IL PRETORE
   Nella  causa  in  materia di previdenza ed assistenza obbligatoria,
 r.g. n. 4484/1995, promossa da  Barucchelli  Esterina,  elettivamente
 domiciliata  in  Brescia  presso  l'avv.  Danilo  Mina,  il  quale la
 rappresenta e  difende  in  forza  di  procura  a  margine  dell'atto
 introduttivo  del  giudizio, ricorrente, contro l'I.N.P.S. - Istituto
 Nazionale della Previdenza Sociale, con sede in Roma, in persona  del
 presidente  pro-tempore,  rappresentato  e difeso dagli avv.ti Oreste
 Manzi ed Alfonso Faienza, procuratori per mandati alle liti a  rogito
 del  dott.  Lupo,  notaio  in  Roma, con domicilio eletto nel proprio
 ufficio di avvocatura in Brescia, via Cefalonia, n. 49, convenuto;
   Visti:
     gli atti difensivi delle parti; l'ordinanza 26-29  gennaio  1998,
 n.  9,  della  Corte costituzionale, con la quale e' stata dichiarata
 "la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 1, del decreto-legge 27 maggio 1996, n. 295
 (Norme in materia previdenziale) sollevate, in riferimento agli artt.
 1, secondo comma, 70, 72, 77 e 136 della Costituzione, dal pretore di
 Brescia, con le ordinanze in epigrafe";  la  precedente  ordinanza  3
 giugno  1996,  emessa  nel  presente giudizio e pubblicata, con il n.
 1008 del registro ordinanze  1996,  sulla  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica  n.  41,  prima  serie speciale, del 1996; l'art. 1, commi
 181, 182, 183 e 184, della legge 23 dicembre 1996,  n.  662,  nonche'
 l'art.  3-bis  (modifiche all'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n.
 662) della  legge  28  maggio  1997,  n.  140,  di  conversione,  con
 modificazioni,  del  d.-l.  28  marzo  1997, n. 79, recante misure di
 riequilibrio della finanza pubblica;
     l'art. 1, comma 6, legge 28 novembre 1996, n. 608, di conversione
 del d.-l. 1 ottobre 1996, n. 510;
     l'art. 1 del d.-l.  28  marzo  1996,  n.  166  e  la  catena  dei
 successivi  decreti-legge  di  pura reiterazione n. 295 del 27 maggio
 1996, n.  396 del 26 luglio 1996, e n. 499  del  24  settembre  1996,
 tutti decaduti;
     l'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903;
     la   sentenza   29-31   dicembre   1993,   n.   495  della  Corte
 costituzionale;
     l'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87;
     l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
     l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1;
     gli  artt.  1,  70,  71,  72,  76,  77,  94,  134,  e  136  della
 Costituzione.
   Nella  pubblica  udienza del 4 maggio 1998, ha pronunciato, dandone
 integrale lettura, la seguente ordinanza  di  nuova  rimessione  alla
 Corte  costituzionale  di  questioni  di  legittimita' costituzionale
 rilevate d'ufficio, ai sensi dell'art. 134 Costituzione, dell'art.  1
 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23 della
 legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87.
   1. - Le deduzioni e conclusioni formulate dalle parti in causa.  A)
 Nelle conclusioni di parte attrice si chiede  a  questo  pretore,  di
 "dichiarare  l'INPS  convenuto tenuto, a favore della ricorrente, nei
 modi e forme di legge, a  riliquidare,  in  esecuzione  della  citata
 sentenza  n.  495/1993  della  Corte  costituzionale,  la pensione di
 reversibilita' in relazione alla pensione diretta con  l'integrazione
 al  minimo  di cui il coniuge defunto era titolare od alla quale egli
 aveva comunque diritto, con gli arretrati ab origine o comunque entro
 i limiti della prescrizione decennale, oltre rivalutazione  monetaria
 ed  interessi  di  legge".    B)  L'INPS,  ha  espresso  le seguenti,
 riportate testualmente, graduate conclusioni: respingere  il  ricorso
 "in  via  preliminare, per carenza dei requisiti fattuali di cui alle
 premesse".
   "Nel merito:
     respingere il ricorso  siccome  inammissibile  per  scadenza  del
 termine  di  decadenza  per  agire in giudizio previsto dalle vigenti
 disposizioni".
   "In via subordinata:
     respingere la domanda per  carenza  di  interesse  in  quanto  il
 ricorrente   gode  di  pensione  di  reversibilita'  per  un  importo
 cristallizzato al trattamento minimo".   "Respingere  la  domanda  di
 riliquidazione   della   pensione  di  reversibilita'  rapportata  al
 trattamento minimo del dante  causa  in  quanto  riferita  a  periodi
 anteriori    alla    pubblicazione   della   sentenza   della   Corte
 costituzionale in materia".   C) L'istituto resistente  ha,  inoltre,
 pur  senza  addurre argomenti di supporto, senza assumere conclusioni
 specifiche  e  senza  sollevare  formale  eccezione  di  legittimita'
 costituzionale,  sostenuto  che l'interpretazione dell'art. 22, legge
 903/1965 nei termini addittivi  voluti  dalla  sentenza  n.  495/1993
 sarebbe, comunque, in contrasto con l'art. 81 della Costituzione.  D)
 Nessun  nuovo  argomento  difensivo  e' stato proposto dalle parti in
 questa processuale, dopo la riassunzione del giudizio.
   2. - La necessita' di riproporre all'esame del giudice delle  leggi
 le  questioni  di legittimita' costituzionale gia' rilevate d'ufficio
 nella propria ordinanza 3 giugno 1996,  pubblicata  con  il  n.  1008
 sulla   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  41,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1996.  Con l'ordinanza 3 giugno 1996, emessa  nel
 corso  di  questo  giudizio,  questo  pretore  rilevava  d'ufficio le
 seguenti questioni di legittimita' costituzionale:   a) questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.-l.  27 maggio 1996, n.
 295,   per   violazione   dell'ultimo  comma  dell'art.     77  della
 Costituzione; b) questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
 1,  del  d.-l.  n.  295  del  1996,  per violazione degli articoli 1,
 secondo comma, 70, 72, 77, primo e  secondo  comma,  e  136,  secondo
 comma, della Costituzione.
