IL PRETORE Nella causa in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, r.g. n. 4484/1995, promossa da Barucchelli Esterina, elettivamente domiciliata in Brescia presso l'avv. Danilo Mina, il quale la rappresenta e difende in forza di procura a margine dell'atto introduttivo del giudizio, ricorrente, contro l'I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, con sede in Roma, in persona del presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Oreste Manzi ed Alfonso Faienza, procuratori per mandati alle liti a rogito del dott. Lupo, notaio in Roma, con domicilio eletto nel proprio ufficio di avvocatura in Brescia, via Cefalonia, n. 49, convenuto; Visti: gli atti difensivi delle parti; l'ordinanza 26-29 gennaio 1998, n. 9, della Corte costituzionale, con la quale e' stata dichiarata "la manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, del decreto-legge 27 maggio 1996, n. 295 (Norme in materia previdenziale) sollevate, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 70, 72, 77 e 136 della Costituzione, dal pretore di Brescia, con le ordinanze in epigrafe"; la precedente ordinanza 3 giugno 1996, emessa nel presente giudizio e pubblicata, con il n. 1008 del registro ordinanze 1996, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, del 1996; l'art. 1, commi 181, 182, 183 e 184, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonche' l'art. 3-bis (modifiche all'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662) della legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, recante misure di riequilibrio della finanza pubblica; l'art. 1, comma 6, legge 28 novembre 1996, n. 608, di conversione del d.-l. 1 ottobre 1996, n. 510; l'art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166 e la catena dei successivi decreti-legge di pura reiterazione n. 295 del 27 maggio 1996, n. 396 del 26 luglio 1996, e n. 499 del 24 settembre 1996, tutti decaduti; l'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903; la sentenza 29-31 dicembre 1993, n. 495 della Corte costituzionale; l'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87; l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; gli artt. 1, 70, 71, 72, 76, 77, 94, 134, e 136 della Costituzione. Nella pubblica udienza del 4 maggio 1998, ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di nuova rimessione alla Corte costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale rilevate d'ufficio, ai sensi dell'art. 134 Costituzione, dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87. 1. - Le deduzioni e conclusioni formulate dalle parti in causa. A) Nelle conclusioni di parte attrice si chiede a questo pretore, di "dichiarare l'INPS convenuto tenuto, a favore della ricorrente, nei modi e forme di legge, a riliquidare, in esecuzione della citata sentenza n. 495/1993 della Corte costituzionale, la pensione di reversibilita' in relazione alla pensione diretta con l'integrazione al minimo di cui il coniuge defunto era titolare od alla quale egli aveva comunque diritto, con gli arretrati ab origine o comunque entro i limiti della prescrizione decennale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi di legge". B) L'INPS, ha espresso le seguenti, riportate testualmente, graduate conclusioni: respingere il ricorso "in via preliminare, per carenza dei requisiti fattuali di cui alle premesse". "Nel merito: respingere il ricorso siccome inammissibile per scadenza del termine di decadenza per agire in giudizio previsto dalle vigenti disposizioni". "In via subordinata: respingere la domanda per carenza di interesse in quanto il ricorrente gode di pensione di reversibilita' per un importo cristallizzato al trattamento minimo". "Respingere la domanda di riliquidazione della pensione di reversibilita' rapportata al trattamento minimo del dante causa in quanto riferita a periodi anteriori alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale in materia". C) L'istituto resistente ha, inoltre, pur senza addurre argomenti di supporto, senza assumere conclusioni specifiche e senza sollevare formale eccezione di legittimita' costituzionale, sostenuto che l'interpretazione dell'art. 22, legge 903/1965 nei termini addittivi voluti dalla sentenza n. 495/1993 sarebbe, comunque, in contrasto con l'art. 81 della Costituzione. D) Nessun nuovo argomento difensivo e' stato proposto dalle parti in questa processuale, dopo la riassunzione del giudizio. 2. - La necessita' di riproporre all'esame del giudice delle leggi le questioni di legittimita' costituzionale gia' rilevate d'ufficio nella propria ordinanza 3 giugno 1996, pubblicata con il n. 1008 sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1996. Con l'ordinanza 3 giugno 1996, emessa nel corso di questo giudizio, questo pretore rilevava d'ufficio le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: a) questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.-l. 27 maggio 1996, n. 295, per violazione dell'ultimo comma dell'art. 77 della Costituzione; b) questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, del d.-l. n. 295 del 1996, per violazione degli articoli 1, secondo comma, 70, 72, 77, primo e secondo comma, e 136, secondo comma, della Costituzione. 2.a. - La Corte costituzionale ha dichiarato "la manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, del d.-l. 27 maggio 1996, n. 295 (norme in materia previdenziale) sollevate, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 70, 72, 77 e 136 della Costituzione, dal pretore di Brescia", sollevate d'ufficio con la predetta ordinanza ed altre cinque di identico contenuto ed in pari data, tutte pubblicate, con i nn. 1009, 1010, 1011, 1012 e 1013 del registro ordinanze 1996, sulla Gazzetta Ufficiale n. 41, prima serie speciale, del 1996. 