ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8  della  legge
 10 marzo 1955, n. 96, (Provvidenze a favore dei perseguitati politici
 antifascisti o razziali e dei loro familiari superstiti) - (nel testo
 sostituito  prima dall'art. 4 della legge 8 novembre 1956, n. 1317, e
 poi dall'art. 4 della legge 22 dicembre 1980, n. 932 - (promosso  con
 ordinanza   emessa   il   28  febbraio  1997  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 29 settembre 1997) dalla Corte dei  conti,  sezione
 III  giurisdizionale  centrale  sul  ricorso proposto da Dino Saraval
 contro la commissione per le provvidenze ai perseguitati  politici  o
 razziali e loro familiari superstiti, iscritta al n. 736 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  22 aprile 1998 il giudice
 relatore Cesare Mirabelli.
                           Ritenuto in fatto
   Nel corso di un  giudizio  promosso  per  ottenere  la  concessione
 dell'assegno  vitalizio  di  benemerenza  previsto per i perseguitati
 politici antifascisti e razziali, la Corte  dei  conti,  sezione  III
 giurisdizionale  centrale, con ordinanza emessa il 28 febbraio 1997 e
 pervenuta il 29 settembre 1997, ha sollevato, in riferimento all'art.
 3  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'   costituzionale
 dell'art.  8  della legge 10 marzo 1955, n. 96, (Provvidenze a favore
 dei  perseguitati  politici  antifascisti  o  razziali  e  dei   loro
 familiari  superstiti) - nel testo sostituito prima dall'art. 4 della
 legge 8 novembre 1956, n. 1317, e poi  dall'art.  4  della  legge  22
 dicembre  1980,  n.  932  -,  nella  parte  in cui non prevede che un
 esponente della comunita' ebraica faccia parte della commissione  che
 esamina  le  domande  dirette  a conseguire i benefici previsti dalla
 stessa legge. La disposizione denunciata stabilisce  che  le  domande
 siano   sottoposte  all'esame  di  una  commissione  -  nominata  dal
 Presidente del Consiglio dei Ministri, di  concerto  con  i  Ministri
 dell'interno,  della  giustizia,  del  tesoro,  del  lavoro  e  della
 previdenza sociale - presieduta da un rappresentante della Presidenza
 del Consiglio e composta, oltre che da rappresentanti  dei  ministeri
 interessati,  anche da tre rappresentanti dell'associazione nazionale
 perseguitati politici italiani antifascisti.
   La Corte dei  conti  ritiene  che  l'omessa  previsione  che  della
 commissione,   cui   e'  rimesso  l'esame  anche  delle  domande  dei
 perseguitati razziali, faccia parte un rappresentante della comunita'
 ebraica, determini, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, una
 disparita' di trattamento,  giacche'  le  deliberazioni  relative  ai
 perseguitati   politici   sono  assunte  con  la  partecipazione  dei
 rappresentanti della loro associazione,  mentre  quelle  relative  ai
 perseguitati  razziali,  che  richiedono valutazioni non dissimili ed
 egualmente   complesse   sulla   esistenza   dei   presupposti    per
 l'attribuzione  della  condizione  di perseguitato e per conseguire i
 previsti benefici, sono adottate senza la partecipazione di  un  loro
 rappresentante.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  investe  la
 disposizione che disciplina la composizione della commissione cui  e'
 rimesso  l'esame  delle  domande  dirette  a  conseguire  i  benefici
 previsti, a favore dei perseguitati politici antifascisti o razziali,
 e dei loro familiari superstiti, dalla legge 10 marzo  1955,  n.  96.
 L'art.  8,  di  tale  legge  - nel testo sostituito prima dall'art. 4
 della legge 8 novembre 1956, n. 1317, e poi dall'art. 4  della  legge
 22  dicembre  1980, n. 932 - dispone che la commissione e' presieduta
 da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei  Ministri  ed
 e'  composta,  oltre  che  da  un  rappresentante  per  ciascuno  dei
 Ministeri le  cui  competenze  sono  coinvolte  (dell'interno,  della
 giustizia, del tesoro, del lavoro e della previdenza sociale), da tre
 rappresentanti   dell'associazione  nazionale  perseguitati  politici
 italiani antifascisti.
