LA CORTE DEI CONTI
   Ha emesso la seguente ordinanza n. 69/98/ord. resp. nel giudizio di
 responsabilita',  iscritto  al  n.  4742  del registro di segreteria,
 promosso  dal  procuratore  regionale,  in   favore   della   regione
 siciliana, nei confronti dell'Irecoop-Sicilia (Istituto regionale per
 gli  studi  cooperativi),  in  persona  del suo legale rappresentante
 pro-tempore, domiciliato per la carica in Palermo, via Ugo  La  Malfa
 n. 87/89.
   Sentiti  alla  pubblica  udienza  del  6  marzo  1998  il relatore,
 consigliere dott. Giuseppe Aloisio ed  il  pubblico  ministero  nella
 persona del vice procuratore generale dott. Antonio Dagnino.
   Esaminati gli atti ed i documenti del giudizio.
                               F a t t o
   Con  atto  di  citazione  depositato  in  data  5  ottobre 1994, il
 procuratore regionale ha convenuto in giudizio l'Irecoop-Sicilia,  in
 persona  del  suo  legale  rappresentante pro-tempore, chiedendone la
 condanna al pagamento, in  favore  della  regione  siciliana,  di  L.
 34.427.822,   somma   facente   parte   di   finanziamenti   concessi
 dall'assessorato regionale al lavoro all'ente convenuto e risultata a
 debito a seguito della revisione definitiva dei rendiconti di spesa.
   Con  sentenza  n.  287/1995  del  27  aprile   1995,   la   sezione
 giurisdizionale  per la regione siciliana assolveva l'Irecoop-Sicilia
 dall'addebito contestatogli.
   Avverso la suddetta sentenza, il  procuratore  regionale  proponeva
 atto   di  appello  innanzi  alle  sezioni  giurisdizionali  centrali
 d'appello che, con sentenza  della  sez.  III,  n.  249/1997  del  26
 febbraio  1997,  accoglieva l'impugnazione del procuratore regionale;
 in  particolare  il  giudice  d'appello,  nel  sindacare  il  mancato
 esercizio del potere sindacatorio da parte di questa sezione, che era
 pervenuta  "...  ad  una  pronuncia  assolutoria,  pur  in assenza di
 soddisfacenti elementi di prova dei fatti posti  a  fondamento  della
 domanda  ...", annullava la sentenza impugnata, rimettendo gli atti a
 questo giudice, ai sensi dell'art. 105 del regolamento di  procedura,
 "...  affinche'  subordini  la  sua  pronuncia ai dovuti accertamenti
 istruttori ...".
   Con atto  di  riassunzione  del  1  ottobre  1997,  il  procuratore
 regionale  chiedeva  la  fissazione  dell'udienza  di discussione del
 giudizio, confermando la domanda di condanna formulata con l'atto  di
 citazione;  richiesta  ribadita  dal  pubblico  ministero all'udienza
 odierna.
                             D i r i t t o
   L'art. 105 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi  alla
 Corte  dei conti, approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, dispone
 che "Quando in prima istanza la competente sezione giurisdizionale si
 sia pronunciata soltanto su questioni di carattere pregiudiziale,  su
 queste  esclusivamente  si pronunciano in appello le sezioni riunite.
 Quando invece in prima istanza la sezione si  sia  pronunciata  anche
 sul  merito,  le  sezioni riunite possono conoscere di questo, oppure
 rinviare la causa al primo giudice".
   La costante giurisprudenza della  suddetta  norma  da  parte  della
 giurisprudenza  di  questa  Corte  consente  al  giudice di appello -
 diversamente da quanto prevede l'art. 354  del  codice  di  procedura
 civile   -   di   limitare   la   propria  pronuncia  alle  questioni
 pregiudiziali, di  definire  il  giudizio  pronunciandosi  anche  nel
 merito,  di  trattare  solo  una  parte  del  merito,  a  prescindere
 dall'esistenza di questioni  pregiudiziali,  rinviando  gli  atti  al
 giudice   di   primo  grado  per  la  definizione  del  giudizio,  in
 applicazione di quanto statuito in sede di appello.
   Nella fattispecie odierna, la sezione III giurisdizionale  centrale
 d'appello  ha  annullato  la  sentenza impugnata, rimettendo ai sensi
 dell'art. 105 del regolamento di procedura gli atti a questo  giudice
 per  la  definizione  del  giudizio,  dopo  l'esperimento dei "dovuti
 accertamenti  istruttori",  censurando   espressamente   il   mancato
 esercizio del potere sindacatorio da parte della sezione.
   Il  collegio,  rilevato  che  la interpretazione costante dell'art.
 105 del r.d. 13 agosto 1933, n.  1038  costituisce  diritto  vivente,
 ritiene  di  dovere  nuovamente proporre la questione di legittimita'
 costituzionale della norma predetta per  contrasto  con  l'art.  101,
 secondo  comma  della  Costituzione, gia' sollevata da questa sezione
 con ordinanze nn. 42/1998 del 17 aprile 1998, 129/1998 dell'8 ottobre
 1997 e 142/1998 del 6 ottobre 1997.
