IL GIUDICE PRE LE INDAGINI PRELIMINARI
   Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato;
   Esaminata  la  richiesta  del  p.m.,  pervenuta in data 27 novembre
 1997, di emissione di decreto penale di condanna per il reato di  cui
 all'art.  9/26,  legge  n.  977/67,  accertato  il 10 dicembre 1996 a
 carico  degli  imputati  Riccio  Nicola  e  Riccio  Lucio   in   atti
 generalizzati;
   Rilevato  che  la richiesta in esame e' relativa ad un accertamento
 eseguito in data 10  dicembre  1996  da  personale  della  U.S.L.  di
 Pistoia;
   Che,  in  particolare, nel corso dell'accertamento eseguito in data
 10 dicembre 1996 nei locali della  ditta  degli  imputati  e'  emersa
 l'infrazione  di  cui  sopra  perche'  "non hanno sottoposto a visita
 medica periodica la minore A.A. .... assunta in data 2 novembre  1994
 con  la  qualifica  di  apprendista  ritorcitrice  e  dimessa  il  16
 settembre 1996 come comprovato dalla copia del libretto di lavoro; la
 visita medica preventiva e' stata eseguita in data 27 ottobre 1994  e
 in  base all'art. 9, secondo comma, della legge n. 977 del 17 ottobre
 1967,  la  visita  medica  periodica  doveva  essere  effettuata  con
 l'intervallo non superiore ad un anno";
   Rilevato,  ancora,  che  a  seguito  dell'accertamento  l'organo di
 vigilanza pur  rilevando  la  violazione  dell'art.  9/26,  legge  n.
 977/1967 non ha ritenuto di impartire prescrizioni ai sensi dell'art.
 20 del decreto legislativo n. 758/1994 in quanto "la minore A. A. non
 e'  piu'  dipendente  e'  venuta presso L'U.O.P.I.S.L.L. dell'azienda
 U.S.L. 3 Zona pistoiese in data 10 dicembre  1996,  per  eseguire  la
 visita medica di assunzione come apprendista parrucchiera" (v. CNR n.
 1093/97 dell'8 marzo 1997, pag. 1);
   Rilevato, pertanto, che il p.m. in assenza di prescrizioni da parte
 dell'organo  di  vigilanza  ed in difetto di sospensione del relativo
 procedimento penale ex art. 23, comma primo, decreto  legislativo  n.
 758/1994 ha presentato la richiesta di emissione di decreto penale di
 condanna per il reato oggetto di accertamento;
   Ritenuto,   ad   avviso   di  questo  g.i.p.  che  tale  situazione
 processuale   prospetti   dubbi   di   legittimita'    costituzionale
 relativamente  all'art.    21, comma 2, decreto legislativo cit. che,
 infatti,  consente  all'organo   di   vigilanza   di   ammettere   il
 contravventore  a  pagare in sede amministrativa, entro il termine di
 trenta giorni, una somma pari  al  quarto  del  massimo  dell'ammenda
 stabilita  per  la  contravvenzione  commessa,  il tutto pero "Quando
 risulta l'adempimento della prescrizione";
   Ritenuto, infatti, che tale disposizione normativa si  appalesi  in
 contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost;
                             O s s e r v a
   Il   capo   secondo   del   decreto  legislativo  n.  758/1994,  in
 ottemperanza "parziale" alla delega conferita con  legge  6  dicembre
 1993,  n. 499, disciplina un procedimento definito come misto, ovvero
 amministrativo  penale,  per  la  definizione  delle  contravvenzioni
 accertate  dagli  organi  di  vigilanza  in  materia  di  prevenzione
 infortuni. La prassi ispettiva relativa alla legislazione in  materia
 era  fondata,  antecedentemente all'introduzione di tale procedimento
 misto, su alcune disposizioni contenute fondamentalmente negli  artt.
 9/10  del  d.P.R.  19  marzo  1995,  n.  520,  recante  "Disposizioni
 riguardanti l'Ispettorato del lavoro, sulla riorganizzazione centrale
 e  paeriferica  del Ministero del lavoro e della previdenza sociale".
 In particolare l'art. 9 del d.P.R. cit.   prevede  che,  in  caso  di
 constatata  inosservanza  di  norme  di  legge la cui applicazione e'
 affidata  all'Ispettorato  del  lavoro,  quest'ultimo  organo  ha  la
 facolta', ove lo ritenga opportuno, valutate le circostanze del caso,
 di "diffidare" con apposita prescrizione il datore di lavoro fissando
 un termine per la regolarizzazione.