   La Corte dei conti ritiene che questa disposizione sia in contrasto
 con l'art. 3 della Costituzione nella parte in cui non prevede, cosi'
 determinando una ingiustificata disparita' di trattamento, che  della
 commissione  faccia  parte  un  esponente  della  comunita'  ebraica,
 perche'   concorra   ad   esprimere   per  i  perseguitati  razziali,
 analogamente a quanto avviene per  i  perseguitati  politici  con  la
 partecipazione   di   rappresentanti   della  loro  associazione,  le
 complesse  valutazioni  richieste   dalla   stessa   legge   per   il
 riconoscimento  della condizione di perseguitato e per la concessione
 dei relativi benefici.
   2. - La questione di legittimita' costituzionale e' fondata.
   La legge n. 96 del  1955  prevede  particolari  provvidenze  per  i
 perseguitati   politici   antifascisti:  in  particolare  un  assegno
 vitalizio di benemerenza per chi ha subito, a seguito  dell'attivita'
 politica  svolta  contro  il  fascismo, anteriormente all'8 settembre
 1943, atti di carattere persecutorio (detenzione in carcere,  confino
 di   polizia,   violenze   o   sevizie,   internamento  in  campi  di
 concentramento), da cui sia derivata una menomazione della  capacita'
 lavorativa.  Lo stesso beneficio e' concesso a chi ha subito, dopo il
 7 luglio 1938, nelle identiche ipotesi, persecuzioni  per  motivi  di
 ordine  razziale  (art. 1). Inoltre ai perseguitati, sia politici che
 razziali, sono riconosciuti servizi o contributi  figurativi  per  il
 trattamento di pensione (artt. 4 e 5).
   Alle due distinte categorie, dei perseguitati politici antifascisti
 e dei perseguitati razziali, sono attribuiti i medesimi benefici, pur
 rimanendo  differenti  le  cause e le finalita' degli atti lesivi che
 danno titolo all'indennizzo. Anche  la  disciplina  del  procedimento
 amministrativo  per il riconoscimento della qualifica di perseguitato
 e delle situazioni che danno titolo  alla  concessione  dei  previsti
 benefici  e'  identica,  mentre  la  composizione  della  commissione
 appositamente istituita  per  l'esame  delle  relative  domande  vede
 rappresentata   una   categoria,  quella  dei  perseguitati  politici
 antifascisti,  e  non  l'altra,  giacche'  nessun  componente   della
 commissione e' riferibile ai perseguitati per motivi razziali.
   Questa  analogia  di  condizione,  stabilita dalla legge per le due
 categorie, pone le premesse per verificare  la  ragionevolezza  della
 diversita'  di disciplina in relazione alla loro rappresentanza nella
 commissione.
   3. - Va anzitutto ricordato che rientra nella discrezionalita'  del
 legislatore,  nel  disporre in ordine all'organizzazione dei pubblici
 uffici,  prevedere  l'istituzione   di   apposite   commissioni   per
 l'esercizio   di   specifiche   attivita'  amministrative,  non  solo
 consultive ma anche deliberative.
   Espressione della stessa discrezionalita', da esercitare nei limiti
 della ragionevolezza ed orientata dai principi di buon andamento e di
 imparzialita', e' la disciplina della composizione delle  commissioni
 amministrative,  delle  quali  puo' essere chiamato a far parte anche
 chi non ha un rapporto d'impiego con la pubblica amministrazione,  ma
 e'  ritenuto  idoneo  ad  apportare  all'attivita'  amministrativa il
 contributo  di  particolari  conoscenze   richieste   nelle   materie
 attribuite  alla  competenza  della  commissione stessa o rappresenta
 interessi  particolari   da   tenere   presenti   nella   valutazione
 dell'interesse generale.