2.b. - Le stesse questioni non sono state valutate dalla Corte costituzionale, perche' irrilevanti e pertanto manifestamente inammissibili, a causa della ritenuta mancata censura della disposizione con la quale "tanto nella normativa decretale quanto in quella di legge (art. 1, comma 183, della legge n. 662 del 1996) viene sancito che i giudizi pendenti siano dichiarati estinti d'ufficio", previsione che "trova diretta applicazione anche nei processi a quibus (come tra l'altro avverte lo stesso rimettente)" e che "riveste preliminare rilievo, in termini di sovraordinazione logico-processuale rispetto ad ogni altra possibile censura di incostituzionalita'". 2.c. - Preso atto della decisione della Corte, risulta doveroso riproporre le stesse questioni, con le necessarie precisazioni ed integrazioni imposte dal trasferimento delle censure dai precedenti provvedimenti "contenitori" della decretazione "d'urgenza" del Governo alla sopravvenuta legge approvata dal Parlamento, poiche' ritiene sempre questo pretore che la normativa gia' censurata, l'intero art. 1 del d.-l. n. 295/1996 e tutte le disposizioni di identico tenore sostanziale, prima contenute nei successivi decreti-legge nn. 396 e 499 del 1996 ed ora nei commi 181, 182 e 183 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 - nel reiterare il contenuto del precedente decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166, primo della serie e recante disposizioni relative alle modalita' di pagamento delle somme maturate in favore degli aventi diritto in applicazione delle sentenze di illegittimita' costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994 - sempre nella sua intera formulazione, sia in evidente contrasto con l'art. 77, ultimo comma della Costituzione, nonche' con gli artt. 1, secondo comma, 70, 72, 77, primo e secondo comma, e 136, secondo comma, della Costituzione, mancando nel d.-l. n. 166/1996 e nei successivi suoi cloni l'imprescindibile requisito dell'esistenza del caso straordinario, richiedente un necessario intervento governativo, di urgenza tale da escludere i tempi del normale iter parlamentare, e mancando altresi' alla radice il potere del Governo di iterare e reiterare il d.-l. n. 166/1996 ed attesa di conseguenza l'usurpazione originaria da parte del potere esecutivo delle attribuzioni sovrane del Parlamento, promananti dal popolo, in assenza di delega. 3. - La motivazione della precedente ordinanza, che si riproduce fedelmente, affinche' costituisca parte integrante della presente, per il completo esame delle questioni di legittimita' costituzionale qui rilevate d'ufficio. Nei seguenti termini, questo pretore sosteneva le questioni di legittimita' costituzionale, rilevate a carico del d.-l. n. 295/1996 e dichiarate manifestamente inammissibili dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 9/1998: "Tale ultimo provvedimento governativo non e' affetto solo dalle stesse gravi e plurime violazioni della Costituzione gia' riscontrate a carico del d.-l. n. 166/1996, ma anche da un vizio, congenito, ulteriore e specifico, direttamente dipendente dal fatto di essere la reiterazione del n. 166/1996. Invero, a fronte dell'esistenza di un nuovo atto del Governo avente la forma del d.-l., questo giudice rileva che tale atto e' nei suoi contenuti (qui si considera in modo specifico e puntuale solo l'art. 1 del d.-l. n. 295/1996, ma e' agevole rilevare che il discorso vale anche per il tutto) totalmente identico al d.-l. n. 166/1996. Non solo: l'art. 1, nei commi 3 e 4, del d.-l. n. 295/1996 si presenta anche nella sua lettera come un "clone" perfetto dei commi corrispondenti dell'art. 1, del d.-l. n. 166/1996 giacche' nessuna minima differenza e' riscontrabile. Non basta: il secondo comma, dell'art. 1, del d.-l. n. 295/1996 differisce da quello del d.-l. n. 166/1996 solo nella sostituzione del sostantivo "rimborso" con quello di "pagamento": trattasi di "clonazione imperfetta" (tanto imperfetta da essere quasi impercettibile, posto che altrove ancora permane l'uso improprio del termine "rimborso" e del verbo "rimborsare", che presumibilmente verranno man mano sostituiti nelle prossime duplicazioni del d.-l. n. 166/1996, alle naturali scadenze bimensili). Ancora: il primo comma, sempre dell'art. 1 del d.-l. n. 295/1996, puo' essere descritto con l'espressione "clone mutante per innesto", poiche' mantiene inalterata l'intera lettera del suo omologo del d.-l. n. 166/1996, con in piu' alcune interpolazioni del tutto superflue e puramente di comodo; 1) nel primo periodo, l'ovvia precisazione che i titoli di Stato da assegnare agli aventi diritto sono "sottoposti allo stesso regime tributario dei titoli di debito pubblico", quasi che sia possibile ipotizzarne uno diverso; 2) nel terzo periodo, l'ancor piu' ovvia affermazione che l'assegnazione dei titoli di Stato deve avvenire "sulla base della vigente normativa" agli aventi diritto, "anche se residenti all'estero", come se fosse pensabile un'assegnazione effettuata mediante una normativa non vigente e come se fosse prima prevista da una disposizione di legge l'esclusione del diritto dei residenti all'estero) e, infine, con l'aggiunta alla fine dello stesso comma di un nuovo sibillino periodo ("L'emissione dei titoli, per l'anno 1996, non puo' superare l'importo di L. 3.135 miliardi".), l'utilita', ragione e fine del quale e' oscura, in relazione alla previsione immutata del quarto comma, ove l'onere per l'anno 1996 resta di L. 3.276 miliardi. Traendo le naturali conclusioni, appare chiaro che tutti i rilievi appena sopra esposti evidenziano in modo incontrovertibile l'inesistenza nell'art. 1 del d.-l. n. 295/1996 di quel minimo quid novi che puo' giustificare la reiterazione del d.-l. non convertito nei 60 giorni. L'ultimo comma dell'art. 77 della Costituzione cosi, dispone: "I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti". Non puo' essere messo in dubbio che l'art. 77 della Costituzione limita l'efficacia temporale del "provvedimento provvisorio avente forza di legge" emanato dal Governo a soli sessanta giorni e ci si deve chiedere quali conseguenze giuridiche derivino da tale limitazione temporale, quando allo spirare del termine il d.