ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 196, comma 1,
 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285  (Nuovo  codice  della
 strada),  promosso  con  ordinanza  emessa  l'11  settembre  1997 dal
 pretore di Macerata, sezione distaccata di Recanati, nel procedimento
 civile vertente tra la Carrozzeria Regina s.n.c.  e  il  Prefetto  di
 Macerata, iscritta al n. 766 del registro ordinanze 1997 e pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  45,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del   Consiglio   dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  3  giugno 1998 il giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
   Ritenuto  che  il  pretore  di  Macerata,  sezione  distaccata   di
 Recanati,  nel corso di un giudizio di opposizione all'irrogazione di
 sanzione  amministrativa  pecuniaria,  ha  sollevato   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  196,  comma  1,  del decreto
 legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice  della  strada),  in
 riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione;
     che  il rimettente ha osservato che il principio di solidarieta',
 stabilito dall'art. 6 della legge n. 689 del 1981 e dall'art. 196 del
 codice della strada, viene escluso solo ove il proprietario provi che
 la circolazione del veicolo e' avvenuta contro la sua volonta';
     che, se cio' ha una ragione d'essere nella funzione di  vigilanza
 che  le  persone  chiamate  a  rispondere  del  fatto  altrui debbono
 svolgere e che, nella  fattispecie,  si  concretizza  nella  verifica
 preventiva della sussistenza della abilitazione alla guida in capo al
 conducente,   non   dovrebbe   pero'   condurre   ad   affermare   la
 responsabilita' del proprietario del  veicolo  per  un  comportamento
 successivo   a  tale  controllo  e  che  sfugge  alla  sua  effettiva
 possibilita' di intervento, si' da parificarsi alla forza maggiore;
     che  la violazione afferente il mancato possesso della patente di
 guida durante la conduzione del veicolo mira a punire  il  conducente
 che  sia  sprovvisto  dell'abilitazione  o  che  non porti con se' il
 documento (art. 180,  comma  1,  cod.  strad.);  sicche'  l'attivita'
 successivamente  richiesta  (presentazione negli uffici di polizia ed
 esibizione della patente: art. 180, comma 8, cod. strad.) puo' essere
 svolta solo dal titolare del documento  stesso;  mentre  il  presunto
 responsabile  in  solido non e' in condizioni di fornire informazioni
 in proposito, ne' di esibire una cosa che non gli  appartiene  e  che
 non e' tenuto a detenere;
     che la norma impugnata, quindi, prevedendo come unica esimente la
 circolazione   del  veicolo  contro  la  volonta'  del  proprietario,
 violerebbe il principio di uguaglianza e  quello  della  personalita'
 della responsabilita' penale;
     che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la questione sia dichiarata inammissibile per
 difetto  di  rilevanza  e  comunque  infondata,  e  cio'   anche   in
 considerazione  della  possibile  diversa interpretazione della norma
 impugnata.
   Considerato  che,  da  una  parte,  il  giudice  rimettente  sembra
 interpretare  e  censurare  la  norma  denunziata come se sancisse la
 responsabilita' solidale del proprietario del veicolo  anche  per  la
 violazione,    riconducibile   al   comportamento   del   conducente,
 consistente nel mancato possesso della patente (art.  180,  comma  1,
 lettera  b,  del  codice della strada); e, d'altra parte, il medesimo
 giudice pare delineare una responsabilita' (che, in quanto di  natura
 diretta,   non   sarebbe  inquadrabile  nella  norma  impugnata)  del
 proprietario del veicolo, a causa  della  sua  mancata  presentazione
 negli  uffici di polizia per fornire informazioni o esibire documenti
 (art. 180, comma 8, sopra citato);
     che questa mancanza di chiarezza nel profilare gli esatti termini
 della questione, traducendosi in una carenza  di  motivazione  su  un
 punto  essenziale  di  essa,  pone  la  Corte  nell'impossibilita' di
 decidere in maniera univoca;
     che  la  questione,  pertanto,  deve   ritenersi   manifestamente
 inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.