   4. - Nel disciplinare la condizione di chi ha subito persecuzioni a
 seguito  dell'attivita'  svolta  contro  il  fascismo  o  per  motivi
 d'ordine   razziale,   il   legislatore   ha   esercitato   la    sua
 discrezionalita'   nell'organizzare   gli  uffici  cui  e'  demandato
 l'esercizio  della  funzione  amministrativa istituendo, appunto, una
 commissione cui e' attribuita la competenza ad esaminare  le  domande
 di riconoscimento della qualifica di perseguitato politico o razziale
 e  ad accertare la sussistenza delle situazioni che danno titolo alla
 concessione delle relative provvidenze.
   La composizione della commissione rispecchia l'esigenza che  queste
 determinazioni  siano assunte sulla base di valutazioni che implicano
 anche l'apprezzamento di situazioni in base alla  diretta  conoscenza
 ed   esperienza   delle  vicende  che  hanno  dato  luogo  agli  atti
 persecutori.  In questa prospettiva, si giustifica la  partecipazione
 alla  commissione,  in  numero  non  maggioritario,  di estranei agli
 apparati  amministrativi   dei   Ministeri   interessati,   designati
 dall'associazione  nazionale  perseguitati politici antifascisti, che
 riunisce quanti subirono persecuzioni a causa del loro  antifascismo:
 arrestati,  processati,  detenuti, diffidati, feriti o comunque fatti
 oggetto di violenze nella persona, danneggiati nei beni  o  esonerati
 dalle  pubbliche  e  private attivita' lavorative, esclusi da cariche
 elettive, da organi centrali e locali. Questa associazione  non  solo
 rappresenta   gli   interessi  delle  persone  che  hanno  subito  le
 persecuzioni politiche, ma ha assunto, tra  l'altro,  il  compito  di
 effettuare  un preciso censimento delle vittime del fascismo (artt. 2
 e 3  dello  statuto);  la  stessa  associazione,  in  relazione  alle
 finalita'  che la legge persegue, puo' dunque offrire l'esperienza di
 particolari conoscenze, considerate utili per il  migliore  esercizio
 della funzione amministrativa.
   5.  -  La  condizione  di  chi  ha  subito  persecuzioni per motivi
 razziali dopo il 7 luglio 1938, delineata dalla stessa  legge  n.  96
 del  1955, presenta, sebbene siano identici i benefici previsti ed il
 tipo di situazioni lesive cui si e', con  tale  legge,  inteso  porre
 rimedio,  caratteristiche  diverse.  Manca, difatti, per costoro ogni
 collegamento con l'attivita'  politica  contro  il  fascismo,  mentre
 assume  rilievo,  come  causa  delle situazioni lesive della persona,
 l'appartenenza alla minoranza ebraica: le persecuzioni  sono  infatti
 dovute  ad una condizione personale, indipendentemente dalle opinioni
 e dall'attivita' politica di chi le ha subite.
   Le discriminazioni nei confronti degli ebrei,  lesive  dei  diritti
 fondamentali   e   della   dignita'   della  persona,  hanno  assunto
 consistenza normativa con un complesso  di  provvedimenti  che  hanno
 toccato  i  diversi  settori  della vita sociale: dalla scuola (regio
 d.-l. 5 settembre 1938, n. 1390; regio d.-l.  15  novembre  1938,  n.
 1779),  all'esercizio  delle  professioni  (legge  29 giugno 1939, n.
 1054); dalla materia matrimoniale (regio d.-l. 17 novembre  1938,  n.
 1728), a quella delle persone, del nome e delle successioni (legge 13
 luglio 1939, n. 1055); dall'interdizione all'esercizio di determinati
 uffici,  alle  limitazioni  in materia patrimoniale e nelle attivita'
 economiche (ancora il regio d.-l. n. 1728 del 1938).
   In questo contesto normativo, la  discriminazione  razziale  si  e'
 manifestata  con  caratteristiche peculiari, sia per la generalita' e
 sistematicita' dell'attivita' persecutoria, rivolta contro  un'intera
 comunita'  di  minoranza,  sia per la determinazione dei destinatari,
 individuati come appartenenti  alla  razza  ebraica  secondo  criteri
 legislativamente stabiliti (art. 8 del regio d.-l. n. 1728 del 1938),
 sia  per  le  finalita'  perseguite, del tutto peculiari e diverse da
 quelle  che  hanno  caratterizzato gli atti di persecuzione politica:
 la legislazione antiebraica individua una comunita' di minoranza, che
 colpisce  con  la  "persecuzione  dei  diritti",   sulla   quale   si
 innestera', poi, la "persecuzione delle vite".