-l. perde efficacia a causa della mancata conversione in legge: possono ipotizzarsi tre soluzioni: a) non sussiste piu' il potere del Governo di adottare provvedimenti provvisori sulla stessa materia e, dunque, e' vietata la reiterazione del d.-l. non convertito, con conseguente inapplicabilita' dell'eventuale decreto di replica, in quanto privo di forza di legge; b) l'eventuale reiterazione nasce priva di efficacia, perche' "geneticamente" affetta dall'inefficacia del decreto che viene reiterato; c) il provvedimento provvisorio di reiterazione viola semplicemente la Costituzione, con conseguente necessita' di sollevare questione di legittimita' costituzionale. Deve subito essere chiarito che la problematica qui discussa non riguarda i decreti di reiterazione nei quali siano presenti vere e reali, non marginali e non meramente formali, modifiche, che diano luogo ad una sostanzialmente diversa regolamentazione del caso straordinario di necessita' ed urgenza, rispetto agli omologhi decreti reiterati (restando, comunque, impregiudicati altri profili d'illegittimita'). L'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, la ragione e la logica inducono, o a ritenere escluso il potere del Governo di emettere con diverso numero e in diversa data un nuovo "provvedimento provvisorio avente forza di legge", o a sostenere automaticamente priva di efficacia la reiterazione di un d.-l. non convertito, quando il contenuto del decreto successivo non contenga quel minimo livello di novita' e diversita' sostanziale, rispetto al precedente, da consentire di affermarne l'autonoma esistenza. In verita', puo' ben ritenersi - ai sensi del disposto direttamente precettivo dell'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, che sanziona con l'inefficacia i provvedimenti provvisori del Governo non convertiti nel termine di sessanta giorni e nel rispetto della certa ed inequivoca volonta' del legislatore costituzionale diretta a precludere al Governo di sottrarre alle Camere la funzione legislativa - negato dalla Costituzione al Governo il potere di adottare, nella stessa materia regolata da decreti-legge decaduti, nuovi provvedimenti provvisori e vietato l'artificio di duplicare decreti-legge divenuti inefficaci. Conseguentemente, puo' affermarsi l'inesistenza della forza di legge del decreto di reiterazione, per carenza assoluta del potere del Governo di adottare provvedimenti provvisori dopo il verificarsi dell'inefficacia del decreto reiterato. Cosi' come puo' sostenersi che, in caso di reiterazione di decreti-legge senza modifiche sostanziali, l'inefficacia del decreto decaduto si trasferisce automaticamente al decreto di reiterazione, con sua conseguente inapplicabilita'. Poste tali premesse, e' naturale chiedersi se sussista la violazione dell'art. 101 Costituzione da parte dell'autorita' giudiziaria che non applichi un d.-l. di duplicazione di un decreto divenuto inefficace (in assenza, si ripete, di reali modifiche del contenuto normativo), ovvero se la violazione consista nel suo esatto contrario e cioe' nel dare applicazione al d.-l. che, con il mezzo della reiterazione, di fatto porta da sessanta a centoventi giorni (e cosi' via moltiplicando a seconda del numero delle reiterazioni) il termine di efficacia sancito nella Costituzione. Questo pretore, come reso palese dalle argomentazioni che precedono, propende per l'affermazione del dovere giuridico dell'autorita' giudiziaria di non dare applicazione al decreto-legge che risulti meramente ripetitivo e carente di qualsivoglia novita' normativa rispetto a quello non convertito in legge, come nel caso dell'art. 1, del d.-l. n. 295 del 1996, perfettamente corrispondente nei contenuti e quasi identico nella lettera all'art. 1, del d.-l. n. 166/1996. Eppure, nonostante tutto, permane un dubbio di natura puramente formale: il Governo che ha emanato il decreto-legge n. 295/1996 e' il legittimo Governo della Repubblica italiana e il medesimo decreto non e', quanto meno nel numero e in minima parte nella sua forma esteriore, lo stesso d.-l. n. 166/1996: se non nella sostanza e se non pienamente nella lettera, il d.-l. n. 295/1996 e' pur sempre in apparenza un provvedimento provvisorio del Governo avente forza di legge e, cosi', questo pretore, benche' non si senta minimamente vincolato a seguire le tradizioni consolidate di violazione del principio di legalita' che vengono denominate "costituzione materiale" e "diritto vivente", per il doveroso rispetto della "legge e degli atti aventi forza di legge" non puo' allo stato (senza percio' escludere un futuro ripensamento) che rinunciare alle piu' radicali soluzioni, sopra ipotizzate sub a) e b), per trasferire dinanzi alla Corte costituzionale la stessa problematica con le stesse argomentazioni sopra ampiamente sviluppate, nella veste della questione di legittimita' costituzionale, in aderenza alla terza ipotesi di soluzione sopra individuata alla lettera c). Rileva, pertanto, d'ufficio la seguente: A) questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, del d.-l. n. 295 del 1996, per violazione dell'art. 77, ultimo comma, della Costituzione. Posta cosi' la prima questione di legittimita' costituzionale, specifica in relazione al decreto n. 295/1996 di reiterazione del decaduto d.-l. n. 166/1996, si puo' ora reiterare, identica nei contenuti anche con riferimento al d.-l. n. 295/1996, una delle tante questioni gia' rilevate a carico del d.-l. n. 166/1996 in precedenti ordinanze. B) questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.