IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza. Vista la richiesta di proroga del termine per il compimento delle indagini preliminari, formulata dal pubblico ministero in data 12 marzo 1998 nel procedimento in cui e' sottoposto alle indagini per il reato di cui all'art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, Kanaj Fathmir, nato in Albania il 24 marzo 1970, sedicente e senza fissa dimora; Rilevato che secondo l'attuale disposto dell'art. 46 comma 3, c.p.p. la notificazione della richiesta di proroga del pubblico ministero alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa e' eseguita "a cura del giudice"; Rilevato che secondo la formulazione originaria dell'art. 406, comma 3 (mantenuta in sede di emissione delle Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate, di cui al decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12), la richiesta di proroga doveva essere notificata "a cura del pubblico ministero richiedente", e che l'attuale disposizione e' conseguenza della modifica introdotta con l'art. 6, comma 2, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, in tema di criminalita' mafiosa, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356; Rilevato che il porre a carico del giudice per le indagini preliminari l'onere di notificare la richiesta di proroga formulata dal pubblico ministero non trova alcuna razionale spiegazione se non nell'intento di sgravare le segreterie degli uffici di procura dalle incombenze relative a tali notificazioni; Rilevato che cio' e' confermato dall'inserimento di simile previsione non gia' tra le suddette disposizioni integrative e correttive del codice, bensi' in un testo legislativo concernente appunto la criminalita' mafiosa; Rilevato infatti che tale testo di legge contestualmente escludeva (comma 5-bis, dell'art. 406, c.p.p., come introdotto dallo stesso art. 6, comma 2, cit.) il contraddittorio in tema di proroga delle indagini, e con esso la notificazione della relativa richiesta per i procedimenti in tema di criminalita' mafiosa; Rilevato anzitutto che appare improprio onerare il giudice della cura delle notificazioni relative ad un mero atto di parte, come e' la richiesta di proroga del pubblico ministero, la quale, nel momento in cui viene notificata, non si accompagna ad alcun provvedimento, neppure meramente ordinatorio, del giudice (essendo ovvio che il semplice avviso della facolta' di presentare memorie entro cinque giorni ben puo' essere inserito nella richiesta di proroga, come lo era prima della modificazione legislativa); Rilevato in proposito che continua a spettare al pubblico ministero di notificare la richiesta di archiviazione alla persona offesa che abbia dichiarato di volerne essere avvertita (art. 408, commi 2 e 3), come spetta alla parte richiedente l'incidente probatorio l'onere della notificazione alla controparte (art. 395 c.p.p.), e che tali richieste che non si accompagnano nella fase della loro notificazione ad alcun provvedimento del giudice, analogamente a quella di proroga di cui si tratta; Rilevato che la disposizione in esame ha dunque intenzionalmente attuato lo spostamento di un peraltro molto rilevante carico di lavoro amministrativo sulla cancelleria del giudice (la quale di conseguenza e' annualmente onerata di qualche migliaio di notificazioni di richieste di proroga), sgravandone la segreteria del pubblico ministero, senza che di cio' possa rinvenirsi alcuna ragione inerente al far conoscere alle parti un provvedimento del giudice, e dunque solo per attuare lo sgravio suddetto, incrementando le potenzialita' di un ufficio (la segreteria del pubblico ministero) e deprimendo quelle dell'altro (la cancelleria del giudice). Rilevato che a tale spostamento di carichi di lavoro dall'ufficio di una parte del processo (sia pure parte pubblica) all'ufficio del giudice non ha fatto riscontro alcun adeguamento degli organici, cosicche' la cancelleria del giudice ha dovuto sopportare l'ulteriore carico di lavoro con lo stesso personale amministrativo, con il conseguente, ovvio decremento di efficienza; Rilevato che tutto quanto sopra rende consistente il sospetto di illegittimita' costituzionale del disposto dell'art. 406, comma 3, c.p.p., per contrasto con i princi'pi di cui agli artt. 97 e 101, comma secondo, della Carta; Rilevato, quanto al primo profilo, che appare anzitutto irrazionale, e dunque contrario al principio di buon andamento, che venga onerata delle notificazioni una a.g. diversa da quella che procede, poiche' l'esecuzione delle notificazioni comporta frequentemente la necessita' di eseguire defatiganti accertamenti per il reperimento dei destinatari della notificazione, per il che risulta piu' versato l'ufficio che ha istituzionali attitudini investigative, con i connessi rapporti organici con la polizia giudiziaria, quest'ultimo aspetto risultando poi maggiormente