   Orbene,  l'interpretazione  dell'istituto  della  "diffida"  -  che
 l'art.  21 della legge n. 833/1978, istitutiva del S.S.N., ha  esteso
 agli  operatori  di vigilanza delle U.S.L. per la registrazione sulla
 sicurezza del lavoro - ha generato un contrasto nella  giurisprudenza
 della  Suprema  Corte  risolto  solo  a seguito di una sentenza delle
 ss.uu.  penali.  Un primo filone giurisprudenziale, infatti, riteneva
 che la facolta' di  diffida  non  fosse  alternativa  all'obbligo  di
 denunzia  del  fatto-reato  che e' perfetto sin dal momento del primo
 accertamento  e  perseguibile  per  il  principio   dell'officialita'
 dell'azione  penale.  Tale orientamento, in particolare, riteneva che
 la "diffica" di per se' consentisse  in  un  formale  avvertimento  a
 rimuovere  le situazioni pregiudizievoli riscontrate, senza che essa,
 o l'ottemperanza da parte del  datore  di  lavoro,  potesse  influire
 sulla  procedibilita'  o  punibilita'  del  commesso  reato (vedi, ex
 multis: Cass. pen., 24 aprile 1990,  imp.    Diddi;  Cass.  pen.,  27
 giugno 1986, n. 12284, imp. Ciari).  Un secondo e piu' recente filone
 giurisprudenziale,  invece, d'accordo con la dottrina piu' avvertita,
 ha inteso la "diffida" non come  strumento  meramente  sollecitatorio
 ma,  piuttosto, come strumento atto all'eliminazione di situazioni di
 pericolo nell'interesse  dei  lavoratori,  sicche'  dalla  prevalenza
 accordata a tale interesse si e' desunto dal sistema il principio per
 il  quale  la diffida costituisse condizione per il promovimento e la
 prosecuzione dell'azione penale, mentre  la  tempestiva  ottemperanza
 alla  diffida  da'  luogo  ad  una sorta di absolutio ab osservatione
 iudicii (v., nel senso dell'alternativita'  tra  "diffida"  e  azione
 penale,  ex multis: Cass. pen., 9 aprile 19990, n. 7016, imp. Fasoli;
 Cass. Pen., 24 settembre 1991, n. 10498, p.m.  in  proc.    Cesarini;
 nello  stesso  senso,  anche Corte cost., 12 luglio 1967, n. 105, ed,
 ancora, Corte cost. 9 giugno 1971, n. 125).    A  seguito,  tuttavia,
 dell'arresto giurisprudenziale della suprema Corte con la sentenza n.
 3171  del  27  febbraio  1992 (imp. Bergamini), si rendeva necessario
 l'invervento chiarificatore delle ss.uu.  della  suprema  Corte  che,
 infatti,  oltre a ribadire le argomentazioni proprie del primo filone
 giurisprudenziale,   hanno   assegnato   carattere   decisivo    alla
 constatazione  per  cui  nell'art. 9 del d.P.R. n. 520/1955 manca una
 espressa previsione della sospensione dell'azione penale in  caso  di
 diffida  e  dell'estinzione  del  reato per effetto dell'ottemperanza
 alla diffida stessa.  La  conclusione,  quindi  e'  stata  quella  di
 ritenere  che la "diffida" consiste in un mero formale avvertimento a
 rimuovere le situazioni pregiudizievoli riscontrate e che esaurisce i
 suoi effetti sul piano amministrativo.  Con l'entrata in  vigore  del
 decreto  legislativo n. 758/1994, pero', il legislatore ha tentato di
 colmare  il  vuoto  interpretativo  creato  alle  ss.uu.  del   1993,
 disponendo  espressamente per i futuro l'inapplicabilita' delle norme
 in materia di diffida e di disposizione  per  le  contravvenzioni  in
 materia  di  lavoro  (art.  25, comma 1, decreto   legislativo cit.).
 Orbene, osserva il decidente, come l'attuale discipilna dettata dagli
 artt.  n.  19/25  del decreto legislativo cit. per lo svolgimento del
 procedimento "misto" nel senso indicato in precedenza, presenti quale
 elemento centrale di differenziazione tra  i  contemplari  poteri  di
 disposizione  e  diffida  da quello della "prescrizione" ex art.  20,
 decreto legislativo cit. proprio il carattere  della  obbligatorieta'
 di quest'ultima.