-l. n. 295 del 1996 per violazione degli artt. 1, secondo comma, 70, 72, 77, primo e secondo comma, e 136, secondo comma, della Costituzione. L'art. 77 della nostra Costituzione, testualmente, dispone: "Il Governo non puo', senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessita' e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilita', provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti". Il divieto di carattere generale sancito dalla Costituzione all'emissione di decreti aventi forza di legge del Governo in assenza (come nella fattispecie in esame) di delega delle Camere, trova eccezione, regolata dal secondo comma dell'art. 77 della Costituzione, solo in casi straordinari di necessita' e d'urgenza; sono, dunque, tre i requisiti da valutare per determinare se il decreto-legge emanato senza delegazione delle Camere rispetti il preciso ed inequivoco dettato costituzionale: 1) l'esistenza di un caso straordinario; 2) che richieda un necessario intervento governativo; 3) di tale urgenza da escludere i tempi del normale iter parlamentare. Tutti tali requisiti devono sussistere, reali e verificabili. Il decreto in esame non rispetta nessuno dei tre suddetti ineludibili presupposti. 1. - Il caso straordinario. Il decreto-legge n. 295/1996, art. 1, non risponde ad alcun caso di straordinarieta': la situazione alla quale vorrebbe porre rimedio risale a due anni e cinque mesi addietro,per quanto concernente la sentenza n. 495 del dicembre 1993, e ad un anno e undici mesi con riferimento alla n. 240 del giugno 1994, mentre il Governo che ha emanato il decreto-legge in discorso e' gia' il terzo ad essere coinvolto dalle problematiche derivanti dalle due sentenze della Corte, senza considerare, per la sola sentenza n. 495/1993, quello dei primi mesi dell'anno 1994: il caso non riveste alcun carattere di straordinarieta' intesa nel senso previsto dall'art. 77, secondo comma, Costituzione e puo' solo parlarsi di colpevole ritardo o di assenza di capacita' e di volonta' del Governo e soprattutto del Parlamento (anche se, per quanto concerne la sola sentenza n. 240/1994 e la notissima problematica del diritto alla cosi' detta "cristallizzazione", piu' precisamente e piu' correttamente deve essere affermato che la volonta' manifestata dal Parlamento con l'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e' inequivoca nel senso di escludere il diritto in tutti i casi e, dunque, il mancato intervento delle Camere puo' ben essere inteso come preciso rifiuto di accettare i contenuti della sentenza della Corte) a trovare una soluzione giuridica costituzionalmente ineccepibile ad un enorme contenzioso che incombe da lustri sull'amministrazione della giustizia, sempre irrisolto, ma non nuovo, ne' straordinario, bensi' noto ed ordinario. 2. - La necessita'. Nel caso in discussione la necessita' di un provvedimento provvisorio del Governo avente forza di legge e' negata alla radice dalla semplice constatazione (ulteriore, rispetto a quella precedente) dell'ovvia insufficienza - ma anche della irragionevolezza (con violazione, dunque, anche dell' art. 3 Costituzione) - di un atto provvisorio che incide, forse inconsapevolmente, ma direttamente e senza pero' offrire una lucida e definitiva soluzione, sulla complessa problematica giuridica relativa alla legittimita' costituzionale delle stesse disposizioni di legge colpite dalle decisioni "legislative" della Corte costituzionale "addittive" e "manipolatrici": appare davvero incongruo ritenere necessario un decreto-legge per risolvere una problematica complessa ed estremamente articolata che tocca questioni essenziali della vita democratica della nostra Repubblica, gia' portata all'esame della Consulta da questo pretore con numerose ordinanze di rimessione. Non puo' inoltre tacersi che anche sotto un altro aspetto non e' possibile riscontrare il requisito della necessita' a giustificazione dell'art. 1 del decreto-legge in esame: non esiste, infatti, la certezza del diritto a quei crediti da soddisfare "in conseguenza dell'applicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994". Si deve osservare, infatti, che il decreto non opera una recezione nel vigente diritto positivo scritto del contenuto delle suddette sentenze, ne' espressamente, ne' implicitamente, ma si limita a ricercare (senza rinvenirli) i mezzi di finanziamento per "il rimborso delle somme, maturate fino al 31 dicembre 1995, sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali interessati, in conseguenza dell'applicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994", senza minimamente curarsi del fatto che si applicano le leggi e non le sentenze da qualunque organo emesse. Nel decreto-legge, dando per scontato cio' che scontato non e', in realta' si pretende di soddisfare (in modo tanto plateale da determinare il sorgere di un'obbligazione "naturale", anche se non necessariamente nei termini in esso previsti, del Governo e di tutto il sistema istituzionale verso i tanti interessati, titolari di legittime aspettative) dei crediti la cui esistenza non e' certa, poiche' la problematica attinente l'efficacia di quelle sentenze della Corte costituzionale e' stata rimessa al controllo di legittimita' dello stesso giudice delle leggi e, dunque, non si ha neppure certezza in ordine alla validita' delle stesse decisioni e ai loro effetti sulle disposizioni di legge ritenute in parte incostituzionali, ma senza produrre l'effetto della caducazione previsto e voluto dall'art. 136 della Costituzione. 3. - L'urgenza. Quanto all'urgenza (smentita gia' dai tempi evidenziati al primo punto) puo' dirsi che non se ne ravvisa l'esistenza nel caso oggetto del decreto: ben sarebbe stato gradito ai titolari di legittime aspettative, legate alle due, piu' volte citate, sentenze della Corte costituzionale, un organico e ponderato disegno di legge d'iniziativa del Governo ai sensi dell'art. 71 Costituzione, essendo sicuramente corretta e costituzionalmente legittima sempre tale soluzione e davvero doverosa dopo la mancata conversione il legge di un decreto-legge gemello. Ma non basta: appare piu' che chiara l'assenza di una reale urgenza in questo caso specifico, se solo si consideri che nel primo comma, dell'art. 1 del decreto-legge n. 295/1996 viene previsto un pagamento in sei annualita' e per di piu' mediante emissione di titoli di Stato, soluzione del tutto incompatibile con il fine di regolare un (in verita' artificiosamente affermato) caso di straordinaria