ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della regione
 Sardegna  riapprovata  il  16  dicembre  1996, recante: "Norme per la
 protezione della fauna selvatica e per l'esercizio  della  caccia  in
 Sardegna",  promosso  con  ricorso  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri, notificato il 3 gennaio 1997, depositato in cancelleria  il
 13 successivo ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi 1997.
   Visto l'atto di costituzione della regione Sardegna;
   Udito  nell'udienza  pubblica del 10 marzo 1998 il giudice relatore
 Fernanda Contri;
   Uditi l'avv. Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei
 Ministri e l'avv. Sergio Panunzio per la regione Sardegna.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso  regolarmente  notificato  e   depositato,   il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  ha  sollevato questione di
 legittimita' costituzionale  in  via  principale  della  legge  della
 regione  Sardegna  recante  "Norme  per  la  protezione  della  fauna
 selvatica  e per l'esercizio della caccia in Sardegna" riapprovata, a
 se'guito  di  rinvio  governativo,  dal  Consiglio  regionale   della
 Sardegna  il  16  dicembre  1996,  per  contrasto  con l'art. 3 dello
 statuto  per  la  Sardegna,  adottato  con  legge  costituzionale  26
 febbraio 1948, n. 3, in relazione all'art. 18 della legge 11 febbraio
 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma
 e  per  il  periodo  venatorio),  ed  all'art.  7.4  della  direttiva
 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
   In sede di riapprovazione  a  maggioranza  assoluta,  il  Consiglio
 regionale  ha  apportato modifiche al testo originario, accogliendo i
 rilievi formulati con il rinvio governativo del 6 settembre 1996,  ad
 eccezione di quello concernente l'art. 49, comma 1, lettera b), nella
 parte in cui prevede un periodo di caccia agli uccelli migratori, nel
 medesimo  articolo  elencati,  dalla terza domenica di settembre fino
 all'ultimo giorno di febbraio dell'anno successivo.
   Secondo  il  rinvio  governativo,  richiamato  nel  ricorso,   tale
 disposizione  viola  i  limiti  posti  dallo  statuto speciale per la
 Sardegna alla competenza legislativa  della  regione  in  materia  di
 caccia,  sia  per  il  contrasto  con l'art. 18 della citata legge 11
 febbraio 1992, n.   157 - che indica  il  31  gennaio  quale  termine
 ultimo  per  la  caccia  -  considerato norma fondamentale di riforma
 economico-sociale; sia per il contrasto con gli  obblighi  comunitari
 derivanti  dalla  direttiva  79/409/CEE.  A quest'ultimo riguardo, il
 ricorrente richiama  la  sentenza  della  Corte  di  giustizia  delle
 Comunita'  europee  17  gennaio 1991 (causa C-157/89), nella quale si
 dichiaro' "che la  Repubblica  italiana,  autorizzando  la  caccia  a
 diverse specie migratorie fino al 28 febbraio, ed in taluni casi fino
 al 10 marzo, durante il periodo di ritorno di tali specie al luogo di
 nidificazione,  era  venuta  meno agli obblighi che le incombevano in
 forza della direttiva del Consiglio 79/409/CEE".
   Il Presidente del Consiglio dei Ministri rileva altresi' che  dalla
 relazione della commissione consiliare competente risulta che "non ci
 si  e'  adeguati  al  limite massimo per l'esercizio venatorio del 31
 gennaio, perche' non conciliabile con la reale presenza  della  fauna
 migratoria  nel  territorio  della  regione Sardegna"; ma, lamenta il
 ricorrente,  "di  tale  affermazione  non  e'   stata   data   alcuna
 dimostrazione".
   2.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte si e' costituita la
 regione Sardegna per argomentare l'infondatezza del ricorso  proposto
 dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
   L'ente   resistente   eccepisce   che   le  norme  comunitarie  non
 stabiliscono il termine del 31 gennaio per la caccia alle  specie  in
 questione,  ne'  l'obbligo  della regione di stabilirlo risulta dalla
 sentenza della Corte di giustizia delle Comunita' europee  richiamata
 nel  ricorso.    L'art.  7.4  della direttiva 79/409/CEE non prevede,
 osserva la regione,  termini  rigidi  ed  uniformi,  ma,  per  quanto
 riguarda le specie migratorie, impone agli Stati membri di provvedere
 "a  che le specie soggette alla legislazione della caccia non vengano
 cacciate durante il periodo della riproduzione e durante  il  ritorno
 al luogo di nidificazione".  La direttiva comunitaria non esclude, ad
 avviso  del  resistente, che, all'interno di uno stesso Stato membro,
 le autorita' regionali disciplinino diversamente i periodi di caccia,
 purche' essi "corrispondano agli effettivi  movimenti  migratori  nei
 diversi territori, quali risultano dalle rilevazioni".