   2.a.   -  La  Corte  costituzionale  ha  dichiarato  "la  manifesta
 inammissibilita'  delle  questioni  di  legittimita'   costituzionale
 dell'art.  1,  del  d.-l.    27 maggio 1996, n. 295 (norme in materia
 previdenziale) sollevate, in riferimento agli artt. 1, secondo comma,
 70,  72,  77  e  136  della  Costituzione,  dal  pretore di Brescia",
 sollevate d'ufficio con la predetta  ordinanza  ed  altre  cinque  di
 identico contenuto ed in pari data, tutte pubblicate, con i nn. 1009,
 1010,  1011,  1012 e 1013 del registro ordinanze 1996, sulla Gazzetta
 Ufficiale n. 41, prima serie speciale, del 1996.   2.b. -  Le  stesse
 questioni non sono state valutate dalla Corte costituzionale, perche'
 irrilevanti  e  pertanto  manifestamente inammissibili, a causa della
 ritenuta mancata censura della disposizione con la quale "tanto nella
 normativa decretale quanto in quella di legge  (art.  1,  comma  183,
 della  legge  n.  662  del 1996) viene sancito che i giudizi pendenti
 siano dichiarati estinti d'ufficio", previsione  che  "trova  diretta
 applicazione anche nei processi a quibus (come tra l'altro avverte lo
 stesso rimettente)" e che "riveste preliminare rilievo, in termini di
 sovraordinazione  logico-processuale rispetto ad ogni altra possibile
 censura di incostituzionalita'".  2.c. - Preso atto  della  decisione
 della  Corte, risulta doveroso riproporre le stesse questioni, con le
 necessarie precisazioni ed  integrazioni  imposte  dal  trasferimento
 delle   censure  dai  precedenti  provvedimenti  "contenitori"  della
 decretazione  "d'urgenza"  del  Governo   alla   sopravvenuta   legge
 approvata  dal  Parlamento, poiche' ritiene sempre questo pretore che
 la normativa gia' censurata, l'intero art.  1 del d.-l. n. 295/1996 e
 tutte le disposizioni di identico tenore sostanziale, prima contenute
 nei successivi decreti-legge nn. 396 e 499 del 1996 ed ora nei  commi
 181, 182 e 183 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 - nel
 reiterare il contenuto del precedente decreto-legge 28 marzo 1996, n.
 166, primo della serie e recante disposizioni relative alle modalita'
 di  pagamento  delle somme maturate in favore degli aventi diritto in
 applicazione delle sentenze di illegittimita' costituzionale  n.  495
 del  1993  e  n. 240 del 1994 - sempre nella sua intera formulazione,
 sia  in  evidente  contrasto  con  l'art.  77,  ultimo  comma   della
 Costituzione,  nonche'  con gli artt.   1, secondo comma, 70, 72, 77,
 primo e secondo comma, e  136,  secondo  comma,  della  Costituzione,
 mancando   nel   d.-l.  n.  166/1996  e  nei  successivi  suoi  cloni
 l'imprescindibile requisito dell'esistenza  del  caso  straordinario,
 richiedente  un necessario intervento governativo, di urgenza tale da
 escludere i tempi del normale iter parlamentare, e mancando  altresi'
 alla radice il potere del Governo di iterare e reiterare il d.-l.  n.
 166/1996  ed  attesa di conseguenza l'usurpazione originaria da parte
 del potere  esecutivo  delle  attribuzioni  sovrane  del  Parlamento,
 promananti dal popolo, in assenza di delega.
   3.  -  La  motivazione della precedente ordinanza, che si riproduce
 fedelmente, affinche' costituisca parte  integrante  della  presente,
 per  il completo esame delle questioni di legittimita' costituzionale
 qui  rilevate  d'ufficio.    Nei  seguenti  termini,  questo  pretore
 sosteneva  le  questioni  di  legittimita' costituzionale, rilevate a
 carico  del   d.-l.   n.   295/1996   e   dichiarate   manifestamente
 inammissibili  dalla  Corte costituzionale con l'ordinanza n. 9/1998:
 "Tale ultimo provvedimento governativo  non  e'  affetto  solo  dalle
 stesse gravi e plurime violazioni della Costituzione gia' riscontrate
 a  carico  del  d.-l.  n.  166/1996, ma anche da un vizio, congenito,
 ulteriore e specifico, direttamente dipendente dal fatto di essere la
 reiterazione del n. 166/1996.  Invero, a fronte dell'esistenza di  un
 nuovo  atto  del  Governo  avente  la forma del d.-l., questo giudice
 rileva  che tale atto e' nei suoi contenuti (qui si considera in modo
 specifico e puntuale solo l'art.   1 del d.-l.  n.  295/1996,  ma  e'
 agevole  rilevare che il discorso vale anche per il tutto) totalmente
 identico al d.-l. n. 166/1996.  Non solo: l'art. 1, nei commi 3 e  4,
 del  d.-l.  n.  295/1996  si presenta anche nella sua lettera come un
 "clone" perfetto dei commi corrispondenti dell'art. 1, del  d.-l.  n.
 166/1996  giacche'  nessuna  minima differenza e' riscontrabile.  Non
 basta:  il  secondo  comma,  dell'art.  1,  del  d.-l.  n.   295/1996
 differisce  da  quello  del d.-l. n. 166/1996 solo nella sostituzione
 del sostantivo "rimborso" con  quello  di  "pagamento":  trattasi  di
 "clonazione   imperfetta"   (tanto   imperfetta   da   essere   quasi
 impercettibile, posto che altrove ancora permane l'uso improprio  del
 termine  "rimborso"  e  del  verbo  "rimborsare", che presumibilmente
 verranno man mano sostituiti nelle prossime duplicazioni del d.-l. n.
 166/1996, alle naturali scadenze bimensili).  Ancora: il primo comma,
 sempre dell'art. 1 del d.-l. n. 295/1996, puo' essere  descritto  con
 l'espressione   "clone   mutante   per   innesto",  poiche'  mantiene
 inalterata l'intera lettera del suo omologo del  d.-l.  n.  166/1996,
 con  in piu' alcune interpolazioni del tutto superflue e puramente di
 comodo; 1) nel primo periodo, l'ovvia precisazione che  i  titoli  di
 Stato  da  assegnare agli aventi diritto sono "sottoposti allo stesso
 regime tributario dei titoli  di  debito  pubblico",  quasi  che  sia
 possibile ipotizzarne uno diverso; 2) nel terzo periodo, l'ancor piu'
 ovvia  affermazione  che  l'assegnazione  dei  titoli  di  Stato deve
 avvenire "sulla base della vigente normativa"  agli  aventi  diritto,
 "anche   se   residenti   all'estero",   come   se   fosse  pensabile
 un'assegnazione effettuata mediante una normativa non vigente e  come
 se fosse prima prevista da una disposizione di legge l'esclusione del
 diritto dei residenti all'estero) e, infine, con l'aggiunta alla fine
 dello  stesso  comma  di un nuovo sibillino periodo ("L'emissione dei
 titoli, per l'anno 1996, non puo'  superare  l'importo  di  L.  3.135
 miliardi".),  l'utilita',  ragione  e  fine  del  quale e' oscura, in
 relazione alla previsione immutata del quarto comma, ove l'onere  per
 l'anno  1996  resta  di  L.  3.276  miliardi.    Traendo  le naturali
 conclusioni, appare chiaro che tutti i rilievi appena  sopra  esposti
 evidenziano  in  modo incontrovertibile l'inesistenza nell'art. 1 del
 d.-l. n. 295/1996 di quel minimo quid novi che puo'  giustificare  la
 reiterazione  del d.-l. non convertito nei 60 giorni.  L'ultimo comma