necessita' ed urgenza, che impone razionalmente una risposta efficiente, pronta ed immediata e non un piano di estinzione del debito diluito in ben sei anni. L'urgenza, invero, non deve essere solo un astratto presupposto per consentire al Governo di adottare provvedimenti provvisori, ma deve trovare riscontro oggettivo, sia esterno come causa idonea a legittimare l'emissione dell'atto avente forza di legge, sia interno come risposta efficiente per dare soluzione efficace ed immediata al caso di straordinaria necessita' sul quale si interviene. Tutto cio' che si e' sin qui esposto vale per far risaltare la totale inesistenza dei requisiti espressamente richiesti dall'art. 77, secondo comma, della Costituzione e per dimostrare gia' con riferimento a tale solo profilo l'illegittimita' costituzionale dell'intero art. 1, del decreto-legge n. 295/1996. E' poi di solare evidenza che la violazione dei limiti posti al governo dall'art. 77 Costituzione determina un'altrettanto chiara usurpazione da parte del potere esecutivo delle attribuzioni del Parlamento, con lesione degli artt. 1, secondo comma, 70 e 72 Cost., e questa ulteriore illegittimita' costituzionale non puo' essere taciuta, a nulla rilevando una eventuale "condiscendenza" del Parlamento ad subirla, perche' la violazione dei limiti delle attribuzioni di un potere e' fatto che incide in modo insuperabile sulla legittimita' costituzionale dei provvedimenti emessi in difetto di attribuzione e non e' solo un evento che riguarda in via esclusiva i rapporti di "buon vicinato" tra i poteri dello Stato, poiche', a sommesso (ma convinto) avviso di questo giudice, vulnera in modo gravissimo la Costituzione anche il solo permettere tacitamente che un potere privo delle relative attribuzioni costituzionali supplisca ai compiti e funzioni istituzionali propri di un altro potere. E' sufficiente ricordare il fondamentale dettato del secondo comma dell'art. 1 della Costituzione ("La sovranita' appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione") in correlazione con l'art. 70 ("La funzione legislativa e' esercitata collettivamente dalle due Camere") e con l'art. 72, primo comma, soprattutto ("Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera e', secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa che lo approva articolo per articolo e con votazione finale".), per comprendere quanto grave sia la loro violazione e, dunque, quanto intollerabilmente sia ferita la Costituzione dall'art. 1, del decreto-legge n. 295/1996, come conseguenza diretta della gia' rilevata non conformita' del detto decreto-legge all'art. 77, secondo comma. Ma non basta ancora. L'art. 136, secondo comma, della Costituzione dispone: "La decisione e' pubblicata e comunicata alle Camere ed ai consigli regionali interessati, affinche', ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali": la norma e' speciale rispetto agli artt. 70 e seguenti della sezione II (Formazione delle leggi) della Costituzione che disciplinano la normale attivita' legislativa e, logicamente, non consente in nessun caso di ritenere attribuito al governo il potere di adottare i provvedimenti provvisori previsti nel secondo comma, dell'art. 77, essendo sancita solo e soltanto la possibilita' di regolare con legge nelle forme costituzionali gli eventuali problemi (del presente, del passato e del futuro) derivanti dalle decisioni della Corte costituzionale che dichiarano l'illegittimita' di una norma di legge o di un atto avente forza di legge ed essendo individuato nelle sole Camere il potere dello Stato competente in via esclusiva a stabilire se ricorrano le condizioni di necessita' per intervenire, come espressamente e con chiara volonta' e' imposto dal secondo comma dell'art. 136. Dunque, solo a seguito di specifica delega delle Camere con riferimento all'attivita' legislativa di cui all'art. 136, secondo comma, puo' essere ritenuto legittimo un atto del governo avente forza di legge. Poiche', nel caso presente le Camere non hanno delegato il governo ai sensi dell'art. 76 della Costituzione e poiche' non e' previsto, anzi e' escluso come sopra chiarito, il potere del governo di adottare i provvedimenti provvisori di cui all'art. 77, secondo comma, per l'ipotesi formulata nell'art. 136, secondo comma, e' del tutto palese la sussistenza della violazione di quest'ultima disposizione della Costituzione con conseguente e necessario rilievo d'ufficio, per l'ennesima volta, della questione di legittimita' costituzionale dell'intero art. 1, del decreto-legge 27 maggio 1996, n. 295. E' vero, peraltro, che l'art. 2, comma settimo, della legge 11 marzo 1988, n. 67 testualmente prevede che "Qualora nel corso dell'attuazione delle leggi si verifichino scostamenti rispetto alle previsioni di spesa e di entrate, il Governo ne da' notizia tempestivamente al Parlamento con relazione del Ministro del tesoro e assume le conseguenti iniziative. La stessa procedura e' applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri", ma tale disposizione non contrasta con quanto sopra affermato ed, anzi, ne conferma l'esattezza, giacche' non consente di ritenere attribuito al governo il potere di emanare decreti-legge, bensi' gli impone di dare notizia al Parlamento della nuova situazione verificatasi e di assumere le conseguenti iniziative, da intendersi (ex art. 136, secondo comma Cost.), in relazione alle decisioni del giudice delle leggi limitate alla presentazione di disegni di legge, secondo la previsione dell'art. 71 della Costituzione. 