplementi di imposta, in ipotesi, anche errati e/o,  comunque,  non
 suffragati  da  esplicita  motivazione.  L'autore  citato evidenziava
 inoltre come la grave  omissione  di  un'informazione  sulle  ragioni
 delle   rettifiche  dell'imponibile  dichiarato,  soprattutto  quando
 l'informazione della stessa entita' della  variazione  all'imponibile
 medesimo  giunga  a  distanza  di  anni,  assuma  aspetti  tanto piu'
 inquietanti, nel vigore di una normativa,  tutta  a  vantaggio  della
 trasparenza  amministrativa,  quale  e'  quella portata dalla legge 7
 agosto 1990, n. 241.  Questo collegio condivide la prospettazione (G.
 D'Angela,   Corriere   tributario    n.    13/1996)    secondo    cui
 l'interpretazione   sistematica  dell'art.  36-bis  non  puo'  essere
 certamente condizionata dal fatto che  il  fisco,  a  fronte  di  una
 interpretazione  favorevole  alla  applicazione  del termine previsto
 dall'articolo  citato,  si  troverebbe  in  notevoli  difficolta'  di
 carattere  operativo.    E'  pertanto  da sostenere l'interpretazione
 secondo cui sarebbe illogico sotto il profilo giuridico prevedere  un
 termine breve per la liquidazione e un termine lungo per l'iscrizione
 a  ruolo  e  la notifica della cartella esattoriale realizzando cosi'
 una vistosa e grave scissione delle due  fasi  della  liquidazione  e
 della  riscossione  dell'imposta,  quanto  ai  termini  in cui le due
 operazioni  dovrebbero  essere  effettuate.    Ad  avviso  di  questo
 collegio  non  e'  distinguibile  ne'  separabile  il procedimento di
 rettifica (da concludersi entro l'anno successivo alla dichiarazione)
 e  quello  della  liquidazione  della  maggiore  imposta  e  relativa
 iscrizione  a ruolo, dal momento che tale distinzione non e' prevista
 da  alcuna  norma;  a  differenza  di  quanto,  invece,  si  verifica
 nell'ambito  delle norme che disciplinano l'imposizione indiretta, in
 cui l'atto della riscossione deve essere preceduto dalla notifica  di
 un  avviso  di  liquidazione,  quale  atto  autonomamente impugnabile
 rispetto al titolo esecutivo esattoriale (ex art. 16  del  d.P.R.  n.
 636/1972).  E' dunque infondata la distinzione tra liquidazione delle
 imposte  ed  iscrizione  a  ruolo. Lo sdoppiamento dei termini (l'uno
 secondo il 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 e l'altro secondo l'art.  17
 del  d.P.R.  n.  602/1973)  entro  i  quali  vanno  eseguite  le  due
 operazioni a cura degli uffici, provocherebbe  una  vanificazione  di
 fatto  del  contenuto e della ratio dell'art. 36-bis, dal momento che
 se venisse accolta  tale  distinzione  nessuna  prescrizione  cogente
 costringerebbe  gli  uffici a verificare le dichiarazioni nei termini
 brevi  di  cui  al  36-bis,  ne'  permetterebbe  ai  contribuenti  di
 verificare  che  tali  termini siano stati effettivamente rispettati.
 La Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 7088 del 29 luglio  1997,
 da  ultimo,  ha  definitivamente pronunciato ribadendo che il ricorso
 alla  liquidazione  ex  art.  36-bis  da  parte   degli   uffici   e'
 giustificabile  solo per l'effettuazione di un controllo di carattere
 esclusivamente   formale,   che   tuttavia   puo'   comportare    una
 riliquidazione   dell'imposta  dovuta  e  che,  appunto  per  questo,
 presenta un innegabile carattere  accertativo.  La  maggiore  imposta
 accertata,  aumentata  degli  interessi  e  delle  soprattasse, viene
 iscritta a ruolo direttamente, senza preventiva notifica di un avviso
 di accertamento (art. 7 del d.P.R. n.  787/1980),  prescritta  invece
 quando  la  rettifica  della  dichiarazione  consegue ad un'attivita'
 accertativa dell'ufficio svolta sulla base di dati diversi da  quelli
 desumibili   dalle  dichiarazioni  (artt.  42  e  43  del  d.P.R.  n.