 dell'art. 77 della Costituzione cosi, dispone:   "I  decreti  perdono
 efficacia  sin  dall'inizio,  se  non  sono convertiti in legge entro
 sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono  tuttavia
 regolare  con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti
 non convertiti".  Non puo' essere messo in dubbio che l'art. 77 della
 Costituzione  limita   l'efficacia   temporale   del   "provvedimento
 provvisorio  avente  forza  di  legge"  emanato  dal  Governo  a soli
 sessanta giorni e ci si deve chiedere  quali  conseguenze  giuridiche
 derivino  da  tale  limitazione  temporale,  quando  allo spirare del
 termine il d.-l. perde efficacia a causa della mancata conversione in
 legge: possono ipotizzarsi tre soluzioni:   a) non sussiste  piu'  il
 potere  del Governo di adottare provvedimenti provvisori sulla stessa
 materia  e,  dunque,  e'  vietata  la  reiterazione  del  d.-l.   non
 convertito,  con  conseguente inapplicabilita' dell'eventuale decreto
 di replica, in  quanto  privo  di  forza  di  legge;  b)  l'eventuale
 reiterazione   nasce  priva  di  efficacia,  perche'  "geneticamente"
 affetta  dall'inefficacia  del  decreto  che  viene  reiterato; c) il
 provvedimento provvisorio  di  reiterazione  viola  semplicemente  la
 Costituzione,  con  conseguente  necessita' di sollevare questione di
 legittimita' costituzionale.   Deve subito  essere  chiarito  che  la
 problematica  qui discussa non riguarda i decreti di reiterazione nei
 quali siano presenti vere e reali,  non  marginali  e  non  meramente
 formali,  modifiche,  che  diano luogo ad una sostanzialmente diversa
 regolamentazione del caso straordinario  di  necessita'  ed  urgenza,
 rispetto   agli   omologhi  decreti  reiterati  (restando,  comunque,
 impregiudicati altri profili d'illegittimita').   L'art.  77,  ultimo
 comma,  della  Costituzione,  la  ragione  e  la logica inducono, o a
 ritenere escluso il potere del Governo di emettere con diverso numero
 e in diversa data un nuovo "provvedimento provvisorio avente forza di
 legge",  o  a  sostenere  automaticamente  priva  di   efficacia   la
 reiterazione  di  un  d.-l.  non  convertito, quando il contenuto del
 decreto successivo non contenga quel  minimo  livello  di  novita'  e
 diversita'  sostanziale,  rispetto  al  precedente,  da consentire di
 affermarne l'autonoma esistenza.  In verita', puo' ben ritenersi - ai
 sensi del  disposto  direttamente  precettivo  dell'art.  77,  ultimo
 comma,   della   Costituzione,   che  sanziona  con  l'inefficacia  i
 provvedimenti provvisori del Governo non convertiti  nel  termine  di
 sessanta giorni e nel rispetto della certa ed inequivoca volonta' del
 legislatore   costituzionale  diretta  a  precludere  al  Governo  di
 sottrarre  alle  Camere  la  funzione  legislativa  -  negato   dalla
 Costituzione  al  Governo il potere di adottare, nella stessa materia
 regolata da decreti-legge decaduti, nuovi provvedimenti provvisori  e
 vietato  l'artificio  di duplicare decreti-legge divenuti inefficaci.
 Conseguentemente, puo' affermarsi l'inesistenza della forza di  legge
 del  decreto  di  reiterazione,  per  carenza assoluta del potere del
 Governo di adottare  provvedimenti  provvisori  dopo  il  verificarsi
 dell'inefficacia  del  decreto reiterato.  Cosi' come puo' sostenersi
 che,  in  caso  di  reiterazione  di  decreti-legge  senza  modifiche
 sostanziali,   l'inefficacia  del  decreto  decaduto  si  trasferisce
 automaticamente al  decreto  di  reiterazione,  con  sua  conseguente
 inapplicabilita'.    Poste  tali  premesse,  e' naturale chiedersi se
 sussista  la  violazione  dell'art.   101   Costituzione   da   parte
 dell'autorita'  giudiziaria che non applichi un d.-l. di duplicazione
 di un decreto divenuto inefficace (in assenza, si  ripete,  di  reali
 modifiche  del contenuto normativo), ovvero se la violazione consista
 nel suo esatto contrario e cioe' nel dare applicazione al d.-l.  che,
 con  il  mezzo  della  reiterazione,  di  fatto  porta  da sessanta a
 centoventi giorni (e cosi' via moltiplicando  a  seconda  del  numero
 delle   reiterazioni)   il   termine   di   efficacia  sancito  nella
 Costituzione.  Questo pretore, come reso palese dalle  argomentazioni
 che  precedono,  propende  per  l'affermazione  del  dovere giuridico
 dell'autorita' giudiziaria di non dare applicazione al  decreto-legge
 che  risulti  meramente  ripetitivo e carente di qualsivoglia novita'
 normativa rispetto a quello non convertito in legge,  come  nel  caso
 dell'art.  1, del d.-l. n. 295 del 1996, perfettamente corrispondente
 nei contenuti e quasi identico nella lettera all'art. 1, del    d.-l.
 n.  166/1996.   Eppure, nonostante tutto, permane un dubbio di natura
 puramente formale: il Governo che  ha  emanato  il  decreto-legge  n.
 295/1996  e'  il  legittimo  Governo  della  Repubblica italiana e il
 medesimo decreto non e', quanto meno nel numero  e  in  minima  parte
 nella  sua forma esteriore, lo stesso d.-l. n. 166/1996: se non nella
 sostanza e se non pienamente nella lettera, il d.-l. n.  295/1996  e'
 pur  sempre  in  apparenza  un  provvedimento provvisorio del Governo
 avente forza di legge e, cosi', questo pretore, benche' non si  senta
 minimamente   vincolato   a  seguire  le  tradizioni  consolidate  di
 violazione  del  principio  di  legalita'  che   vengono   denominate
 "costituzione   materiale"  e  "diritto  vivente",  per  il  doveroso
 rispetto della "legge e degli atti aventi forza di  legge"  non  puo'
 allo  stato  (senza  percio'  escludere  un  futuro ripensamento) che
 rinunciare alle piu' radicali soluzioni, sopra ipotizzate  sub  a)  e
 b),  per  trasferire  dinanzi  alla  Corte  costituzionale  la stessa
 problematica  con   le   stesse   argomentazioni   sopra   ampiamente
 sviluppate,    nella    veste   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale, in aderenza alla terza  ipotesi  di  soluzione  sopra
 individuata alla lettera c).
   Rileva, pertanto, d'ufficio la seguente:
     A)  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, del
 d.-l. n. 295 del 1996, per violazione  dell'art.  77,  ultimo  comma,
 della  Costituzione.   Posta cosi' la prima questione di legittimita'
 costituzionale, specifica in relazione  al  decreto  n.  295/1996  di
 reiterazione  del  decaduto d.-l. n. 166/1996, si puo' ora reiterare,
 identica nei contenuti anche con riferimento al  d.-l.  n.  295/1996,
 una  delle  tante  questioni  gia'  rilevate  a  carico  del d.-l. n.
 166/1996 in precedenti ordinanze.
     B) questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.-l.
 n. 295 del 1996 per violazione degli artt. 1, secondo comma, 70,  72,
 77, primo e secondo comma, e 136, secondo comma, della Costituzione.