   L'esigenza,  avvertita  dal legislatore, di acquisire il contributo
 della diretta  conoscenza  delle  vicende  persecutorie,  quale  puo'
 essere attinta da competenze esterne all'apparato amministrativo, per
 l'esame  delle  domande  di  concessione  dei benefici previsti dalla
 legge  n.    96  del  1955,  e'  stata  soddisfatta  inserendo  nella
 commissione,  appositamente  istituita, componenti rappresentativi di
 quanti hanno subito le  persecuzioni.    Questo  obiettivo  e'  stato
 tuttavia realizzato solo per la categoria dei perseguitati politici e
 non  per  quella dei perseguitati razziali.  Posta dal legislatore la
 distinzione  tra  le  due  categorie,  costituisce   un'irragionevole
 disparita'  di  trattamento  tra  di  esse l'omesso inserimento nella
 commissione di una rappresentanza dei perseguitati razziali,  perche'
 apporti,  analogamente  a quanto avviene per i perseguitati politici,
 il particolare contributo di esperienza e conoscenza delle specifiche
 situazioni lesive;  ne',  proprio  in  ragione  della  diversita'  di
 contesti  e vicende, la rappresentanza dei perseguitati razziali puo'
 ritenersi assorbita dall'associazione nazionale perseguitati politici
 italiani antifascisti.
   La specificita' delle situazioni che fanno capo alle due  categorie
 e  la  distinta  rappresentanza  di  esse sono state, del resto, gia'
 affermate dal legislatore in un analogo contesto normativo. Anche per
 l'esame delle domande per la concessione di un  assegno  vitalizio  a
 favore  degli  ex  deportati nei campi di sterminio nazisti, e' stata
 istituita un'apposita commissione con funzioni del tutto  analoghe  a
 quelle  della  commissione  istituita  con  la  norma  denunciata, ma
 prevedendo,  accanto  ai  rappresentanti   delle   associazioni   dei
 deportati politici e dei perseguitati politici antifascisti, anche un
 rappresentante dell'Unione delle comunita' israelitiche (art. 3 della
 legge  18  novembre  1980,  n.  791). Alla minoranza ebraica e' stata
 dunque riconosciuta una specificita' di  posizione,  e  ne  e'  stata
 attribuita  la  rappresentanza  all'ente che, secondo la legislazione
 allora vigente, curava gli interessi degli israeliti italiani e delle
 loro comunita' (art. 36 del regio decreto 30 ottobre 1930, n. 1731).
   Alla violazione dell'art. 3 della Costituzione  puo'  essere  posto
 riparo superando la disparita' di trattamento che la norma denunciata
 determina  con  i criteri seguiti dal legislatore nell'analoga e gia'
 richiamata situazione relativa ai deportati: integrando,  quindi,  la
 composizione  della commissione con un rappresentante della comunita'
 che ha subito le persecuzioni  razziali.  Lo  stesso  legislatore  ha
 individuato   tale   rappresentanza   nell'unione   delle   comunita'
 israelitiche italiane, ente che, ora con la denominazione  di  Unione
 delle  comunita' ebraiche italiane, e' rappresentativo degli ebrei in
 Italia e ne tutela gli interessi  generali  (art.  37  dello  statuto
 approvato  dal  congresso straordinario dell'unione tenutosi il 6 - 8
 dicembre 1987) e la cui rappresentativita' e' riconosciuta  dall'art.
 19  della  legge  8  marzo 1989, n. 101 (Norme per la regolazione dei
 rapporti tra lo Stato e l'Unione delle comunita' ebraiche italiane).
   6. - Ricondotta a legittimita' costituzionale la norma  denunciata,
 colmando  l'omessa previsione nella composizione della commissione di
 un rappresentante  dell'Unione  delle  comunita'  ebraiche  italiane,
 permane  integro  il  potere del legislatore di dettare eventualmente
 una nuova disciplina anche relativa ad una diversa composizione della
 commissione ed ai criteri di designazione dei suoi componenti.