ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 56, della legge
 26  luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento  penitenziario e
 sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
 come  sostituito  dall'art.  19  della legge 10 ottobre 1986, n. 663,
 promosso con ordinanza emessa il 16 giugno  1997  dal  magistrato  di
 sorveglianza  di  Varese,  iscritta  al n. 598 del registro ordinanze
 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  39,
 prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 25  febbraio  1998  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Il magistrato di sorveglianza di Varese, chiamato a decidere,
 in sede di giudizio di rinvio, sull'istanza di un detenuto  volta  ad
 ottenere  la  remissione  del  debito  per  spese  di mantenimento in
 carcere relative ad un trascorso periodo di detenzione,  solleva,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  27,  comma terzo, della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 56 della legge  26
 luglio   1975,   n.   354  (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e
 sull'esecuzione  delle misure privative e limitative della liberta'),
 come sostituito dall'art. 19, della legge 10 ottobre  1986,  n.  663,
 nella  parte  in cui, secondo il principio di diritto affermato dalla
 Corte di cassazione, obbliga il decidente,  nella  valutazione  della
 condotta del condannato ai fini della remissione del debito per spese
 di  mantenimento  in  carcere,  a  tener  conto  della  sola condotta
 "strettamente carceraria".
   Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo,  premette
 che  l'istanza di remissione, secondo la disposizione censurata, puo'
 essere formulata "fino a che non sia conclusa  la  procedura  per  il
 recupero  delle  spese",  e quindi anche in tempi molto lontani dalla
 espiazione della pena detentiva  e  persino  indipendentemente  dalla
 stessa,  a  seguito  della  sentenza  n. 342 del 1991 di questa Corte
 (concernente la remissione del debito per spese processuali).  A  suo
 avviso,  l'interpretazione  della Corte di cassazione determinerebbe,
 di conseguenza, una  violazione  del  principio  di  eguaglianza  per
 irragionevole  disparita'  di trattamento tra il condannato che abbia
 subito un periodo di detenzione, magari brevissimo  e  risalente  nel
 tempo, per il quale si dovrebbe valutare la sola condotta carceraria,
 e  il  condannato  che  non  sia  stato, invece, sottoposto ad alcuna
 restrizione, per il quale dovrebbe essere  valutata,  al  fine  della
 remissione  del  debito,  la  condotta  tenuta  fino al momento della
 decisione.
   Inoltre, la medesima interpretazione, nonostante  l'istituto  della
 remissione  del  debito  abbia  la  finalita' di premiare la regolare
 condotta quale indice di ravvedimento e di avvenuto recupero  nonche'
 quella   di   agevolare  il  reinserimento  sociale  del  condannato,
 rischierebbe, in violazione del principio della finalita' rieducativa
 della pena, di premiare anche chi ha continuato a delinquere dopo  la
 detenzione.
   Quanto  alla  rilevanza  della  questione  sollevata, il remittente
 sottolinea che  dalla  documentazione  in  suo  possesso  emerge  che
 l'istante, successivamente alla detenzione alla quale si riferisce la
 richiesta  di  remissione  del  debito, si e' reso responsabile di un
 grave reato, per il quale e' detenuto e che il principio  di  diritto
 affermato dalla Corte di cassazione impedirebbe di valutare.
   2.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
   L'Avvocatura  rileva  che  l'istituto  della  remissione del debito
 trova applicazione sia per le spese di mantenimento in  carcere,  sia
 per le spese del procedimento. La fattispecie in esame riguarda spese
 di  mantenimento  in  carcere, per la cui remissione non potrebbe non
 considerarsi il comportamento che il soggetto richiedente  ha  tenuto
 in  stato  di  detenzione,  mentre  la condotta globale sarebbe utile
 parametro  al  fine  soprattutto  della  remissione  delle  spese  di
 procedimento,  come  emergerebbe  dalla  sentenza  n. 342 del 1991 di
 questa Corte.