   L'art.  77  della  nostra  Costituzione, testualmente, dispone: "Il
 Governo non puo', senza delegazione delle Camere, emanare decreti che
 abbiano valore di legge ordinaria.  Quando, in casi  straordinari  di
 necessita'   e   d'urgenza,   il   Governo   adotta,   sotto  la  sua
 responsabilita', provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il
 giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere  che,  anche
 se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque
 giorni.    I  decreti  perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono
 convertiti in legge entro sessanta giorni dalla  loro  pubblicazione.
 Le  Camere  possono  tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici
 sorti sulla  base  dei  decreti  non  convertiti".    Il  divieto  di
 carattere   generale  sancito  dalla  Costituzione  all'emissione  di
 decreti aventi forza di legge del  Governo  in  assenza  (come  nella
 fattispecie  in  esame)  di  delega  delle  Camere,  trova eccezione,
 regolata dal secondo comma dell'art. 77 della Costituzione,  solo  in
 casi  straordinari  di  necessita'  e  d'urgenza; sono, dunque, tre i
 requisiti da valutare per determinare  se  il  decreto-legge  emanato
 senza  delegazione  delle  Camere  rispetti  il preciso ed inequivoco
 dettato costituzionale:  1) l'esistenza di un caso straordinario;  2)
 che richieda un necessario intervento governativo; 3) di tale urgenza
 da escludere i tempi del normale iter parlamentare.
   Tutti tali requisiti devono sussistere, reali e verificabili.
   Il   decreto  in  esame  non  rispetta  nessuno  dei  tre  suddetti
 ineludibili presupposti.
   1. - Il caso straordinario.  Il decreto-legge n. 295/1996, art.  1,
 non  risponde  ad  alcun caso di straordinarieta': la situazione alla
 quale vorrebbe  porre  rimedio  risale  a  due  anni  e  cinque  mesi
 addietro,per quanto concernente la sentenza n. 495 del dicembre 1993,
 e  ad  un  anno  e undici mesi con riferimento alla n. 240 del giugno
 1994, mentre il Governo che ha emanato il decreto-legge  in  discorso
 e'  gia'  il  terzo ad essere coinvolto dalle problematiche derivanti
 dalle due sentenze  della  Corte,  senza  considerare,  per  la  sola
 sentenza  n.  495/1993, quello dei primi mesi dell'anno 1994: il caso
 non riveste alcun carattere  di  straordinarieta'  intesa  nel  senso
 previsto  dall'art.  77,  secondo  comma,  Costituzione  e  puo' solo
 parlarsi di colpevole ritardo o di assenza di capacita' e di volonta'
 del Governo e  soprattutto  del  Parlamento  (anche  se,  per  quanto
 concerne la sola sentenza n. 240/1994 e la notissima problematica del
 diritto  alla  cosi'  detta  "cristallizzazione", piu' precisamente e
 piu' correttamente deve essere affermato che la volonta'  manifestata
 dal Parlamento con l'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre 1993,
 n.  537  e'  inequivoca  nel senso di escludere il diritto in tutti i
 casi e, dunque, il mancato intervento delle Camere  puo'  ben  essere
 inteso  come  preciso rifiuto di accettare i contenuti della sentenza
 della Corte) a trovare  una  soluzione  giuridica  costituzionalmente
 ineccepibile   ad   un  enorme  contenzioso  che  incombe  da  lustri
 sull'amministrazione della giustizia, sempre irrisolto, ma non nuovo,
 ne' straordinario, bensi' noto ed ordinario.
   2. - La necessita'.  Nel caso in discussione la  necessita'  di  un
 provvedimento provvisorio del Governo avente forza di legge e' negata
 alla  radice  dalla  semplice  constatazione  (ulteriore,  rispetto a
 quella  precedente)  dell'ovvia  insufficienza  -  ma   anche   della
 irragionevolezza   (con   violazione,  dunque,  anche  dell'  art.  3
 Costituzione)  -  di  un   atto   provvisorio   che   incide,   forse
 inconsapevolmente, ma direttamente e senza pero' offrire una lucida e
 definitiva soluzione, sulla complessa problematica giuridica relativa
 alla  legittimita'  costituzionale delle stesse disposizioni di legge
 colpite dalle  decisioni  "legislative"  della  Corte  costituzionale
 "addittive"  e  "manipolatrici":  appare  davvero  incongruo ritenere
 necessario un decreto-legge per risolvere una problematica  complessa
 ed  estremamente articolata che tocca questioni essenziali della vita
 democratica della nostra Repubblica,  gia'  portata  all'esame  della
 Consulta da questo pretore con numerose ordinanze di rimessione.  Non
 puo'  inoltre  tacersi  che  anche  sotto  un  altro  aspetto  non e'
 possibile riscontrare il requisito della necessita' a giustificazione
 dell'art. 1 del decreto-legge  in  esame:  non  esiste,  infatti,  la
 certezza  del  diritto  a  quei crediti da soddisfare "in conseguenza
 dell'applicazione delle sentenze della Corte  costituzionale  n.  495
 del  1993  e  n.  240 del 1994".   Si deve osservare, infatti, che il
 decreto non opera una recezione nel vigente diritto positivo  scritto
 del   contenuto  delle  suddette  sentenze,  ne'  espressamente,  ne'
 implicitamente, ma si limita a ricercare (senza rinvenirli)  i  mezzi
 di  finanziamento  per  "il rimborso delle somme, maturate fino al 31
 dicembre 1995,  sui  trattamenti  pensionistici  erogati  dagli  enti
 previdenziali  interessati,  in  conseguenza  dell'applicazione delle
 sentenze della Corte costituzionale n. 495 del  1993  e  n.  240  del
 1994",  senza minimamente curarsi del fatto che si applicano le leggi
 e non le sentenze da qualunque organo  emesse.    Nel  decreto-legge,
 dando  per  scontato cio' che scontato non e', in realta' si pretende
 di soddisfare (in modo tanto plateale da determinare  il  sorgere  di
 un'obbligazione  "naturale", anche se non necessariamente nei termini
 in  esso  previsti,  del  Governo e di tutto il sistema istituzionale
 verso i tanti interessati, titolari  di  legittime  aspettative)  dei
 crediti  la  cui  esistenza  non  e'  certa,  poiche' la problematica
 attinente l'efficacia di quelle sentenze della  Corte  costituzionale
 e'  stata  rimessa  al controllo di legittimita' dello stesso giudice
 delle leggi e, dunque, non si ha  neppure  certezza  in  ordine  alla
 validita' delle stesse decisioni e ai loro effetti sulle disposizioni
 di  legge  ritenute  in  parte  incostituzionali,  ma  senza produrre
 l'effetto della caducazione previsto e  voluto  dall'art.  136  della
 Costituzione.