   Ad   avviso   della  regione  Sardegna,  la  stessa  giurisprudenza
 comunitaria invocata dal ricorrente consente al legislatore regionale
 di derogare alla disciplina statale  uniforme  dei  periodi  venatori
 qualora   risulti  che  nel  territorio  di  una  regione  le  specie
 migratorie passano in un periodo successivo al 31 gennaio.
   Quanto  alla  lamentata   violazione   del   limite   delle   norme
 fondamentali  delle  riforme  economico-sociali  della Repubblica, la
 regione eccepisce che la legge n. 157 del 1992 puo' ricondursi a tale
 categoria di norme solo con riferimento alla disciplina delle  specie
 cacciabili, non anche con riferimento ai periodi di caccia.
   3.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  regione  autonoma  della
 Sardegna ha depositato una memoria illustrativa nella  quale  vengono
 piu'   ampiamente   svolti  argomenti  gia'  addotti  con  l'atto  di
 costituzione per dedurre l'infondatezza del ricorso. In tale  memoria
 la   difesa  della  regione  insiste  -  con  ampi  riferimenti  alla
 giurisprudenza costituzionale - sull'impossibilita' di ricondurre  la
 disciplina  statale dei periodi venatori invocata dal ricorrente alla
 categoria delle norme fondamentali di  riforma  economico-sociale.  A
 questo  riguardo, si osserva che l'imposizione di un limite temporale
 invalicabile "priverebbe del tutto le regioni della  possibilita'  di
 conformare   alle   proprie   peculiarita'   ambientali  i  princi'pi
 ricavabili dalle leggi di riforma". La regione aggiunge che l'art. 51
 della  delibera  legislativa  impugnata   attribuisce   all'assessore
 regionale alla difesa dell'ambiente la potesta' di limitare o vietare
 l'esercizio  venatorio  qualora  sopravvenute condizioni stagionali o
 climatiche dimostrino la necessita' di maggiori livelli di protezione
 della fauna selvatica.
   Nella memoria, l'ente territoriale resistente menziona altresi'  le
 decisioni  di  questa  Corte  nn.  63  del  1990 e 449 del 1997 - per
 sottolineare come la caccia non sia riducibile al  mero  abbattimento
 di  animali  selvatici, rappresentando anche "un mezzo di regolazione
 della  fauna  selvatica"  -  e  richiama  la  legislazione  francese,
 applicabile nel vicino territorio corso, che consente la caccia di un
 ristretto elenco di specie selvatiche anche nel mese di febbraio.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri, rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sottopone  al  controllo
 di  costituzionalita'  l'art.  49,  comma  1, lettera b), della legge
 riapprovata dal Consiglio regionale della  Sardegna  il  16  dicembre
 1996  recante  "Norme  per  la protezione della fauna selvatica e per
 l'esercizio della  caccia  in  Sardegna"  che,  in  deroga  a  quanto
 previsto per le specie elencate dal precedente art. 48, prolunga fino
 all'ultimo  giorno  di febbraio il periodo di caccia ad alcune specie
 di  uccelli  (colombaccio,  beccaccia,   beccaccino,   merlo,   tordo
 sassello,  tordo  bottaccio,  cesena,  storno,  marzaiola,  alzavola,
 pavoncella). L'art.  49, comma 1, lettera b), dell'impugnata delibera
 legislativa viene censurato dal Presidente del Consiglio dei Ministri
 nella parte in cui consente di abbattere gli  elencati  esemplari  di
 fauna  selvatica  dalla  terza  domenica di settembre fino all'ultimo
 giorno di febbraio dell'anno successivo, per contrasto con  l'art.  3
 dello   statuto   speciale   per  la  Sardegna,  adottato  con  legge
 costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, che prevede il rispetto  degli
 obblighi  internazionali  e  delle  norme  fondamentali delle riforme
 economico-sociali della Repubblica.
   Quest'ultimo limite viene invocato dal Presidente del Consiglio dei
 Ministri  in  relazione  all'art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n.
