LA CORTE D'APPELLO
   Ha  emesso la seguente ordinanza nel procedimento camerale iscritto
 al n. 5/98 r.g.c.c.
   Letta la dichiarazione di ricusazione proposta  nei  confronti  del
 dott.   Carmelo   Zuccaro,   presidente  della  Corte  di  assise  di
 Caltanissetta, sezione terza, da Graviano Filippo, nato a Palermo  il
 27 giugno 1961, in atto detenuto nella casa di reclusione di Spoleto,
 siccome   imputato  nel  procedimento  penale  n.  29/97  r.g.c.ass.,
 pendente nei confronti di Agate Mariano + 25, davanti alla  Corte  di
 assise suddetta;
                               Ritenuto
   1.   -  Graviano  Filippo  -  che  nel  procedimento  penale  sopra
 richiamato     (convenzionalmente     indicato     come      processo
 "Borsellino-ter")   risulta,   tra   l'altro,  imputato  del  delitto
 pluriaggravato di strage, per  aver  deliberato  e  dato  il  proprio
 assenso,  in  concorso  con  numerose altre persone, all'eliminazione
 fisica  (in  esecuzione  di  un  progetto  criminoso   che   prendeva
 concretezza  nei  mesi  immediatamente precedenti il luglio 1992) del
 dott. Paolo Borsellino, procuratore aggiunto della Repubblica  presso
 il  tribunale  di  Palermo, in qualita' di mandante, in ragione della
 sua   appartenenza   alla   "commissione",    organo    di    governo
 dell'associazione  mafiosa  denominata "cosa nostra", cui partecipava
 nella veste di "sostituto reggente" del mandamento di Brancaccio - ha
 tempestivamente  (v.  copia  dei  verbali  dibattimentali  acquisiti)
 proposto dichiarazione di ricusazione nei confronti del dott. Carmelo
 Zuccaro,  sostenendone  l'incompatibilita'  alla funzione di giudizio
 nel suddetto procedimento, ai sensi dell'art. 34  c.p.p.,  per  avere
 concorso a pronunciare, quale presidente della medesima sezione della
 Corte  di  assise  di Caltanissetta, la sentenza in data 26 settembre
 1997 con la  quale  esso  Graviano  e'  stato  condannato  alla  pena
 dell'ergastolo,  siccome  ritenuto  responsabile  di  tutti  i  reati
 ascrittigli nel procedimento penale n. 2211/1993  r.g.  g.i.p.  (c.d.
 processo  per  la strage di Capaci) tra i quali quello pluriaggravato
 di strage, per  avere  deliberato  e  dato  il  proprio  assenso,  in
 concorso,  con  numerose  altre  persone, all'eliminazione fisica (in
 esecuzione di un progetto  criminoso  che  prendeva  concretezza  nel
 maggio   1992)   del   dott.  Giovanni  Falcone,  direttore  generale
 dell'ufficio affari penali del Ministero di grazia  e  giustizia,  in
 qualita'   di  mandante,  in  ragione  della  sua  appartenenza  alla
 "commissione" organo di governo dell'associazione mafiosa  denominata
 "cosa  nostra",  cui  partecipava  nella  veste  di  "sostituto"  del
 "mandamento" di Brancaccio:
   Il ricusante, sostenendo che in entrambi i procedimenti penali, pur
 nella diversita' degli episodi delittuosi  contestatigli,  gli  viene
 attribuita  la  medesima  condotta  criminosa  -  avere deliberato, o
 comunque dato il proprio assenso, nell'anno  1992,  quale  componente
 della  "commissione" di "cosa nostra", le note stragi di Capaci e via
 D'Amelio  -  ha  sostanzialmente   dedotto   che   nel   procedimento
 attualmente in corso davanti alla terza sezione della Corte di assise
 di   Caltanissetta   la   sua   posizione  sarebbe  irrimediabilmente
 pregiudicata, avendo il presidente del Collegio gia'  affermato,  nel
 giudizio  precedentemente  concluso,  che  nell'anno 1992 egli faceva
 parte della "commissione provinciale" di "cosa nostra".