   3.  -  L'urgenza.    Quanto  all'urgenza  (smentita  gia' dai tempi
 evidenziati al  primo  punto)  puo'  dirsi  che  non  se  ne  ravvisa
 l'esistenza  nel  caso oggetto del decreto: ben sarebbe stato gradito
 ai titolari di legittime aspettative, legate  alle  due,  piu'  volte
 citate,  sentenze della Corte costituzionale, un organico e ponderato
 disegno di legge d'iniziativa  del  Governo  ai  sensi  dell'art.  71
 Costituzione,   essendo  sicuramente  corretta  e  costituzionalmente
 legittima sempre tale soluzione e davvero doverosa  dopo  la  mancata
 conversione  il  legge  di  un decreto-legge gemello.   Ma non basta:
 appare piu' che chiara l'assenza di una reale urgenza in questo  caso
 specifico,  se solo si consideri che nel primo comma, dell'art. 1 del
 decreto-legge  n.  295/1996  viene  previsto  un  pagamento  in   sei
 annualita'  e  per  di  piu'  mediante  emissione di titoli di Stato,
 soluzione del tutto incompatibile con il  fine  di  regolare  un  (in
 verita'  artificiosamente affermato) caso di straordinaria necessita'
 ed urgenza, che impone razionalmente una risposta efficiente,  pronta
 ed  immediata  e non un piano di estinzione del debito diluito in ben
 sei anni.   L'urgenza, invero,  non  deve  essere  solo  un  astratto
 presupposto  per  consentire  al  Governo  di  adottare provvedimenti
 provvisori, ma deve trovare riscontro  oggettivo,  sia  esterno  come
 causa  idonea  a  legittimare  l'emissione  dell'atto avente forza di
 legge, sia  interno  come  risposta  efficiente  per  dare  soluzione
 efficace  ed  immediata al caso di straordinaria necessita' sul quale
 si interviene.  Tutto cio' che si e' sin qui  esposto  vale  per  far
 risaltare la totale inesistenza dei requisiti espressamente richiesti
 dall'art.    77,  secondo  comma, della Costituzione e per dimostrare
 gia'  con  riferimento   a   tale   solo   profilo   l'illegittimita'
 costituzionale  dell'intero  art.   1, del decreto-legge n. 295/1996.
 E' poi di solare evidenza che  la  violazione  dei  limiti  posti  al
 governo  dall'art.  77  Costituzione  determina un'altrettanto chiara
 usurpazione da parte del  potere  esecutivo  delle  attribuzioni  del
 Parlamento,  con lesione degli artt. 1, secondo comma, 70 e 72 Cost.,
 e questa ulteriore  illegittimita'  costituzionale  non  puo'  essere
 taciuta,   a  nulla  rilevando  una  eventuale  "condiscendenza"  del
 Parlamento  ad  subirla,  perche'  la  violazione  dei  limiti  delle
 attribuzioni  di  un  potere e' fatto che incide in modo insuperabile
 sulla legittimita' costituzionale dei provvedimenti emessi in difetto
 di attribuzione e non e' solo un evento che riguarda in via esclusiva
 i rapporti di "buon vicinato" tra i poteri dello  Stato,  poiche',  a
 sommesso  (ma  convinto)  avviso  di  questo giudice, vulnera in modo
 gravissimo la Costituzione anche il solo permettere  tacitamente  che
 un  potere privo delle relative attribuzioni costituzionali supplisca
 ai compiti e funzioni istituzionali propri di un altro  potere.    E'
 sufficiente  ricordare  il  fondamentale  dettato  del  secondo comma
 dell'art.  1  della Costituzione ("La sovranita' appartiene al popolo
 che la esercita nelle forme e  nei  limiti  della  Costituzione")  in
 correlazione  con  l'art.  70 ("La funzione legislativa e' esercitata
 collettivamente dalle due Camere") e  con  l'art.  72,  primo  comma,
 soprattutto  ("Ogni  disegno  di  legge, presentato ad una Camera e',
 secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione  e
 poi  dalla  Camera  stessa che lo approva articolo per articolo e con
 votazione  finale".),  per  comprendere  quanto  grave  sia  la  loro
 violazione   e,   dunque,  quanto  intollerabilmente  sia  ferita  la
 Costituzione  dall'art.  1,  del  decreto-legge  n.  295/1996,   come
 conseguenza  diretta  della  gia'  rilevata non conformita' del detto
 decreto-legge all'art.  77, secondo comma.
   Ma non basta ancora.  L'art. 136, secondo comma, della Costituzione
 dispone: "La decisione e' pubblicata e comunicata alle Camere  ed  ai
 consigli   regionali   interessati,   affinche',   ove  lo  ritengano
 necessario, provvedano nelle forme  costituzionali":    la  norma  e'
 speciale   rispetto  agli  artt.  70  e  seguenti  della  sezione  II
 (Formazione delle  leggi)  della  Costituzione  che  disciplinano  la
 normale  attivita' legislativa e, logicamente, non consente in nessun
 caso di ritenere attribuito  al  governo  il  potere  di  adottare  i
 provvedimenti  provvisori  previsti  nel secondo comma, dell'art. 77,
 essendo sancita solo e soltanto la possibilita' di regolare con legge
 nelle forme costituzionali gli eventuali problemi (del presente,  del
 passato   e   del  futuro)  derivanti  dalle  decisioni  della  Corte
 costituzionale che dichiarano l'illegittimita' di una norma di  legge
 o  di un atto avente forza di legge ed essendo individuato nelle sole
 Camere il potere dello Stato competente in via esclusiva a  stabilire
 se  ricorrano  le  condizioni  di  necessita'  per  intervenire, come
 espressamente e con chiara volonta'  e'  imposto  dal  secondo  comma
 dell'art.  136.    Dunque,  solo  a seguito di specifica delega delle
 Camere con riferimento all'attivita' legislativa di cui all'art. 136,
 secondo comma, puo' essere ritenuto legittimo  un  atto  del  governo
 avente  forza  di  legge.    Poiche', nel caso presente le Camere non
 hanno delegato il governo ai sensi dell'art. 76 della Costituzione  e
 poiche'  non  e'  previsto,  anzi  e' escluso come sopra chiarito, il
 potere del governo di adottare  i  provvedimenti  provvisori  di  cui
 all'art.  77,  secondo  comma, per l'ipotesi formulata nell'art. 136,
 secondo comma, e' del tutto palese la sussistenza della violazione di
 quest'ultima  disposizione  della  Costituzione  con  conseguente   e
 necessario  rilievo  d'ufficio, per l'ennesima volta, della questione
 di legittimita' costituzionale dell'intero art. 1, del  decreto-legge
 27  maggio  1996,  n.  295.    E' vero, peraltro, che l'art. 2, comma
 settimo, della legge 11 marzo 1988, n. 67  testualmente  prevede  che
 "Qualora   nel  corso  dell'attuazione  delle  leggi  si  verifichino
 scostamenti rispetto alle  previsioni  di  spesa  e  di  entrate,  il
 Governo  ne  da'  notizia tempestivamente al Parlamento con relazione
 del Ministro del tesoro e assume le conseguenti iniziative. La stessa
 procedura e' applicata in  caso  di  sentenze  definitive  di  organi
 giurisdizionali  e della Corte costituzionale recanti interpretazioni
 della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori  oneri",
 ma  tale  disposizione  non  contrasta con quanto sopra affermato ed,
 anzi, ne conferma l'esattezza,  giacche'  non  consente  di  ritenere
 attribuito  al governo il potere di emanare decreti-legge, bensi' gli
 impone  di  dare  notizia  al  Parlamento  della   nuova   situazione
 verificatasi  e  di assumere le conseguenti iniziative, da intendersi
 (ex art. 136, secondo comma Cost.), in relazione alle  decisioni  del
 giudice  delle leggi limitate alla presentazione di disegni di legge,
 secondo la previsione dell'art. 71 della Costituzione.