   Mentre,  cioe',  fino all'entrata in vigore del decreto legislativo
 n. 758/1994 l'organo di vigilanza poteva  discrezionalmente  valutare
 l'opportunita'  o meno di emanare un atto ingiuntivo o dispositivo di
 natura  amministrativa,  cosi'  dando  vita  ad  una  fase  auntonoma
 rispetto  al  procedimento  penale, viceversa con l'entrata in vigore
 della disciplina  citata  in  presenza  di  un  accertamento  di  una
 contravvenzione  in  materia  di  prevenzione  infortuni, l'organo di
 vigilanza deve necessariamente impartire una prescrizione, quale atto
 di p.g. strettamente connesso al procedimento penale come  desumibile
 dall'art. 20, comma 1, decreto legislativo cit.
   Tale   obbligatorieta'  nell'impartire  la  prescrizione  da  parte
 dell'organo di vigilanza, soffre un'eccezione solo  nella  previsione
 dell'art.    23,  comma  2,  del  d.lgs.  n.  758/1994  che, infatti,
 riconosce la possibilita' all'organo di vigilanza di potersi astenere
 dall'impartire una prescrizione limitatamente, pero'  all'ipotesi  in
 cui  la  notizia  di  reato  non  pervenga direttamente all'organo di
 vigilanza ma dal p.m. o da altri soggetti.  Il dato letterale di tale
 norma, peraltro, lascerebbe propendere per continuare  a  considerare
 la  prescrizione  come  atto  discrezionale  dell'organo di vigilanza
 ferma restando la promuovibilita' dell'azione  penale  da  parte  del
 p.m.    Orbena,  una  simile  soluzione non puo' essere condivisa non
 soltanto  con  riferimento  all'ipotesi   contemplata   dalla   norma
 dichiarata  ma  soprattutto,  per  quanto  di interesse nella vicenda
 procedimentale de qua,  con  riferimento  all'ipotesi  apparentemente
 diversa  sotto  un  profilo  giuridico/fattuale  ma omogenea sotto un
 profilo contenutistico e sostanziale in  cui  l'organo  di  vigilanza
 prendendo  direttamente cognizione di una notizia di reato in materia
 di  prevenzione  infortuni  ritenga  "discrezionalmente"   (con   una
 valutazione,  si  osserva, fondata su una discrezionalita' "tecnica")
 di non dover impartire alcuna prescrizione ritenendo  il  reato  gia'
 consumato   e   dunque   non   ottemperabile,  con  cio'  negando  al
 contravventore la possibilita'  (rectius,  il  diritto)  di  definire
 amministrativamente  la procedura mediante pagamento della somma pari
 ad un quarto del massimo dell'ammenda  stabilita  per  la  violazione
 accertata   e,  per  converso,  obbligandolo  a  definire  penalmente
 altrimenti  (ovvero,  mediante  l'oblazione  speciale   -   peraltro,
 quest'ultima,   davvero  "discrezionale"  per  il  giudice  penale  e
 soggetta a determinate condizioni indicate dall'art. n. 162-bis  c.p.
 -  o  mediante il ricorso ai riti alternativi, al dibattimento ovvero
 legittimando,  come  nel  caso  di  specie,  il  p.m.  a   richiedere
 l'emissione  di  decreto  penale  di  condanna essendo venuta meno la
 sospensione dell'azione penale ex art.  23,  decreto  legislativo  n.