   Per la remissione del debito per spese di mantenimento in  carcere,
 il  principio  della valutazione della condotta complessiva, conclude
 l'Avvocatura, potrebbe applicarsi quale correttivo della  valutazione
 della  condotta in carcere "che rimane, se non l'unico, certamente un
 rilevante parametro di valutazione".
                        Considerato in diritto
   1.   -  Il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Varese  dubita  della
 legittimita' costituzionale dell'art. 56, della legge 26 luglio 1975,
 n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione  delle
 misure  privative  e  limitative  della  liberta'),  come  sostituito
 dall'art. 19, della legge 10 ottobre 1986, n.  663,  nella  parte  in
 cui,  secondo  il  principio  di  diritto  affermato  dalla  Corte di
 cassazione, obbliga il decidente, nella  valutazione  della  condotta
 del  condannato  ai  fini  della  remissione  del debito per spese di
 mantenimento  in  carcere,  a  tener  conto   della   sola   condotta
 "strettamente carceraria".
   La  disposizione  censurata, cosi' interpretata, contrasterebbe, ad
 avviso del remittente, sia  con  l'art.  3  della  Costituzione,  per
 l'irragionevole disparita' di trattamento tra il condannato che abbia
 subito  un  qualche periodo di detenzione e il condannato che non sia
 stato sottoposto ad alcuna restrizione,  sia  con  l'art.  27,  terzo
 comma,  poiche'  verrebbe  ad  essere  premiato con la remissione del
 debito per le spese di mantenimento in carcere anche  chi,  dopo  una
 detenzione  caratterizzata  da  regolare condotta, abbia continuato a
 delinquere.
   2. - La questione non e' fondata.
   Nell'art. 56  dell'ordinamento  penitenziario  il  beneficio  della
 remissione  del  debito  per  spese  di  mantenimento  in  carcere e'
 collegato alla regolare condotta del reo durante la detenzione.  Cio'
 risulta  dall'ultimo  comma dell'art. 30-ter, richiamato dallo stesso
 art.  56: "la condotta dei condannati si considera regolare quando  i
 soggetti,  durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di
 responsabilita' e  correttezza  nel  comportamento  personale,  nelle
 attivita'  organizzate  negli  istituti  e  nelle eventuali attivita'
 lavorative o culturali".  La generica finalita' di recupero del  reo,
 alla   cui   realizzazione   l'istituto,   come   subito   si  dira',
 indubbiamente  concorre,  resta  qui   sullo   sfondo,   poiche'   il
 legislatore  e' evidentemente mosso da un obiettivo piu' specifico ed
 immediato che  consiste  nell'incentivazione  al  mantenimento  della
 disciplina  carceraria;  obiettivo perseguito sulla premessa, assunta
 non irragionevolmente,  che  la  spinta  ad  osservare  una  condotta
 regolare  sia  tanto  piu' efficace quanto piu' ravvicinata appaia al
 detenuto la prospettiva di un premio; e che l'incentivazione potrebbe
 risultare in una qualche misura attenuata se  l'eventualita'  di  una
 ricompensa  fosse subordinata anche alla valutazione di comportamenti
 non piu' riferibili alla detenzione.
   Non puo' essere quindi  condiviso  il  rilievo  del  magistrato  di
 sorveglianza  di  Varese  secondo il quale escludere che il controllo
 sul comportamento del reo si protragga ai periodi successivi alla sua
 liberazione significherebbe negare la finalita' di emenda alla quale,
 in forza dell'art. 27 della Costituzione, l'esecuzione della  pena  e
 gli  istituti ad essa correlati devono essere improntati. Anche se e'
 posto  in  connessione  stretta  con   l'esigenza   di   salvaguardia
 dell'ordinato  svolgimento della vita carceraria, il recupero del reo
 e'  certamente  compreso   tra   i   beni   tutelati   dall'art.   56
 dell'ordinamento  penitenziario,  ed  appartiene alla ratio di questo
 come  elemento  necessario  e  complementare.  Nella   logica   della
 disposizione  censurata, il costante impegno del condannato a tenere,
 durante la detenzione, una condotta irreprensibile  non  e'  soltanto
 destinato  a  produrre effetti benefici sull'ordine e sulla sicurezza
 delle  istituzioni  carcerarie,  ma  e'  anche  inteso a influire sul
 complessivo atteggiamento del reo, a  orientarlo  al  rispetto  delle
 regole  della convivenza carceraria e a sospingerlo verso un percorso
 rieducativo, pur nei ristretti  limiti  in  cui  questo  puo'  essere
 proficuamente avviato in costanza di carcerazione.