 600/1973).  In tal caso, afferma la Cassazione, l'iscrizione a  ruolo
 non  ha  carattere  riproduttivo,  ma innovativo, poiche' rappresenta
 l'atto con il quale il contribuente e'  posto  a  conoscenza  per  la
 prima  volta della pretesa fiscale; di qui l'esigenza, non rilevabile
 quando il ruolo e' meramente riproduttivo di un atto  precedente,  di
 renderlo  edotto  dei  motivi  per  i  quali  l'iscrizione  e'  stata
 effettuata.  Esigenza,  peraltro,  che  il  legislatore  ha  recepito
 laddove  prescrive,  al  secondo  comma  dell'art.  36-ter, che nella
 cartella debbono essere indicati i motivi che hanno dato  luogo  alla
 liquidazione.  Anche  se,  continua  giustamente  la cassazione, tale
 esigenza non puo' certo dirsi del tutto soddisfatta, dal momento  che
 l'informazione  viene  realizzata  mediante  il  ricorso  a formulari
 stereotipati e del tutto inidonei a descrivere in modo esauriente  le
 ragioni  della  rettifica  e  ad  assolvere  quindi  il  ruolo di una
 effettiva motivazione.  La Cassazione pone l'accento sul fatto che il
 citato d.P.R. n.  596/1979 ha riformulato  entrambe  le  disposizioni
 (l'art.  17  e  il  36)  e  sottolinea  che,  in  base al terzo comma
 dell'art. 17, le imposte devono essere iscritte a ruolo entro  il  31
 dicembre  dell'anno  sucessivo  a  quello  in  cui  l'accertamento e'
 divenuto  definitivo.  La  Suprema  Corte  revoca  cosi'  in   dubbio
 l'obiezione   dell'amministrazione  finanziaria  secondo  cui  l'art.
 36-bis  ha  natura  procedimentale  e  nessuna  norma  esplicitamente
 disponga  la  natura  perentoria del termine.  E giustamente illustra
 che la qualificazione  del  termine  in  questione  come  ordinatorio
 anziche'  come  perentorio, del resto propria del diritto processuale
 piu' che di quello sostanziale, e tutt'altro  che  risolutiva,  posto
 che  i  termini  ordinatori possono essere prorogati solo prima della
 scadenza (art. 153 c.p.c.) e che, pertanto, il loro  inutile  decorso
 produce gli stessi effetti preclusivi di quelli perentori.
   Ne'  maggior  rilievo assume la circostanza che la sua inosservanza
 non  sia  stata  espressamente  sanzionata  dal  legislatore  con  la
 decadenza.    Il  diritto  pubblico  e'  infatti caratterizzato dalla
 presenza di poteri il cui esercizio da parte di chi  ne  e'  titolare
 non  e'  libero, ma sottoposto dalla legge a limiti volti a garantire
 il soddisfacimento di finalita' di carattere istituzionale.
   Ne consegue che il silenzio della  legge  non  e'  sufficiente  per
 escludere  la  perentorieta' del termine di cui all'art. 36-bis Tanto
 piu', aggiunge la cassazione, che le attivita' accertative  sono  per
 legge  vincolate al rispetto di rigorosi termini di decadenza, la cui
 esistenza e' da considerare pertanto connaturata al loro svolgimento,
 a     tutela     del     buon    andamento    e    dell'imparzialita'
 dell'amministrazione, oltre che  degli  interessi  dei  contribuenti.
 Ne',  tantomeno, come rettamente osserva la Corte, varrebbe replicare
 che il termine dell'art.  36-bis e' riferito alla  sola  liquidazione
 dell'imposta e che non vi sarebbe motivo di escludere la legittimita'
 dell'iscrizione   a  ruolo  effettuata  dopo  l'inutile  decorso  del
 termine, purche' entro quello piu' ampio stabilito dall'art.  17  del
 d.P.R.  n.  600/1973.    E'  infatti  agevole  controbattere  che  la
 determinazione del debito di imposta, ex art. 36-bis, non ha  rilievo
 autonomo  rispetto  alla fase che attiene al concreto soddisfacimento
 della  pretesa  tributaria,  non  essendo  prevista,   a   differenza
 dell'ipotesi in cui la rettifica consegue ad un controllo sostanziale
 ex   art.   43,  l'emanazione  di  un  formale  e  autonomo  atto  di
 liquidazione  dell'imposta  di  cui  sia  possibile   verificare   la
 tempestivita'.    Tale  atto, infatti, e' l'iscrizione a ruolo che si
 atteggia quale atto conclusivo del procedimento accertativo,  ponendo
 l'esigenza,  non rilevabile quando il ruolo e' meramente riproduttivo
 di un atto  precedente,  di  rendere  edotto  il  contribuente  delle
 ragioni  sulle quali si fonda la pretesa erariale.  In altri termini,
 in questo caso, l'iscrizione a ruolo  non  e'  l'atto  conseguenziale
 alla  notifica  dell'avviso di accertamento, bensi', di fatto, l'atto
 di accertamento. Ne consegue che detto atto debba  essere  notificato
 entro  il  termine  breve  del 36-bis e non entro quello lungo di cui
 all'art. 17 del d.P.R.  n.  602/1973,  anche  perche'  cio'  comporta
 l'aggravio  di interessi per il contribuente; cio' che il legislatore
 ha   inteso   evitare.      Da   tutto   quanto   premesso   consegue
 inequivocabilmente che il termine di cui all'art. 36-bis e' stabilito
 a  pena  di decadenza, e concerne l'iscrizione a ruolo delle maggiori
 imposte liquidate a seguito del controllo formale della dichiarazione
 espletata ai sensi di tale disposizione.   Tale,  inequivocabilmente,
 l'assetto  normativo  e  interpretativo sul quale si e' inserito, con
 effetto eversivo e dirompente, l'art.   28 della  legge  27  dicembre
 1997,  n. 449 (c.d. collegato alla finanziaria per il 1998) il quale,
 titolato "norma interpretativa", dispone che il primo comma dell'art.