 758/1994)  la  violazione  davanti  al giudice penale.   E' evidente,
 peraltro,  come  nel  caso  sub  specie  per  l'organo  di  vigilanza
 impartire   una  prescrizione  finalizzata  all'eliminazione  di  una
 contravvenzione accertata sia materialmente impossibile,  trattandosi
 di reato istantaneo caratterizzato da un'offesa del bene protetto che
 si perfeziona e si esaurisce nel momento della commissione del fatto,
 senza  protrarsi  nel tempo, sicche' risulta ontologicamente impedita
 qualsiasi  possibilita'  di   regolarizzazione   e   la   conseguente
 emanazione  di  una  prescrizione  non  avrebbe  alcuna  utilita', in
 considerazione  dell'oggettiva  impossibilita'  di  ripristinare  una
 situazione conforme a diritto.  Se tale situazione legittima l'organo
 di vigilanza a non impartire alcuna prescrizione di fronte al caso di
 specie  (come,  del  resto,  si verifica in altri casi: es. art. 328,
 d.P.R. n. 547/1955 relativamente alla verifica dell'impianto di messa
 a terra prima della messa in servizio;  art.  4,  legge  n.  628/1961
 quanto  alla  scadenza  del  termine  per la esibizione dei documenti
 richiesti da parte dell'Ispettorato del lavoro), e' pero' dubbio  che
 tale  mancata  prescrizione,  risolvendosi  nella  preclusione per il
 contravventore  della  definizione  del  procedimento   mediante   il
 pagamento  "in  via  amministrativa"  davanti all'organo di vigilanza
 della somma pari ad un quarto del massimo  dell'ammenda stabilita per
 la violazione accertata, sia  pienamente  conforme  con  la  voluntas
 legis  sottesa  alla   legge delega n. 499 del 6 dicembre 1993 e, nel
 contempo, conforme al principio costituzionale  dell'art.    3  della
 Costituzione.  La lettura dell'art. 1, comma 1, lett. b), della legge
 delega, infatti, non lascia spazio a margini di discrezionalita' agli
 organi  di  vigilanza.    Ed  invero, tale disposizione normativa nel
 conferire al Governo la delega ad "adottare ... uno  o  piu'  decreti
 legislativi  per  la  riforma  sanzionatoria  relativa ai rapporti di
 lavoro ..." (art. 1, comma 1, prima parte) fissa i principi e criteri
 direttivi richiesti dall'art. 76  della  Costituzione  e  in  maniera
 perfettamente  intelligibile  "in maniera di tutela della sicurezza e
 dell'igiene del lavoro" richiede che nell'attuazione della delega  il
 Governo  debba  "stabilire,  per le contravvenzioni previste da leggi
 speciali,   una   causa   di   estinzione   del   reato   consistente
 nell'adempimento,  entro  un  termine non superiore al limite fissato
 dalla legge,  alle  prescrizioni  obbligatoriamente  impartite  dagli
 organi  di vigilanza allo scopo di eliminare la violazione accertata,
 nonche' nel pagamento in sede amministrativa di una somma pari ad  un
 quarto  del  massimo dell'ammenda comminata per ciascuna infrazione".
 La previsione normativa de qua, quindi, non sembra lasciare spazio  a
 margini  di discrezionalita' all'organo di vigilanza nell'imporre una
 prescrizione successivamente all'accertamento della violazione,  cio'
 in  considerazione  del fatto che tale atto rappresenta l'attivazione
 della procedura "mista" che potenzialmente porta alla definizione  in
 fase  amministrativa  del  procedimento secondo quanto previsto dagli
 artt. 21/24 del d.lgs. citato.   Del resto, osserva  il  g.i.p.,  non
 avrebbe  alcun  senso  logico  sostenere  che  l'obbligatorieta' o la
 discrezionalita'   dell'emanazione   dell'atto    prescrittivo    sia
 determinata e condizionata dalla natura della violazione accertata.
   Cio'  per  almeno  un  duplice  ordine  di motivi.   Ed infatti, la
 circostanza per cui la possibilita' di estinguere il reato adempiendo
 alla  prescrizione  e  pagando  una  sanzione   pecuniaria   in   via
 amministrativa  sarebbe  rimessa, in primo luogo, alla casualita' che
 determina il reato oggetto di accertamento (ossia dipenderebbe  dalla
 natura  del  reato  stesso,  impedendo,  come  nel  caso  di  specie,
 qualsiasi prescrizione trattandosi di reato  gia'  consumato  per  il
 quale  non  si  ritenga  di  dover  impartire  prescrizioni  da parte
 dell'organo di vigilanza) ed, in secondo luogo, sarebbe rimessa  alla
 discrezionalita'  insindacabile  dell'organo  di  vigilanza  (cio' in
 considerazione del fatto che di fronte ad una rinuncia dell'organo di
 vigilanza ad  impartire  prescrizioni  e,  dunque,  ad  ammettere  il
 contravventore  alla  definizione amministrativa, l'organo inquirente
 non ha alcuna facolta' di intervento nella fase amministrativa  della
 procedura  di  spettanza  esclusiva  dell'organo  di vigilanza ne' e'