   Il Graviano ha rilevato che  la  denunciata  incompatibilita'  deve
 essere  affermata  con riferimento alla sentenza in data 17 ottobre-2
 novembre 1996, n. 371, della Corte costituzionale, che ha  dichiarato
 costituzionalmente  illegittimo  l'art.  34,  comma  2, c.p.p., nella
 parte in cui non prevede che non possa partecipare  al  giudizio  nei
 confronti  di un imputato un giudice che abbia pronunciato o concorso
 a  pronunciare  una  precedente  sentenza  nei  confronti  di   altri
 soggetti,  nella  quale  la  posizione  di  quello stesso imputato in
 ordine alla  sua  responsabilita'  penale  sia  gia'  stata  comunque
 valutata.
   Il  ricusante  - subordinatamente ad un eventuale giudizio negativo
 in ordine alla riconducibilita'  della  fattispecie  illustrata  alla
 situazione   di   incompatibilita'  introdotta  nell'ordinamento  per
 effetto della richiamata pronuncia della Corte  costituzionale  -  ha
 chiesto  che  la  Corte  di  appello  voglia  promuovere  giudizio di
 costituzionalita' dell'art. 34, c.p.p., per violazione  dei  principi
 sanciti  negli  artt.    3  e  24 della Costituzione, sostanzialmente
 (rectius: implicitamente) deducendo che la mancata previsione,  nella
 richiamata  norma  del  codice  di  rito,  dell'incompatibilita' alla
 funzione di giudizio del  giudice  che  abbia  comunque  valutato  la
 posizione  dell'imputato  in  ordine alla sua responsabilita' penale,
 pronunciando o concorrendo a pronunciare sentenza nei  confronti  del
 medesimo soggetto, vulnera i citati princi'pi costituzionali non meno
 della  mancata  previsione  di  quella  situazione  che ha costituito
 espressamente   oggetto    della    pronuncia    di    illegittimita'
 costituzionale n. 371 del 1996.
   2.   -   Va  preliminarmente  ricordato  che  la  disciplina  delle
 incompatibilita' del giudice, e', in applicazione del  principio  del
 giudice  naturale precostituito per legge, di stretta interpretazione
 e le cause relative sono tassative (cfr. Cass.  pen.  sez.,  III,  18
 maggio 1993, Ferlito).
   Cio'  premesso,  appare  evidente  l'insussistenza della denunciata
 incompatibilita', non versando il dott. Carmelo  Zuccaro,  presidente
 della  terza  sezione  della  Corte  di  assise di Caltanissetta, con
 riferimento  al  c.d.  processo  Borsellino-ter,  in  una  situazione
 identica  a  quella  presa  in esame dalla Corte costituzionale nella
 sentenza n. 371 del 1996.
   E' assolutamente pacifico, infatti, che la Corte costituzionale con
 la sentenza invocata dal ricusante ha  dichiarato  costituzionalmente
 illegittimo  l'art.  34,  comma  2,  c.p.p.,  nella  parte in cui non
 prevede che non possa partecipare al giudizio  nei  confronti  di  un
 imputato  un  giudice  che abbia pronunciato o concorso a pronunciare
 una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella  quale
 la   posizione   di   quello  stesso  imputato  in  ordine  alla  sua
 responsabilita'  penale,  per  il  medesimo  reato,  sia  gia'  stata
 comunque valutata.
   Or  non  v'e'  dubbio  che il reato di strage contestato a Graviano
 Filippo nel procedimento in  esame  sia  ontologicamente  diverso  da
 quello,  uguale  soltanto  sotto  il profilo precettivo, per il quale
 egli e' stato condannato, con sentenza  non  definitiva  in  data  26
 settembre  1997,  dalla  medesima  sezione  della  Corte di assise di
 Caltanissetta, presieduta dal dott. Carmelo Zuccaro.
   La circostanza che in entrambi i  procedimenti  penali  di  cui  si
 tratta al Graviano si contesti di essere stato mandante di una strage
 -  quella  in  cui  trovo'  la morte il dott. Giovanni Falcone, in un
 caso, e quella in cui peri' il dott. Paolo Borsellino,  nell'altro  -
 nella  sua  qualita' di componente della "commissione provinciale" di
 "cosa nostra", non  implica  che  al  medesimo  venga  addebitato  il
 medesimo fatto.
   A  Graviano Filippo si imputa di avere svolto una consapevole opera
 di determinazione della volonta' degli  autori  materiali  delle  due
 stragi,  costituendone  un'adeguata concausa efficiente. Il fatto che
 il concorso morale nei due delitti sia stato da esso esplicato  nella
 sua    qualita'    di    componente    dell'organismo    di   vertice
 dell'associazione  mafiosa  "cosa  nostra"   rimane   estraneo   alla
 condotta,  che  si  sostanzia  unicamente  nella  partecipazione alla
 deliberazione  o  nella   prestazione   dell'assenso   all'esecuzione
 materiale dei delitti medesimi.
