Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avvocati Ivone Cacciavillani, del Foro di Venezia, e Luigi Manzi, del Foro di Roma, con domicilio eletto allo studio del secondo in Roma, via Confalonieri, 5, giusta delibera di Giunta regionale prodotta in atti e per speciale procura qui a margine; Contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Presidente del Consiglio dei Ministri, per la declaratoria di illegittimita' e l'annullamento del decreto ministeriale 8 aprile 1998, con cui e' stata disposta la nomina del presidente della societa' di cultura La Biennale di Venezia nella persona del dott. Paolo Baratta, notificandone lo stesso in veste di possibile controinteressato. Il decreto non e' stato comunicato alla regione; non risulta pubblicato in Gazzetta Ufficiale; la regione ne ha avuto conoscenza in data 14 maggio 1998 giusta dichiarazione prodotta. F a t t o Con ricorso notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 13 marzo 1998 la regione Veneto impugnava avanti codesta Corte il decreto legislativo 29 gennaio 1998, n. 19, di trasformazione dell'Ente pubblico La Biennale di Venezia in "Societa' di cultura La Biennale di Venezia", a norma dell'art. 11, comma 1, lett. b), della legge 15 marzo 1997, n. 59. Tra gli altri punti censurati era anche l'art. 8, che, nell'individuazione degli organi rappresentativi della "Societa'", disciplina la nomina e i poteri del Presidente. Il ricorso muoveva dall'assunto che la "Biennale" di Venezia si identifica nel mondo col mito di Venezia, espressione piu' genuina e caratteristica della "venezianita'" nell'arte e nella cultura. Come tale la rappresentanza istituzionale "naturale" della nuova "Societa'" era la regione, sopraggiunta con le sue funzioni anche costituzionalmente garantite al sorgere e all'affermarsi della Biennale. Se pertanto, al momento del nascere della Biennale come Ente pubblico istituzionale e del suo affermarsi nel mondo aveva senso attribuirne la rappresentanza primaria allo Stato, in allora l'unica espressione del potere politico, tale esigenza non puo sopravvivere all'avvento della regione, che degli interessi nazionali "localizzati" sul territorio e' la rappresentante istituzionale in luogo dello Stato. Se anche pertanto - si argomentava nella sostanza - alla nuova societa' non avrebbe potuto restare estraneo lo Stato, come ente finanziatore delle sue attivita', non v'era - e non v'e' - ragione di attribuire allo stesso quella netta preminenza funzionale che il provvedimento legislativo gli attribuiva. Donde l'impugnativa dell'atto legislativo indicato. 1. - Il primo motivo di censura muoveva da un rilievo istituzionale qualificante: lo statuto della regione Veneto, approvato con legge statale 22 maggio 1971, n. 340, reca una definizione della regione di assoluta peculiarita' nell'ambito delle altre quattordici regioni a statuto ordinario (per vero, l'enunciato statutario veneto e' letteralmente copiato, del pari di numerose altre disposizioni, da quello della regione Abruzzo). A differenza infatti degli statuti di tutte le altre regioni, che nel definire il proprio assetto territoriale ed istituzionale usano la formula "la regione comprende le province di" (Piemonte, art. 1; Lombardia, art. 2; Toscana, art. 2; Liguria, art. 2; Emilia Romagna, art. 2; Umbria, art. 2; Marche, art. 2; Lazio art. 2; Molise, art. 2; Campania, art. 2; Puglia, art. 21; Basilicata, art. 2; Calabria, art. 2), lo statuto della regione Veneto (secondo comma, dell'ar.t. 1) reca una formulazione molto particolare: "la regione e' costituita dalle comunita' della popolazione e dai territori delle province"; l'art. 2 pone altro fondamentale (ed ancora del tutto particolare) principio: "l'autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia". Le due particolarita' non sono di poco conto: negli altri 13 statuti, la regione viene identificata attraverso la sola individuazione del territorio delle province che la compongono, come indicazione (soltanto) geografica; in luogo di enumerare le province, per delimitare i confini della regione quegli statuti avrebbero potuto indicare le coordinate geografiche o altri riferimenti di carattere solo territoriale. Lo statuto veneto invece parte dell'individuazione della comunita' considerata come l'elemento "umano" costitutivo della regione; dove l'elemento demografico, identificato, con forte pregnanza ideologica, come "comunita'", configura la regione come la sommatoria delle comunita'; dove il limite territoriale e' costituito dal limite demografico come conseguenza dell'insediamento della comunita' sul territorio; come dire che il confine della regione e' rappresentato dal confine demografico (della comunita') considerato come conseguenza dell'insediamento. Si tratta di radicale rovesciamento del criterio identificativo dell'entita' regionale: a delimitare il territorio della regione, negli altri statuti, e' il confine territoriale; nello statuto veneto, e' l'identita' della comunita'. L'altro - sopra definito fondamentale - principio posto dall'art. 2 dello statuto, e' che, nell'ambito delle competenze proprie delle regioni, l'attivita' della regione Veneto si svolge attraverso l'"autogoverno del popolo Veneto", concepito come espressione esponenziale della comunita'. Tale peculiarita', che diversifica la regione Veneto da tutte le altre regioni, comporta una sua rappresentanza istituzionale necessaria delle istanze "locali" proprie e acquisite dal "popolo veneto"; una rappresentanza piu' pregnante e vincolante anche nell'organizzazione di funzioni "promiscue" (anche statali oltre che "locali"), di quella che spetterebbe alle altre regioni "normali". L'autogoverno, infatti, "si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia" della quale la Biennale costituisce espressione forse la piu' caratteristica e caratterizzante. Tale caratteristica vincola specificamente la rappresentanza del "popolo veneto" in seno a entita' (siano esse "enti istituzionali" o "societa' di cultura") rappresentativa delle istanze piu' qualificanti della sua identita' culturale e storica. 2. - Il terzo motivo del ricorso era specificamente incentrato sulla figura e sui poteri attribuiti dalla legge al pesidente della Societa' di cultura e giova riportarlo integralmente. "La nomina del presidente ad opera dello Stato non trova giustificazione alcuna nella disciplina codicistica delle societa' (la scelta della formula societaria, da parte del legislatore, financo nella - pur incongrua - denominazione, non puo' sganciare l'organizzazione dell'entita' privata di nuova creazione dal paradigma tipico delle "societa'" regolato dal codice civile); non solo, ma dimostra una priorita' della posizione "statale", che sembra la piu' incompatibile con la "venezianita'" della Biennale. Stabilita la costituzione della Societa' d cultura, il d.lgs. ne regola (art. 7) gli organi, affidando al C.d.A. la funzione di governo della "societa'" (art. 10). E' anche sulla composizione di tale C.d.A. che il presente motivo s'appunta ... Con riferimento alla censura relativa alla nomina del presidente, va rilevata la netta superiorita' del medesimo in seno al C.d.A., nel quale e' ben lungi dall'avere posizione di primus inter pares; tale connotazione e' resa evidente dal complesso di attribuzioni assegnategli, tra cui piu' significative (a) quella di "amministratore unico delle Societa'" (art. 9.3), in caso di ritardo della nomina anche d'un solo componente del C.d.A., e (b) il ptere di "decidere con proprio provvedimento nei casi di comprovata (?) urgenza, salvo ratifica del C.d.A. nei trenta giorni successivi".