   4. - Precisazione ed integrazione delle questioni  di  legittimita'
 costituzionale  sopra  riprodotte,  rese necessarie dal trasferimento
 delle questioni stesse dai  precedenti  provvedimenti  "contenitori",
 costituiti   dalla   decretazione   "d'urgenza"   del  governo,  alla
 sopravvenuta legge n. 662 del 1996 approvata  dal  Parlamento,  nuovo
 "contenitore".    Occorre  chiarire  che le questioni di legittimita'
 costituzionale  in   discorso,   ben   lungi   dall'essere   superate
 dall'intervenuto  art.   1, commi 181, 182, 183 e 184, della legge 23
 dicembre 1996,  n.  662,  devono  essere  trasferite  dai  precedenti
 "contenitori"   normativi   a   quello   attuale   (come  insegna  la
 giurisprudenza  della  Corte  costituzionale),  poiche'  le   censure
 rivolte  alla  decaduta  disciplina "provvisoria" del Governo restano
 valide anche nei confronti della normativa approvata dal  Parlamento,
 la  quale non presenta reali modifiche di sostanza, rispetto a quella
 dei decreti-legge  decaduti,  neppure  in  relazione  alla  copertura
 finanziaria  e  cio'  anche  con riferimento all'attuale formulazione
 dell'art. 1, della legge n. 662 del 1996, nel comma 181  (interamente
 sostituito  e,  nel  comma  182  (sostituito  nel  quarto  periodo ed
 abrogato nell'ultimo), in forza dell'art. 3-bis (modifiche all'art. 1
 legge  n.  662/1996)  della  legge  28  maggio  1997,  n.   140,   di
 conversione,  con  modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, dal
 momento che, comunque, resta immutata la previsione di  pagamento  in
 ben  sei  rate  annuali  delle  somme maturate in favore degli aventi
 diritto in applicazione delle sentenze n. 495 del 1993 e n.  240  del
 1994  della  Corte costituzionale.  In verita' le modifiche apportate
 con l'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997,  n.  140,  risultano  di
 scarso  peso ai fini della copertura finanziaria della spesa, perche'
 nella sostanza, la previsione del pagamento in contanti  agli  aventi
 diritto,  previa  collocazione  sul  mercato  dei  titoli  di  Stato,
 rispetto al pagamento mediante assegnazione di titoli di  Stato,  non
 muta  il fatto che il pagamento del debito nei confronti degli aventi
 diritto si realizza sempre con un nuovo indebitamento  a  carico  del
 bilancio   dello   Stato.     Permane,  inoltre  ed  in  particolare,
 assolutamente identica la previsione  dell'estinzione  d'ufficio  dei
 processi  pendenti,  nonche'  l'individuazione  dei  soggetti  aventi
 diritto al pagamento delle somme di cui si e' gia' detto,  mentre  le
 modifiche   apportate  successivamente  nei  vari  provvedimenti  del
 Governo ed in quelli del Parlamento all'indicazione  della  copertura
 finanziaria  (come  si  e'  gia' detto) ed, altresi', al regime degli
 accessori del credito non costituiscono vere e reali, non marginali e
 non meramente formali e solo apparenti, modifiche, che diano luogo ad
 una  sostanzialmente  diversa  regolamentazione  rispetto  a   quella
 contenuta nel decreto legge n. 166/1996.
    4.a.  -   Ancora deve essere chiarito che l'art. 77, ultimo comma,
 della Costituzione, la ragione e la logica impongono di escludere che
 le  Camere  possano  procedere   alla   conversione   in   legge   di
 decreti-legge   iterati   o   reiterati,   quando,  rispetto  al  suo
 precedente, l'ultimo decreto non sia destinato a  regolare  un  nuovo
 caso  straordinario  di  necessita'  ed urgenza e quando non contenga
 quel minimo livello di novita' e  diversita'  sostanziale,  requisiti
 essenziali per consentire di affermarne l'autonoma esistenza.  Quando
 il  contenuto  del  decreto-legge  di  pura iterazione o reiterazione
 venga  trasfuso  in  un  provvedimento  legislativo  approvato  dalle
 Camere,  non  ci si trova davanti ad una tipica e tempestiva legge di
 conversione, ma ad una legge di anomala  e  tardiva  conversione,  se
 emessa  nel  termine  di  sessanta  giorni dall'entrata in vigore del
 decreto di iterazione o reiterazione  che  viene  convertito.  Ci  si
 trova  invece dinanzi ad una legge, non solo di anomala e tardiva, ma
 anche di "occulta" conversione, quando il contenuto del decreto-legge
 iterato o reiterato, decaduto e non piu' riproposto, venga trasferito
 in una legge approvata dalle Camere, senza un esame  dei  presupposti
 costituzionali che legittimano l'adozione del provvedimento d'urgenza
 del  governo.    In  entrambi i casi la legge che adotta la normativa
 della decretazione provvisoria del Governo  e'  affetta  da  tutti  i
 vizi, di forma e di sostanza, del provvedimento acquisito.