   3.  -  Se  quanto  teste'  dedotto e' vero, appare lecito dubitare,
 tuttavia, come il ricusante dubita, della legittimita' costituzionale
 dell'art. 34,  c.p.p.,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione,   nella   parte  in  cui  non  prevede  che  non  possa
 partecipare al giudizio nei confronti di un imputato un giudice  che,
 come  nel  caso di specie, abbia pronunciato o concorso a pronunciare
 una precedente sentenza nei confronti del  medesimo  soggetto,  nella
 quale   la  posizione  dell'imputato  suddetto  in  ordine  alla  sua
 responsabilita' penale sia gia' stata comunque valutata  nel  merito,
 sia pure in relazione ad un altro fatto-reato.
   Se,   infatti,   e'   acquisito  alla  giurisprudenza  della  Corte
 costituzionale che l'istituto dell'incompatibilita' del  giudice  per
 atti compiuti nel procedimento penale e' preordinato alla garanzia di
 un  giudizio  imparziale, che non sia ne' possa apparire condizionato
 da precedenti valutazioni sulla responsabilita' penale  dell'imputato
 manifestate  dallo stesso giudice in altre fasi del medesimo processo
 - e, quindi, a maggior ragione, in diverso processo - e tali da poter
 pregiudicare la neutralita' del suo giudizio, - e tanto, in  ossequio
 al  principio  del  giusto  processo, che comporta che il giudizio si
 formi in base al razionale  apprezzamento  delle  prove  raccolte  ed
 acquisite  e non abbia a subire l'influenza di valutazioni sul merito
 dell'imputazione gia' in precedenza espresse (v. sentenza della Corte
 costituzionale n. 371/1996, gia' citata), -  non  vi  e'  ragione  di
 ritenere   l'illegittimita'   costituzionale  dell'art.  34,  c.p.p.,
 limitata alla mancata previsione dell'incompatibilita' alla  funzione
 di   giudizio   del  giudice  che  abbia  pronunciato  o  concorso  a
 pronunciare una precedente sentenza, nei confronti di altri soggetti,
 nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua
 responsabilita'  penale,  per  il  medesimo  reato,  sia  gia'  stata
 comunque  valutata,  ben  potendo  la neutralita' del giudizio essere
 pregiudicata  anche  quando  la   precedente   sentenza   sia   stata
 pronunciata  (e,  anzi, a maggior ragione) nei confronti del medesimo
 soggetto ed abbia riguardato un reato diverso, nell'ipotesi in cui la
 decisione abbia comportato valutazioni di merito idonee  ad  incidere
 sotto il profilo sostanziale nel giudizio da formulare.
   4.  -  Avendo invero la Corte di assise di Caltanissetta presieduta
 dal dott. Carmelo Zuccaro, con la sentenza in data 26 settembre 1997,
 affermato la responsabilita' di Graviano Filippo in ordine al delitto
 aggravato di strage, per avere deliberato e dato il proprio  assenso,
 in  concorso  con numerose altre persone, all'eliminazione fisica (in
 esecuzione di un progetto  criminoso  che  prendeva  concretezza  nel
 maggio  1992) del dott. Giovanni Falcone, in qualita' di mandante, in
 ragione della sua appartenenza alla "commissione", organo di  governo
 dell'associazione  mafiosa  denominata "cosa nostra", cui partecipava
 nella  veste  di  sostituto  del  mandamento  di  Brancaccio,  si  e'
 necessariamente ritenuto provata, al di la' di ogni legittimo dubbio,
 l'appartenenza  alla suddetta "commissione" dell'imputato, atteso che
 a quest'ultimo non e' stato  contestato  di  avere  partecipato  alla
 deliberazione  dell'impresa  criminosa  in  una  veste  (diversa  ed)
 ulteriore, ne' di avere compiuto attivita'  di  esecuzione  materiale
 del delitto.
   Nel procedimento nel quale e' intervenuta la presente dichiarazione
 di  ricusazione,  si  contesta  al  Graviano di essere stato mandante
 della c.d. strage di via D'Amelio, quale  componente  della  medesima
 struttura  criminale,  che  avrebbe  deliberato l'impresa, con il suo
 concorso, nei mesi immediatamente  precedenti  il  luglio  (maggio  -
 giugno, dunque) dell'anno 1992.