 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,
 n. 600, nel testo da applicare sino alla data stabilita nell'art. 16,
 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, deve essere interpretato nel  senso
 che il termine in esso indicato, avendo carattere ordinatorio, non e'
 stabilito  a  pena  di  decadenza.   Tale disposizione e' palesemente
 illegittima per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24,  primo  e
 secondo  comma, della Costituzione, per l'irrazionalita' insita nella
 definizione della ordinatorieta' del termine di cui  all'art.  36-bis
 citato  e  l'ingiustificata  compressione  del  diritto  ad  agire  e
 difendersi del contribuente, nonche' con gli artt. 97 e 113 Cost.  Ad
 avviso di questo collegio, infatti, una cosi' grave compressione  del
 diritto   di   difesa   garantito   dall'art.   24   Cost.,   e  piu'
 specificamente, della tutela giurisdizionale dei diritti  contro  gli
 atti  della  pubblica  amministrazione, incondizionatamente garantita
 dall'art. 113, e' sproporzionata rispetto all'esigenza di  consentire
 all'amministrazione  finanziaria lo svolgimento dei propri compiti ed
 assume il carattere di privilegio  ingiustificato.    Il  sistema  di
 garanzie  offerto  dagli  artt.  24  e 113 Cost., infatti, e' tale da
 colpire  non  solo   l'esclusione   della   tutela   giurisdizionale,
 soggettiva  ed oggettiva, ma anche qualsiasi limitazione che ne renda
 impossibile  o  anche  difficile  l'esercizio  (Corte costituzionale,
 sent.  23  novembre  1993,  n.  406).    La  commissione   tributaria
 provinciale  di Brindisi, con sentenza 27 gennaio 1998, depositata il
 26 febbraio, ha richiamato l'attenzione sul fatto che la  Cassazione,
 nella  citata  sentenza  n.  7088 del 29 luglio 1997, ha ribadito che
 proprio le attivita' accertative sono vincolate a rigorosi termini di
 decadenza  a  tutela  del   buon   andamento   e   dell'imparzialita'
 dell'amministrazione, oltre che degli interessi dei contribuenti.  La
 commissione  ha  concluso  nel senso che l'art. 28 del collegato alla
 finanziaria va coordinato con l'art. 154 c.p.c. che  prevede  che  il
 giudice,  prima  della  scadenza,  puo' abbreviare o prorogare, anche
 d'ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza.   La
 proroga  non  puo'  avere una durata superiore al termine originario.
 Non puo' essere consentita  ulteriore  proroga,  se  non  per  motivi
 particolarmente  gravi  e  con  provvedimento  motivato.  La  lettura
 incrociata della norma civilistica e di quella del collegato consente
 al  collegio  tributario  di  ritenere  che,  se  e'  pur  vero   che
 l'inosservanza del termine ordinatorio non determina la decadenza, e'
 altresi'  verso  che  questa  si verifica allorche' il termine, prima
 della scadenza, non sia stato prorogato.
   Tale lettura consente il "superamento" dell'art. 28 del  collegato.
 Ad   avviso   di   questo  collegio,  invece,  tale  disposizione  e'
 palesemente illegittima sotto il profilo illustrato e per  quanto  di
 seguito espresso.
   Risulta  violato,  infatti,  anche l'art. 3 Cost., sotto il profilo
 della ragionevolezza  che  impone  il  rispetto  di  un  rapporto  di
 uguaglianza delle parti nel rapporto tributario.
   Ma,  soprattutto,  e  sotto questo profilo questo collegio concorda
 con quanto rilevato dalla  commissione  tributaria  di  Brindisi,  la
 disposizione  appare  in  palese violazione dell'art. 97 Cost., primo
 comma, il quale individua  nella  imparzialita'  dell'amministrazione
 uno  dei  principi  essenziali  cui  deve informarsi, in tutte le sue
 diverse articolazioni, l'organizzazione  dei  pubblici  uffici.  Alla
 salvaguardia  di  tale  principio  debbono necessariamente collegarsi
 tutte le norme, anche tributarie, che  disciplinano  i  rapporti  dei
 cittadini con il fisco che deve ad essi garantire la legittimita' del
 proprio operato e la parita' di trattamento.