4. - Precisazione ed integrazione delle questioni di legittimita' costituzionale sopra riprodotte, rese necessarie dal trasferimento delle questioni stesse dai precedenti provvedimenti "contenitori", costituiti dalla decretazione "d'urgenza" del governo, alla sopravvenuta legge n. 662 del 1996 approvata dal Parlamento, nuovo "contenitore". Occorre chiarire che le questioni di legittimita' costituzionale in discorso, ben lungi dall'essere superate dall'intervenuto art. 1, commi 181, 182, 183 e 184, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, devono essere trasferite dai precedenti "contenitori" normativi a quello attuale (come insegna la giurisprudenza della Corte costituzionale), poiche' le censure rivolte alla decaduta disciplina "provvisoria" del Governo restano valide anche nei confronti della normativa approvata dal Parlamento, la quale non presenta reali modifiche di sostanza, rispetto a quella dei decreti-legge decaduti, neppure in relazione alla copertura finanziaria e cio' anche con riferimento all'attuale formulazione dell'art. 1, della legge n. 662 del 1996, nel comma 181 (interamente sostituito e, nel comma 182 (sostituito nel quarto periodo ed abrogato nell'ultimo), in forza dell'art. 3-bis (modifiche all'art. 1 legge n. 662/1996) della legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, dal momento che, comunque, resta immutata la previsione di pagamento in ben sei rate annuali delle somme maturate in favore degli aventi diritto in applicazione delle sentenze n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994 della Corte costituzionale. In verita' le modifiche apportate con l'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140, risultano di scarso peso ai fini della copertura finanziaria della spesa, perche' nella sostanza, la previsione del pagamento in contanti agli aventi diritto, previa collocazione sul mercato dei titoli di Stato, rispetto al pagamento mediante assegnazione di titoli di Stato, non muta il fatto che il pagamento del debito nei confronti degli aventi diritto si realizza sempre con un nuovo indebitamento a carico del bilancio dello Stato. Permane, inoltre ed in particolare, assolutamente identica la previsione dell'estinzione d'ufficio dei processi pendenti, nonche' l'individuazione dei soggetti aventi diritto al pagamento delle somme di cui si e' gia' detto, mentre le modifiche apportate successivamente nei vari provvedimenti del Governo ed in quelli del Parlamento all'indicazione della copertura finanziaria (come si e' gia' detto) ed, altresi', al regime degli accessori del credito non costituiscono vere e reali, non marginali e non meramente formali e solo apparenti, modifiche, che diano luogo ad una sostanzialmente diversa regolamentazione rispetto a quella contenuta nel decreto legge n. 166/1996. 4.a. - Ancora deve essere chiarito che l'art. 77, ultimo comma, della Costituzione, la ragione e la logica impongono di escludere che le Camere possano procedere alla conversione in legge di decreti-legge iterati o reiterati, quando, rispetto al suo precedente, l'ultimo decreto non sia destinato a regolare un nuovo caso straordinario di necessita' ed urgenza e quando non contenga quel minimo livello di novita' e diversita' sostanziale, requisiti essenziali per consentire di affermarne l'autonoma esistenza. Quando il contenuto del decreto-legge di pura iterazione o reiterazione venga trasfuso in un provvedimento legislativo approvato dalle Camere, non ci si trova davanti ad una tipica e tempestiva legge di conversione, ma ad una legge di anomala e tardiva conversione, se emessa nel termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto di iterazione o reiterazione che viene convertito. Ci si trova invece dinanzi ad una legge, non solo di anomala e tardiva, ma anche di "occulta" conversione, quando il contenuto del decreto-legge iterato o reiterato, decaduto e non piu' riproposto, venga trasferito in una legge approvata dalle Camere, senza un esame dei presupposti costituzionali che legittimano l'adozione del provvedimento d'urgenza del governo. In entrambi i casi la legge che adotta la normativa della decretazione provvisoria del Governo e' affetta da tutti i vizi, di forma e di sostanza, del provvedimento acquisito. 4.b. - Era ben presente alla Corte costituzionale il poblema appena sopra considerato derivante dal fenomeno illecito dei decreti-legge iterati e reiterati, e cioe' quello delle leggi di conversione o sanatoria di tale genere di decreti tanto presente che la Corte, nella sentenza n. 360/1996 ha ritenuto di dover (senza necessita' ai fini della decisione) esprimere il seguente principio: "Restano, peraltro, salvi gli effetti dei decreti legge iterati o reiterati gia' convertiti in legge o la cui conversione risulti attualmente in corso, ove la stessa intervenga nel termine fissato dalla Costituzione. A questo proposito va, infatti, considerato che il vizio di costituzionalita' derivante dall'iterazione o dalla reiterazione attiene, in senso lato, al procedimento di formazione del decreto-legge in quanto provvedimento provvisorio fondato su presupposti straordinari di necessita' e urgenza: la conseguenza e' che tale vizio puo' ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la legge di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri i contenuti (o gli effetti) della disciplina adottata dal governo in sede di decretazione d'urgenza". Non si puo' negare che, nel riferito obiter dictum la Corte affermi un principio esatto e condivisibile, perche' impone, quale condizione inderogabile, che le Camere assumano come propri i contenuti della disciplina adottata dal governo in sede di decretazione d'urgenza e cioe' impone che quegli stessi contenuti acquisiti nella legge di conversione vengano dalle Camere approvati per autonoma elaborazione, nel pieno rispetto delle norme, della Costituzione che disciplinano la formazione delle leggi, senza "interferenze" e senza "coartazione" del governo nell'iter di formazione della legge di conversione ed, altresi, senza "condiscendenza" verso il potere esecutivo. Cosi' ulteriormente sviluppata (si ritiene nel rispetto del suo vero significato) la tesi della Corte comporta che, quando la legge di anomala e tardiva conversione di decreti-legge iterati o reiterati non risulti approvata nel piu' assoluto rispetto degli articoli 70 e seguenti della Costituzione e non costituisca espressione di autonoma e libera volonta' ed incondizionata