   Indipendentemente   dagli   (ulteriori)   elementi   di  prova  che
 potrebbero  essere  acquisiti  nel  corso  del  dibattimento  (e  che
 potrebbero,  in  via  di  mera  ipotesi,  condurre  ad una modifica o
 specificazione    della    contestazione),     dovendosi     valutare
 esclusivamente  ex  ante  la condizione di imparzialita' del giudice,
 non v'e' dubbio che, allo stato, non puo'  non  ritenersi  gravemente
 condizionato  dalla valutazione in ordine alla responsabilita' penale
 dell'imputato espressa nel primo procedimento, ancorche' relativo  ad
 un reato diverso, il giudizio che il presidente della Corte di assise
 di  Caltanissetta e' richiamato a formulare nei confronti di Graviano
 Filippo,  attesa  l'identita'  di  un  presupposto   della   condotta
 antigiuridica contestata.
    Ed  invero, poiche' si imputa al Graviano di avere partecipato nel
 maggio/giugno  del  1992  alla  deliberazione  della  strage  di  via
 D'Amelio,   nella   sua  qualita'  di  componente  della  commissione
 provinciale di Palermo di "cosa nostra" - e poiche'  l'oggetto  della
 valutazione   da   compiere   ai  fini  dell'affermazione  della  sua
 responsabilita' penale dovra' conseguentemente essere relativo:
     1) alla sua appartenenza nel maggio/giugno del 1992 all'organo di
 governo di "cosa nostra";
     2) alla sua partecipazione, in  seno  all'organo  suddetto,  alla
 deliberazione  della  strage  -  il  dott.  Carmelo  Zuccaro,  avendo
 presieduto la Corte di assise che  ha  con  sentenza  gia'  affermato
 l'appartenenza  dell'imputato  nel  maggio  1992  alla  "commissione"
 ridetta, non potra' non  inclinare  verso  la  conferma  del  proprio
 assunto  precedente  e,  quindi  (a  prescindere  dalle problematiche
 concernenti la possibilita' giuridica di  un'automatica  attribuzione
 di  responsabilita' ai componenti di un organismo collegiale centrale
 di  un'associazione  di  tipo  mafioso  per  i  delitti  di  maggiore
 importanza  per  la  vita  dell'organizzazione,  che,  al  fini della
 decisione  da  assumere  nel   presente   procedimento   incidentale,
 presentano  rilievo  del  tutto  secondario)  non propendere (piu' di
 quanto  possa  propendere  un giudice scevro da ogni pregiudizio) per
 l'affermazione della responsabilita' dell'imputato per il delitto  di
 strage ascrittogli nel procedimento penale che qui interessa.
   E  propensione ancor maggiore verso un giudizio di colpevolezza non
 potra' non avere il giudice  ricusato  con  riguardo  all'imputazione
 (artt.   416-bis,   commi   1,  2,  4  e  6,  c.p.)  di  appartenenza
 all'associazione  mafiosa  armata  denominata  "cosa  nostra",  nella
 qualita'  di  promotore  ed  organizzatore  specificata  nel  capo di
 imputazione  concernente  il  delitto  di  strage  (id   est:   quale
 componente  della  "commissione  provinciale"  -  fatto  commesso  in
 Palermo fino alla data della richiesta del  decreto  che  dispone  il
 giudizio),  pure  elevata  (capo  I  della rubrica) nei confronti del
 Graviano. Non v'e' chi non veda, infatti, che  ben  difficilmente  il
 dott.  Zuccaro  potrebbe  essere considerato libero nella valutazione
 della responsabilita' dell'imputato in ordine alla sua appartenenza a
 "cosa nostra" in un periodo di tempo che comprende  il  maggio  1992,
 avendo concorso ad affermare, nel precedente giudizio, l'appartenenza
 (quanto  meno  nel  maggio  1992) del medesimo imputato all'organo di
 governo della stessa associazione mafiosa.
   Ritenuta, sulla base di  quanto  sopra  premesso  in  fatto  ed  in
 diritto,   la   non   manifesta   infondatezza   della  questione  di
 legittimita' costituzionale sollevata e consideratane  la  rilevanza,
 dipendendo  l'esito del presente giudizio incidentale dalla soluzione
 della questione medesima;
   Visto il parere del Procuratore Generale, il quale  ha  chiesto  la
 trasmissione  degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione
 della questione di leggittimita' costituzionale sopra specificata;