 legittimato  a  porre  in  essere  atti  finalizzati  a  sanare  tale
 situazione  potendo  solo compiere quelle attivita' limitate previste
 dall'art. 23,  comma  3,  decreto  legislativo  cit.  che,  peraltro,
 presuppongono  la  sospensione  del  procedimento penale, sospensione
 automaticamente caducata di fronte al diniego da parte dell'organo di
 vigilanza   di   ammettere   il   contravventore   alla   definizione
 amministrativa  della procedura).  In definitiva, quindi, autorizzare
 una simile soluzione (ovvero ritenere non obbligatorio l'impartire la
 prescrizione da parte dell'organo di vigilanza o, comunque, rimettere
 alla discrezionalita' tecnica dell'organo di vigilanza  la  decisione
 di  ammettere  o  meno  il  contravventore  alla  definizione  in via
 amministrativa) equivale ad attribuire all'organo  di  vigilanza  uno
 smisurato,   eccessivo   o   comunque   non   legittimo   spazio   di
 discrezionalita'  circa  l'effettiva  operativita'   dello   speciale
 procedimento   di   estinzione  delle  contravvenzioni  previsto  dal
 legislatore per evitare la fase processuale penale  e  garantire  nel
 contempo  l'osservanza  delle  disposizioni  violate.   A giudizio di
 questo giudice per le indagini preliminari, pertanto, sembra evidente
 il contrasto e, dunque, la sospetta incostituzionalita' dell'art. 21,
 comma 2, d.l.vo cit. nella parte in cui  non  prevede  l'obbligo  per
 l'organo di vigilanza di ammettere il contravventore a pagare in sede
 amministrativa  anche  nel  caso  in  cui  non venga impartita alcuna
 prescrizione per materiale impossibilita' nella sua emanazione  (come
 nel  caso  sub  specie, trattandosi di reato istantaneo che impedisce
 ontologicamente qualsiasi possibilita'  di  regolarizzazione),  posto
 che  subordinare  l'ammissione  alla  procedura  amministrativa  alla
 verifica   dell'adempimento   della   prescrizione    impedisce    al
 contravventore  nei  cui  confronti  nessuna  prescrizione  sia stata
 impartita di definire  la  violazione  accertata  mediante  pagamento
 della  somma  pari  al  quarto del massimo dell'ammenda stabilita per
 tale violazione, con evidente disparita' di trattamento  rispetto  al
 contravventore che "beneficiato" dall'imposizione di una prescrizione
 possa  definire  la  violazione accertata avvalendosi della procedura
 amministrativa  evitando  quella  penale  che,  viceversa,   dovrebbe
 obbligatoriamente  seguire  il  contravventore  nei cui confronti non
 venisse impartita alcuna prescrizione  e  che  si  vede  preclusa  la
 possibilita'  di  definizione  in  quella  fase  amministrativa.   In
 definitiva, quindi, si farebbe dipendere da un elemento estraneo alla
 volonta' del contravventore (ossia dalla natura della violazione)  la
 possibilita'   di  avvalersi  della  definizione  amministrativa  del
 procedirnento rimettendola  altresi'  alla  discrezionalita'  tecnica
 dell'organo  di  vigilanza,  cio'  che finirebbe per far degradare da
 obbligatoria  a  facoltativa  l'imposizione  della  prescrizione  con
 conseguente   palese   violazione   del   principio   di  uguaglianza
 costituzionalmente  garantito,  da  una  parte,  e  con   altrettanto
 evidente  violazione dell'art.  76 della Costituzione per difformita'
 rispetto al principi  e  criteri  direttivi  della  legge  delega  n.
 499/93,  che all'art. 1, comma 1, lett. b), n. 1, imponeva in materia
 di   stabilire   una   causa   di   estinzione   del   reato  fondata
 "nell'adempimento ... alle prescrizioni  obbligatoriamente  impartite
 ....  nonche'  nel pagamento in sede amministrativa di una somma pari
 ad  un  quarto  del  massimo  dell'ammenda  comminata  per   ciascuna
 infrazione".
   Ritenuto,  infine,  che  la  questione sollevata ex officio non sia
 manifestamente infondata e che la richiesta di emissione  di  decreto
 penale  di  condanna non puo' essere definita indipendentemente dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale in  quanto
 l'accoglimento   della  stessa  consentirebbe  al  contravventore  di
 definire amministrativamente  la  contravvenzione  con  il  pagamento
 della  somma  indicata  dall'art.  21,  comma  2,  d.lgs  cit., senza
 necessita'  per  questo  decidente  di  procedere  all'emissione  del
 decreto  penale  di  condanna  richiesto e restituzione degli atti al
 p.m. perche' provveda a  trasmetterli  all'organo  di  vigilanza  per
 l'ammissione alla procedura amministrativa.
   Visti  gli artt. 23 e segg., legge costituzionale 11 marzo 1953, n.
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