funzionale all'adozione dell'opzione di cui all'art. 148, comma 2, c.p.p., in tema di esecuzione delle notificazioni ad opera della polizia giudiziaria; Rilevato ancora che la trasmissione del fascicolo al giudice, unitamente alla richiesta di proroga, rende in pratica difficile, se non impossibile l'espletamento delle funzioni di direzione ed impulso delle indagini, cosicche' questi indispensabili compiti del pubblico ministero vengono a soffrire di un intervallo spesso non breve (non infrequentemente di mesi), impiegato dal giudice per le ricerche delle persone sottoposte alle indagini e delle persone offese e per le relative notifiche; Rilevato, in ordine a quanto ora considerato, che per prassi invalsa in alcuni uffici il pubblico ministero mantiene pertanto la disponibilita' del fascicolo, a cio' autorizzato dal giudice, il quale tuttavia incontra spesso difficolta' nel compiere, senza il fascicolo, accertamenti complessi per localizzare i notificandi, con interessamento di varie autorita' di polizia giudiziaria; Rilevato pertanto come il principio di buona amministrazione appaia vulnerato: dal gravare l'autorita' giudicante (ovvero i suoi uffici di cancelleria, con diretta ricaduta sulla funzionalita' dell'opera di tale autorita') di incombenze che ancora non attengono in alcun modo alla funzione del giudicare; dal gravare di tali incombenze l'autorita' giudiziaria giudicante, per sgravarne quella requirente, vale a dire una parte del processo; dalla opportunita' investigativa che il fascicolo rimanga presso il pubblico ministero, in contrasto con l'esigenza dell'ufficio del giudice di disporne, in numerosi casi, proprio per l'esecuzione delle notifiche; dalla minore attitudine dell'ufficio del giudice all'esecuzione degli accertamenti e delle ricerche, che invece sono strettamente e logicamente connessi all'attivita' investigativa ed a quella esecutiva della polizia giudiziaria; dalla scoperta intenzione del legislatore del 1992 di agevolare in ogni modo la funzionalita' degli uffici della parte processuale pubblica, a consapevole detrimento della funzionalita' dell'ufficio del giudice, con disarmonia rispetto ad altre situazioni, quali quelle previste dagli artt. 395 e 408, c.p.p., sopra richiamati (disarmonia spiegabile solo con la minore incidenza numerica dei relativi casi, e dunque con la mancanza di interesse a sgravarne le segreterie delle procure); dal mancato adeguamento degli organici del personale dell'ufficio del giudice in conseguenza dell'improprio trasferimento di incombenze; Rilevato poi che il principio che il giudice e' soggetto soltanto alla legge e' da intendersi riferito non soltanto ai casi in cui una disposizione di legge direttamente imponesse al giudice condizionamenti dall'esterno, frutto di determinazioni di autorita' diverse (oneri di conformazione, preclusione di accertamenti, etc.), ma anche a quei casi in cui la norma di legge ordinaria produca condizionamenti di fatto, limitazioni operative, oneri impropri nello svolgimento delle attivita' di amministrazione della giurisdizione, capaci di influenzare il libero dispiegarsi di quest'ultima, cui e' necessario corredo un apparato amministrativo funzionale ed efficiente. Rilevato che cio' avviene relativamente alla disposizione che qui si impugna, la quale ha l'effetto di distogliere consistenti energie amministrative, deputate a sostenere il funzionamento dell'attivita' giurisdizionale, destinandole ad un'impropria funzione servente riguardo ad atti tipicamente attribuiti ad altro soggetto, avente il ruolo di parte processuale, il trasferimento dell'onere verificandosi prima che il giudice abbia a prendere qualsivoglia provvedimento, e quindi in una fase in cui gli atti suddetti appartengono tuttora alla esclusiva sfera della parte medesima; Rilevato che tale funzione di ufficio servente, rispetto ad una parte del processo, attua di fatto un pesante condizionamento dell'esercizio della giurisdizione, traducendosi nella necessita' di distogliere il personale ausiliario dal compimento di attivita' funzionali, invece, allo svolgimento della giurisdizione, e quindi in ritardi e disfunzioni nell'esercizio di uno dei poteri fondamentali dell' ordinamento; Rilevato che per quanto fin qui esposto la questione di costituzionalita' del disposto dell'art. 406, comma 3, c.p.p., appare non manifestamente infondata in riferimento ai disposti degli artt. 97, comma primo (buon andamento degli uffici pubblici) e 101 comma secondo (i giudici sono soggetti soltanto alla legge) della Costituzione; Rilevato che la questione e' rilevante, poiche' il suo accoglimento determinerebbe la restituzione degli atti al pubblico ministero affinche' curasse la notificazione della propria richiesta di proroga del termine delle indagini alle altre parti, come presupposto per la susseguente pronuncia del giudice in ordine alla richiesta medesima.