determinazione delle due Camere del Parlamento, il vizio di costituzionalita' derivante dall'iterazione o dalla reiterazione non potra' in nessun caso ritenersi sanato e, conseguentemente, determinera' l'incostituzionalita' della legge di conversione, per effetto del trasferimento ad essa del vizio genetico del decreto-legge iterato o reiterato. La formazione delle leggi non e' stata lasciata al caso dal legislatore costituzionale, ma puntigliosamente regolamentata, nella forte coscienza del valore assoluto e determinante del momento creativo della legge per l'esistenza di un sistema giuridico fondato su valori di liberta' e democrazia come quelli sanciti nella prima parte della Costituzione: cosi' negli artt. 70 e seguenti si rinvengono le regole per la creazione delle regole. Alla luce di tali regole costituzionali deve affermarsi che e' vietata al Parlamento, sia la conversione dei decreti-legge di pura iterazione o reiterazione, in quanto privi dei requisiti essenziali della novita' ed autonomia assoluta rispetto ai decreti iterati o reiterati, sia, comunque, l'approvazione di leggi che acquisiscano le norme contenute nei decreti-legge non convertiti, anche se non iterati. Infatti la previsione dell'art. 77 Cost., ove si dispone nell'ultimo periodo del secondo comma che "le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti", impone di ritenere precluso allo stesso legislatore di recepire in legge le norme dei decreti-legge non convertiti. Se e' certamente vero che l'illegittima prassi della reiterazione incide sugli equilibri istituzionali, alterando i caratteri della stessa forma di governo e l'attribuzione della funzione legislativa, e' altrettanto vero che deleteri effetti sull'attribuzione del potere legislativo vengono determinati dalla passivita' delle Camere che approvino leggi di anomala conversione (o comunque le si voglia denominare), acquisendo, senza propria autonoma elaborazione, le norme contenute nei decreti-legge iterati o reiterati ed in quelli non convertiti, perche' anche in questi casi le Camere vengono ancora una volta espropriate del potere legislativo, a nulla rilevando che cio' si verifichi per responsabilita' delle stesse Camere, perche' risulta nello stesso modo violata la Costituzione. Non puo' bastare a modificare il pensiero sopra esplicitato il grande rispetto per l'autonomia del Parlamento e per la funzione ad esso attribuita dalla Costituzione, giacche' e', anzi, proprio tale rispetto che deve condurre a confermare la validita' delle considerazioni sopra espresse: solo la piena fedelta' e conformita' dell'operato delle istituzioni dello Stato alla Costituzione, senza deviazioni le benche' minime, puo' mantenere in vita lo Stato di diritto. Il principio della separazione di poteri non e' nella nostra Costituzione un puro simulacro, un mero retaggio di passate scuole filosofiche: e' regola diretta a tutelare la democrazia e la liberta' dello Stato, poiche' finalizzata a precludere ogni possibile insorgere di situazioni di potere assoluto e senza vincoli. Quando un potere dello Stato perde la consapevolezza della propria funzione e del dovere di conservare intatte le proprie attribuzioni - e cio' e' tanto piu' grave quando si verifica nel Parlamento, a causa di una sua composizione che veda una forte prevalenza della maggioranza sull'opposizione -, giungendo ad accettare passivamente una condizione di suddittanza nei confronti di un altro potere (o piu' altri), conformando, anche solo in linea di fatto, il proprio agire istituzionale alla volonta' dell'altro potere, si pongono le condizioni per il rischio del verificarsi di un pericoloso mutamento del sistema democratico in qualcosa d'altro, difficile da preconizzare, ma sicuramente non in linea con i principi costituzionali. 4.c. - In forza delle superiori premesse, questo giudice rimettente nutre fortissime perplessita' sulla legittimita' costituzionale dell'intera legge n. 662/1996, perche' approvata dal Parlamento in dispregio delle norme della legge fondamentale dello Stato che regolano la produzione legislativa. La stessa struttura della legge n. 662/1996 viola l'art. 72, primo ed ultimo comma, della Costituzione, a causa della sua composizione in soli tre articoli, contenenti un coacervo indistinto di materie disomogenee, cosi' formulata dal governo al solo fine di poter chiedere il voto di fiducia (con violazione autonoma dell'art. 94 Costituzione) su pochi articoli, in modo tale da accelerare al massimo l'iter parlamentare per rispettare i tempi di approvazione della legge di bilancio e collegate, precludendo la discussione sugli (come sempre innumerevoli) emendamenti presentati dall'opposizione e cio' a causa delle norme dei regolamenti delle due Camere che non consentono (all'epoca ancor meno) tempi ristretti per giungere alla definitiva approvazione delle leggi. Tale realta', qui denunciata con riferimento alla legge n. 662/1996, non e' una novita' e non e' l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del Parlamento, "connivente" lo stesso Parlamento, ridotto a mero esecutore della volonta' del potere esecutivo, mediante l'uso improprio, e dunque incostituzionale, della richiesta della fiducia da parte del governo, previa strutturazione della legge in pochi, ipertrofici, articoli contenenti un numero enorme di commi, a loro volta distinti in piu' parti, destinati a regolare un coacervo incredibile di materie, estremamente diverse tra loro, in assoluta violazione degli artt. 70 e seguenti della Costituzione, con particolare riferimento all'art. 72 . 