LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
   Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello r.g. appelli  1085/96,
 depositato  il  22  settembre 1995, avverso la sentenza n. 105/11/95,
 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Firenze,  da  Bing
 Francesco,  residente  a Firenze, in via Foscolo 40, difeso dall'avv.
 Colombo Carlo, residente a Firenze, in piazza Goldoni 2, controparti:
 D.R.E. Toscana (sezione Firenze), atti impugnati: 8/rif. su i.  rimb.
 Irpef 1991.
   Con  ricorso  presentato alla Commissione tributaria di primo grado
 di Firenze il 28 ottobre 1994, il sig.  Francesco  Bing  chiedeva  la
 condanna della pubblica amministrazione a restituire la somma di lire
 15  milioni  pagata a titolo di imposta, che asseriva non dovuta, con
 interessi legali; cio' a  seguito  del  silenzio-rifiuto  avverso  la
 richiesta di rimborso da lui avanzata in sede non contenziosa.
   Esponeva  il  ricorrente di avere ricevuto dal comune di Firenze in
 data 29 dicembre 1989, la somma di lire 150 milioni per indennita' di
 espropriazione e interessi a fronte di una procedura di esproprio  di
 terreno  destinato ad opera pubblica e sito in zona omogenea F di cui
 al decreto ministeriale 2 aprile 1968, (Gazzetta Ufficiale n. 97  del
 16  aprile  1968);  che  in data 30 giugno 1992 esso ricorrente aveva
 effettuato  il  versamento  di  lire  15  milioni,  pari  alla  meta'
 dell'imposta  sostitutiva  dovuta;  assumeva  che,  a  seguito  della
 mancata conversione in legge del d.-l. 28 febbraio  1992,  n.  174  e
 successive reiterazioni - non essendo i terreni siti in zona omogenea
 F  piu'  compresi  quali  oggetto di imposizione ai fini dell'imposta
 sostitutiva in questione - l'imposta versata risultava non dovuta.
   La D.R.E. della Toscana, con nota  depositata  il  24  marzo  1995,
 chiedeva  il rigetto del ricorso per inammissibilita' ex art. 15, del
 decreto del Presidente della Repubblica n. 636/72.
   Con decisione n. 105 del 6 aprile  1995,  depositata  il  1  giugno
 1995,  e notificata all'ufficio il 7 giugno 1995, e al ricorrente l'8
 giugno 1995, la Commissione tributaria di 1 grado  di  Firenze,  sez.
 11,  respingeva  il  ricorso  a  motivo del fatto che l'art. 1, della
 legge 24 marzo 1993, n. 75, aveva sanato  gli  effetti  prodotti  dai
 decreti-legge nn. 174, 269 e 319 del 1992.
   Parte contribuente ha ritualmente appellato, cosi' motivando:
     A)  la  norma  di  cui  all'art.  1,  della  legge  n.  75/9,  va
 interpretata in senso favorevole al contribuente,  e  deve  escludere
 dall'efficacia  delle  norme  nel tempo di vita dei decreti-legge non
 convertiti e decaduti la nuova imposta poi  scomparsa  nel  d.-l.  n.
 16/93,   e   nella   sua   legge  di  conversione;  cio'  ad  evitare
 l'irrazionalita' della sua disciplina legale;
     B) se cosi' non fosse, se cioe' la  legge  in  questione  andasse
 interpretata  nel  senso  che  essa  non consente tale esclusione, ne
 emergerebbe un evidente contrasto con gli artt.  3,  53  e  77  della
 Costituzione.
   Concludeva  per  la riforma della decisione appellata e la condanna
 della p.a. a restituire la somma di lire 15  milioni  versata  e  non
 dovuta, con interessi legali.
   La  D.R.E.  per  la  Toscana, con memoria depositata il 23 dicembre
 1997, eccepiva:
     a)  in  via  pregiudiziale  l'inammissibilita'  dell'appello  per
 mancata  sottoscrizione  della  copia  destinata  all'amministrazione
 finanziaria;
     b) nel merito, che la vigente normativa  e'  stata  correttamente
 applicata  dai  primi giudici in quanto anche la Corte costituzionale
 ha  affermato  fra  l'altro  la  tassabilita'  delle  indennita'   di
 esproprio;  che  la  stessa  Corte  ha  inoltre  sottolineato  con le
 sentenze nn. 14 e 410 del 1995, l'infondatezza della questione  della
 decorrenza,   e   la   discrezionalita'   spettante   nel  merito  al
 legislatore.
   Chiedeva  in  via  pregiudiziale  declaratoria  di inammissibilita'
 dell'appello; in subordine la conferma della decisione appellata,  in
 linea di diritto e di merito, con vittoria di spese e onorari.