   Si   ribadisce,  infatti,  che  l'applicazione  dell'art.  105  del
 regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei  conti,
 nei  termini  indicati,  determina  -  come nella fattispecie oggetto
 dell'odierno giudizio - un assoggettamento del giudice di primo grado
 alle statuizioni del giudice di appello, tanto marcato da limitare la
 formazione e l'espressione del suo convincimento per  la  definizione
 della causa, affidandogli in definitiva il compito di dare attuazione
 alla  decisione  di  un  altro  giudice, con la manifesta lesione dei
 principio sancito dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione.
   Principio che - come  gia'  affermato  nelle  citate  ordinanze  di
 questa   sezione,   in   linea   con  la  consolidata  giurisprudenza
 costituzionale - "...garantisce  la  liberta'  e  l'indipendenza  del
 giudice,  nel  senso  di vincolare la sua attivita' alla legge e solo
 alla legge, in  modo  che  egli  sia  chiamato  ad  applicarla  senza
 interventi  ed interferenze al di fuori di essa, che possano incidere
 sulla formazione del suo libero convincimento, anche se  non  esclude
 che  il  giudice  possa  essere  assoggettato alle valutazioni che la
 legge da' dei rapporti, degli atti e dei fatti, e al  rispetto  degli
 effetti   che  ne  desume,  quando  cio'  sia  conforme  al  precetto
 costituzionale ovvero alle  regole  del  procedimento  di  formazione
 graduale  della  pronuncia giurisdizionale (sent. n. 50 del 1970 e n.
 234 del 1976). Quel che, dunque, la legge non puo' fare e' introdurre
 vincoli che abbiano oggettivamente il solo o  principale  effetto  di
 ridurre il giudice a mero esecutore della decisione assunta da altri,
 precludendo l'espressione del suo convincimento sulle questioni dalle
 quali dipende la soluzione della causa".
   In  tal  senso,  pertanto,  deve  essere  proposta  la questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  105   del   Regolamento   di
 procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti.
   Qualora  la  Corte  costituzionale  non dovesse ritenere fondata la
 questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  105  citato,  la
 sezione,    gradatamente,    solleva    questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 14 del r.d. 13 agosto  1933,  n.  1038,  nei
 termini e nei limiti di seguito esposti.
   Infatti,  premesso che la sezione d'appello ha annullato con rinvio
 la  sentenza  n.  287/1995,  ritenendo  l'assoluzione  del  convenuto
 pronunciata  "...in  assenza  di  soddisfacenti elementi di prova dei
 fatti posti  a  fondamento  della  domanda...",  e  condizionando  la
 definizione  del giudizio all'esperimento dei "...dovuti accertamenti
 istruttori..."   da parte del giudice  di  primo  grado,  si  ritiene
 necessaria  una  verifica sul piano della costituzionalita' dell'art.
 14 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038,  che  prevede  il  potere  della
 Corte   di   conti   (tradizionalmente   definito   sindacatorio)  di
 "...richiedere all'amministrazione e ordinare alle parti di  produrre
 gli  atti  e  i  documenti  che  crede necessari alla decisione della
 controversia e ...  ordinare  al  procuratore  generale  di  disporre
 accertamenti diretti anche in contraddittorio delle parti...".
   La  consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte  -  superando un
 diverso orientamento  giurisprudenziale  espresso  in  passato  -  ha
 attribuito  alla c.d. "sindacatorieta'" la natura di potere-dovere di
 ricerca della prova da parte del giudice, cosi' esteso da superare  i
 limiti  oggettivi e soggettivi della domanda (ss.rr. 3 maggio 1988 n.
 579/A), consentendogli di  determinare  autonomamente  l'oggetto  del
 giudizio,  individuare  i  soggetti  responsabili  ed  acquisire  gli
 elementi di prova a sostegno della domanda (sez. giur. reg.  Calabria
 24 novembre 1992, n. 17, ss.rr. 10 giugno 1986, n. 496/A).
   Ad avviso del collegio, la atipicita' del potere sindacatorio cosi'
 inteso,  nel  senso  di  riconoscere  al giudice un potere di ricerca
 autonoma e piena delle fonti materiali di prova e non di integrazione
 degli elementi di prova offerti dall'attore a sostegno della domanda,
 contrasta con il  principio  di  imparzialita'  ed  indipendenza  del
 giudice oltre che con il principio di tutela delle parti.
   In  definitiva,  ad  avviso  del  collegio,  attribuire  al  potere
 sindacatorio una portata cosi' ampia  da  consentire  al  giudice  di
 colmare del tutto le lacune dell'impianto accusatorio del procuratore
 regionale  determinerebbe  essenzialmente  la sua sostituzione ad una
 delle parti processuali, con la conseguenza che la  sezione  dovrebbe
 farsi   carico   non   solo   di   una   attivita'   preliminare   di
 "interpretazione" della domanda del p.m. e  di  individuazione  degli
 elementi  sui quali essa si fonda, ma altresi' di ricerca delle prove
 sulla sussistenza di danno e colpa grave (o dolo) del convenuto.