   4.b. - Era ben presente alla Corte costituzionale il poblema appena
 sopra  considerato  derivante dal fenomeno illecito dei decreti-legge
 iterati e reiterati, e cioe' quello  delle  leggi  di  conversione  o
 sanatoria  di  tale  genere  di  decreti tanto presente che la Corte,
 nella sentenza n. 360/1996 ha ritenuto di dover (senza necessita'  ai
 fini  della  decisione)  esprimere  il  seguente principio: "Restano,
 peraltro, salvi gli effetti dei decreti  legge  iterati  o  reiterati
 gia'  convertiti in legge o la cui conversione risulti attualmente in
 corso,  ove  la  stessa  intervenga   nel   termine   fissato   dalla
 Costituzione.    A  questo  proposito va, infatti, considerato che il
 vizio  di  costituzionalita'  derivante   dall'iterazione   o   dalla
 reiterazione  attiene,  in  senso lato, al procedimento di formazione
 del decreto-legge in  quanto  provvedimento  provvisorio  fondato  su
 presupposti  straordinari di necessita' e urgenza:  la conseguenza e'
 che tale vizio puo' ritenersi sanato quando le Camere, attraverso  la
 legge  di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri i
 contenuti (o gli effetti) della disciplina adottata  dal  governo  in
 sede  di  decretazione  d'urgenza".    Non  si  puo'  negare che, nel
 riferito obiter  dictum  la  Corte  affermi  un  principio  esatto  e
 condivisibile,  perche' impone, quale condizione inderogabile, che le
 Camere assumano come propri i contenuti della disciplina adottata dal
 governo in sede di decretazione d'urgenza e cioe' impone  che  quegli
 stessi  contenuti  acquisiti nella legge di conversione vengano dalle
 Camere approvati per autonoma elaborazione, nel pieno rispetto  delle
 norme, della Costituzione che disciplinano la formazione delle leggi,
 senza  "interferenze"  e senza "coartazione" del governo nell'iter di
 formazione  della   legge   di   conversione   ed,   altresi,   senza
 "condiscendenza"  verso  il  potere  esecutivo.   Cosi' ulteriormente
 sviluppata (si ritiene nel rispetto del suo vero significato) la tesi
 della Corte comporta che,  quando  la  legge  di  anomala  e  tardiva
 conversione   di   decreti-legge  iterati  o  reiterati  non  risulti
 approvata nel piu' assoluto rispetto degli  articoli  70  e  seguenti
 della Costituzione e non costituisca espressione di autonoma e libera
 volonta'  ed  incondizionata  determinazione  delle  due  Camere  del
 Parlamento, il vizio di costituzionalita' derivante dall'iterazione o
 dalla reiterazione non potra' in  nessun  caso  ritenersi  sanato  e,
 conseguentemente,  determinera'  l'incostituzionalita' della legge di
 conversione, per effetto del trasferimento ad essa del vizio genetico
 del decreto-legge iterato o reiterato.  La formazione delle leggi non
 e'   stata  lasciata  al  caso  dal  legislatore  costituzionale,  ma
 puntigliosamente regolamentata,  nella  forte  coscienza  del  valore
 assoluto   e  determinante  del  momento  creativo  della  legge  per
 l'esistenza di un sistema giuridico fondato su valori di  liberta'  e
 democrazia  come quelli sanciti nella prima parte della Costituzione:
 cosi' negli artt. 70 e  seguenti  si  rinvengono  le  regole  per  la
 creazione delle regole.  Alla luce di tali regole costituzionali deve
 affermarsi  che  e'  vietata  al  Parlamento,  sia la conversione dei
 decreti-legge di pura iterazione o reiterazione, in quanto privi  dei
 requisiti  essenziali della novita' ed autonomia assoluta rispetto ai
 decreti iterati o reiterati, sia, comunque, l'approvazione  di  leggi
 che acquisiscano le norme contenute nei decreti-legge non convertiti,
 anche  se non iterati.  Infatti la previsione dell'art. 77 Cost., ove
 si dispone nell'ultimo periodo  del  secondo  comma  che  "le  Camere
 possono  tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla
 base dei decreti non convertiti", impone di  ritenere  precluso  allo
 stesso  legislatore  di  recepire in legge le norme dei decreti-legge
 non convertiti.  Se e' certamente vero che l'illegittima prassi della
 reiterazione  incide  sugli  equilibri  istituzionali,  alterando   i
 caratteri  della  stessa  forma  di  governo  e  l'attribuzione della
 funzione  legislativa,  e'  altrettanto  vero  che  deleteri  effetti
 sull'attribuzione  del  potere  legislativo vengono determinati dalla
 passivita' delle Camere che approvino leggi di anomala conversione (o
 comunque le si voglia denominare), acquisendo, senza propria autonoma
 elaborazione,  le  norme  contenute  nei  decreti-legge   iterati   o
 reiterati  ed  in quelli non convertiti, perche' anche in questi casi
 le  Camere  vengono  ancora  una   volta   espropriate   del   potere
 legislativo,   a   nulla   rilevando   che   cio'  si  verifichi  per
 responsabilita' delle stesse Camere,  perche'  risulta  nello  stesso
 modo  violata  la  Costituzione.    Non  puo' bastare a modificare il
 pensiero sopra esplicitato il grande  rispetto  per  l'autonomia  del
 Parlamento  e  per la funzione ad esso attribuita dalla Costituzione,
 giacche'  e',  anzi,  proprio  tale  rispetto  che  deve  condurre  a
 confermare  la validita' delle considerazioni sopra espresse: solo la
 piena fedelta' e conformita'  dell'operato  delle  istituzioni  dello
 Stato  alla  Costituzione,  senza  deviazioni le benche' minime, puo'
 mantenere  in  vita  lo  Stato  di  diritto.    Il  principio   della
 separazione  di  poteri  non  e'  nella  nostra  Costituzione un puro
 simulacro, un mero retaggio di passate scuole filosofiche:  e' regola
 diretta a tutelare la democrazia e la liberta' dello  Stato,  poiche'
 finalizzata  a  precludere  ogni possibile insorgere di situazioni di
 potere assoluto e senza vincoli.  Quando un potere dello Stato  perde
 la  consapevolezza  della propria funzione e del dovere di conservare
 intatte le proprie attribuzioni - e cio' e' tanto piu'  grave  quando
 si  verifica nel Parlamento, a causa di una sua composizione che veda
 una forte prevalenza della maggioranza sull'opposizione -,  giungendo
 ad accettare passivamente una condizione di suddittanza nei confronti
 di  un  altro potere (o piu' altri), conformando, anche solo in linea
 di fatto, il proprio agire  istituzionale  alla  volonta'  dell'altro
 potere, si pongono le condizioni per il rischio del verificarsi di un
 pericoloso  mutamento  del  sistema  democratico in qualcosa d'altro,
 difficile da preconizzare, ma sicuramente non in linea con i principi
 costituzionali.
   4.c. - In forza delle superiori premesse, questo giudice rimettente
 nutre   fortissime  perplessita'  sulla  legittimita'  costituzionale
 dell'intera legge n. 662/1996, perche' approvata  dal  Parlamento  in
 dispregio  delle  norme  della  legge  fondamentale  dello  Stato che
 regolano la produzione legislativa.  La stessa struttura della  legge
 n.   662/1996   viola   l'art.  72,  primo  ed  ultimo  comma,  della
 Costituzione, a causa della sua composizione in  soli  tre  articoli,
 contenenti  un  coacervo  indistinto  di  materie  disomogenee, cosi'
 formulata dal governo al solo fine  di  poter  chiedere  il  voto  di
 fiducia  (con violazione autonoma dell'art. 94 Costituzione) su pochi
 articoli, in modo tale da accelerare al massimo  l'iter  parlamentare
 per  rispettare  i  tempi  di  approvazione della legge di bilancio e
 collegate,   precludendo   la   discussione   sugli   (come    sempre
 innumerevoli)  emendamenti presentati dall'opposizione e cio' a causa
 delle norme dei regolamenti  delle  due  Camere  che  non  consentono
 (all'epoca  ancor  meno) tempi ristretti per giungere alla definitiva
 approvazione  delle  leggi.    Tale  realta',  qui   denunciata   con
 riferimento  alla  legge  n.  662/1996,  non  e' una novita' e non e'
 l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del
 Parlamento,  "connivente"  lo  stesso  Parlamento,  ridotto  a   mero
 esecutore   della  volonta'  del  potere  esecutivo,  mediante  l'uso
 improprio, e dunque incostituzionale, della richiesta  della  fiducia
 da  parte  del  governo,  previa strutturazione della legge in pochi,
 ipertrofici, articoli contenenti un numero enorme di  commi,  a  loro
 volta  distinti  in  piu'  parti,  destinati  a  regolare un coacervo
 incredibile di materie, estremamente diverse tra  loro,  in  assoluta
 violazione   degli  artt.  70  e  seguenti  della  Costituzione,  con
 particolare riferimento all'art. 72 .
   4.d. - Limitando la disamina alle sole disposizioni applicabili nel
 presente giudizio e cioe' a quelle sole norme rilevanti ai fini della
 decisione, questo pretore dubita della  legittimita'  costituzionale,
 in  particolare  dell'art.  1,  commi  181,  182, 183, della legge n.