   Parte  appellante  con  memoria  del  10  gennaio  1998,  sosteneva
 l'ammissibilita' dell'appello in quanto la previgente disciplina  del
 contenzioso  tributario  consentiva  l'invio dell'atto di appello con
 allegata copia in carta semplice non firmata,  citando  in  proposito
 giurisprudenza  favorevole  al proprio assunto ed insistendo sui temi
 trattati in appello.
   Nell'odierna udienza tenutasi in forma pubblica le  parti  si  sono
 riportate alle rispettive difese.
   Questa Commissione, visti gli atti e udite le parti,
                             O s s e r v a
   La  questione  pregiudiziale posta dall'amministrazione finanziaria
 sulla inammissibilita' dell'appello  di  parte  contribuente  risulta
 inconsistente;  infatti,  sia la previgente normativa sul contenzioso
 tributario che la costante  interpretazione  in  proposito  esistente
 escludevano  l'obbligo  della  firma  sulla copia dell'atto destinata
 all'ufficio.
   Nel merito, appare opportuno preliminarmente riassumere  i  termini
 della questione.
   La  tassabilita'  dell'indennita'  di esproprio era stata prevista,
 per la prima volta, dall'art. 11, della legge 30  dicembre  1991,  n.
 413,  con  efficacia  retroattiva  dal  1 gennaio 1989; esso tuttavia
 concerneva i terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture
 urbane all'interno delle zone omogenee di tipo A, B, C, D, di cui  al
 decreto  ministeriale 2 aprile 1968. Successivamente il d.-l. n.  174
 del 28 febbraio 1992, modificava il  citato  art.  11  estendendo  la
 tassazione  alle indennita' di esproprio concernenti i terreni di cui
 alla lettera F del citato decreto  ministeriale.
   Il contribuente aveva quindi effettuato il primo pagamento previsto
 dalla norma (il d.-l. n. 174)  che  veniva  a  modificare  una  norma
 retroagente   al  1  gennaio  1989,  e  che  pertanto  sottoponeva  a
 tassazione  i  terreni  della  zona  F  prima  esclusi  dalla   norma
 modificata (legge n. 413/91).
   Due  decreti-legge  consecutivi - il n. 269 del 27 aprile 1992 e il
 n. 319 del 25 giugno 1992, reiteravano il citato  d.-l.  174;  ma  la
 norma  veniva  poi  a  decadere  a causa della mancata conversione in
 legge del terzo decreto citato.
   In data 23 gennaio 1993, veniva emanato un quarto  decreto,  il  n.
 16, convertito con legge 24 marzo 1993, n. 75, che non recava piu' la
 norma  in  questione.  Tuttavia  la legge di conversione provvedeva a
 disciplinare  anche  gli   effetti   giuridici   prodotti   dai   tre
 decreti-legge  decaduti,  disponendo in tal senso con l'art. 1, comma
 2.
   In sostanza, la  legge  n.  413/91  escludeva  dalla  tassazione  i
 terreni   della   zona   omogenea   F;  tre  decreti  consecutivi  la
 introducevano, ma venivano a decadere  per  mancata  conversione;  il
 successivo  decreto  n.  16/93,  non reiterava piu' tale norma, ma la
 legge di conversione salvava gli effetti della norma cosi' scomparsa.
   La mancanza di coerenza di un tale modo  di  operare  e'  di  tutta
 evidenza; verrebbe quindi da pensare che la legge di conversione, nel
 fare  salvi  gli  effetti  dei decreti decaduti, intendesse riferirsi
 solo a quelli prodotti dalle disposizioni in materia  di  definizione
 di  pendenze  tributarie e di versamenti connessi che costituivano il
 nerbo  del  loro  contenuto;  anche  perche'  la  norma relativa alla
 tassazione delle indennita' di esproprio dei  terreni  inclusi  nella
 zona  F e' norma di carattere sostanziale, diversa quindi dalle altre
 che fissavano nuovi e  diversi  termini  per  le  dichiarazioni  e  i
 versamenti   dell'imposta.  In  tale  ipotesi  apparirebbe  logico  e
 razionale  l'aver  fatto  salvi   esclusivamente   gli   effetti   di
 dichiarazioni  e versamenti di imposte manutenute in vigore anche per
 il futuro. Tuttavia, la lettura dell'art. 1, comma 2, della legge  n.
 75/93,  non  lascia spazio per una interpretazione di questo tipo, ed
 in tal senso si sono orientati i primi  giudici;  appare  peraltro  a
 questo Collegio che siano da formulare dubbi sulla legittimita' della
 disciplina  prevista  da tale articolo in rapporto agli artt. 3, 53 e
 77 della Costituzione.
   Il primo aspetto da esaminare e' quello della violazione  dell'art.
 53  della  Costituzione sotto il profilo della non attuabilita' della
 capacita' contributiva in relazione alla retroattivita' della norma.