   D'altra  parte,  il  mutato  quadro  normativo   ha   ampliato   la
 consistenza dei poteri istruttori del p.m. presso la Corte dei conti,
 consentendo  all'attore  di instaurare il giudizio di responsabilita'
 precisando compiutamente il contenuto della domanda,  in  conformita'
 all'art.    163  del  codice  di  procedura civile: anche a tale fine
 assumono un particolare rilievo processuale gli istituti  dell'invito
 a  dedurre  e della presentazione dei documenti, previsti dagli artt.
 5, commi 1 e 6, e 2, comma 4, del d.-l. n. 453 del 1993.
   Ad avviso del collegio, nell'odierno giudizio la sezione di appello
 ripropone  emblematicamente   una   applicazione   esasperata   della
 sindacatorieta',  considerato  che  il  procuratore  regionale - come
 correttamente affermato nella sentenza appellata - si e'  limitato  a
 citare    per   relationem   atti   dell'amministrazione   regionale,
 svincolando la  propria  domanda  dall'accertamento  della  effettiva
 sussistenza del danno erariale e dell'elemento psicologico del dolo o
 della colpa grave.
   La   sezione   ritiene  che  demandare  al  giudice  tale  compito,
 sostanzialmente sostituendosi alla iniziativa probatoria di una delle
 due parti mediante l'esperimento del  potere  di  ordinanza  previsto
 dall'art. 14 del r.d.  n. 1038 del 1933, causa una rilevante modifica
 della  realta' processuale e si pone in contrasto con il principio di
 terzieta' e imparzialita' del giudice, nonche' con il principio della
 tutela sostanziale delle parti processuali,  determinando  una  grave
 lesione  dei  diritti  di eguaglianza e di difesa, costituzionalmente
 garantiti dagli artt.  3 e 24 della Costituzione.
   Sotto tale profilo  il  collegio,  nel  richiamare  la  consolidata
 giurisprudenza della Corte costituzionale in materia (cfr., in part.,
 nn.  121  del  1977, 178 e 215 del 1979), rileva come l'art. 24 della
 Costituzione (definito  "la  massima  garanzia  strumentale  prevista
 dall'ordinamento")  possa  essere  invocato ogni qual volta una norma
 accordi una posizione sostanziale  di  vantaggio,  al  fine  di  "...
 assicurare   sul  piano  processuale  la  tutela  di  una  situazione
 giuridica riconosciuta dal diritto sostanziale ...".
   In particolare sulla posizione del  pubblico  ministero,  la  Corte
 costituzionale (pur riconoscendo che il p.m. esercita i poteri-doveri
 connessi  alla  sua  funzione  esclusivamente  a  tutela di interessi
 generali nell'ambito dell'osservanza della  legge)  ha  rilevato  che
 tutte  le  volte  che  lo stesso ha veste di parte nel processo, come
 quando  esercita  le  funzioni  di  accusa,  sussiste  l'esigenza  di
 rispettare  la  posizione  di  parita'  delle  parti nel procedimento
 (sent. n. 2 del 1974).
   Nell'ipotesi contraria, in  cui  le  parti  non  fossero  poste  in
 condizioni di completa ed effettiva eguaglianza, verrebbe alterata la
 regola del contraddittorio, che costituisce un corollario del diritto
 di  difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione (sent. n. 27 del
 1972); in particolare, la  sostituzione  del  giudice  nella  ricerca
 autonoma  e  piena  degli  elementi  di  prova  pone  il  p.m. in una
 ingiustifica  posizione  di  privilegio   processuale,   esonerandolo
 dall'onere di provare la domanda prospettata.
   Sulla   ammissibilita'  delle  dedotte  questioni  di  legittimita'
 costituzionale, nel confermare le argomentazioni gia'  esposte  nelle
 citate  ordinanze  nn.  129/1998, 42/1998 e (... ord. Luciana), e con
 riferimento quanto gia' statuito dalla Corte costituzionale 21 luglio
 1995, n. 345, si osserva che l'intervento della Corte  costituzionale
 e'   consentito   anche   nella   ipotesi   di   una  verifica  della
 costituzionalita' di un indirizzo interpretativo consolidato  di  una
 norma,  che  costituisce  diritto  vivente,  nella  ipotesi in cui il
 giudice remittente reputi non conforme alla Costituzione la  costante
 applicazione della norma.
   Sotto   il   profilo  della  rilevanza  di  entrambe  le  questioni
 prospettate, il collegio rileva come il presente giudizio  non  possa
 essere definito indipendentemente dalla loro soluzione, da cui deriva
 la permanenza dei notevoli limiti imposti a questo giudice.