ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 491, comma 2,
 del codice di procedura penale, promossi con  n. 2  ordinanze  emesse
 il  25  settembre  1997 ed il 2 gennaio 1998 dal tribunale di Firenze
 nei procedimenti  penali a carico di D. S.  e  di  C.  G.  ed  altro,
 iscritte  ai  nn.  883 del registro ordinanze 1997 e 110 del registro
 ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 nn  2 e 10, prima serie speciale,  dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  3  giugno 1998 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto che nel corso di un dibattimento relativo  ai  delitti  di
 atti  di  libidine violenti e di violenza sessuale, commessi in danno
 di minori prima dell'entrata in vigore della legge 15  febbraio  1996
 n.  66,  il tribunale di Firenze, richiesto dal pubblico ministero di
 integrare il contenuto del fascicolo per il dibattimento con gli atti
 di querela, ha sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  491,  comma 2, del codice di procedura penale, nella parte
 in cui, mediante il richiamo al comma 1 della medesima  disposizione,
 prevede  che  le questioni concernenti il contenuto del fascicolo per
 il dibattimento sono  precluse  se  non  sono  proposte  subito  dopo
 compiuto  per  la prima volta l'accertamento della costituzione delle
 parti;
     che  la  medesima  questione  e'  stata  sollevata  dallo  stesso
 tribunale  di  Firenze  in  un  distinto  procedimento,  relativo  al
 delitto, pure esso perseguibile a querela, di  diffamazione  a  mezzo
 stampa;
     che  ad  avviso  del  tribunale  rimettente  la  norma  impugnata
 contrasta con:
      l'art. 3 della Costituzione, in quanto, non distinguendo ai fini
 degli effetti preclusivi ivi previsti gli atti a contenuto probatorio
 da quelli  relativi  alle  condizioni  di  procedibilita',  sottopone
 irragionevolmente  al  medesimo  regime atti aventi diversa valenza e
 funzione processuali;
      l'art. 112 della Costituzione, in quanto il mancato  inserimento
 nel  fascicolo per il dibattimento della querela ritualmente proposta
 imporrebbe  al  giudice  di  dichiarare  non  doversi  procedere  per
 mancanza della condizione di procedibilita';
     che,  trattandosi  di  atti  non  aventi contenuto probatorio, il
 giudice non potrebbe fare ricorso ai poteri di cui all'art. 507  cod.
 proc.  pen.,  in quanto tale norma opera solo nei confronti dei mezzi
 di prova;
     che,  in   particolare,   l'irragionevolezza   della   disciplina
 denunciata  emergerebbe  dalla  constatazione  che il legislatore, al
 fine di dare attuazione al principio della formazione della prova  in
 dibattimento  nel contraddittorio tra le parti, ha voluto limitare il
 bagaglio di conoscenze del giudice del  dibattimento  agli  atti  non
 ripetibili  compiuti durante le indagini preliminari, mentre gli atti
 relativi alle condizioni  di  procedibilita'  non  hanno  significato
 probatorio  e  la  loro conoscenza e' finalizzata alla verifica della
 sussistenza di tali condizioni;
     che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
   Considerato   che   in  relazione  all'identico  tenore  delle  due
 ordinanze deve disporsi la riunione dei relativi  giudizi;
     che l'art. 431, comma 1, lettera a) cod.  proc.  pen.  stabilisce
 che  nel  fascicolo  del  dibattimento  -  formato  dalla cancelleria
 secondo le prescrizioni del giudice - devono essere inseriti gli atti
 relativi alla procedibilita'  dell'azione penale;
     che l'art. 431, insieme all'art. 433 cod. proc. pen., realizza il
 sistema del "doppio fascicolo", che rappresenta,  in  attuazione  del
 principio   che   le  prove  debbono  formarsi  in  dibattimento  nel
 contraddittorio tra le parti, una delle scelte piu' significative del
 nuovo codice di rito;
     che, in particolare, nell'art. 431 cod. proc. pen. sono  indicati
 gli   atti   destinati  ad  essere  raccolti  nel  fascicolo  per  il
 dibattimento, tra cui figurano i verbali degli atti non ripetibili  e
 quelli  degli  atti assunti nell'incidente probatorio (lettere b, c e
 d), nonche', tra gli atti a contenuto non probatorio, quelli relativi
 alla procedibilita' dell'azione penale (lettera a), mentre  gli  atti
 diversi   da  quelli  elencati  formano  il  fascicolo  del  pubblico
 ministero (art. 433 cod.  proc. pen.);
     che  la  ratio  della  norma  impugnata,  coerentemente  con   il
 principio   ispiratore  del  sistema  del  doppio  fascicolo,  e'  di
 garantire che il giudice  del  dibattimento  non  sia  "pregiudicato"
 dalla conoscenza degli atti raccolti durante le indagini preliminari;
     che - come e' stato messo in rilievo in dottrina - la preclusione
 relativa  ai  termini di proposizione  delle questioni concernenti il
 contenuto del fascicolo per il dibattimento ha ragion  d'essere  solo
 con  riguardo  agli  atti  a  contenuto  probatorio inseriti in detto
 fascicolo, dei quali sia opinabile, ad esempio, la natura di atti non
 ripetibili, cioe'  di  atti  la  cui  conoscenza  materiale  potrebbe
 orientare    i    comportamenti    del   giudice   gia'   nel   corso
 dell'acquisizione probatoria dibattimentale;
     che, stante la ratio sopra evidenziata, deve  ritenersi  che  non
 operi  alcun effetto preclusivo, ex art. 491, commi 1 e 2, cod. proc.
 pen., con riguardo agli atti non aventi contenuto probatorio (se  non
 per  aspetti  meramente  processuali),  originariamente  destinati ad
 essere allegati al fascicolo per il dibattimento ed erroneamente  non
 inseriti  nello stesso, quali appunto quelli relativi alle condizioni
 di procedibilita';
     che quindi di  tali  atti  puo'  essere  chiesto  in  ogni  tempo
 l'inserimento nel fascicolo per il dibattimento;
     che  restano  comunque  salvi la facolta' delle parti di chiedere
 l'ammissione delle prove a  norma  dell'art.  493  cod.  proc.  pen.,
 nonche'  il  potere  del giudice di disporne d'ufficio l'assunzione a
 norma dell'art. 507 cod. proc. pen;
     che pertanto la questione deve essere  dichiarata  manifestamente
 infondata, in quanto basata su un erroneo presupposto interpretativo.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.