 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
 periodo venatorio), che autorizza le regioni a disciplinare i periodi
 di  caccia  in  modo  difforme  da  quanto  in  esso  previsto   "per
 determinate  specie  in  relazione  alle  situazioni ambientali delle
 diverse realta' territoriali", precisando pero' che "i termini devono
 essere comunque contenuti tra il 1 settembre ed il 31 gennaio".
   Il limite  degli  obblighi  internazionali  si  assume  violato  in
 riferimento  all'art.  7.4 della direttiva 79/409/CEE, concernente la
 conservazione degli uccelli selvatici, che impone agli  Stati  membri
 di  provvedere, in relazione alle specie migratrici, "a che le specie
 soggette alla legislazione della caccia non vengano cacciate  durante
 il  periodo  della  riproduzione  e  durante  il  ritorno al luogo di
 nidificazione".
   Le  censure  avanzate  dal  Governo   riguardano   anche   l'omessa
 dimostrazione  dell'assunto  -  che viene esplicitato nella relazione
 della commissione consiliare competente e  dal  quale  sembra  trarre
 origine  la  disciplina  impugnata  -  secondo il quale "non ci si e'
 adeguati al limite massimo per l'esercizio venatorio del 31  gennaio,
 perche' non conciliabile con la reale presenza della fauna migratoria
 nel territorio della regione Sardegna".
   2. - La questione e' fondata.
   3.  -  La  costante giurisprudenza di questa Corte, nel riconoscere
 carattere di norme fondamentali  di  riforma  economico-sociale  alle
 disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili
 (sentenze  nn.  272  del  1996,  35  del 1995, 577 del 1990, 1002 del
 1988), implica - contrariamente all'avviso della regione resistente -
 che  tale  carattere  sia  proprio  anche  delle  norme  strettamente
 connesse  con  quelle  che  individuano le specie ammesse al prelievo
 venatorio.
   La richiamata giurisprudenza costituzionale  muove  dalla  premessa
 che  la  disciplina  statale  vincola  anche le regioni speciali e le
 province autonome nella parte in cui  delinea  il  nucleo  minimo  di
 salvaguardia  della  fauna  selvatica,  nel  quale  deve includersi -
 accanto alla elencazione delle  specie  cacciabili  -  la  disciplina
 delle   modalita'  di  caccia,  nei  limiti  in  cui  prevede  misure
 indispensabili per assicurare  la  sopravvivenza  e  la  riproduzione
 delle  specie  cacciabili.  Al  novero  di tali misure va ascritta la
 disciplina che,  anche  in  funzione  di  adeguamento  agli  obblighi
 comunitari, delimita il periodo venatorio.
   Il  limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali
 deriva invero sia da disposizioni che si caratterizzano per  il  loro
 contenuto riformatore, per la loro posizione di norme-principio e per
 l'attinenza   a  settori  o  beni  della  vita  economico-sociale  di
 rilevante importanza; sia da "norme legate con queste da un  rapporto
 di  coessenzialita'  o  di  necessaria  integrazione,  che rispondano
 complessivamente ad  un  interesse  unitario  ed  esigano,  pertanto,
 un'attuazione  su  tutto  il territorio nazionale" (sent. n. 1033 del
 1988).
   Non potendosi disconoscere il  rapporto  di  coessenzialita'  e  di
 necessaria   integrazione   intercorrente  tra  le  disposizioni  che
 individuano le specie ammesse al prelievo venatorio e quelle -  volte
 ad  assicurare  la  sopravvivenza  e  la  riproduzione  delle  specie
 cacciabili  -  che  tale  prelievo  delimitano  dal  punto  di  vista
 temporale, la questione sollevata deve essere accolta.
   L'accoglimento della presente questione non comporta  tuttavia  che
 le  regioni siano prive del potere di deroga alla generale disciplina
 dei periodi venatori,  per  determinate  specie,  in  relazione  alle
 situazioni  ambientali, entro l'arco temporale definito dall'art. 18,
 comma 2, della  legge  n.  157  del  1992,  potere  che  deve  essere
 preceduto   dall'accertamento   -  condotto  attraverso  procedure  e
 strumenti attendibili dal punto di vista tecnico-scientifico -  delle
 condizioni  e  dei  presupposti  di ordine ambientale richiesti dalla
 disciplina statale, oltre che dalla giurisprudenza comunitaria.