   Si osserva subito che la disciplina dettata dall'art. 1,  comma  2,
 della  legge  n.  75/93,  ha natura retroattiva, in quanto regola gli
 effetti dei tre decreti-legge decaduti di cui  innanzi,  perche'  non
 convertiti. Orbene, sul punto la Corte ha piu' volte chiarito che per
 determinare  se  una  legge  retroattiva sia o meno costituzionale e'
 necessario vedere di volta in volta se nel tempo  intercorso  fra  il
 momento  di riferimento patrimoniale e l'emanazione si sia modificata
 la capacita' contributiva del soggetto; in buona sostanza,  la  norma
 tributaria   retroattiva   si   puo'  considerare  costituzionalmente
 legittima quando breve e' il tempo previsto fra l'emanazione e  della
 norma e i suoi effetti, e se prevededibile tale norma risulta.
   Nel  caso  in  esame,  sono trascorsi quattro anni dalla percezione
 dell'indennita' di esproprio (1989) e l'anno (1993) in cui  la  legge
 n.  71 ha fatto salvi gli effetti della tassazione. Non appare quindi
 esistente il requisito della brevita'. Non si puo'  nemmeno  ritenere
 tale  tassazione prevedibile, dal momento che la legge n. 413/91, con
 effetto dal 1989, aveva escluso  la  tassabilita'  della  fattispecie
 considerata;  esclusione  del  resto  confermata con l'emanazione del
 d.-l. n. 16/93, e della  legge  di  conversione  n.  75/93,  che  non
 prevedevano piu' la tassazione delle indennita' per i terreni in zona
 omogenea  F.  Tale  tassazione,  come  si  e'  visto, successivamente
 abbandonata, costituisce per la  natura  dei  terreni  che  ne  erano
 oggetto,  una  deroga  ai  principi ispiratori della tassazione delle
 altre aree A, B, C, D; come tale  non  poteva  quindi  prevedersi  da
 parte del soggetto.
   La  Corte  costituzionale  si e' piu' volte riservato il diritto di
 censurare la discrezionalita' di  cui  gode  il  legislatore  fiscale
 quando  essa  porta a scelte irrazionali o arbitrarie; cio' anche se,
 in un caso analogo concernente una disposizione legislativa  con  cui
 si  facevano  salvi  gli  effetti  prodotti  da  un decreto-legge non
 convertito, la stessa Corte ha respinto la censura di irrazionalita',
 sostenendo la razionalita'  della  norma  in  quanto  essa  mirava  a
 regolare  i  rapporti sorti in base al decreto non convertito; in tal
 caso pero' la disposizione di legge aveva si fatti salvi gli  effetti
 dei  decreto  non  convertito,  ma  ne  aveva anche recepito l'intera
 disciplina. Nel caso in esame, invece, si  verifica  un  fatto  molto
 diverso:  la  tassazione  e' stata prima esclusa, poi prevista in tre
 decreti-legge consecutivi, poi decaduti; infine  nuovamente  esclusa,
 facendo  pero'  salvi i rapporti giuridici sorti in base ad una norma
 decaduta  con  l'ultimo  dei  tre  decreti-legge  reiterati   e   non
 rinnovati.   Questo   procedimento  a  dir  poco  contraddittorio  ha
 certamento determinato ingiustificate disparita' di  trattamento,  la
 cui sostanza ben puo' opporsi alla considerazione che essa disparita'
 e'  un  effetto  connaturato  alla successione delle leggi nel tempo.
 Infatti qui la disciplina impositiva non si  giustifica  nel  sistema
 normativo  cui  i decreti-legge fatti salvi facevano riferimento.  Da
 qui l'ipotesi di violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione per
 irrazionalita' della norma e per la  disparita'  di  trattamento  dei
 soggetti.
   Un  ulteriore  vizio  potrebbe  ravvisarsi  in rapporto all'art. 77
 della Costituzione ponendo mente al fatto che  i  tre  decreti-legge,
 poi   decaduti,   erano  relativi  quasi  del  tutto  a  scadenze  di
 dichiarazioni e versamenti di  imposta  per  le  quali  potevano  si'
 ravvisarsi  quei  presupposti straordinari di "necessita' ed urgenza"
 che   invece   non   trovavano   la   loro   minima   giustificazione
 nell'introduzione di nuova materia imponibile; cio' e' tanto vero che
 il nuovo oggetto di tassazione fu successivamente abbandonato.
   Orbene,  questo  vizio  dei decreti-legge non puo' non investire la
 legge che sana i loro effetti; come anche la Corte costituzionale  ha
 recentemente  dichiarato,  la  mancanza  di un requisito di validita'
 costituzionale   di   un   decreto-legge   comporta   un   vizio   di
 illeggittimita'  costituzionale  anche  della legge di conversione; e
 questa interpretazione puo' bene estendersi alla legge  n.  75/93  il
 cui  art. 1 comma 2, ha sanato gli effetti dei decreti non convertiti
 ex art. 77, terzo comma, ultimo periodo della Costituzione.