4.d. - Limitando la disamina alle sole disposizioni applicabili nel presente giudizio e cioe' a quelle sole norme rilevanti ai fini della decisione, questo pretore dubita della legittimita' costituzionale, in particolare dell'art. 1, commi 181, 182, 183, della legge n. 662/1996, direttamente derivante dal fatto che tale articolo, nei suddetti commi si rappresenta come puro clone delle corrispondenti disposizioni contenute nella decaduta decretazione d'urgenza del governo, espressa nei decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 del 1996, giacche' non apporta alcuna modifica sostanziale, ne' alcuna elaborazione originale delle due Camere del Parlamento alla disciplina introdotta dal governo, atteggiandosi, nella realta', come tardiva forma di "conversione occulta" dei citati decreti-legge "seriali", dei quali, si deve ribadire, costituisce ennesima mera clonazione. Puo', invero, ritenersi che il Parlamento assuma come propri i contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal governo in sede di decretazione d'urgenza solo quando le Camere approvino una legge in tutto e per tutto conforme alle regole costituzionali sulla formazione delle leggi, senza che possa rilevarsi una minima coercizione da parte del Governo sulla maggioranza che lo sostiene. Nel caso in esame non si ravvisa la possibilita' di ritenere che le Camere abbiano assunto come propri, nella legge n. 662/1996 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), i contenuti dell'art. 1, commi 1, 2, e 3, dei decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 decaduti, poiche': a) le relative norme non sono state neppure esaminate in sede di approvazione di uno specifico articolo di legge, a causa del loro inserimento in un "mostruoso" art. 1, sotto i commi numeri 181, 182 e 183; b) il mancato esame ed approvazione in un articolato normativo coerente (con la manifesta violazione dell'art. 72, commi 1 e 4, della Costituzione) e' stato voluto dal governo, al fine unico di rendere rapida l'approvazione complessiva della legge stessa, mediante tre sole votazioni sulla mozione di fiducia presentata dallo stesso governo su ogni singolo articolo della legge n. 662/1996. E' chiaro che il mancato dibattito parlamentare, sulle disposizioni che qui interessano (e su tutte le altre della legge n. 662/1996) esclude la (piena) riferibilita' al Parlamento del contenuto della disciplina in discorso e, dunque, nega la sussistenza di quel requisito che la Corte costituzionale ha affermato dover essere presente, perche' il vizio di legittimita' costituzionale derivante dall'iterazione o dalla reiterazione dei decreti-legge, (attinente, in senso lato, al procedimento di formazione del decreto-legge in quanto provvedimento provvisorio fondato su presupposti straordinari di necessita' e urgenza) possa ritenersi sanato. Tale realta', qui denunciata con riferimento alla legge n. 662/1996, non e' una novita' e non e' l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del Parlamento, "connivente" lo stesso Parlamento, ridotto a mero esecutore della volonta' del potere esecutivo, mediante l'uso improprio, e dunque incostituzionale, della richiesta della fiducia da parte del governo, soprattutto (ed e' la situazione piu' grave) in sede di approvazione di bilanci e consuntivi, previa strutturazione delle relative leggi in pochi, ipertrofici, articoli contenenti un numero enorme di commi, a loro volta distinti in piu' parti, destinati a regolare un coacervo incredibile di materie, estremamente diverse tra loro, in assoluta violazione degli artt. 70 e seguenti della Costituzione, come gia' si e' detto. Quanto qui sostenuto trova chiara conferma nel quarto comma dell'art. 94 della Costituzione, poiche' e' chiaro che alla luce di tale disposizione, in forza della quale "il voto contrario di una o entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni", e' implicitamente esclusa la possibilita' di una richiesta del voto di fiducia da esprimere contestualmente al voto su articoli di legge in corso di approvazione. 4.e. - Deve essere, pertanto, rilevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dei commi 181, 182 e 183, nella loro interezza ed in ogni singola parte e parola e norma nei medesimi espressa, dell'art. 1 della legge n. 662/1996, per violazione, degli artt. 1, 70, 72, 77, 94 e 136 della Costituzione. 5. - Le questioni di legittimita' costituzionale sopra sviluppate non sono manifestamente infondate e sono anche rilevanti, poiche' il presente giudizio non puo' "essere definito indipendentemente" dalla loro risoluzione: la dichiarazione della illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 181, 182, e 183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che ha, in modo del tutto anomalo, tardivamente ed "occultamente" convertito in legge l'art. 1 della serie di decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 del 1996, nonche' dell'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140, avrebbe, infatti, l'effetto di restituire integra a questa autorita' giudiziaria, non piu' costretta nella sua attivita' di amministrazione della giustizia al solo anomalo compito di dichiarare estinti d'ufficio i processi pendenti, la sua funzione e, cosi', il potere-dovere di individuare e definire la normativa da applicare al caso concreto portato al suo esame, dovendosi valutare se la perdita di efficacia delle disposizioni di legge in discorso conduca necessariamente al ripristino della vigenza della normativa precedente, ovvero se altra normativa possa essere applicata in via di interpretazione estensiva o per analogia, secondo le regole fissate dall'ordinamento giuridico per l'interpretazione della legge. 6. - Sussistono le condizioni per disporre la riunione a questa causa di quelle recanti i numeri di R.G. 4486, 4492, 4504, 4510 e 4514 dell'anno 1995, aventi lo stesso oggetto, in relazione alle quali sono state sollevate, con ordinanze in data 3 giugno 1996, pubblicate anch'esse sulla Gazzetta Ufficiale n. 41, prima serie speciale, rispettivamente con i nn. 1009, 1010, 1011, 1012 e 1013 del registro ordinanze 1996, questioni di costituzionalita' identiche nei contenuti a quelle precedentemente rilevate nel presente giudizio, tutte riunite dalla Corte costituzionale e decise con l'ordinanza n. 9/1998. Il presente giudizio deve essere sospeso, ai sensi dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953 n. 87.