 662/1996, direttamente derivante dal fatto  che  tale  articolo,  nei
 suddetti  commi  si  rappresenta come puro clone delle corrispondenti
 disposizioni contenute  nella  decaduta  decretazione  d'urgenza  del
 governo, espressa nei decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 del 1996,
 giacche'   non   apporta  alcuna  modifica  sostanziale,  ne'  alcuna
 elaborazione  originale  delle  due  Camere   del   Parlamento   alla
 disciplina introdotta dal governo, atteggiandosi, nella realta', come
 tardiva  forma  di  "conversione  occulta"  dei  citati decreti-legge
 "seriali", dei quali, si deve  ribadire,  costituisce  ennesima  mera
 clonazione.    Puo',  invero, ritenersi che il Parlamento assuma come
 propri i contenuti  o  gli  effetti  della  disciplina  adottata  dal
 governo  in  sede  di  decretazione  d'urgenza  solo quando le Camere
 approvino una legge  in  tutto  e  per  tutto  conforme  alle  regole
 costituzionali   sulla   formazione  delle  leggi,  senza  che  possa
 rilevarsi  una  minima  coercizione  da  parte  del   Governo   sulla
 maggioranza  che  lo  sostiene.   Nel caso in esame non si ravvisa la
 possibilita' di ritenere che le Camere abbiano assunto  come  propri,
 nella  legge  n.  662/1996 (Misure di razionalizzazione della finanza
 pubblica),  i  contenuti  dell'art.    1,  commi  1,  2,  e  3,   dei
 decreti-legge  nn.  166,  295,  396  e 499 decaduti, poiche':   a) le
 relative  norme  non  sono  state  neppure  esaminate  in   sede   di
 approvazione  di  uno  specifico  articolo di legge, a causa del loro
 inserimento in un "mostruoso" art. 1, sotto i commi numeri 181, 182 e
 183;  b)  il mancato esame ed approvazione in un articolato normativo
 coerente (con la manifesta violazione dell'art.  72,  commi  1  e  4,
 della  Costituzione)  e'  stato  voluto dal governo, al fine unico di
 rendere  rapida  l'approvazione  complessiva  della   legge   stessa,
 mediante tre sole votazioni sulla mozione di fiducia presentata dallo
 stesso  governo su ogni singolo articolo della legge n. 662/1996.  E'
 chiaro che il mancato dibattito parlamentare, sulle disposizioni  che
 qui interessano (e su tutte le altre della legge n. 662/1996) esclude
 la (piena) riferibilita' al Parlamento del contenuto della disciplina
 in  discorso  e, dunque, nega la sussistenza di quel requisito che la
 Corte costituzionale ha affermato dover essere presente,  perche'  il
 vizio  di  legittimita'  costituzionale  derivante  dall'iterazione o
 dalla reiterazione dei decreti-legge, (attinente, in senso  lato,  al
 procedimento  di formazione del decreto-legge in quanto provvedimento
 provvisorio fondato  su  presupposti  straordinari  di  necessita'  e
 urgenza)  possa  ritenersi sanato.   Tale realta', qui denunciata con
 riferimento alla legge n. 662/1996, non  e'  una  novita'  e  non  e'
 l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del
 Parlamento,   "connivente"  lo  stesso  Parlamento,  ridotto  a  mero
 esecutore  della  volonta'  del  potere  esecutivo,  mediante   l'uso
 improprio,  e  dunque incostituzionale, della richiesta della fiducia
 da parte del governo, soprattutto (ed e' la situazione piu' grave) in
 sede di approvazione di bilanci e consuntivi,  previa  strutturazione
 delle  relative  leggi  in pochi, ipertrofici, articoli contenenti un
 numero enorme  di  commi,  a  loro  volta  distinti  in  piu'  parti,
 destinati a regolare un coacervo incredibile di materie, estremamente
 diverse  tra  loro,  in assoluta violazione degli artt. 70 e seguenti
 della Costituzione, come gia' si e'  detto.    Quanto  qui  sostenuto
 trova   chiara   conferma  nel  quarto  comma  dell'art.    94  della
 Costituzione, poiche' e' chiaro che alla luce di  tale  disposizione,
 in  forza  della quale "il voto contrario di una o entrambe le Camere
 su una proposta del Governo non importa obbligo  di  dimissioni",  e'
 implicitamente  esclusa  la possibilita' di una richiesta del voto di
 fiducia da esprimere contestualmente al voto su articoli di legge  in
 corso  di  approvazione.    4.e.  -  Deve  essere, pertanto, rilevata
 d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dei commi  181,
 182  e  183, nella loro interezza ed in ogni singola parte e parola e
 norma nei medesimi espressa, dell'art. 1 della legge n. 662/1996, per
 violazione, degli artt. 1, 70, 72, 77, 94 e 136 della Costituzione.
   5. - Le questioni di legittimita' costituzionale  sopra  sviluppate
 non  sono manifestamente infondate e sono anche rilevanti, poiche' il
 presente giudizio non puo' "essere definito indipendentemente"  dalla
 loro    risoluzione:    la    dichiarazione    della   illegittimita'
 costituzionale dell'art. 1, commi 181, 182, e  183,  della  legge  23
 dicembre   1996,   n.  662,  che  ha,  in  modo  del  tutto  anomalo,
 tardivamente ed "occultamente" convertito in  legge  l'art.  1  della
 serie  di  decreti-legge  nn.  166,  295, 396 e 499 del 1996, nonche'
 dell'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140, avrebbe, infatti,
 l'effetto di restituire integra a questa autorita'  giudiziaria,  non
 piu' costretta nella sua attivita' di amministrazione della giustizia
 al  solo  anomalo  compito di dichiarare estinti d'ufficio i processi
 pendenti, la sua funzione e, cosi', il potere-dovere di individuare e
 definire la normativa da applicare al caso concreto  portato  al  suo
 esame,   dovendosi   valutare   se  la  perdita  di  efficacia  delle
 disposizioni   di   legge  in  discorso  conduca  necessariamente  al
 ripristino della vigenza della normativa precedente, ovvero se  altra
 normativa  possa essere applicata in via di interpretazione estensiva
 o per analogia, secondo le regole fissate dall'ordinamento  giuridico
 per l'interpretazione della legge.
   6.  -  Sussistono  le  condizioni per disporre la riunione a questa
 causa di quelle recanti i numeri di R.G. 4486,  4492,  4504,  4510  e
 4514  dell'anno  1995,  aventi  lo  stesso oggetto, in relazione alle
 quali sono state sollevate, con ordinanze  in  data  3  giugno  1996,
 pubblicate  anch'esse  sulla  Gazzetta  Ufficiale  n. 41, prima serie
 speciale, rispettivamente con i nn. 1009, 1010, 1011, 1012 e 1013 del
 registro ordinanze 1996, questioni di costituzionalita' identiche nei
 contenuti a quelle precedentemente rilevate  nel  presente  giudizio,
 tutte  riunite dalla Corte costituzionale e decise con l'ordinanza n.
 9/1998.
   Il presente giudizio deve essere sospeso,  ai  sensi  dell'art.  23
 della legge ordinaria 11 marzo 1953 n. 87.