   3.  -  La  finalita'  di recupero del reo, immanente all'esecuzione
 penitenziaria, risulta dunque strettamente connessa, con  riferimento
 all'istituto  in  esame,  con  l'obiettivo  di  promuovere  la  buona
 condotta carceraria, e con essa il mantenimento dell'ordine  e  della
 sicurezza  nelle carceri. Assume invece rilievo autonomo e preminente
 nelle ipotesi nelle quali non vi sia stata alcuna  detenzione  e  non
 sussista  percio'  alcuna  esigenza  di salvaguardia della disciplina
 carceraria.
   Considerazioni non dissimili sorreggevano d'altronde la sentenza n.
 342 del 1991 di questa Corte, nella quale si ponevano a  raffronto  i
 due distinti istituti, regolati insieme nell'art. 56 dell'ordinamento
 penitenziario,  della  remissione del debito per spese di giustizia e
 della remissione del debito per spese di mantenimento in carcere;  si
 riconosceva  che  entrambi gli istituti sono ispirati a una finalita'
 premiale per la regolare condotta  tenuta  dal  condannato  e  a  una
 concorrente  finalita'  di  agevolazione  del  reinserimento sociale,
 realizzata  attraverso  la  rimozione  delle  ulteriori   difficolta'
 economiche  in  cui  verrebbe  a  trovarsi il condannato che versi in
 condizioni disagiate; non si mancava pero'  di  precisare  che  nella
 remissione delle spese di giustizia "la finalita' di agevolazione del
 ravvedimento  e  del  recupero sociale fa aggio su quella premiale" e
 che questa e' invece maggiormente rilevante  nella  remissione  delle
 spese di mantenimento in carcere.
   Le due finalita', quella premiale e quella di reinserimento sociale
 del  reo,  possiedono  nell'art.  56,  proprio in seguito alla citata
 sentenza di questa Corte, accentuazioni diverse.  Solo  in  relazione
 alla  remissione  del  debito per spese di giustizia, e sempre che si
 tratti di condannati che non abbiano subito alcuna  detenzione,  deve
 essere  valutata  la  condotta  tenuta in liberta', poiche' in questi
 casi non vi sono impedimenti a che  si  dispieghi  in  tutta  la  sua
 pienezza  la  finalita'  di  recupero  del  reo  alla  quale l'intera
 disciplina concorre.  Per questi condannati, infatti, il  diniego  di
 una  agevolazione  economica  destinata  a favorirne il reinserimento
 sociale risulterebbe irragionevolmente discriminatorio.
   Diverso e' il discorso sulle spese di mantenimento in carcere,  che
 presuppongono   sempre  un  periodo  di  detenzione.  L'obiettivo  di
 coniugare la finalita' di  emenda  con  l'incentivazione  alla  buona
 condotta  carceraria  non  puo'  qui subire attenuazioni: ne verrebbe
 altrimenti tradita la scelta non  irragionevole  del  legislatore  di
 valorizzare  le  esigenze  di  ordine  e  di  sicurezza  carceraria e
 pertanto di imporre che siano assunti  come  indici  di  ravvedimento
 solo  i  comportamenti  tenuti  durante  la  detenzione, esclusa ogni
 valutazione della condotta successiva alla liberazione.